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Set 26, 2009 - Luoghi, Religione a Venezia    4 Comments

San Francesco del deserto: dal Santo al ricovero delle “anime perdute”

Isola di San Francesco del deserto.jpgJacopo de Michiel, un Nobiluomo Veneziano, proprietario dell’isola chiamata delle “due vigne”, decise di costruire nella sua proprietà una chiesa dedicata a Francesco d’Assisi, già considerato da vivente un santo, per cui le chiesa che fu eretta fu la prima dedicata a quello che divenne il Santo più famoso ed amato in Italia.

Nel 1214 il de Michiel decise di donare la proprietà dell’isola ai frati francescani i quali costruirono un convento,un’isola di pace e silenzio nell’incanto della laguna.

Si narra che nel 1220 approdò all’isola il fraticello,che stava ritornando dalla terra Santa,dove si era recato a chiesa di San Francesco del deserto.jpgconvento.jpgIsola del deserto.jpgil Santo.jpgpredicare,   in compagnia di un suo fido discepolo, bloccati da una terribile tempesta, e, nell’atto del  toccare terra del Santo il fortunale si placò all’improvviso, ed il fraticello si mise a meditare, inginocchiato  sulla nuda terra, ma gli uccellini, con il loro gioioso canto disturbavano questa sua meditazione, per cui egli gentilmente chiese ai suoi amici uccelli di tacere, ed essi tacquero, fino a che San Francesco terminò il suo ufficio di preghiere.

In quegli istanti il Santo piantò il suo bastone, che appunto lo aveva accompagnato nel suo cammino da Alessandria d’Egitto  sulla terra dell’isola, e il bastone secco si mise a germogliare e da questo nacque un albero che i fraticelli del convento mostrano ai visitatori dell’isola .Questo episodio è testimoniato da un albero.jpgIsola di San Francesco del deserto 1.jpgatto di donazione del 1223, trascritto da Frati Francescani Minoriti, ed è conservato e visibile presso il Convento.

Nel 1440 il Frati abbandonarono l’isola a causa della malaria, così l’isola dell”due vigne” venne rinominata “S. Francesco del Deserto”, nome con cui attualmente è conosciuta.

Nel 1450 Padre Nicolò Erizzo fece ritornare la vita conventuale. Nel 1594 subentrarono i Frati Minori riformati,per poi, dopo le varie vicissitudini della occupazione Napoleonica e la soppressione dei Conventi, venne restituita ai Frati Francescani.

Per ora l’isola convento, bellissima, tranquilla e silenziosa, ospita nove frati, così come negli anni settanta, quando nella laguna si diffondeva una voce: nell’isola, nell’ora del tramonto o all’imbrunire chiunque si fosse avvicinato con la barca all’isola avrebbe visto delle strane luci muoversi tra la boscaglia, luci che il popolo attribuiva alle anime perdute che cercavano pace.

frati minori riformati.jpgfrati francescani.jpgFu così che un gruppo di “gosthbusters” ante litteram, trovandosi in barca e vedendo uno dei frati del convento avviarsi verso la sua isola lo seguirono: giunti ad un certo punto il frate, dalla sua barca chiese: Mi state seguendo?” ed i “coraggiosi cacciatori di fantasmi gli risposero affermativamente.

Il frate allora  diede loro il permesso di accostare e di visitare il convento; felici, gli aspiranti cacciatori di fantasmi scesero e  rimasero incantati dalla bellezza e dalla pace del luogo, ma il più sfacciato, preso coraggio narrò al frate delle dicerie che si ascoltavano tra i frequentatori della laguna: alla domanda se le strane luci fossero delle anime perdute il frate risposte con una fragorosa risata: dovete sapere , egli disse, che noi abbiamo parecchie galline che vivono sparse per l’isola, ed alla sera, specialmente all’imbrunire è difficile ritrovarle tutte per cui ad un nostro confratello è venuta l’idea di spennellare qualche San Francesco.jpgSan Francesco d'Assisi.jpgSan Francesco del deserto isola.jpgpiuma dei nostri polli con una vernice fluorescente, ed alla sera, allora, le nostre povere anime perse vengono radunate ed accompagnate tutte, senza dimenticarne alcuna, nel sicuro ricovero del pollaio, dove troveranno il sereno riposo della notte!!!!!Per poi ricominciare con il loro girovagare!

