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La nascita di Venezia e la sua chiesa simbolo!

Basilica 2.jpgLa nascita di Venezia nuova coincide con il trasporto delle spoglie di S. Marco nella futura Repubblica: e per questo desidero accompagnare chi mi voglia seguire in un viaggio nel tempo
dall’829, via, via, fino alla fine della Serenissima, accompagnando la realizzazione delle innumerevoli chiese, dei Santuari, dall’inizio fino all’evoluzione maggiore della meravigliosa Repubblica. Per ora iniziamo dalle prime chiese, lasciando S. Pietro di Castello come elemento a parte, fantastico, legato al Patriarcato che in quella chiesa avrebbe avuto sede, ed iniziando invece dalle spoglie di S. Marco e la chiesa-tabernacolo che le ospita.

Basilica dei 12 Apostoli a Costantinopoli.jpgsantiago_de_compostela.jpgLa costruzione di una chiesa o di un santuario dedicato ad uno degli apostoli, specialmente gli evangelisti, ha comportato in tutta Europa  l’esigenza di una struttura ed un’edificazione completamente diversa da altre costruzioni: La chiesa dei dodici Apostoli di Costantinopoli, che conservava le relique di S. Luca, S. Andrea, S. Timoteo, aiutante di S. Paolo, la chiesa di S. Giovanni ad Efeso, che custodiva le spoglie del’evangelista qui vissuto, che era costruita con pianta a croce greca con cinque cupole, e  quella dedicata all’apostolo Giacomo di Campostela, coeva a S. Marco a Venezia, e che aveva il raro privilegio di custodire le spoglie dell’apostolo.

basilica-di-san-marco.jpgA Venezia, la chiesa scelta per custodire le spoglie dell’evangelista ed apostolo Marco venne costruita come chiesa – reliquario bizantino:  emblema del  prestigio bizantino a cui Venezia era particolarmente legata, e che rappresentò per secoli motivo di venerazione dallo Stato, dal Doge a cui la chiesa apparteneva di diritto, fino all’ultimo cittadino della Repubblica.

Ferdinando Forlati, nel 1950, portò avanti degli studi sulle fondazioni della venezia_san_marco_basilica_pianta_02.gifprima chiesa di S. Marco, iniziata in seguito al trasporto del corpo dell’apostolo nell’828, ed egli affermò che la chiesa era stata edificata in origine a pianta centrale, e i vari punti di fondazione dei bracci a croce greca del più antico edificio del nono secolo, si sono rivelati attraverso una serie di assaggi nel medesimo posto dove posano ancor oggi quelli poi ricostruiti nell’XI secolo.

Una analisi più approfondita ci permette oggi di distinguere nella basilica gli elementi architettonici e decorativi che appartenevano alle precedenti costruzioni e presentavano una interessantissima documentazione sulle origini di Venezia, prima esarcale e poi bizantina.

La pridma chiesa si conservò per un secolo e mezzo, fino all’incendio avvenuto Candiano IV.jpgPietro-Orseolo-II.gifcon l’uccisione di Candiano IV, nel 976, che la distrusse con il Palazzo Ducale . Subito dopo il Doge Pietro Orseolo I cercò di ricostruirla in due anni, prima di ritirarsi in un monastero per il resto della sua vita: si tratta di una ricostruzione frettolosa ispirata ad un sentimento religioso di riparazione del santuario della città.

Lo sviluppo della politica veneziana data da Pietro Orseolo II e poi attuato da uno dei maggiori dogi del secolo XI, Domenico 104%20domenico%20contarini.jpgContarini (1041-1071) sollecitò l’ambizioso progetto del Governo e della popolazione venezianaa rifare dalle basi l’attuale chiesa di S. Marco, terminata nelle parti murarie nel 1071 e consacrata nel 1094.

In quell’epoca, nella primitiva Venezia vi fu un fervore di costruzione, specialmente di chiese: almeno cinquanta, ed una gran parte, costuita nell’anno mille, frutto di un rigoglio economico straordinario ottenuto attraverso l’apertura delle vie del mare: S. Marco, con la sua solenne struttura, in una città ancora piccola ed in formazione, fu indice di un’ambizione che potrebbe sembrare addirittura sproporzionata se non si tenesse in giusto conto la forza morale del governo veneziano quando ebbe l’opportunità di trattare alla pari con una capitale come Costantinopoli: non era protervia, quella veneziana, ma basilica-san-marco_large.jpgconsapevolezza saggia e giusta delle potenzialità di uno stato nascente che img209.jpgpoteva contare sull’equilibrio e la lungimiranza di una Repubblica sempre abituata all’equilibrio tra terra e mare, tra artigiani e mercanti, e sempre seguita e in qualche modo guidata da un popolo abituato alla libertà, alle regole, ma anche proteso verso altre realtà culturali e politiche: Venezia affacciata sul mare, Venezia a contatto con varie civiltà, aperta mentalmente e culturalmente all’europa: mai vi fu uno Stato tanto moderno e senza paure ed inibizioni!

 

 

Le superbe ed artistiche fortificazioni della Venezia del 500:Michele Sanmicheli

MicheleSanmicheli.jpgLa Venezia degli inizi del 500, nostante la sua collocazione, con la laguna a proteggerla, si trovava comunque in pericolo per quanto riguarda la terraferma e l’avanzata dei turchi nel Mediterraneo e in Europa.

La Serenissima quindi contattò un geniale ingegnere militare ed architetto di origine Veronese, Michele Sanmicheli (1484-1559): egli aveva prestato la sua opera presso lo Stato Pontificio, a Orvieto, Parma e Pavia: il suo primo incarico fu quello di studiare le fortificazioni di Zara, quindi, una volta rientrato nella Repubblica viene incaricato di “ben examinar li lidi, le bocche delli porti ed ogni altra parte della laguna”: i problemi militati ed idraulici erano infatti convergenti nell’ambito della politica territtoriale della Serenissima.

