Browsing "Società veneziana"
Nov 5, 2010 - Società veneziana    1 Comment

Venezia ed i Greci

Tomas di Roberto il Guiscardo.jpgRoberto il Guiscardo, 4.jpgìRoberto il Guiscardo.jpgVenezia, per motivi politici, si impegnò dal 1081 ad aiutare i Greci contro i Normanni: l’imperatore Alessandro Comneno promise, e concesse nel 1082, ai mercanti veneziani la preminenza su tutti gli altri, per cui, grazie a questo patto Roberto il Guiscardo  venne sconfitto dal Doge simbolo del doge Domenico Salvo.jpgMatrimonio di Domenico Salvo.jpgDomenico Selvo.

Quel patto rivestì un ‘importanza fondamentale nella storia della Repubblica di Venezia, poichè segnava l’inizio della sua potenza politica, militare e commerciale  nel levante.

Mentre in precedenza le imprese navali e commerciali veneziane erano limitate quasi esclusivamente all’Adriatico, dopo il 1082 la Serenissima si espanse verso oriente, e dinastia Comneno.jpgAlessandro di Grecia.jpgspecialmente verso Costantinopoli.

Molti mercanti greci cominciarono a recarsi a Venezia. Dopo la quarta crociata (1204) quando i veneziani si impadronirono di gran parte del territtorio bizantino, lo stabilirsi dei Greci a Creta, monomenlvasia, ( o Malvasia) Corfù ed altrove, fu facilitato.

Poi, sotto la pressione della minaccia turca, che divenne più pressante dopo il 1300, buona parte dei Greci fu costretta a trovare rifugio a Venezia.

ic9one 1.jpgLa caduta dell’Impero bizantino nel 1453 causò la diaspora greca nella Serenissima Repubblica di Venezia.

Nel 1498 il Consiglio dei Dieci diede loro l’opportunità di costituire una scuola o confraternita. L’avvenimento ebbe un’importanza enorme non solo per la comunità, ma anche per l’Ellenismo moderno.

La Confraternita greca a Venezia fu il più antico ed importante centro della diaspora ellenica. Nel corso degli anni successivi essa mantenne legami sociali, economico e culturali  con le terre greche di Oriente.

icona 3.jpgGastaldo fu l’amministratore di questa comunità che vide nel XVI secolo aumentare costantemente la sua influenza e potenza.Il numero dei suoi membri si accrebbe e questi provenivano da tutte le regioni ed esercitavano i mestieri più vari: mercanti, artigiani, operai, artisti, intellettuali soldati .

doge Leonardo Loredan.jpgLa confraternita ebbe inizio alla Scuola di S.Biagio. Nel 1515  il Consiglio dei Dieci approvò la Roberto il Gyiscardo 2.jpgchiesa di San Giorgio dei Greci a Venezia.jpgchiesa di San Giorgio dei Greci a Venezia 2.jpgìinterno 2.jpgcostruzione della Chiesa di S. Giorgio, oggi sede della metropolia in Italia, la più antica e la più gloriosa chiesa greca dell’occidente.
Il Doge Leonardo Loredan accordò la celebrazione della liturgia ortodossa in questa chiesa.

Interno chiesa.jpgCristo Pantacroto.jpgL’interno è magnifico: l’icona di Cristo Pantacrator, (1500 circa) che Andrè Malraux ha definito “Les voix du silence”, una delle più belle creazioni bizantine che egli avesse mai visto, ed il singolare campanile pendente.

Le botteghe degli artisti greci che svolsero la loro attività dal 1500 al 1700, a rialto erano rinomate e ricercate per l’alta qualità delle opere artistiche.

Museo icone biizantine.jpgmuseo.jpgmuseo ellenistico a Venezia.jpgOra Venezia accoglie il più grande museo di icone bizantine che esita al mondo: è l’unico in Europa, e si trova nella Scuola di S. Nicolò dei Greci, opera del LOnghena.

icone 2.jpgicone bizantine a Venezia.jpgPer chi ama la Grecia, per chi ama Venezia, ecco l’unione tra due culture e tradizioni che si sono giorgio_greci.jpgassimilate nei secoli e che conservano il mistero, la bellezza, e le tradizioni fantastiche che danno a Venezia ed al popolo greco la capacità di essersi integrate, capite, ed aver conservato questa tradizione e cultura che ne fanno casi particolari ed unici nelle tradizioni dei popoli.

 

 

Curiosità di Venezia

imagesCAB1DHYA.jpgTra le curiosità di Venezia ci sono le piazze, normalmente chiamate Campi. Effettivamente anticamente in queste aree venivano coltivate le verdure, La Piazza San Marco stessa era anticamente un grande campo coltivato dalle Monache del convento di S. Zaccaria, diviso dalla Piazza vera e propria dal Canale Botario. Nel campo venivano anche coltivati alberi da frutto, oltre che numerose colture.

La struttura toponomastica della città è veramente molto semplice. Vicino ad una chiesa, solitamente di fronte, c’è un campo. Quasi sempre la facciata della Chiesa è posta verso il Rio, dal quale accedevano le persone che in chiesa erano dirette, giunti con le gondole private.

imagesCA6R7RKA.jpgimagesCACY8CK4.jpgSpesso, vicino alla chiesa c’era un cimitero. In alcuni campi sono ancora visibili le testimonianze dell’uso passato. L’esempio più eclatante lo si ritrova nel Campiello dei Morti, quasi di fronte alla Chiesa di S. Stefano, una zona sopraelevata rispetto alla viabilità normale di oltre un metro, ed il nome stesso fa riferimento all’uso a cui era adibito.

imagesCAXPKIHA.jpgAnche a S. Giacomo dell’Orio esiste una corte ed un ponte chiamati dell’Anatomia, perchè li si svolgevano le anatomie delle persone defunte.