Purtroppo raggiungere l’isola è un pò complicato: bisogna prendere il vaporetto alle Fondamente nuove, raggiungere Burano, qui scendere e poi attraversare l’isola ed andare al Bar del Turista da Pippo e qui contattare i frati che manderanno una barca per prelevare i visitatori, ma credete: ne vale la pena!!!!!

 

Ago 28, 2009 - Luoghi, Società veneziana    Commenti disabilitati su Torcello, terra bizantina e culla di Venezia

Torcello, terra bizantina e culla di Venezia

Chiesa di S. Maria a Torcello.jpgesarcato di Isaaqc.jpgIsola.jpgLa zona lagunare di Venezia , verso la fine dell’impero bizantino sotto Eraclio era un territtorio bizantino, che faceva parte della provincia di Venezia a capo della quale c’era un “magister militum” alle dirette dipendenze dell’esarca di Ravenna. La Basilica di S. Maria Madre di Dio di Torcello fu costruita per ordine dell’esarca Isaac, ed a lui dedicata per “volere di Dio” a utile ricordo dei suoi meriti e del suo esercito.

L’opera fu compiuta dal “magister miliotum” Maurizio, “governatore della provincia di Venezia, mentre risiedeva in questo luogo di sua proprietà.

Teodorico.jpgCassiodoro ministro.jpgLa prima descrizione della laguna Veneta ci perviene comunque da una famosa lettera di Cassiodoro (480-575) ministro del re Teodorico che aveva posto la sua sede a Ravenna e che aveva accarezzato il sogno di poter riuinire l’Italia in una nuova unità etnica e sociale, mediante la fusione dei barbari con i romani.

Cassiodoro senatore.jpglapide di dedicazione.jpgUno dei documenti che parlano di Torcello, cioè l’isola in cui si fondò Venezia, abitata da popoli provenienti da Oderzo, da Aquileia  da Eraclea, e insediamento romano, fu un’altra lettera di Cassiodoro a Teodorico del 537, e la lapide di dedicazione della Basilica a Santa Maria Madre di Dio.

Torcello vista dall’alto è al centro del grande arco segnato dal bordo della laguna sul litorale della terraferma, a poca distanza delle dighe ove la laguna Isola di Torcello.jpgincontra il mare e nella costellazione delle varie isole che fanno corona a Venezia.

ìMosaici di Torcelo.jpggiudizio universale.jpgUn pò alla volta l’isola si spopolò, anche a causa delle condizioni ambientali poco salubri, ma rimasero, e sono ancora da ammirare la Basilica di Santa Maria Madre di Dio, del 537 d.c., una chiesa splendida, basterebbe soltanto il mosaico del Giudizio Universale per darle la dignità di fantastico monumento, il motivo della Madonna che è il perno della chiesa, la sua immagine è al centro dell’edificio, altissima ed azzurra in un cielo d’oro creato nella conca dell’abside sotto cui stanno gli apostoli.

Essa è sola in uno spazio reso immateriale dalla luce dorata del mosaico che dà il senso dell’infinito, ed appare immediata l’assolutezza e la supremazia della sua visione rispetto a tutte le altre.

resti del Battistero.jpgSan Eliodoro.jpginterno basilica.jpgmadonna 1.jpgI plutei sono di scultura bizantina, con i due pavoni che si abbeverano ad una fontana, simboli della grazia.

Qui riposano le spoglie di S. Eliodoro, patrono dell’isola.

Da ammirare anche la Chiesa di S. Fosca, del 1100, e i resti del Battistero, davanti alla basilica. Curioso è il trono di Attila, anche se sembra che il re degli Unni non vi sia mai seduto, ma che probabilmente era lo scragno di marmo che veniva utilizzato dai tribuni per l’amministrazione della giustizia, e l’altrettanto curioso ponte del diavolo, legato ad una leggenda.

il ponte del diavolo.jpgIl trono di attila a Torcello.jpgpanorama della basilica.jpgchiesa di S. Fosca.jpgIl museo è ricco di opere e ritrovamenti. C’è ancora moltissimo da scrivere su Torcello, ma per ora, per chi può e ne ha voglia, lascio la possibilità di andare ad ammirare di persona….luogo fantastico e culla della Venezia che conosciamo!