Ed in questo contesto che nasce una polemica con Alvise Cornaro il quale voleva costruire mura perimetrali tutto intorno alle sponde lagunari: la ragione della sua opposizione era basata su considerazioni sociali: “Il populo è necessitato per vivere de uscir de la tera tuto el dì, et andare alle vigne, chi a pescar, et chi alle saline, che ad alcuna hora del giorno non li riman cinquanta homini”, mentre la difesa deve essere affrontata dagli stessi cittadini: ” che stano de di e de notte in barca, che conoscono tutti li siti che Chioza et le contrade”, ribadisce insomma il concetto che sono le acque della laguna le vere mura di Venezia.

Forte di S. Andrea 1.jpgBattaglia di Lepanto 1.jpgSanmicheli costruì quindi nel 1543 il suo capolavoro architettonico: il Forte di S. Andrea,” fortezza meravigliosa rispetto al sito nel quale è edificata che per la bellezza della muraglia , delle più stupende, rappresenta la maestà e grandezza delle più famose fabbriche fatte dalla grandezza dei Romani”secono il commento del Vasari.

Forte-Sant-Andrea-F01.jpgforte-santandrea_3.jpgNegli stessi anni prosegue con la costruzione della Fortezza di S. Andrea, infatti intorno al 1546 si pose mano pure a una “traversa” dalla laguna al mare, al dilà del canale che serve il convento di S. Nicolò, dalla parte di Malamocco: munita di bastioni, e di una cortina di mura, ancora eistenti, la fortificazione si estendeva verso il mare e l’imboccatura del porto per quasi tre Kilometri.

Durante la battaglia di Lepanto le fortificazioni del Lido furono ulteriormente rafforzate a San Nicolò, ed una tra Poveglia e Malamocco.

Gaggiandra.jpgI documenti dell’epoca parlano di ” una grandissima catena e ben armata””. Sembra che questa colonna fosse sostenuta dalla “Gagliandra” che era formata da uno zatterone centrale e da due zattere laterali che venivano poste in mezzo all’imboccatura del Porto , legate tra di loro e alla riva da tre catene. Questa “costruzione” veniva armata con cannoni.

Negli anni della battaglia di Lepanto vennero costruite a San Nicolò altre due importanti edifici militari: una fabbrica di polvere da sparo, il Tezon (1572) presso il Castel Vecchio, ed il Quartier Grande o Palazzo dei Soldati  noto anche come Caserma Serraglio, un vasto edificio di stile neoclassico che poteva ospitare fino a 2000soldati, forse la prima caserma dell’architettura militare.

poveglia.jpgMalamocco, interno fortificazione.jpgMalamocco-2.jpgSan Nicolò, la più importante zona militare di Venezia era pure luogo di ricev imento per personaggi illustri: Celebri rimasero i festeggiamenti in Isola_di_Sant'Erasmo_-_Torre_Massimiliana.jpgonore di Enrico III re di Francia, nel 1574, per il quale il Palladio eresse appositamente un grande arco trionfale e una loggia di legno di dieci colonne di ordine corinzio decorate con ghirlande; a completare gli arredi opere del Veronese e del Tintoretto.

La praticità legata sempre comunque alla bellezza ed all’arte: questa era la cultura veneziana della gloriosa Serenissima.

 

Venezia nata dal nulla: tra leggenda e storia

Alba_a_Venezia_-_20-9-1999_z14.jpgLa leggenda di Venezia nata dal nulla, condivisa da tutti i veneziani e che fa parte delle nostre origini: storia, leggenda? il senso di libertà ed orgoglio di questo popolo nato libero e che della libertà di tutti ha fatto una sua bandiera.

reperto dei veneti.gifterrittorio degli Eneti.jpgdecima_regio_romana_situazione.jpglaguna dei veneziani.jpgL’imperatore romano Augusto aveva suddiviso il territtorio italico in regioni, tra cui la X -Decima, che comprendeva l’Istria, e le popolazioni facevano parte dell Eneti, poi nominati Veneti originari che popolavano le terre comprese tra le Alpi e il Mare Adriatico, l’Istria, i fiumi Oglio, Adda e Mincio.

Qui ebbe inizio Venetia, non in terraferma, ma nella zona lagunare, composta da isole, lidi e barene sparse tra le foci dell’Isonzo, del Piave, del Sile, dello Zero, del Dese, Brenta, Adige e Po, con tanti altri piccoli affluenti che si immettevano in laguna per tutto il comprensorio che andava da Grado a Cavarzere.

attila3.jpgteodorico-re-dei-visigoti_imagelarge.gifLa nuova Venezia si formò quindi nel IV secolo , dopo l’invasione dei barbari Visigoti, e verso la metà del V (452 d.c.) con le scorrerie degli Unni guidati da Attila. Le lagune furono quindi territtorio sicuro per le popolazioni della terraferma che fuggivano da un terribile nemico -conquistatore.

guerriero longobardo.jpgguerr_longobardo.jpg1345_longobardi-.jpgIn seguito con l’invasione dei Longobardi, popolazione tanto barbara quanto feroce, orde ben decise a rimanere nelle zone comprese tra Padova ed Altino: questa invasione, anzichè indebolire i veneti diede loro nuovo stimolo per creare una popolazione vera ed una vera città: la seconda antica Venezia, che era già marinara ma non ancora istituita come città, e che divenne tale nell’800.

la moneta di Vitige.jpglettere di Cassiodoro.jpgcassioacquerello.jpgLa leggenda della nascita di Venezia dal nulla venne in qualche modo creata e divulgata dal grande Prefetto del Pretorio Cassiodoro che nel 537-538 inviò una lettera ai Tribuni locali per organizzare un rapido trasporto marittimo dall’Istria a Ravenna ( in Italia regnava allora il Goto Vitige) utilizzando quell’opportunità di percorsi lagunari in cui le imbarcazioni scivolavano tra le isole, le barene ed i canali.

