Feb 5, 2013 - Architettura, Arte, Arte e mistero, Luoghi, musica, Personaggi, Tradizioni    Commenti disabilitati su Venezia dal 1400 al 1500 capitale indiscussa della cultura umanistico-scientifica d’Europa.

Venezia dal 1400 al 1500 capitale indiscussa della cultura umanistico-scientifica d’Europa.

San giovanni Elemosinario.jpgven-ve-smarco1.jpgDal 1454 si avvertì a Venezia la necessità di adeguare a questo Stato, sempre più raffinato e attento alle arti, la preparazione della sua classe dirigente. Su questa graduale conquista di pensiero che si attuò dal quattrocento al cinquecento, si pose la Scuola di retorica presso la Cancelleria di San Marco, nell’orbita quindi dello stesso governo, e la Scuola di Logica,filosofia naturale e le matematiche, con sede nella Chiesa di san Giovanni Elemosinario a Rialto, nel pieno centro quindi dell’attività commerciale di Venezia.

venezia_chiesa_di_santo_stefano_3.jpgve-frari.jpgSS. giovanni e Paolo.jpgDue scuole fondamentali, una con un netto carattere umanistico, l’altra scientifico che Università di Padova.jpgintegravano e preparavano a Venezia gli Studi dell’Università di Padova, giustamente definita ” la Oxford del padova.gifS. Francesco della Vigna.jpgpatriziato Veneziano”, a cui si affiancavano le attività culturali dei più noti conventi, come S. Giovanni e Paolo, I Frari, S. Stefano, S. Francesco della Vigna, S. Michele in isola e S. Giorgio in Alga.

sanmichele.jpgDurante il Medio Evo l’Università san_giorgio_in_alga.jpgdi Padova era diventata uno dei centri più importanti relativi alla cultura araba, e divenne comunque importante per l’apertura di Venezia dell’involucro che la San Giorgio in alga.jpgcollegava a Bisanzio , determinando una problematica più vasta della cosmotologia tolemaica e la metafisica aristotelica, che erano gra parte della filosofia medievale.

Le famiglie aristocratiche che reggevano il governo compresero che la cristallizzazione della cultura entro schemi prestabiliti avrebbe portato alla chiusura della città anche nel campo politico ed economico, nei quali la Repubblica da secoli aveva acquisito una sua precisa autonomia.

A ciò seguì anche il medesimo sviluppo nell’arte figurativa poichè Venezia assunse come proprio lo stile architettonico gotico, ma lo trasformò in forme originali dalla ferma struttura spaziale bizantina.

Alessandro%20Vittoria%20-%20Il%20Doge%20Nicolo%27%20da%20Ponte%20(Venezia,%20Galleria%20del%20Seminario).jpgfrancesco_petrarca.jpgLa venuta di Francesco Petrarca a Venezia ed il suo dono di una grande biblioteca determinò un punto fondamentale della cultura che si sviluppava nel mondo veneto, ed a questo si aggiunse il contatto con la tradizione umanistica toscana. Secondo Bruno Nardi,in base ad una sua relazione nel Corso di Studi tenuto a Venezia nel 1960 ” Umanesimo veneziano e umanesimo europeo”(diretto da Vittore Branca) i grandi maestri delle due scuole di indirizzo umanistico e scientifico furono Paolo della Pergola, insegnante dal 1451 al 1454, Domenico Bragadin ( dal 1453 al 1483) quindi Antonio Corner, Antonio Giustinian, Sebastiano Foscarin e il futuro Doge Nicolò da Ponte.

17-leonardo-da-vinci-autoritratto.jpg270px-Hermolaus_Barbarus.jpgNel 1471 entrò nel Maggior Consiglio un Tetraedro_Pacioli.jpgluca-pacioli%5B1%5D.jpggiovanissimo Ermoalo Barbaro, il più grande umanista veneziano ed appassionatissimo della cultura antica sul piano dell’artge e della scienza. A questi si aggiunse Luca Pacioli, autore del ” De divina proportine”, matematico, geometra ed astronomo, grande amico di Piero della Francesca e di Leonardo da vinci (oltre che Leon Battista Alberti), del quale modellò i disegni dei “poliedri in prospettiva”( da cui si ricavò il famoso numero aureo): tutti geni che si dedicarono alla “secretissima scientia”cultori di filosofia, architettura, scultura, musica ed altre “matematice suavissimae”.