 

 

Ago 18, 2009 - Architettura, Chiese, Leggende, Luoghi    4 Comments

Murano, Burano, il bottasso de Sant’Alban e il Drago di San Donato

interni.jpgBasilica.jpgcanale a Murano.jpgMurano, isola del vetro, isola dove Giacomo Casanova consumò una delle sue più emozionanti relazioni con MM una monaca del Convento, ma anche isola carica di Storia e di Leggende:
La Basilica veneto bizantina dei Santi Maria e Donato sembra sia stata eretta come voto fatto da Ottone I°, salvato miracolosamente da una burrasca terribile.

Venne eretta tra il 950 e il 957, su un campo di gigli rossi. La Chiesa è magnifica, così come i suoi pavimenti, mosaici splendidi, per cui vale la pena di entrare: ed ecco che se ponete attenzione, entrati, con il portale d’ingresso alle spalle, sopra il colonnato di sinistra ed esattamente sopra la terza altare di S. Donato.jpgbottasso di Sant Albano.jpgBurano.jpgCanale a Burano.jpgcolonna  si notano le immagini un leone andante, due stemmi, e tra questi,  una piccola botte inserita nel muro: si tratta del celebre “bottasso de Sant Alban”.

Narra la leggenda che davanti alle acque di Burano, i cui abitanti erano in costante competizione coi muranesi, si notò una cassa galleggiare: recuperata a riva ecco che dentro vennero ritrovate le reliquie di Sant Albano, ( di cui riparleremo) oltre ad altre reliquie, ed una botticella la quale, posata accanto ai resti  del santo forniva inesauribilmente del vino molto buono.

La vicenda venne a conoscenza dei Muranesi i quali, con una incursione notturna riuscirono a rubare la S. Albano.jpgbotte, ma fu molto amara la loro sorpresa quando si accorsero che lontanto dalle spoglie del Santo non usciva più una goccia di vino;

Nella disputa che ne seguì il prefetto decise che il bottasso dovesse rimanese a Murano, e qui fu murata appunto nella Basilica dei Santi Maria e Donato.

San Donato Murano.jpgEd in questa chiesa, oltre al bottasso, si possono ammirare dietro all’altare maggiore le costole ed un enorme San Donato taumaturgo.jpgdente del Drago che San Donato di Evolea, taumaturgo e patrono di Murano,  aveva ucciso con un segno di croce.

case a Burano.jpginterni-pavimenti.jpgAltare.jpgAltre bellissime leggende accompagnano la storia di Murano come quella di Burano, e un pò alla volta ne riparleremo, perchè fanno parte della storia di due Isole importantissime di Venezia, isole splendide, colorate, cariche di tradizioni  che conservano le tradizioni artigianali tra le più importanti non solo di Venezia, ma di tutta Italia.

Ago 15, 2009 - Architettura, Luoghi    3 Comments

Lo zodiaco a Venezia

imagesCAOGGM5G.jpgNel 1493 il Senato di Venezia decise di sostituire il vecchio orologio di S. Alipio posto sull’angolo a nord ovest della Basilica di S. Marco. Si commissionò la costruzione di una nuova macchina a Zuan Carlo da Reggio.

Nel 1495 si decise di porre il nuovo orologio sulla bocca della piazza delle Antiche Mercerie, la via commerciale della città.

imagesCAUYEPCQ.jpgL’orologio venne inserito in una torre, elemento nuovo nella geometria della piazza, ancora fedele allo stile voluto dal Doge Sebastiano Ziani.

La particolare conformazione dell’orologio offre un duplice spettacolo, a seconda che lo si osservi dalla Piazza, quasi un enorme cannocchiale verso l’ingresso del porto, o dalle Mercerie, in cui simula una sorta di arco trionfale che unisce l’area marciana alla  via del commercio, per l’appunto le mercerie.

imagesCA4IZRNI.jpgL’orologio, comunque, rispetto alla torre ha una storia a sè.

La sua costruzione fu affidata ai fratelli Gian Paolo e Gian Carlo Ranieri, che impiegarono un anno circa per realizzarlo. Il suo primo ticchettare si ebbe nel 1499, e si dimostrò un vero prodigio di ingegneria meccanica.

Straordinario ed estremamente complesso il sistema delle indicazioni astronomiche, basate sul sistema geocentrico. Vi sono raffigurati i movimenti dei pianeti allora conosciuti ( Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercurio) che si succedono nel quadrante centrale di 4,5 metri di diametro, mediante cerchi concentrici.

imagesCAVG1URX.jpgSullo stesso quadrante sono rappresentate le fasi lunari e la posizione del sole nello zodiaco. Solo il quadrante verso le mercerie indica soltanto l’orario.