L’alternarsi delle maree sommergeva e poi scopriva il suolo, e le abitazioni molto modeste erano dei casoni di legno con i tetti d’erba secca intrecciata, o da canneti di palude.
Così Cassiodoro descrisse Venezia: ” Sembra che con le vostre laguna%20venezia-300.jpglaguna veneta.jpgcasone.jpgbarche voi scivoliate sui prati perchè da lontano non si distinguono i canali dalle barene; altre volte la vostra casa è sui canneti, come quella degli uccelli acquatici e, mentre di solito si legano alle porte di casa gli animali, voi, davanti alla porta delle vostre case fatte di vimini e canne, legate le vostre barche.

Per i veneziani era una vita povera ma sostenuta da una costanza di operosità e laboriosità di persone impegnate nella coltivazione agricola, in quella marinara e nella pesca, con lo sfruttamento delle saline.

Essi si cibavano di selvaggina, pesce e verdure coltivate o selvatiche.

cason.jpgBarena.jpgL’opera di libere genti che abitavano in queste zone col successivo sopraggiungere  delle popolazioni in fuga dai barbari invasori, instaurandosi nelle isole disabitate e deserte, per cui l’affermazione inventiva di Venezia che nacque dal nulla è una bellissima leggenda, ma forse la storia vera da ancor più merito a tale popolazione antecedente all’avvento dei Romani, come dimostrano ritrovamenti archeologici. Queste scoperte sono venute alla luce durante gli scavi di ripristino  e di restauro nelle varie isole che compongono meravigliosamente l’insieme di questa fantastica città. Rimane quindi importante l’aspetto politico dell’originaria libertà di Venezia, col leggendario racconto  ed il riflesso di un programma ideologico e politico destinato ad impedire ogni pretesa rivendicazione da parte delle autorità.

sitotorcello.jpgNel 639 vi fu la caduta di Oderzo, allora sede dell’Amministrazione Civile e Militare della Provincia, che liberò in Casone veneziano.jpgqualche modo questa nuova Venezia, che divenne finalmente città marittima, prodromo della sua espansione e del suo riconoscimento, in seguito, come Stato, poi divenuto Repubblica: Una lapide commemorativa dell’evento si può ammirare ancora presso la chiesa di Santa Maria di Torcello.

Venezia-Ponte-di-Rialto-12.jpgNel frattempo cominciavano i primi insediamenti in Rio Alto, e la prima vera costruzione di un centro, un nucleo di quella che fu la fierissima, splendida e dominante Serenissima.

 

Apr 18, 2011 - Società veneziana    2 Comments

Le Dogaresse di Venezia e i loro sfarzi

Doge e Dogaressa.jpgdogaressa.jpgdogaressa2.jpg6737-portrait-of-doge-giovanni-mocenigo-gentile-bellini.jpgLa figura del Doge di Venezia è rilevante e i vari dogi si sono succeduti, amministrando assieme alle diverse strutture che formavano il governo della Serenissima questa gloriosa Repubblica.

Meno nota, ma non meno importante fu invece la figura della Dogaressa. Non tutte vengono ricordate, ma alcune sono rimaste, per la loro importanza, nella Storia di Venezia.

Anna Teodora Dukas.jpg414px-Doge_Domenico_Selvo.pngNel 1075 il Doge Domenico Selvo sposò Anna Teodora Dukas, sorella dell’imperatore Bizantino Michele VII, il quale, essendo a tutti gli effetti Signore di Venezia, nominò in quella occasione il Doge “protosebasto”, titolo nobiliare deliota a carattere ereditario, permettendo al Selvo ed a Venezia di incrementare i suoi traffici con l’oriente, e ponendo quindi le basi per l’evoluzione di questa a Stato indipendente e Repubblica Serenissima.

Anna Teodora recò con sè una ventata di raffinatezza: introdusse l’uso della forchetta (cosa che scandalizzò il forchetta.gifclero), insegnò alle dame l’uso del trucco e ripropose una danza originale bizantina.

In seguito invalse l’uso della cerimonia di incoronazione anche delle dogaresse, le quali dovevano sottoscrivere la promissione ducale del loro consorte, e rispettare assieme a loro tutte le procedure e le regole Dogali,(fungendo Dogaressa con due dame.jpgdogarissime.gifspesso da consigliere) oltre ad essere elementi scenografici delle sontuose cerimonie dogali, sfarzose e ricche per dare un segno di prosperità e potenza ai  molti cittadini stranieri che soggiornavano nella Repubblica.

Nel caso delle incoronazioni della dogaressa Morosina Morosini (moglie di Marino Grimani) nel 1597, ed Elisabetta Querini (moglie di Silvestro Valier) nel 1694, vennero coniate delle oselle d’oro, argento e rame che vennero donate come medaglie.

E’ interessante il racconto di Pompeo Molmenti che nella sua “Storia di Venezia nella vita privata” racconta: ” basta riandare ai festeggiamenti che si facevano nell’incoronazione della dogaressa per comprendere che cosa doveva essere questa città nei suoi momenti di gloria”.

incoronazione Morosina Morosini Grimani.jpgNei “Cerimoniali” (1482-1592) e nel Sansovino si descrivono molti particolari sulle incoronazioni delle dogaresse Zilia Dandolo, moglie di Lorenzo Priuli (1557) e Morosina Morosini, moglie di Marino Grimani.

” Nell’incoronazione della Dandolo anche le Arti ebbero grandissima parte: il solo polischermo degli orefici, nella Regata nel Canal Grande, era seguito da 14 gondole coperte di damasco cremisino. La dogaressa visitò poscia in palazzo le varie Arti le quali avevano allestito le stanze con arazzi preziosi, tappeti, damaschi e drappi d’oro. Nella Sala del Gran Consiglio fu allestito un sontuoso banchetto”.