Proprio perchè lo spazio non era così abbondante, invalse l’uso di seppellire i morti nelle chiese o negli oratori a loro annesse.

Solo con l’avvento di Napoleone si provvedette a bonificare le zone, coprire con i masegni questi campi, e si utilizzarono due isole, Quella di S. Michele imagesCAZS4L25.jpgimagesCAZRYOIZ.jpgimagesCAT4TALV.jpgdi S. Criostofo, uniti da un ponte, per creare l’unico cimitero della Città.

Altra curiosità di questi campi è che immancabilmente  si trovano i pozzi che permettevano alla popolazione di avere acqua potabile in una città circondata completamente da acqua salata.

La parte esterna del pozzo che noi vediamo, la vera, non è altro che la parte terminale di una complessa costruzione  fatta in modo tale da far filtrare l’acqua piovana che cadendo a terra entra imagesCA6YYT2T.jpgnelle caditoie, viene filtrata da sabbia fine e rimane intrappolata in questa specie di cisterna  da un involucro di creta, imagesCAJMOHVD.jpgche non permetteva nè l’uscita dell’acqua dolce nè l’entrata dell’acqua salata.

Vi erano addetti della Serenissima che controllavano continuamente questi pozzi, per evitare che l’acqua potesse venire inquinata o avvelenata

Molti sono o palazzi che possiedono ,ancora esistenti ,pozzi interni alle corti private. Questi raccoglievano le acque meteorologiche comprese anche quelle provenienti dalle falde dei tetti, che le scaricavano nel cortile e quindi al pozzo attraverso gli scarichi pluviali.

imagesCAX5YIXY.jpgimagesCALMDDN6.jpgL’acqua era un bene così prezioso che si cercava di raccogliere e di non sprecare assolutamente.

 

Ott 27, 2010 - Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su L’Isola di Pellestrina e i suoi murazzi: tra la violenza del mare e la pace della campagna!

L’Isola di Pellestrina e i suoi murazzi: tra la violenza del mare e la pace della campagna!

Il nome iniziale di Pellestrina fu Fossionis Philistinae, o delle ” Fosse Pistrine” venendo quindi denominata Pellestrine. Nei documenti romani quest’is10pellestrina.jpgola viene ricordata come “Fosse Fistine”.

Dalle descrizioni storiche del 300 d.c. si racconta che un generale siracusano, Philistus esiliato ad Adria, fosse arrivato in questa località decidendo di rimanerci. Il territtorio era ed è delimitato dalla laguna e dal mare, nel 452 venne assediato dai barbari di Attila e nel 568 dai barbari longobardi.

Le popolazioni spaventate dall’avvento di tali orde venivano da Este e da Padova: per regolarizzare la popolazione vennero istituiti dei Tribuni, che amministrando le genti locali avevano il compito di far rispettare la Legge.

008ItaliaVeneziaPellestrina.jpgIn seguito vennero istituiti i Gastaldi Dogali che dipendevano, con tutto il territtorio da Malamocco.

Nel 1110 la sede Vescovile che qui risiedeva venne trasferita a Chioggia: con il passaggio di questi poteri per un certo periodo Pellestrina venne governata da Chioggia.

Due terribili eventi catastrofici, un terremoto ed un maremoto avvenuti nel 1104 furono la causa del ridimensionamento dell’Isola che la ridussero ad una fascia sottile di circa tredici chilometri di lunghezza e duecento metri circa di larghezza, ma estesa comunque verso il mare per circa tre, quattro chilometri.

Dopo i Gastaldi dogali l’amministrazione dell’isola venne affidata ai Podestà.

Nell’810 i francesi al seguito di Pipino la saccheggiarono, per poi venire sconfitti da veneziani, e nel 900 l’isola venne assediata dagli Ungari, e dopo la guerra di Chioggia, nel 1379 venne saccheggiata e distrutta dai Genovesi.

stemma di Pellestrina.pngpellestrina.gifCon pazienza le famiglie Scarpa, Zennaro, Vianello e Busetto, pescatori ed ortolani la ricostruirono, ed il simbolo dell’isola è il sunto dei simboli delle quattro, storiche famiglie.

Dall’inizio della Repubblica Venezia varò diverse ordinanze per la difesa delle isole dalla forza del mare. Nel 1335 i proprietari dei vigneti di Malamocco furono obbligati ad erigere degli argini molto forti.

Nel 1501 furono istituiti i tre Savi delle Acque, e nel 1600 fu ordinato che gli argini fossero alti 4 metri. Nel 1751 il Senato ordinò la costruzione dei Murazzi. Questi furono ideati nel 1716 da Padre vincenzo Coronelli, e furono costruiti da Bernardino Zendrini, ingegnere della Repubblica.

murazzi.jpgI Savi delle acque.jpgVenezia_-_Murazzi_Pellestrina.jpgPosti a difesa dalle violente mareggiate e dall’aggressione del mare i ” murazzi”erano e sono una grande muraglia alta 4 metri  e larga 14 metri di grossiblocchi di pietra d’Istria, disposti in tal maniera da provocare il primo frangimento delle onde, e per proteggere la piccola striscia costiera.