L’intervento di una scena animata nella complessa struttura ne fa apprezzare ancor di più la bellezza e la complessità: i re Magi, preceduti da un Angelo che suona la tromba si dirigono in processione verso la statua della Madonna, e davanti ad Essa, si inchinano.

Il tempo viene scandito dai colpi di martello delle due statue dei “Mori”, simboli dell’esoterismo arabo,  che stanno ai lati della campana, alternativamente.

torre.jpgimagesCAEWHHZM.jpgSi racconta che la Serenissima abbia fatto strappare gli occhi ai due fratelli per impedire loro di di riprodurre una simile meraviglia.

Lug 22, 2009 - Leggende, Luoghi    3 Comments

Il Capitello del Miracolo

Campo SS. Apostoli 2.jpgCampo SS. Apostoli 1.jpgSanta Maria Formosa 1.jpgCampo Santa Maria Formosa.jpgNei ricordi antichi della storia veneziana si narra di un furioso incendio che scoppiò nel 1492 , ed esattamente nella zona di Santa Maria Formosa.Considerata la situazione veneziana, le case accostate l’una all’altra, i tetti in  paglia, il fuoco si propagò per tutta la città: le fiamme si indirizzarono verso la zona di Rialto,distrussero tutta Cannaregio fino ad arrivare al Campo SS. Apostoli.

Santa Maria Formosa.jpgIn questo modo l’incendio distrusse il sestiere di Castello, arrivando vicino alle mura dell’Arsenale, dove fu spento dagli arsenalotti e dai lavoratori che, come api operose, erano impegnati all’interno dell’Arsenale. Il danno sarebbe stato immenso, visto che Castello Arsenale.jpgCastello Arsenale 1.jpgArsenale a Castello.jpgl’arsenale era la fucina delle navi, comprese il cordame e le vele.

Palazzo delle Prigioni 1.jpgPalazzo delle Prigioni.jpgDalla parte di San Marco le lingue di fuoco si moltiplicarono fino ad arrivare al Palazzo Ducale, ma si spensero nel Palazzo delle Prigioni 3.jpgCanale del Palazzo delle Prigioni, separate dal Palazzo Ducale dal Ponte dei Sospiri.

La leggenda, suffragata dal ricordo tangibile, narra che questo incendio, così distruttivo e furioso, incanalato nelle Mercerie, Chiesa di San Salvador a Venezia.jpgarrivato nei pressi della Chiesa di San Salvador, lambì e si spense improvvisamente davanti ad un Capitello ingenuo e semplice, raffigurante la Madonna con il Bambino.

Tutta Venezia gridò al miracolo, ed il Capitello venne definito ” Capitello Miracoloso della Vergine ” e ad esso venne nominato il Ramo della Merceria, chiamata così: Merceria del Capitello Miracoloso”.

capitello miracoloso.jpgAllora vennero offerti dei doni votivi, ed i veneziani che passavano davanti pregavano la Vergine Miracolosa, e tutt’ora il capitello viene percepito, amato e vissuto dalla popolazione come miracoloso!

L’Isola “Spinalunga” e il Miracolo dell’Acqua

Vigano o canale della Giudecca.jpgIsola della Giudecca spina di pesce.jpgIsola della Giudecca 1.jpgDenominata anticamente Vigano, dal nome dato al  Canale della Giudecca che nei tempi antichi era il naturale proseguimento del fiume Brenta, nei primi secoli della fondazione della città di Venetia, la località venne soprannominata “Spinalunga” per via della forma a spina di pesce.

La denominazione di Giudecca viene attribuita alla parola “Zudegà” o giudicato, quindi a chi aveva subito una sentenza, o alla presenza di ebrei, (giudei). Certo è che nel IX secolo lo stato Veneziano assegnò questa zona a famiglie truffaldine, false, dissidenti e non rispettose delle leggi, e alle famiglie di Nobili rivoltosi, quale soggiorno obbligato, per cui sarebbe ingeneroso ricercare l’etimologia dell’isola nella presenza della comunità Vista della Giudecca.jpggiardini alla giudecca 2.jpgebraica,formata da  persone probe e intente al loro lavoro.