188_Dogaressa_Elisabetta_Querini_Valier_dipinta_da_Cassana_-_Pal__Querini_Stampalia.jpgAncor più sfarzosa fu la cerimonia di incoronazione della Dogaressa Morosina Morosini, moglie amatissima del corteo per incoronazione di una dogaressa.jpgDoge Marino Grimani, fu uno sfoggio di lusso e fantasia. Era il 4 maggio 1597. La dogaressa salì sul bucintoro: era vestita con stoffe d’oro, con un mantello d’oro a fiorami d’argento: in testa portava il corno ducale da cui scendeva un velo di seta e al collo una collana d’oro con una croce di diamanti.

L’accompagnavano magistrati e gentildonne vestiti di panni di seta, e la barca era seguita da un corteo di gondole: la barca dei “bombesari” (venditori di bambagia) aveva la forma di un carro antico trainato da due cavalli marini “così artificiosamente accomodati che parevano tirando che con le gambe si movessero”.

Corte per l'incoronazione di Morosina Morosini Grimani.jpgA prora il Dio Marino Adriatico reggeva il freno dei cavalli; a poppa Nettuno governava il timone. Alcuni figuranti rappresentavano l’allegoria di Venezia seduta sopra due leoni che incoronava il Doge e la Dogaressa rispettivamente affiancati dalla Giustizia e dalla Religione, alla Fede e dalla Prudenza.

Disegnato dallo Scamozza avanzava un tempietto chiamato “Teatro del mondo” che ospitava i gentiluomini che dirigevano i festeggiamenti. Musiche e suono di campane accompagnavano il corteo.

Dogaressa di Venezia.jpgimmagine di dogaressa.jpgDogaressa del Tintoretto 1590.jpgQueste cerimonie, seguite da regate, durarono fino al 1654, quando il Consiglio dei dieci decise:

“conviene nel proprio sostenimento de la grandezza pubblica prefiggere anco quegli ordini, che niente offuscando il lustro ed il decoro ne le cerimonie de ” le Dogaresse” non per togliere l’obbligazione di eccessivi dispendii, aggravanti in particolare l’Arte ed i popoli ad altri pesi obligati…..in ogni tempo a venire sia prohibito il farsi l’incoronazione de le Dogaresse come atione non necessaria et poco aggiustata alle moderationi del Governo”.

Fu così che venne moderata la gran pompa ed il grande dispendio di denaro, mossa oculata di una Repubblica saggia che non doveva dimostrare nulla della sua potenza con cerimonie elefantiache, considerando il bene del popolo e dell’economia stessa della Serenissima.

Le rive, le cavane, i pontili e le edicole veneziane: la città in acqua e l’acqua nella città, meravigliosa ed unica Venezia.

Pontile di gondole in riva.jpgvenzia_sangiorgio_alba.jpgLa storia dell’architettura e delle strutture della città vi Venezia è inevitabilmente legata al suo essere città d’acqua: per cui ogni elemento di questa straordinaria Serenissima (quella che tutti  i Veneziani conservano nel cuore)  è strettamente legato ai canali, ai rii ed alla laguna.

riva privata.jpgriva.jpg90px-Riva_terminale.jpgNon tutti sanno che le rive a Venezia sono l’accesso all’acqua: delle scale o scalette che dalle fondamenta portano direttamente all’uso della barca o della gondola: le rive sono pubbliche oppure private, e in questo caso, danno l’accesso ai cortili interni che in caso di acqua alta vengono coperti dalla laguna, ma che danno, al proprietario dell’abitazione, l’opportunità di poter salire in barca o in gondola direttamente sul rio, per poter seguire le strade liquide di questa unica città.

cavane.jpgcavana in laguna.jpgcavana.JPGNaturalmente, come diceva Cassiodoro, i veneziani si spostavano attravero i canali e la laguna, per cui le “cavane” cioè i ricoveri di barche e di gondole erano assolutamente importanti, un pò come i garages ora.

Quelle in laguna erano casoni, con i tetti in paglia, molto semplici, altre invece, come quella che si può vedere nell’isola di San Giorgio Maggiore proteggeva i suoi natanti sotto il Convento.

Come attraverso rive e cavane l’acqua si insinua nell’interno delle costruzioni, e l’esempio del Rio del Santissimo che passa sotto il presbiterio della Chiesa di S. Stefano, un esempio rio-del-santissimo.jpgCavana S. Giorgio Maggiore.jpgilluminante ed unico della città che vive nell’acqua, e dell’acqua che attraversa la città, un connubio  quasi magico, se non sacro,  così questi accessi  vennero prolungati verso la laguna cavane.jpgcon ripiani e gradinate sporgenti (rive) oppure atraverso i pontili. ESSi continuavano e continuano la parte terrestre della città, sfrangiandola sull’acqua  e rendendone più labili i confini, con un effetto paragonabile alle merlature degli edifici veneziani che diluiscono otticamente la costruzione dell’atmosfera.

Un tempo sul molo e in altre zone  della città  prospicenti la laguna erano numerosi i pontili in legno, che si protendevano sull’ac qua per consentire l’attracco  e quelle di carico e scarico delle merci: Tra questi quelli immortalati dalle incisioni di Jacopo de Barbari, e sono spesso illustrati dai quadri del cavane.jpgCanaletto.

pontile.jpgPontili di legno ne sono rimasti pochi: quelli disposti a pettine lungo le principali vie di ormeggio e testimoniano l’esigenza di un rapido passaggio tra il traffico acqueo e quello terrestre: Jacopo de Barbari testimonia con una sua incisione quelli collegati alla punta di S. Marta,alla cui conclusione di vera un’edicola, cioè un ricovero degli attrezzi, costruito con il sistema delle palafitte, e di cui cii sono ancora due esempi, come quella di S. Maria Formosa, e anche Fondamenta degli Ormesini.