Nel 1751 sui Murazzi fu collocata una lapide che riporta quanto segue: ” I curatori delle acque posero le colossali moli di solido marmo contro il mare affinchè siano conservati in perpetuo i sacri estuari sede della Città e della Libertà”.

Tanto ancora c’è da raccontare sulla capacità e l’avvedutezza dei governanti della Venezia_-_Murazzi_-_Lapide_Zendrini.jpgcoronelli_portrait.jpgSerenissima nella conoscenza e nella capacità di prevenire ciò che il mare può comportare in una città costiera, in un così delicato equilibrio di una laguna di questo tipo: Venezia e il mare, Venezia e la Laguna, Venezia e la sua acqua…uomini illuminati ed illustri studiosi che sicuramente vivevano in simbiosi perfetta con una realtà che per Venezia è stata e continua ad essere l’essenza stessa della sua vita!

I Santi che dall’alto delle colonne vegliano su Venezia

Colonne di Marco e Todaro verso il bacino di San Marco.jpgChi giunge a Venezia dal bacino di San Marco vede svettare due colonne: l’una sorregge la statua di un guerriero che uccide il drago, l’altra un mostruoso leone. Sia il guerriero che il leone si ergono come simboli e custodi di questa città, prima Stato e Repubblica, che ha dominato i mari europei.

Gli affusti di granito in origine erano tre, e vennero caricate a Costantinopoli, dopo essere state razziate in Oriente, su tre navi diverse: due raggiunsero il porto, la terza invece affondò. Vennero poste in piazzetta ed innalzate soltanto un anno dopo, con l’aiuto di Nicolò Barattieri nel 1172, lo stesso costruttore che un anno dopo realizzò a Rialto il primo ponte fisso in legno.

S. Todaro su colonna.jpgSu queste due colonne vennero poste, in quella più vicina alla biblioteca Marciana la statua marmorea di San Todaro, santo guerriero, conosciuto come Teodoro D’Amasea (Anatolia), originario dell’Oriente ma legionario di Galerio Massimiano proprio in quella città. Egli fu martirizzato per essersi rifiutato di fare sacrifici agli dei, ed aver dato fuoco al tempio di Cibèle.

250px-Venezia_-_Chiesa_di_San_Salvador.jpgSan Todaro 3.jpgSan Todaro 1.jpgSan Teodoro.jpgVenne arso vivo, e i suoi resti tumulati a Euchaite, vicino ad Amasea (odierna Aukhat in Turchia) che nel decimo secolo venne chiamata Teodoropoli. E da qui nacque il suo culto, che si propagò per tutto l’Oriente e successivamente all’Impero Bizantino.Si racconta che i suoi resti vennero asportati e portati a Venezia, dove divenne il primo patrono della Città: ora la teca è collocata nella chiesa di San Salvador.

 

Come ogni santo guerriero viene ritratto nella statua San todaro.jpgnell’atto di uccidere un drago, metafora del bene che vince il demonio in quanto questo rettile, che emette San Todaro 5.jpgdrago.jpgSan Todaro 2.jpgfuoco, e con il suo alito distrugge qualsiasi forma di vita è l’immagine stessa del maligno.

Leone sulla colonna.jpgSull’altra colonna è posta l’immagine in bronzo di uno strano leone: statua molto antica che raffigurava una chimera, a cui vennero aggiunte le ali per completare la figura di un leone alato, e raffigura San Marco, il secondo e attuale patrono di Venezia.

0425San%20Marco%20Evangelista%203.jpgMarco, il cui nome ebraico era Giovanni, fu uno dei primi battezzati da Pietro, il quale lo chiamava “figlio mio ” in senso spirituale. Figlio di una donna benestante, Maria, che metteva la sua casa a disposizione di Gesù e degli Apostoli, e nella quale sembra sia stata consumata l’ultima cena, ascoltò con cura tutti i racconti dei loro viaggi, e scrisse il suo vangelo tra il 50 e 60 a Roma.

evangelista%20san%20Marco.jpgPietro in seguito lo inviò ad evangelizzare l’Italia settentrionale, e durante il viaggio, sorpreso da una tempesta, approdò alle isole realtine, il primo nucleo di Venezia, e qui si addormentò e fece un sogno: un Angelo che lo salutava dicendogli: ” Pax tibi marce evangelista meus”, e gli promise che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.

Venne martirizzato mentre cercava di evangelizzare Alessandria: trascinato per la strada per tutto un giorno, quindi rimesso in carcere e qui, durante la notte, venne confortato da un angelo: l’indomani, il 25 Aprile dell’anno 72 circa, venne di nuovo trascinato per strada e morì.

Le spoglie vennero dapprima tumulate presso la chiesa di Canopo di Alessandria, che venne in seguito incendiata dagli Arabi nel 644, ma venne ricostruita dai Patriarchi di Alessandria, Agatone (662-680) e Giovanni di Samanhud(680-689).

Marco_mosaico.jpgQui giunsero i due mercanti veneziani Buono da Malamocco e Rustico da Torcello che si impadronirono della reliquia, la nascosero nella carne di maiale, considerata impura dagli arabi, e la portarono a Venezia, e accolte con grandi onori dal Doge Giustiniano Partecipazio, e poste provvisoriamente in una cappella dove si trova ora presumibilmente il tesoro di San Marco.

basilica_san_marco_venezia_italia1.jpgIl doge iniziò subito i lavori di costruzione della Basilica, che fu portata a termine nell’832 da fratello Giovanni, suo successore; Dante  nella sua Commedia scrive: Cielo e mare vi posero mano” parlando della bellezza dei marmi policromi, degli intarsi, dei mosaici.