Nel 1300 e nel 1400 lo Stato volle rendere l’isola più decorosa nell’aspetto generale della Città. Furono costruiti imponenti palazzi che si allineavano lungo il Canale della Giudecca. Nel retro dell’isola, di fronte alla laguna si trovavano molti conventi nascosti nel verde.

orto botanico alla Giudecca.jpgAlla fine del 1600 i Conventi ubicati qui erano sette, per la maggior parte andati distrutti, zitelle2-712154.jpgallora circondati da piccoli edifici e da sedi di Accademie di Nobili, Botanici, Filosofiche e Letterarie.

Michelangelo Buonarroti.jpgIsola della Giudecca.jpgL’isola rimase per almeno un secolo luogo di villeggiatura dei  Patrizi Veneziani che vi fecero costruire ville con orti botanici e giardini. La bellezza e la pace del luogo attirarono varie importanti personalità, come Michelangelo Buonarroti forno calce alla Giudecca.jpgche nel 1529, esule dalla sua amata Firenze, soggiornò qui. Nel 1800 si volle dare un ulteriore sviluppo economico con la Mulino Stucky.jpgrealizzaziuone di alcune industrie, come ad esempio il Mulino Stucky, che ora è stato trasformato in zona cementificioo alla Giudecca.jpgresidenziale.

 

 

 

 

IL MIRACOLO DELL’ACQUA

Codicer del Monasteero della Santa Crcoe.jpgMonastero della Santa Croce.jpgChiesa di Santa Croce alla Giudecca.jpgNel 1464, durante una delle epidemie di peste, venne colpito da questo morbo anche il Monastero della Santa Croce, situato nell’isola della Giudecca, al civico 821/a.
Avevano perso la vita quattro monache, e la Badessa, Suor Eugenia Giustiniani non poteva far altro che accompagnare le povere consorelle alla sepoltura.

Un giorno, mentre un’altra monaca stava morendo suonò la campana del portone del convento ed una suora andò ad aprire lo spioncino ed a lei apparve un cavaliere che le chiese la grazia di un bicchiere d’acqua; dopo essersi dissetato il Cavaliere rincuorò la suora raccomandandole  di avere fiducia nella Provvidenza e nella Grazia di Dio, lodando i grandi meriti della Badessa e delle Suorine di quel Monastero.

San Sebastiano.jpgSan SDebastiano il trafitto.jpgPozzo a Venezia.jpgIl Cavaliere rassicurò la monaca che da quel momento in poi nessuna consorella sarebbe più deceduta a causa del terribile morbo; fu allora che la Suora ebe una visione e riconobbe il quel dolcissimo Cavaliere San Sebastiano, il trafitto. La Suora non ebbe nemmeno il tempo di chiamare la Badessa che il Santo era già sparito: la Suora malata si riprese e guarì, ed il pozzo da cui era stata attinta l’acqua per dissetare il Cavaliere venne dichiarato miracoloso!

Festa del Redentore 1.jpgFe4sta del Redentore 5.jpgPozzo a Venezia 1.jpgNei secoli successivi si ebbero diverse guarigioni da diverse malattie con l’acqua miracolosa, ed un secolo dopo, in occasione di un’altra epidemia di Peste, li accanto venne costruita la Chiesa del Redentore, una delle feste più sentite dai Veneziani, e di cui, riparleremo..manca ancora poco!

 

 

 

 

Lug 4, 2009 - Leggende, Luoghi, Misteri    Commenti disabilitati su Le fiaccole che illuminano la Giustizia a Venezia ovvero il Fornaretto di Venezia

Le fiaccole che illuminano la Giustizia a Venezia ovvero il Fornaretto di Venezia

calle della Verona.jpgCalle della Mandola rist.jpgSi chiamava Pietro Faccioli  ed era soprannominato ” Fasiol”(fagiolo) , lavorava nella bottega di fornaio del padre in calle della Mandola civ. 3726-27.(ora vi troverete un ristorante pizzeria).Un giorno di marzo del 1507 “Fasiol”, scendendo i gradini del Ponte dei Assassini, allora di legno ed ora non più esistente visto che il Rio è stato interrato,( Rio Terà dei Assassini) trovò un pugnale con l’impugnatura d’argento ed il fodero ricoperto da pietre preziose incastonate.

Pietro fece vedere il pugnale alla fidanzata Annella, che era da anni al servizio della nobile famiglia Barbo che nei secoli successivi divenne famiglia Balbi: la fidanzata si spaventò e lo spinse a rimettere il pugnale li dove lo aveva trovato, e così lui fece.