Uno degli elementi più caratteristici  dei pontili è dato dalle “paline” lunghe ed esili pertiche piantate sul fondo del canale, quasi simili a canne  di palude, che con la loro elasticità  facilitavano la manovra di attracco della gondola, e alla pala più grossa era ed è sistemata una lanterna, che, illuminata di notte, tracciava la va per il gondoliere o il barcaiolo.

img200.jpgJacopo de Barbari punta di S. Marta.jpggondole-venezia.jpguscita-rio-santissimo.JPGE queste lanterne, e questi approdi sono tutt’ora la parte più suggestiva e romantica di questa città unica: città d’acqua, di terra(strappata al mare) città d’arte, di seduzioni , di bellezza e di unicità che i veneziani, i veri veneziani hanno costruito, con il loro ingegno, con le proprie capacità, con la propria arte ed artigianato: noi siamo veneziani, e siamone fieri!!!!

Angelo Beolco, Il Ruzante, testimone di una realtà contadina all’interno dell’aristocrazia Veneziana!

Vi sono alcuni significativi artisti del Rinascimento veneziano che all’epoca non vennero tenuti più di tanto in considerazione in virtù della loro precisa posizione estetica, anche se ottennero riconoscimenti da chi, le loro opere, poterono valutare ed osservare.

Alvise Cornaro.jpgruzante.jpgUn commediografo, Angelo Beolco, detto Ruzzante (1500-1542) fu uno autore degno delle opere stesse di Macchiavelli. Egli dovette la sua carriera artistica in gran parte ad Alvise Cornaro, di cui fu fattore.

Ruzzante divenne attore ed autore di commedie che rispecchiano la coscienza polemica dei contadini contro il mondo brillante e raffinato dell’aristocrazia del tempo. Egli aveva scelto per il tuo teatro i caratteri popolari, l’aspro linguaggio della campagna padovana, rispetto alle scintillanti commedie di un grande amico di Tiziano, quelle di Pietro Aretino e dei soggetti preferiti dal patriziato veneziano.

Alcune parole del “prologo” della ” Betìa”, recitata in Palazzo Ducale il 5 maggio 1523 chiariscono la posizione pragmatica del Ruzzante: ” Il naturale tra gli uomini e le donne è la più bella cosa testo del Ruzante.jpgammiratori di Ruzzante.jpgche ci sia, e perciò ognuno deve andare per la via diritta e naturale, perchè quando tu cavi la cosa dal naturale essa s’imbroglia. Ma perchè gli uccelli non cantano mai così bene nelle gabbie come fanno sui salici, nè le vacche fanno mai tanto latte nelle città, quanto ne hanno fuori, alla rugiada, allo stato selvatico”.

Egli rivelava così una realtà che veniva dalla campagna alla nobiltà veneta toccata nel vivo, secondo le parole di Marin Sanudo, dal parlare denso e violento della gente dei campi, che faceva sentire le proprie angustie e le proprie reazioni con una forza non mai prima udita nella sua immediatezza realistica, ma anche con una teatralità vivacissima e fantasiosa, ricca di umanità e pronta ed aggressiva a un tempo, nella via comica dell’azione.

Sappiamo di sicuro che il Ruzzante fu ricordato anche dopo la morte ed uno dei suoi più ferventi ammiratori fu Galileo Galilei; il naturale, a cui il Rinascimento mirò in vario modo, dice Carlo Grabher, fu inteso dal Ruzzante in senso elementare ed integrale come ispirazione che deve essere tratta dal mondo più vicino ad uno stato di natura, quello della gente semplice ed istintiva.

immagine commedia.jpggiovane-veneziano-della-calza.jpgCompagnie della calza del Carpaccio.jpgcompagnia della calza.jpgcontadini del Ruzzante.jpgLe sue commedie più note ” La Betìa 2, ” Parlamento de Ruzzante”, ” la Moschetta”, l’ “Anconitana”, la ” Piovana e la ” Vaccaria”.Esse furono rappresentate più che altro nel Palazzo di Alvise Cornaro che possedeva a Padova, e nelle case dei Patrizi veneziani, recitate dalle Compagnie della Calza.

Ci vollero diversi anni perchè a Ruzzante venisse reso l’onore di essere ruzante 1.jpgScena daslla Betia di Ruzzante.jpgconsiderato un commediografo efficace, limpido, mordace e divertente, ed ora fa parte di diritto, della storia del Teatro Italiano.

Il Risorgimento a Venezia: aria pura e nuova collegata alle radici della Serenissima: Martiri dolorosamente giovani ma carichi di ideali.

Silvio_Pellico.jpgPietro Maroncelli.jpgIl Risorgimento a Venezia.jpgIn questi giorni sono andata a ricercare le motivazioni, il clima, le situazioni in cui Venezia, la meravigliosa Serenissima, dopo Napoleone si sia trovata a diventare succube dell’Austria, assieme alla Lombardia, costituendo così un qualcosa di estremamente estraneo alle sue origini, popolo pieno di iniziative, popolo abituato all’apertura mentale ed al contatto con il resto del mondo, e ho trovato in queste mie ricerche la spiegazione del Risorgimento veneziano, in questo respiro ampio, modernissimo e profondo che va al dilà delle idee politiche, ma che si rifà alla consapevolezza tutta veneziana dell’unicità di un popolo, della grande anima veneziana, così culturalmente aperta al mondo intero da ricercare, nell’unità d’Italia un sostegno in più per perseguire il modo di pensare, di concepire la Repubblica ed il popolo come elemento solido di apertura verso le altre culture, e delle mie origini mi sento, oggi, ancor più orgogliosa!!

Arresto_pellico_maroncelli-781162.jpgPer questo motivo desidero ricordare quei valorosi che si batterono per liberare Venezia dal giogo dell’Austria.
La rigorosa amministrazione centrale di Vienna regolava una dura censura che penetrava nei settori più diversi della vita sociale, dalla sorveglianza della stampa alla circolazione delle idee liberali. Di conseguenza e per reazione cominciarono a proliferare le società segrete che ebbero tanta importanza nel preparare il terreno per i primi moti risorgimentali e la coscienza nazionale.

Fortezza dello Spielbereg.jpgDa questa coscienza nacquero i primi martiri: Silvio Pellico, arrestato nell’ottobre del 1820 che subì due processi uno a Milano ed un altro a Venezia e condannato a morte assieme a Pietro Maroncelli, condanna poi commutata nella prigionia presso il carcere dello Spielberg in Moravia ( e qui, come tutti sanno, nacquero ” Le mie prigioni”).