La Basilica fu consacrata sotto il dogado di Vitale Falier il 25 aprile 1094, e durante la cerimonia, preceduta da tributi di preghiere, digiuni e penitenze in quanto la reliquia non si trovava più, il vescovo spezzò inavvertitamente il rivestimento in marmo di un pilastro, e qui apparve la teca, che emanava un profumo dolcissimo. Da quell’istante la Serenissima e San bassorilievo.jpgIl_leone_di_San_Marco_02.jpgleone_di_san_marco.pngMarco divennero un tutt’uno, e il suo simbolo, il leone alato che posa la zampa sul libro in cui è scritto: ” Pax tibi marce evangelista meus” , è diventato il simbolo e l’emblema di Venezia.

Ecco quindi che i due patroni e custodi della Serenissima, il Santo Guerriero ed il Santo evangelista che dall’alto delle loro colonne sembrano affrontare tutto il mondo, dal bacino di San Marco; più prosaicamente sotto alle colonne furono costruite in epoca medievale delle botteghette in legno per poi dedicare quello spazio per il patibolo, Colonne e Piazzetta.jpgTorre%20orologio.jpgdove vennero portate a termine esecuzioni importanti e storiche, e sembra che i condannati fossero posti con la faccia rivolta alla torre dell’orologio, per fare vedere loro l’ora della loro morte, e gli veniva detto ” te fasso vedar mi che ora che xe” ( ti faccio vedere io che ora è). Da allora il passare tra le due colonne divenne di cattivo auspicio per i veneziani.

Ma questa è un’altra storia!

 

 

 

 

 

La Tana a Venezia: dai Canapi alle “Forze d’Ercole”.

navi.jpgArsenale.jpgLa supremazia della Serenissima nei mari era frutto, oltre che dalla capacità politica e diplomatica dei suoi governanti, alla vocazione mercantile che portò grazie a Venezia un forte sviluppo nelle scienze, nelle arti e nell’approfondito studio e ricerca per quanto riguardava nuove terre da scoprire, in tutta Europa.

E nell’arsenale, il centro più importante di questa superiorità marittima, venivano costruite tutte le componenti delle navi sia da guerra che mercantili. Abbiamo già parlato degli arsenalotti, gente fidata e competente, e il luogo stesso, racchiuso da imponenti mura rendeva ancor più imponente il lavoro li svolto.

Tra le componenti importanti delle navi vi erano le gomene ed altre funi, di diverse grossezze, che dovevano arsenale-di-venezia.jpgessere utilizzate per le vele e per altri scopi, e la realizzazione di questi canapi si svolgeva in una parte dell’Arsenale, chiamata La Tana.

L’Arsenale stessa ed il Campo della Tana, a Castello, erano collegati da una piccola porta, che ora è stata chiusa. Il 21 Agosto 1539 l’Ufficio della Tana viene nominato in un decreto dello Stato Veneziano.

Canapa.jpgCampo della Tana all'Arsenale.jpgL’Ufficio della Tana era istituito da tre magistrati patrizi denominati dal Senato Ufficiali della Camera del Canevo, assieme ai Visdomini della Tana nel 1589 avevano la loro sede in Campo della Tana.

In questo luogo si può notare lo stemma del Doge Pasquale Cicogna, con gli stemmi dei Badoer, Bembo ed Erizzo, nominati allora i tre Visdomini della Tana.

I Conzacaveni (acconciatori di canape) avevano preso a loro sede d’arte la Chiesa di Doge Cicogna.jpgfamiglia Badoer.jpgErizzo.jpgSan Biagio, presso l’altare dei Sette Dolori, sotto il Chiesa di San Biagio.pngPatrocinio della Santissima Croce.

S. Giovanni in Bragora.jpgNel 1488 la Scuola dei Filacanevi si trasferì alla Chiesa di San Giovanni in Bragora. Tra il 1700 e il 1800 il Campo della Tana venne scelto  dagli abitanti del Sestiere di Castello Campo della Tana.jpgforze.jpgforze-ercole.jpgForze%20di%20Ercole.jpgFondamenta e Rio della Tana.jpgPonte sul Rio della Tana.jpgper organizzare il giovedì grasso i loro giochi delle ” Forze d’Ercole “prove di equilibrio e di agilità i castellani creavano delle alte piramidi umane che si reggevano su un tavolato sorretto da panche.

Luoghi veramente suggestivi, carichi di storia e di storie, luoghi semplici che conservavano i preziosi segreti di un’Arsenale che per secoli costruì tra le più belle  e potenti navi che solcarono i mari.

 

Breve passeggiata tra i ricordi del Sestier di dorsoduro a Venezia

I sestieri di Venezia.gifLa denominazione del sestiere di Dorsoduro viene fatto risalire o all’aspetto toponomastico del terreno, formato a guisa di dorso, e dall’aspetto geologico, molto compatto e solido, o dal nome di una delle famiglie che per prime venne a dimorare in queste terre, i Dosduri di Padova, che si insediarono verso il 200 o 300 d,C.