All’alba successiva il fornaio stava tornando a casa quando tra la Calle Verona ed il Ponte, ora non più esistente , rio terà as.jpgrio terà dei assassini.jpgscorse un corpo steso a terra: il fornaio pensò si trattasse di un ubriaco, ma quando si chinò, girandolo per accertarsi della situazione e macchiandosi così di sangue, si accorse che si trattava del corpo di un uomo assassinato.

Guardando meglio la vittima si accorse che si trattava di Alvise Guoro, giovane cugino e frequentatore assiduo di Clemenza, moglie di Lorenzo Barbo e padrona di Annella, sua fidanzata.

Il garzone, spaventato, fuggì con le vesti macchiate di sangue, e quando si seppe che c’era stato un assassinio in città tutti dissero che avevano visto il povero Pietro fuggire tutto sporco di sangue, e che l’assassino di sicuro doveva essere stato lui.

i piombi tortura 2.jpgLe guardie della Quarantia Criminal presero il giovane Pietro e lo trasportarono ai Piombi.
Quarantia Criminal a Venezia.jpgNessuno credeva all’innocenza del povero fornaio, tantomeno Lorenzo Barbo, membro del Consiglio dei Dieci, che divenne quarantia-criminal.pnganzi il suo inquisitore più accanito e spietato.

tortura ai piombi.jpgLo sfortunato giovane venne torturato e la macchina della Giustizia si mise inesorabilmente in moto, tanto più che il giovane, non resistendo alla tortura ammise fatti e colpe mai Consiglio dei dieci 1.jpgcommessi, pur di trovare un pò di tregua da tante sofferenze.

Gli inquisitori, all’ammissione del fornaretto decretarono la sua condanna a morte per decapitazione.

L’esecuzione avvenne la mattina del 22 marzo , tra le due colonne di San Todaro e di S. Marco. Subito dopo la sua decapitazione, dalla Calle de Verona arrivò trafelato un servo dei Barbo che correva a gambe levate per fermare l’esecuzione, e gridava:” Il fornaretto è innocente, Messer Barbo lo ha confessato alla moglie di un parente del colonne di Marco e Todaro.jpgGuoro ed è stato lui ad ammettere di aver commesso l’omicidio divorato dalla gelosia”.

Simbolo di Leonardo Loredan.jpgLa voce del servo che gridava l’innocenza di Pietro si diffuse in tutta Venezia. Il giorno dopo il Doge, Leonardo Loredan,  convocò il Consiglio dei Dieci e tutta la Magistratura Veneziana, lanciando un monito contro le sentenze di interesse, che verrà ripetuto fino alla fine della Serenissima, e che farà riflettere gli incaricati prima di emettere una sentenza, ripetendo per tre volte la frase:” Ricordeve del povero fornareto! “e si decise di mettere due fiaccole da accendere di notte e spegnere di giorno all’esterno della Basilica di San Marco di fronte alle due colonne, in ricordo ed in memoria del povero doge Leonardo Loredan.jpgPietro Fasiol, chiamato Fornareto.

fiaccole accese di notte.jpgDi questa vicenda esiste una documentazione storica, unico caso d’allora di Giustizia imperdonabile ed affrettata. E le fiaccole continuano ad illuminare la notte della piazza a fiaccole spente.jpgricordo di un’errore giudiziario ,(basta guardare la Basilica dalla parte del bacino, di San Marco, monito per sè stessa e per chiunque a Venezia arrivasse) ! questa era La Serenissima, che sapeva imparare dai propri errori e cercare di ricordarli nel tempo per non ripeterli mai più!

 

 

 

Giu 3, 2009 - Luoghi, Società veneziana    2 Comments

Venezia e gli Assassini nascosti nel buio

Calle degli Assassini.jpgRio Terà dei Assassini.jpgVi sono a Venezia un Rio Terà (rio interrato) ed una Calle denominati ” degli Assassini”. Si trovano a San Marco, non molto distanti da Campo S. Angelo. L’antichissima denominazione è dovuta ai frequenti omicidi che vi si verificavano, specialmente di notte, col favore delle tenebre,

Rio Terà dei Assassini 1.jpgNel 1128 il Maggior Consiglio emise un decreto che vietava l’uso delle “barbe alla greca”, ossia barbe posticce. La gente di malaffare usava infatti travestirsi e mascherare i propri lineamenti.

La Repubblica di Venezia era preoccupata per la costante frequenza con cui avvenivano agguati e delitti. Per questo motivo nello stesso anno il fanale.jpgGoverno Veneziano ordinò che le calli venissero illuminate da “cesendeli” che erano piccole lanterne cilindriche a telaio in lamina di ferro battuto, con il tettuccio conico.