Nell’ambiente della marina austriaca a Venezia, crebbero e divennero ufficiali Attilio ed Emilio Bandiera, figli di un contrammiraglio, che vollero fondare una società segreta per affrancare l’Italia dal dominio austriaco, secondo le nuove idee che vennero diffuse anche tra gente di mare, sulla linea del pensiero di Giuseppe Mazzini.

Attilio ed Emilio Bandiera.jpgI due fratelli, assieme all’amico Domenico Moro, traditi da un affiliato, trovarono rifugio a Corfù, ove nel 1844 Casa di Domenico Moro al Ponte della Tana.jpgfratelli_bandiera.jpgraccolsero un buon numero di patrioti per condurre a termine una disperata operazione di liberazione dell’Italia, che partiva dalle montagne di Cosenza.
Catturati dai Borbonici pagarono con la vita la loro valorosa azione ispirata al più nobile patriottismo. I loro corpi sono tumulati presso la Basilica di San Giovanni e Paolo a Venezia.

I precedenti alla rivoluzione di Venezia nel 1848 maturarono per strade diverse e attraverso sacrifici, spesso oscuri, con il germe delle idee professate dalla Giovane Italia. In questo clima tra il governo di Vienna e gli spiriti più liberali del Lombardo-Veneto venne a formarsi una tensione che arrivò al punto critico di maturazione con la rivolta del 1848.

Chiesa di San Giovanni ePaolo.jpgLa prima scinitlla partì dall’Università di Padova, una città che, a causa della presenza di tanti giovani poteva catalizzare con più immediatezza quanto era già nell’aria e nell’anima dei più più pronti al riscatto.

Campo Bandiera e Moro o della Bragora.jpgNelle case dei Pivetta, dei Cittadella a Vigodarzere, dei Manfrin, dei Maldura, dei Wollemborg si parlava di politica in senso vietato; nelle osterie care agli studenti si recitavano a voce bassa ballate del Berchet, gli scherzi del Giusti, le tirate della Francesca palazzo-del-bo.jpgdel Pellico, e nelle aule del Bo si cospirava addirittura.

Tutta aria nuova, tutta gente pronta, giovane, una ventata di orgoglio,. gente giovane e piena di aspettative, uomini pronti a morire pur di perseguire un ideale ed un sogno.

La sconfitta dell’esercito piemontese a Custoza , nel luglio 1848, costituì un grave colpo alle speranze di liberazione del Lombardo-Veneto, anche se Venezia, per la validità della resistenza “ad ogni costo” riuscì a rimanere indipendente dal 22 marzo 1848 al 24 agosto 1849.

Monumento a Daniele Manin in Campo S. Stefano.jpgCannonate a Venezia.jpgVenezia scriveva così con la sua grande pagina di patriottismo nella storia dell’Ottocento forte_marghera.jpgitaliano, sull’onda della tradizione di sacrifici e del valore che avevano caratterizzato la vita dell’antica Repubblica Serenissima. Durante questo periodo Daniele Manin prese la guida del governo.

Da un punto di vista militare si possono annoverare negli episodi della resistenza la sortita di Mestre, la disperata difesa di Forte Marghera, quella del Piazzale del Ponte della Ferrovia, e la coraggiosa sopportazione dei bombardamenti della città

Ma la mancanza di cibo e le malattie costrinsero gli insorti ad una drammatica resa, e ad un’ulteriore dominazione austriaca, ma ancora per pochi anni, perchè nel 1866 si ebbe la sospirata unificazione con l’Italia.

Querena, festeggiamenti unità d'Italia a Venezia.jpgLo spirito vero, l’aria nuova del risorgimento nei suoi giovani, nelle loro menti più libere e lungimiranti, questo Resistenza a Venezia.jpgIppolito_Nievo.jpgvento di desiderio forte di creare un libero Stato con il resto d’Italia, a cui parteciparono anche altri veneziani o Veneti, come il famoso poeta Ippolito Nievo (padovano) morto da Garibaldino nel naufragio della sua nave ( un giallo ancora tutto da svelare) raccontavano di nuovio ideali, della ricerca degli antichi splendori, dell’impeto vero nel voler rinnovare i fasti e lo stato ideale da cui questi giovani avevano tratto per primi ispirazione.

Mar 8, 2011 - Carnevale, Cucina venexiana, Donne venexiane, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su Dalla festa della donna al Martedì grasso e l’apologia della “fritola” veneziana

Dalla festa della donna al Martedì grasso e l’apologia della “fritola” veneziana

MIMOSA-fb9fa.jpgMartedì grasso, in concomitanza con la festa della donna, , compresa me stessa, a cui dono  mimose e bellissimi pensieri: molto meglio se le donne venissero considerate ed apprezzate ogni giorno dell’anno, per tutte le loro incombenze, per la capacità che hanno di sobbarcarsi della conduzione della famiglia e della propria attività: negli ultimi anni devo dire che gli uomini hanno saputo e continuano a riconoscere, in gran parte , il lavoro e le fatiche delle loro compagne, sostenendole e condividendo le problematiche della vita quotidiana: Per cui Viva le donne e Viva i loro compagni che apprezzano e condividono la vita della gente comune, la più eroica: eroi ed eroine in questo mondo faticoso, stressante e poco gratificante.

Desidero comunque proporre qui le delizie dell’ultimo giorno di carnevale, e cercare di riscoprire e condividere con tutti i miei amici l’apologia della “fritola veneziana” dal 1500 ad oggi, e vi prego di cercar di provare con me il “piacere intenso” del primo morso dato ad una fritola, del sapore che si diffonde nella bocca, dell’incontro straordinario con i pinoli o l’uva di Smirne gonfia di liquore, e la consistenza stessa dell’impasto che, dolcemente, si scioglie nella bocca, lasciando il desiderio intenso e insopprimibile di un’altra fritola, di un altro boccone, di piacere, di golosità, di gioia intensa per un uva zibibbo.jpgaltro Carnevale che se ne va assieme ai grani di zucchero semolato che impiastricciano le mani, per cui (senza pinoli_0000.jpgfarsi notare) ci si lecca le dita, come bambini , anzi, trionfalmente, sempre bambini.