Anticamente la località venne denominata Deursum Turris Dorsoduri: in questa parte della città vennero erette delle mura di difesa identiche a quelle costruite nel Castello del Forte di S. Rocco, che si collegavano a Dorsoduro, ed erano unite tra loro da alte mura di cinta, munite di grosse torri. Nei tempi remoti la città aveva poche abitazioni e cittadini che si dedicavano alla coltivazione degli orti ed all’allevamento degli animali domestici.

Un pò alla volta la zona  divenne parte integrante di Venezia nascente, e qui permangono ancora tracce di vecchi mestieri, oltre che a palazzi imponenti e riccamente decorati.

300px-PI5D9E~2Ca%27_Rezzonico.jpgMuseo Gugghenhaim.jpgvenice_gallerie_accademia_2.jpgCà Dario.jpgIn questo sestiere si può ammirare Cà Dario, il palazzo magnifico quanto maledetto in quanto tutti i proprietari sono morti di morte violenta, i Musei dell’Accademia, nel Campo della Carità, antico convento che nel 1619 la Serenissima destinò ad un’Accademia o Collegio per giovani patrizi, ma lo scarso numero delle iscrizioni e delle frequenze convinse gli amministratori preposti ad accogliere soltanto figli di famiglie povere, e i loro studi venivano finanziati con le entrate pubbliche: le materie che venivano loro insegnate erano la grammatica, la Religione, matematica e tecnica della musica.

La sede dell’Università di Cà Foscari è un altro dei numerosissimi palazzi famosi, la sede del Museo Guggheneim, la Chiesa di San Barnaba dove si racconta che sia sepolto il guardiano del Sacro Graal Nicodemè de Besant- Mesurier ed in cui vennero girate alcune scene del film  Indiana Jones e l’ultima crociata,  ed il famoso ponte dei pugni, dove i  si sfidavano in sanbarnaba.jpgCà Foscari.jpgPonte dei Pugni 1.jpg250px-Orma_Ponte_Pugni_1.jpgstrenue “scazzottate” i rappresentanti dei sestieri di Castello e quelli di S. Niccolò dei Mendicoli, sotto il patrocinio ponte-dei-pugni.jpgdel Doge, che in questo modo riusciva a calmare gli animi dei rivali facendo in modo che cadessero in acqua e non si ammazzassero, ed avendo l’accortezza di tenere sempre ripulito il canale in modo che le cadute fossero indolori. Esplicative sono le orme in pietra d’Istria inserite sul Ponte che allora era senza spallette, da dove dovevano fronteggiarsi i contendenti.

Squero con gondola.jpgSquero di S. Trovaso.jpgQui esiste l’ultimo, suggestivo e storico squero di Venezia, in località San Trovaso, dove ancora si costruiscono le gondole con i materiali, l’arte e la maestria dei vecchi maestri d’ascia Veneziani.

dorsoduro-piscina-venier-T.jpgPiscina S. Agnese a Dorsoduro.jpgNei secoli passati in questa zona, come in altri sestieri di Venezia, esistevano dei laghetti o degli stagni chiamati piscine, dove gli abitanti facevano il bagno o lavavano i panni, in seguito questi vennero interrati, ma rimasero i nomi, come Piscina Venier o Piscina S. Agnese

Chiovere%20di%20San%20Rocco.jpgLe tracce dei tintori di lana o di tessuti si possono ritrovare nelle “chiovere” che erano dei campi dove venivano stese le stoffe appena tinte ad asciugare, e a Palazzo Palazzo Gaffaro con pietre forate.jpgPalazzo Gaffaro 1.jpgGaffaro in fondamenta Gaffaro appaiono sulla facciata delle pietre d’Istria forate e fatte ad anello, in cui, si dice, venivano inseriti dei pali dove si appendeva la lana filata e tinta.

Naturalmente ogni Palazzo, Chiesa o elemento di cui ho parlato meritano di essere trattati singolarmente, ma un’immagine d’insieme di una piccola parte di Venezia, che è una piccola ma splendida “bomboniera”, che racchiude in un limitato  territtorio arte, storia dell’artigianato, mestieri, cultura,e storia, per la gioia di noi veneziani e di chi veneziano lo è nell’animo e nell’amore che porta verso questa città, patrimonio del mondo!

Ott 6, 2010 - Esoterismo, Leggende, Misteri, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su La leggenda dell’usuraio e la sua anima fiammeggiante a Venezia

La leggenda dell’usuraio e la sua anima fiammeggiante a Venezia

Fondamenta Antonio Canal.jpgUna piccola storia,ma che fa parte delle leggende di Venezia: Bartolomeo Zenni era un vecchio usuraio che viveva in fondamenta Canal a Cannaregio. La notte del 13 Maggio 1437, durante un furioso incendio (uno dei tanti che tormentò Venezia) egli cercò di salvarsi, recando con sè una pesante borsa carica d’oro e gioielli: tutti gli averi che l’usuraio si era procurato lucrando sulle persone in necessità.

Tutta la zona era in fermento, e Bartolomeo venne chiamato in aiuto dai vicini per salvare i propri figli, ma invece di accorrere in soccorso dei bambini preferì cercare di mettere in salvo i suoi averi.

Ma il sacco era talmente pesante che non riusciva a sollevarlo, e fu costretto a trascinarlo fino al vicino Canale, per salvarsi dalle fiamme: ma il sacco cadde in acqua e con esso lo stesso Zenni: entrambi scomparsero nelle acque.