L’incarico di accendere queste lanterne all’imbrunire di ogni giorno era delegato ai parroci delle varie zone in cui necessitava questo servizio. Nella parte superiore delle mensole che reggevano questi lumi venivano poste delle immagini sacre, nella speranza che alla loro vista i criminali si ravvedessero e non compissero atti feroci.

La Repubblica di Venezia sosteneva le spese delle lanterne e dei lumi. Nel 1450 il Senato ordinò che qualsiasi cittadino che camminasse per la città dopo le tre di notte doveva essere provvisto di un lume.

Le persone più ricche si facevano accompagnare da due servi di cui uno col lume che gli illuminava il cammino e l’altro gli guardava alle spalle.

Codega.jpgQuarantia Criminal a Venezia.jpgquarantia-criminal.pngCon un decreto della Quarantia Criminal (la nostra pubblica sicurezza) fu data la possibilità ad ogni cittadino di girare armato. Nacque così la “Codega” ( dal greco Guida): Erano persone che accompagnavano le persone alla sera ed alla notte illuminando loro la strada: in genere aspettavano in taverne ed osterie, guadagnandosi così di che vivere.

I Nobili invece avevano l’obbligo di farsi accompagnare dalla scorta del proprio Casato. Nel 1732 il Senato decretò sulla necessità di illuminare tutta la città tramite “ferali” ( fanali), ed a questo scopo tutti i cittadini che avevano antico fanale.jpgfanale veneziano.jpgFanali veneziani.jpgun reddito erano obbligati a pagare una tassa annuale, secondo il loro ceto.

Mag 22, 2009 - Luoghi, Tradizioni    2 Comments

Venezia e la pesca dell’oro in Canal di Cannaregio

Palazzo Labia.jpgPalazzo Labia a San Geremia.jpgPalazzo Labia esterno.jpgPalazzo Labia, ora sede della Rai del Veneto, a cinque minuti dalla Stazione di Santa Lucia, possiede due facciate: la prima sul Campo S. Geremia (vicino all’omonima chiesa) , e l’altra rivolta verso il Canal di Cannaregio, una delle più importanti vie d’acqua della Repubblica, seconda solo al Canal Grande.

Qui il famoso pittore Giovanbattista Tiepolo dipinse, nel Salone a lui ora dedicato, il celebre ciclo ispirato dalle vicende di Antonio e Cleopatra.

Proprietaria del Palazzo fu una famosa famiglia di origine spagnola, proveniente dalla Catalogna che  arrivò a Venezia nel XVI secolo, stabilendosi definitivamente ed entrando relativamente tardi a far parte delle Palazzo Labia interno.jpgPalazzo Labia interno 3.jpgPalazzo Labia stampa.jpgCanale di Cannaregio 3.jpgfamiglie Patrizie Veneziane, ma,  forse proprio per questo motivo, dimostrandosi una delle esponenti più ricche e sfarzose della nobiltà della Serenissima.

La voce di popolo del 1700 narra che i Signori Labia organizzassero spesso sontuosi banchetti, con molti invitati e  famosi per lo sfarzo e la ricchezza veramente memorabili.
Canal di Cannaregio.jpgEd in questi banchetti apparecchiassero le ricche  tavole con vasellame e posate fatte d’oro fine, stoviglie che alla fine del pasto il padrone  di casa, per divertire gli ospiti cominciava a gettare nel Canal Regio, incitandoli  a fare il medesimo gesto.

Ma alla fine della baldoria, quando tutti gli invitati se ne erano andati, gli stessi proprietari ordinavano ai servitori di gettarsi in acqua per riprenderli almeno in parte .
rete da pesca.jpgposate d'oro.jpgoggetti d'oro 3.jpgvasellame d'oro.jpgoggetti d'oro 2.jpgoggetti d'oro 1.jpgTuttavia alcuni pezzi , gettati in canale dalla famiglia e dagli ospiti invitati a farlo al grido di “le abia o non le abia sarò sempre Labia ” non venivano  recuperati
 perchè i servitori se ne guardavano bene da tuffarsi nelle fredde acque, soprattutto in inverno, ed allora i Labia decisero di escogitare un sistema per lo meno geniale:  Specialmente nel periodo autunnale ed invernale nel Rio Regio di Canal Grande venivano stese delle reti da pesca, con cui una parte degli oggetti preziosi veniva comunque recuperata.