Dal cuoco secreto di Papa Pio V, Bartolomeo Scappi, nella sua ” Arte di cucinare” del 1570:

Faccianosi bollire sei libbre di latte di capra in una cazzuola ben stagnata, con sei oncie di butirro fresco e quattro oncie di acqua di rose et un poco di zafferano et sale a bastanza e come il bollo si comincia a alzare di poneranno dentro due libbre di farina a poco a poco, mescolando continuamente con il cocchiaro di legno, sino a tanto che sarà ben soda come la pasta di pane: poi cavasi et pongasi in un vaso di Carnevale.jpgFritoe.jpgrame, ovvero di terra, mescolandola con la cocchiera di legno o con le mani fino a tanto che la pasta sarà diventata liquida; finito che sarà di meter l’ove, battesi per un quarto de ora, fino a tanto che faccia el visiche e lascisi riposare per un quarto d’hora nel vaso ben coperto in luogo caldo e rigettasi un’altra volta.

Poi abbasi apparecchiata una padella con strutto dandogli il fuoco, et muovasi la padella facendo che le frittelle si voltino nel strutto. Come si vedrà che abbian preso alquanto di coloretto e saranno leggiere, cavisino con la cocchiera forata e servisino calde con succaro
sopra.

Frittole veneziane del settecento (Anonimo)

” Sciogliere in un bicchiere di acqua tipedina una noce di lievito e stemperatavi una libbra di Carnevale a Venezia.jpgfritoeveneziane.jpgfior di farina, unire il sale e la buccia di limone grattugiata.
Ridurre la pasta ad una certa mollezza, aggiungendo, se occorre, qualche altro poco di acqua calda. Unire once due di uva di Smirne fatta rinvenire nello spirito di vino o nel rosolio, e lavorare bene. Lasciare riposare in luogo tiepido fino a quando sarà lievitato ben bene.
Poi firggere, lasciando cadere la pasta a cucchiai nello strutto bollente. Subito dopo fritte ravvoltare le frittele nello zucchero.

Frittelle del N.H Pietro Gasparo Moro-Lina (18941)

1/4 e mezzo di farina, 1/4 di pinoli, 1/4 di uva zibibbo, garoffoli e cannella pesta, tre arancia candita.jpgsoldi di naranzetti ( arancia candita) lievito circa un etto, 2 cucchiai di feccia di birra, acqua e un pò di sale, si fa una pastella in un tegame, si lascia lievitare. E dopo alzata si frigge nell’olio o in altro grasso (strutto) prendendo Strutto.jpgla pasta a cucchiai. Sopo cotte le frittelle si spolverizzano con lo zucchero.

Frittelle alla Zamaria ( 1858)

Alla sera sciogliere il lievito e preparare la pasta per friggere; al giorno appresso la pasta si è levata. Vi poni dentro un bicchiere di acquavite e uva di smirne, molta forza per sbattere e friggere con molto olio, ma olio sopraffino.

Frittelle alla Giuseppe Maffioli

carnevale-di-venezia.jpgCarnevale di Pietro Longhi.jpgMezzo Kg. di farina. lievito quanto un uovo, sciolto in acqua tiepida, 4 uova, 75 g. di Fritoleri del Longhi.jpgzucchero, sale, mezzo bicchiere di vino, rapatura di arancia e limone, latte quanto basta per dare morbidezza all’impasto. Si lascia lievitare in luogo tiepido, sotto un tovaglioso, aggiungendo mezzo bicchiere di grappa e si incorporano 100 g. di pignoli e 100 di uvetta fatta rinvenire nel vino. Si mescola ben bene e si frigge a cucchiaiate.

Frittelle a modo mio

Si mette a bagno nella grappa l’uvetta e gli aromi. Si fa sciogliere il lievito di birra (30 g.) in acqua tiepida. Si uniscono 500 g. di farina, 75 g. di zucchero, 2 uova intere e si lavora fritole-veneziane.jpgfrittelle veneziane.jpgl’impasto per qalcuni minuti. Si lascia riposare per un paio d’ore, coperto con un tovagliolo e in luogo tiepido. Si scalda l’olio in abbondante padella, intanto all’impasto si incorporano l’uvetta e i pinoli e la frutta candita ( secondo i gusti) quindi si versa a cucchiaiate l’impasto nell’olio ormai bollente. Quando si saranno gonfiate e saranno ben dorate scolarle su carta da pane, e cospargerle di zucchero: e Buon martedì grasso!!!

Il Rinascimento a Venezia: tra acqua e cielo, iridescenze e bagliori! L’arte a Venezia

venezia.jpgIl carattere distintivo di Venezia, città -Stato sorta dal “fluido” dell’acqua, rispetto al solido del terreno in cui sono state costruite tutte le altre città caratterizzò il Rinascimento in questa Repubblica che di sua natura era “antirinascimentale”, e che costituì quindi un nuovo modo di concepire l’arte in quel periodo storico ed artistico, dal 1400 al 1500, che coinvolse tutti gli altri Stati o Comuni italiani, di cui un esempio di classicità è Ferrara, che perseguì gli ideali urbanistici della “città perfetta”, legata alle teorie della “divina proportione” di Piero della Francesca.