Dopo qualche giorno i superstiti videro l’usuraio che trascinava il suo prezioso e pesantissimo carico : egli repirava a malapena e chiedeva a chiunque di dargli una mano per portare con lui l’oneroso fardello: alcuni lo evitarono, altri si allontanarono, e solo quelli che pensarono di dargli comunque, per pietà e carità, una mano, fuggirono alla vista  di quel corpo che mentre camminava bruciava.

Campo dell'Abazia.jpgCampo S. Fosca.jpgChiesa di Santa Fosca.jpgSi narra che l’anima di Bartolomeo Zenni finirà di bruciare e sarà liberata soltanto quando qualcuno lo aiuterà a portare il sacco pieno dei suoi preziosi, sul percorso che va dal Campo dell’Abazia alla Chiesa di S. Fosca, per donare tutti i suoi averi ai poveri!

Chiunque di notte si trovi a passeggiare in quella zona, e incontri un’anima disperata e in preda alla fiamme potrà capire e decidere se porre fine a quel tormento, o lasciare per secoli che lo Zenni paghi la sua colpa!

Doge Pietro II Orseolo e l’inizio dello “Stato de Mar” – Venezia, Regina dell’Adriatico

150px-Doge_Pietro_OrseoloII.pngAlla fine del decimo secolo Venezia cominciò a perseguire una via espansionistica legata all’Adriatico. Questa strada non venne più abbandonata, accompagnata in seguito da una politica espansionistica anche continentale.

Basilio II di Bisanzio.jpgOttone_3.jpgBasilio e Costantino -Crisobolo.jpgIl Doge Pietro II Orseolo , giovane ed intelligente dette il via ad un suo progetto, dopo aver composto i dissidi interni e pacificate le diverse famiglie nobili in nome della dignità nazionale. Egli comprese che soltanto la potenza economica, sussidiata dall’azione militare nei limiti imposti dalle necessità, poteva dare sicurezza, prosperità e grandezza allo Stato.

Con gli Imperi di Occidente e di Oriente stabilì rapporti amichevoli, normalizzandoli con Ottone III (diploma del 992) e regolarizzandoli con Bisanzio mercè il “crisobolo”( sigillo d’oro) di Basilio e Costantino, che stabiliva condizioni di favore nel commercio marittimo.

Pietro II Orseolo.jpgUna volta assicurata la pace interna, con una legge promulgata nel 997 che condannava ogni sedizione, e regolati i rapporti internazionali per il libero sviluppo dell’espensaione veneziana nel continente e in Adriatico, Pietro II Orseolo si prese cura della sicurezza della navigazione, per agevolare gli scambi mercantili.

L’egemonia economica sull’Istria, stabilita dagli accordi del 933 era fino ad allora molto precaria e ridotta a ben poca cosa, mentre la pressione della Croazia sulla Dalmazia rendeva difficile la vita ai Veneziani che vi risiedevano.

fiume Narenta.jpgIl disimpegno di Bisanzio per quest’ultima regione significava libertà d’azione per Venezia che, tra l’altro, era in continua lotta con i Pirati Narentani che infestavano le coste, per cui solo con la forza si poteva raggiungere il necessario equilibrio adriatico, raggiungendo una fattiva e concreta fedeltà delle genti rivierasche.

dalmazia1.jpgAgli inizi del 1000 l’Orseolo allestì una flotta che partì da Equilio, diretta a Pola. Era la risposta veneziana alle popolazione Dalmate che volevano liberarsi della servitù slava.

Dopo aver sostato a Grado e a Parenzo il doge Orseolo raggiunse Pola, e proseguì verso sud-est, toccando Ossero, Veglia, Arbe, Zara, Traù, Spalato, Curzola, Lagosta e Ragusa.

anfiteatro romano a Pola.jpgLe città istriane resero omaggio a Pietro II e giurarono fedeltà a Venezia. La spedizione non si svolse, tuttavia, del tutto incontrastata: vi furono resistenze armate da parte degli abitanti di Curzola e Lagosta, dove si annidavano i pirati narentani.

Con questa fortunata spedizione, approvata da Bisanzio, Pietro II Orseolo prese il titolo di ” Duca di Dalmazia” che integrava quello di “Doge di Venezia”.

Istria e Dalmazia.jpgMa non si era trattato di una vera e propria conquista territoriale, perchè i veneziani miravano solamente a raggiungere il dominio del mare. Sotto il profilo giuridico gli ordinamenti rimasero quelli locali, e si raggiunse così l’unità della costa dalmato-bizantina, con l’estromissione dell’influenza slava, per cui una modifica era avvenuta soltanto dal punto di vista politico-militare.

La supremazia di Venezia dell’Adriatico era così assicurata, con l’acquiescenza dell’Impero greco per il quale il dogado dell’Orseolo era diventato un potente alleato.

Per riconoscenza verso Bisanzio il doge inviò nel 1002 una spedizione in soccorso di Bari, assediata dai Saraceni, ristabilendo l’equilibrio nel basso Adriatico. A sancire l’alleanza tra Venezia e Bisanzio il figlio del Doge, Giovanni, sposò Maria, la nipote dell’Imperatore Basilio II.

il doge Pietro II Orseolo.jpgLe imprese dalmata e Pugliese contribuirono a portare alla città uno sviluppo demografico e urbanistico e alla prosperità e splendore.

Ottone Orseolo.jpgGiovanni e Maria Orseolo.jpgAlla morte di Pietro, nel 1008, gli succedettero i figli Giovanni ed Ottone.