 

Mag 19, 2009 - Leggende, Luoghi, Misteri    31 Comments

Venezia: a spasso per il Sestier de Santa Crose

El Vecio Fritolin

El vecio Fritolin a Venezia ora.jpgel vecio Fritolin.jpgCaterina Cornaro regina.jpgCaterina Cornaro.jpgCalle della Regina, n° 2262. Oltrepassando il Campo San Cassian in direzione di San Stae, passato il ponte di fronte al Portico della Regina, nome derivato  dal fatto che questi erano i possedimenti di Caterina Cornaro, Regina di Cipro,  esisteva  ed esiste tutt’ora ( anche se è diventato un famoso ristorante) un locale denominato ” el fritolin” l’ultimo rimasto dei veci fritoin della Città.

Una volta a Venezia c’erano molte friggitorie che cucinavano e vendevano il pesce da portare via su dei cartocci di carta, fritto al vecio fritolin a avenezia.jpgfritto e polenta.jpgaccompagnati da una fumante fetta di polenta gialla.

Successivamente il lavoro dei fritoin venne proibito perchè i camini a fiamma libera venivano considerati pericolosi a causa degli incendi che potevano sprigionarsi.

L’ultimo proprietario del ” fritoin” in Calle della REgina si chiamava Aristide Piccin, e la popolazione lo conosceva  come una persona dal cuore d’oro.

pesce fritto.jpgPalazzo Corner o Cornaro.jpgAi bambini più piccoli, quando entravano nel suo negozio, regalava un cartoccio di pesciolini ( pesseti – zottoli), con l’aggiunta di qualche anello di seppia.

 

 

 

Il cofanetto misterioso

Fondamenta S. Chiara , civ. 495/A.

Un giorno nel 1262 nel Convento di S. Chiara sentirono bussare all’uscio del Monastero. Alla porta c’era un pellegrino uguale a tanti altri che in S. Croce a Venezia.jpgquel periodo si recavano o tornavano dalla Terra Santa.

I Pellegrini si fermavano a Venezia anche per venerare le sacre reliquie che venivano ospitate in questa città, e l’ospite chiese alle suorine di poter affidare loro, fino al suo ritorno, un cofanetto che conservava, così raccontò lui, un anello preziosissimo.

Le suore furono molto attente nel far fronte all’importante incarico, ma gli anni passarono e nessuno venne a reclamare Luigi IX re di Grancia e Santo.jpgLuigi re di Francia.jpgil cofano. Nel frattempo al Convento la vita continuava, Suorine morivano e novizie arrivavano, ma, straordinariamente capitava che queste suore avessero delle strane visioni di luci splendenti provenienti dalla scatola, e deliziose e struggenti armonie sembravano essere emesse dall’interno di quel misterioso involucro.

Dopo qualche anno di queste esperienze la Madre Badessa decise di aprire lo scrigno per vedere cosa contenesse: vi trovò un chiodo ed una pergamena che spiegava che quel chiodo era uno di quelli che avevavo straziato i piedi di Gesù nella Croce.

chiesa con campanile.jpgchiesa di S. Pantalon a Venezia.jpgIl documento descriveva inoltre il personaggio che aveva affidato tale reliquia alle modeste suore, ed era stato Luigi Re di Francia, travestito da pellegrino e morto crociato a Damietta, poi proclamato Santo.

cappella del chiodo della Croce.jpgnella chiesa di S. Pantalon.jpgDa allora il sacro Chiodo è stato venerato nel monastero fino all’anno 1830, per poi essere conservato in un’apposita Cappella nella Chiesa di San Pantalon.

 

 

 

L’antica Hosteria Besseta

Salizzada Cà Zusto, civ. 1395

Antica Besseta - statua.jpgantica bessseta.jpgantica Besseta 4.jpgantica besseta 3.jpgIn questo Sestiere è ubicata ancora l’Antica Hosteria Besseta. Il nome è derivato dalla “besseta” che era una vecchia usuraia residente in questa Calle.

Si narra che la vecchia fosse tanto avida, interessata al denaro ed avara, che il fratello, uomo buono  e completamente diverso da lei, donava una volta alla settimana un pasto ai poveri e a chi ne aveva bisogno, ad un soldo (besso in veneziano). Da qui nacque la Sestiere di S. Croce.jpgTrattoria Antica Besseta.jpgdenominazione del locale.

 

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