Alba_a_Venezia_-_20-9-1999_z14.jpgIl carattere stesso della collocazione della Serenissima, della sua nascita, come Venere, dalle acque, la particolare fragilità del terreno che si solidificò con il tempo tra la fitta venatura dei canali e i larghi spazi della laguna, e l’importanza del colore e la diversa impostazione della prospettiva che danno alla città un aspetto scenografico e teatrale rispetto alla solidità della struttura e all’integrazione razionale delle proporzioni secondo i rapporti matematici che creavano la bellezza secondo i canoni del rinascimento l’armonia della bellezza ideale, tanto ricercate dagli artisti dell’epoca, dall’Alberti al Palladio la rendono una città artisticamente ed architetturamente diversa.

venzia_sangiorgio_alba.jpgProspettiva e colore sono due termini quindi che fanno parte di Venezia, così come acqua e cielo, e l’atmosfera venezia di seera.jpgVenezia di sera.jpgVenezia di notte.jpgche circonda questa straordinaria città compartecipano alla visione architettonica con il riflesso dell’acqua e l’apparente scomposizione delle forme che deriva dal suo moto ondoso, dal delicato movimento della laguna, e dalle luci che cambiano a seconda delle ore del giorno: l’alba, il sole, il tramonto, la sera, la notte.

Carpaccio Sogno di S.Ordsola Accademia.jpgimm63%20CARPACCIO-congedo%20degli%20ambasciatori.jpgRitorno degli Ambasciatori del Carpaccio alle Gallerie dell'Accademia a Venezia.jpgFrancesco MARIA DELLA rOVERE DEL cARPACCIO COLLEZIONE vON tYSSEN lUGANO.jpgA Venezia le regole dell’architettura del Rinascimento dovettero adattarsi  alla singolare struttura della città e al prepotente predominio della pittura su tutte le arti, espresse in modo imperioso e delizioso dal Carpaccio e dal Bellini:

Straordinaria la riproduzione dell’architettura dell’epoca del Lombardo e del Codussi nei quadri di Carpaccio, come l’arrivo degli ambasciatori, il sogno di S. Orsola,e il Congedo degli Ambasciatori ( presso le Gallerie dell’Accademia)oltre che alla pulizia dell’ immagine di Francesco Maria della Rovere (collezione Von Tyssen a Lugano) che nel 1535 divenne capitano della Repubblica Veneziana ( suggestivo il cartiglio in bassio a sinistra, presso l’ermellino con la scritta “Malo mori quam foedari” ( meglio morire che contaminarsi) Esistette  quindi nell’arte, e proseguì fino ai vedutisti del settecento una città proposta in un’aria lucida , pulita, ventilata da un fresco vento di bora, che accresceva la puntualità della visione rendendola precisa, lenticolare e spaziata allo stesso tempo, unita anche ad un visione alla Gentile_Bellini_004.jpgFrancesco Guardi, colorata da striature di nuvole rosa che si formano al tramonto, con leggeri soffi di scirocco, su lontani raccordi Francesco_Guardi_001.jpgdi prospettiva che dilatano lo spazio.

Andrea_del_castagno,_affreschi_di_san_zaccaria,_san_giovanni_battista.jpg20090930142047!Andrea_del_castagno,_affreschi_di_san_zaccaria,_dio_padre.jpg88px-Andrea_del_castagno,_affreschi_di_san_zaccaria,_san_giovanni_evangelista.jpg133-DELCASTAGNO.jpgAndrea del Castagno, autore degli affreschi rappresentanti il Padre Eterno, gli Evangelisti e i Santi nella Chiesa di S: Zaccaria, datati 1442, rappresentò il distacco di Venezia dalla tradizione bizantina assimilando e facendo propri i caratteri dell’arte occidentale, evidenziando quindi la propria fondamentale importanza nell’evolversi dell’arte della Serenissima.

venezia-ca-d-oro.jpgpalazzoducale1.jpgLegata alla visione pittorica, ecco che urbanisticamente si evolse il gotico fiorito, esempio mirabile è il Palazzo Ducale, ma anche la Cà d’Oro, e tanti altri palazzi.
Venezia comunque sempre unica, diversa, mirabile, che tutt’ora rimane cristallizzata nelle immagini proposteci dai pittori che più di altri colsero quest’aria, che tutt’ora c’è, questa luce unica, luminosa, che tutt’ora penetra nell’acqua gentilmente, e ne fa scaturire riflessi che abbagliano, mille colori che riverberano emozioni……l’unicità della città sospesa tra la terra e l’acqua, tra il sogno e la fiaba.

Immagini del Carnevale del 700 veneziano: Pietro Longhi

Maschere al ridotto di Pietro Longhi.jpgUna Venezia speciale e sempre sorprendente per i festeggiamenti di Carnevale, festa che aveva inizio a S. Stefano, e finiva il martedì grasso, ed in questo periodo era permesso l’uso delle maschere, e si proponevano per i campi ed i campielli intrattenimenti per il popolo, a cui assistevano anche il Doge ed i Magistrati più influenti.

6625362_pietro-longhi-1.jpgA dare risalto a questi festeggiamenti, all’atmosfera che si respirava, alle maschere veneziane, al fremito di gioia di vivere che percorreva questa splendida città rimangono, oltre che a stampe antiche, i fantastici quadri di Pietro Longhi, dal Rinoceronte, alle maschere al Ridotto, a quesi riti che fecero del Carnevale di Venezia un susseguirsi di feste ed eventi.

Il rinoceronte di Pietro Longhi.jpgPietro Longhi - Carnevale.jpgforze d'ercole e caccia al toro in Piazzetta a Venezia.jpgCarnevale di Pietro Longhi.jpgcazza-ai-tori.jpgsvolo_turco.jpgCaccia ai tori in Piazza San Marco.jpgcaccia ai tori.gifforze d'ercole.jpgMolto seguite erano le corse dei tori, in Campo S. Polo e a San Marco, le forze d’ercole, piramidi umane, il volo del turco, che ora è diventato il volo della Colombina, ma suggestivi e frizzanti gli incontri  nelle strette calli, nelle gondole, nei campi: sia donne che uomini osavano di più, con la complicità dell’ombra, delle maschere a celare il volto e di quella voglia di trasgressione, di libertà tipiche del popolo veneziano, dalle dame alla popolane.

Per augurarvi buon carnevale desidero riproporvi queste testimonianze…e Buon divertimento a tutti!