Con Pietro Orseolo scompariva una singolare figura di capo a cui, tra l’altro, va attribuita l’istituzione della cerimonia detta “benedizione  del mare”, nel giorno dell’Ascensione: una festa nazionale durante la quale il Vescovo di Olivolo tracciava, davanti ai dignitari , al clero e al popolo, il segno della Croce sulle acque della Laguna, a testimonianza della potenza e della grandezza di Venezia.

Questa festa diverrà in seguito quella più completa e significativa dello “sposalizio del Sposalizio del Mare del Guardi.jpgmare” quando il Doge dal Bucintoro getterà in acqua l’anello d’oro pronunciando la formula rituale: ” desponsemus te, mare, in signum veri perpetuique dominii”.

Da allora Venezia diverrà una forte e temuta potenza, attribuendosi il titolo di Serenissima, Repubblica forte ed illuminata.

S. Giovanni elemosinario, scrigno di tesori nascosti dalle bancarelle di rialto a Venezia

Pala di S. Giovanni del Tiziano.jpgchiesa S. Giovanni Elemosinario.jpgNascosta tra le bancarelle del mercato di Rialto, a S. Polo, Ruga Vecchia S. Giovanni, e chiusa da un cancello è edificato uno straordinario scrigno per opere d’arte importanti e fantastiche: la Chiesa di S. Giovanni Elemosinario.

Una chiesa dedicata ad un Santo modesto, un uomo nato ad Amatunte nel 556 e li morto, nel 619: grande devoto della Madonna e di S. Giovanni il Battista. La sua fede e la sua vita dedicata alla sua missione di benefattore dei poveri e dei diseredati.

Ed a lui dedicarono la loro fede la città di Casarano (nel Salento) , e i Cavalieri Ospitalieri, facenti parte dell’Ordinazione  dei Templari.

Antonio Abbondi detto Scarpagnino.gif08-sgiovannielemosinario.jpgdipinto nella chiesa di S. Giovanni elemosianrio.jpgI dodici poveri cavalieri di Cristo.jpgNel 1249 Lorenzo Bragadin, generale della flotta della Serenissima, portò a Venezia il suo corpo, e, seppure esistesse già nella zona di Rialto una chiesa a lui dedicata, proprio per la sua devozione al San Giovanni Battista le sue spoglie vennero tumulate, ed ancora si possono venerare, nella chiesa di S. Giovanni in Bragora, dedicata appunto al Battista.

Ma quella piccola chiesa, tra le bancarelle, a lui dedicata, venne arricchita da autentiche opere d’arte, che tutt’ora la ornano, e che risplendono ancor più dopo 25 anni di restauri.

La data dell’erezione dela chiesa rimane incerta, anche se si può riferire al 1071 circa, Affresco a S. Giovanni elemosinario del Pordenone.jpgcommissionata dalla famiglia Trevisan. Fu ceduta in ionterno S. giovanni Elemosinario.jpgcommenda nel 1391, e, con privilegio papale venne affidata al” Collegio dei dodici poveri di Cristo”, discendenti diretti dei Cavalieri Templari; ma questo affido durò poco, perchè la delega fu duramente osteggiata dai parrocchiani stessi, e quindi, nel 1546 venne affidata al Primicerio di San Marco, e stabilita nelle stesse prerogative della basilica di San Marco.

Venne purtroppo distrutta da un incendio (uno dei tanti che ha tormentato Venezia ed i suoi monumenti ) nel 1513, e venne ricostruita su disegno di Antonio Abbondi, detto lo Scarpagnino, e consacrata da Daniele Vocazio, vescovo dalmata, nel 1572.

La ricostruzione venne ultimata nel 1531, durante i primi anni del dogado di Andrea Gritti: e fu subito abbellita da opere dei più grandi artisti allora esistenti a Venezia, come Tiziano, Jacopo Palma il giovane, Giovanni Antonio del Sacchis detto il Pordenone.

300px-San_Giovanni_Battista_in_Bragora_Venezia.jpgCampanile di S. Giovanni elemosianrio.jpgsimbolo dei 12 Poveri cavalieri di Cristo.jpgIl suo Campanile è originario del 1300, la pianta è a croce greca inscritta in un quadrato ed il suo aspetto interno è prettamente rinascimentale  e classicheggiante.

Qui ebbero sede le corporazioni dei biavaroli, corrieri, gallineri e telaroli, che fecero a gara per abbellirla con opere d’arte: Il Vasari racconta che fu commissionata al Tiziano la Pala dell’Altar Maggiore, e questi, impegnato com’era, dopo essersi assentato da Venezia, non appena rientrato, vide la Pala del Pordenone, che raffigura i Santi Caterina, Rocco e Sebastiano ed andò su tutte le furie, e fece di tutto per soppiantare in bellezza ed abilità il rivale.

san-giovanni-elemosinario.jpgSanti Caterina, Sebastiano e Rocco del Pordenone.jpginterno Chiesa S. Giovanni elemosianrio.jpgDopo venticinque anni di restauri ora la chiesa è tornata al suo massimo splendore, e durante questi restauri sono state scoperte una tomba con affreschi, è stata riportata alla luce la decorazione straordinaria della cupola centrale dipinta dal Pordenone.

S. Giovanni Elemosiario.jpgUno scrigno, come ho detto, di opere d’arte immerso nella vita più intensa di Venezia, città dove ogni angolo è un tesoro di architettura, ogni palazzo conserva opere d’arte, dove i migliori S. Giovanni elemosinario - reliquia.jpgartisti hanno lavorato ed espresso il meglio  di sè, ispirati dalla magnificenza e dall’unicità della Serenissima.

 

 

 

Ago 11, 2010 - Società veneziana    Commenti disabilitati su La pace di Venezia:la grande diplomazia della Serenissima.

La pace di Venezia:la grande diplomazia della Serenissima.

Papa_Alessandro_III.jpgFederico Barbarossa.jpgdoge Ziani.jpgUn evento che diede molto lustro ed importanza a Venezia fu, nell’anno 1177, la pace che il Doge Sebastiano Ziani, abile diplomatico, fece stringere tra il Papa Alessandro III e l’imperatore Federico Barbarossa.

Venezia in un primo tempo era stata neutrale con l’imperatore tedesco, poi, dovendo entrare nella Lega dei Comuni Italiani contro il Barbarossa, sancita con il Giuramento di Pontida, dovette prendere decisamente le parti del Papa, che nel frattempo era stato deposto da Federico, il quale aveva cercato con il Concilio di Pavia di eleggere un antipapa, ed in seguito, sconfitti i romani ad insediare nella Cattedra di S. Pietro l’antipapa Pasquale III.

Federico Barbarossa 1.jpgalessandro-iii.jpgLa rivolta dei comuni Italiani aveva posto l’Imperatore di fronte ad un’improvvisa resistenza alla sua aspirazione di  ricostruire l’universalità del Sacro Romano Impero, ereditato direttamente da Carlo Magno.

Marin Sanudo nella “Vita dei Dogi”ci tenne a sottolineare la sicurezza di Venezia: ” Papa Alessandro III” disse appunto “dopo essere passato per la Dalmazia capitò in incognito a Venezia   a l’unico domicilio di libertà dove si tiene più securo che in niuna altra terra de Italia”.

Il racconto leggendario del Papa che la prima notte dormì accanto al capitello, il suo successivo riconoscimento presso il Convento della Carità dell’Accademia e il suo trasferimento in trionfo presso il Palazzo del Doge è molto piaciuto ai pittori che riprodussero Alesandro III e Sebastiano Ziani.jpgi vari episodi nella Sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale. Esso si lega certamente a quell’elogio della sicurezza della Serenissima che è tramandato dalle antiche cronache a coronamento del grande avvenimento.In seguito Alessandro III si reinsediò a S. Pietro.

La Pace di Venezia ebbe dunque queste premesse: ma essa assunse così vasta risonanza da passare dalla storia alla leggenda.

Il racconto storico dell’incontro dice che il Papa Alessandro III giunse a Venezia il 24 marzo 1177 con grande seguito e che qui si incontrò con i vescovi di Germania vicini all’Imperatore e direttamente con il re normanno dell’Italia meridionale per trattare la pace tra Impero, Comuni e Normanni che erano stati alleati del Papa contro il Barbarossa.

Alessandro III consegna la spada al Doge.jpgLe trattative durarono tre mesi con incontri con rappresentanti dei Comuni di Ferrara e a Chioggia dove il Barbarossa aveva preso alloggio. Si arrivò ad un compromesso stabilito il quale l’imperatore veniva invitato a incontrarsi ufficialmente con il Papa a Venezia.

“Il 23 luglio il Barbarossa, scrive Roberto Cessi, si trasferiva da Chioggia al Monasteero di S. Nicolò del Lido di Venezia. La domenica successiva otteneva l’assoluzione, e nella stessa giornata, scortato dal Doge e dai cardinali si portava a S. Marco. L’attendeva sul trono eretto sul fronte della Chiesa il Papa, circondato dai patriarchi e dai vescovi.

Papa,imperatore e Doge.jpgil Papa con il Doge.jpgApprodato alla fondamenta, adornata con due grandi pennoni con il simbolo di S. Marco, l’imperatore si accostò al soglio pontificio e fu ammesso al bacio del piede e all’abbraccio delle ginocchia.

E’ celebre la frase, riportata dal Sanudo, che il Barbarossa avrebbe detto al Papa nell’atto di baciargli il piede: “non tibi sed Pietro cui successor es” (non a te do il bacio di sottomissione, ma a Pietro di cui sei il successore), a cui il papa rispose “et mihi et Petro” (e a me e a Pietro). Poi il Papa, continua il Sanudo “si levò et in mezo dilo imperator e dil doxe intrò in chiexia de San Marco cantando tutto il clero Te Deum laudamus.

L’Imperatore rimase a Venezia tre mesi, regolando con un’intensa attività diplomatica le numerose questioni che s’erano innestate tra papato  ed Impero: Alessandro III veniva riconosciuto come Pontefice, e come tale gli veniva reso onore; con i Comuni veniva stabilita una tregua di sei anni e con i Normanni di quindici anni.

Papa Alessandro III e il Doge.jpgScaduta la tregua con i Comuni nel 1183 venne firmata a Costanza la pace tra i Comuni e l’Impero, con pieno riconoscimento della loro libertà.

Il Barbarossa morì durante il suo viaggio come Crociato in Terrasanta nel 1190.

Tutti questi avvenimenti fanno parte dei meriti che la Repubblica acquisì attraverso la propria capacità di mediazione e di una lungimirante politica equilibratrice tra i contendenti: straordinaria Serenissima!