Negli ultimi trent’anni del 1400 vennero curate anche la botanica e la medicina, scienze di cui rimangono a Venezia preziosi testi miniati ed incunabili conservati presso la Biblioteca Marciana.

Cardinale Bessarione.jpgNel 1513, dopo un furioso incendio la Scuola di Rialto si trasferì a San Marco, ed infine, la preziosa donazione del Cardinale biblioteca-marciana-venezia.jpgBessarione da Trebisonda , nel 1468, arricchì ulteriormente la fantastica biblioteca.

Insomma entro il 1500 quasi tutti i testi importanti della Grecia antica che erano stati salvati dal Medio Evo bizantino vennero resi accessibili ai più grandi grecisti europei dell’epoca, per cui Venezia e le sue biblioteche divennero meta incessante di studiosi, uomini di cultura e studenti provenienti da tutti gli Stati d’Europa: Venezia, con le sue grandissime ricchezze culturali ed editoriali fu, in quel periodo, l’astro fulgido della cultura e delle scienze per il resto del mondo!

Gen 30, 2013 - Arte, Mestieri, Musica venexiana, Società veneziana    Commenti disabilitati su Le Compagnie della calza: Teatro, arte e Carnevale a Venezia.

Le Compagnie della calza: Teatro, arte e Carnevale a Venezia.

campiello.jpgLa cultura teatrale del cinquecento e del seicento non poteva prescindere dall’ambiente naturale ed urbanistico della città, fatto di “interni” e di “esterni” che sembrano sorti per il Teatro. Per cui tutto ciò è naturalmente collegato alle arti figurative.

Gli interni ed esterni non obbediscono necessariamente al significato letterale dei termini: si possono considerare “interni” alcuni campielli che raccolgono verso il centro vari punti di vista, dalle angolature delle finestre, dalle case poste tutto intorno, mentre esterni si possono considerare i loggiati di Palazzo Ducale, come se fossero una strada sospesa.

Piazza San Marco.jpgUn interno-esterno ambivalente è Piazza San Marco, definita un “salotto” per i suoi caratteri di intimità ed aperta nello stesso tempo verso il Bacino in uno spazio infinito.
Su questo spazio naturale la scena si compone e si caratterizza immediatamente con l’apparire di un personaggio sul balcone, di un rematore sulla gondola, lo sciamare dei passanti lungo la fondamenta o l’alternarsi sui ponti di una folla varia, colorata, pronta al “gioco delle parti”, spesso partecipe compiaciuta della scena e consapevole di far spettacolo di se stessa.

Ed ecco che i veneziani, consapevoli di questo continuo entrare ed uscire dalla scenografia fantastica di calli, dalle Storie di S. Orsola delle Gallerie dell'Accademia due gentiluomini della Compagnia della Calza.jpgfondamente, campielli e palazzi si riunirono in “Fraglie” (fratellanze, confraternite, termine prettamente massone!), per cui istituirono le ” Compagnie della Calza “, gruppi di giovani bene della Venezia cinquecentesca che si riunivano per recitare e per organizzare feste mascherate ed altro.

Di questo era convinto Carpaccio che aveva dipinto, qualche decennio prima le  scuole minori, perchè le sue storie romanzate sulle vite dei Santi si adattavano più all’ambiente teatrale che a quello delle chiese.

Le sue immagini infatti erano più accostabili a quelle contemporanee  degli amici che recitavano nelle compagnie della calza, che a quelle della chiesa legate all’iconografia liturgica.

Compagnia della Calza 1.jpgLo storico del 700 Anton Maria Zanetti fa un’annotazione sulla Scuola di S. Orsola ( a SS. Giovanni e Paolo) tutta rivestita all’interno di dipinti del Carpaccio che è molto indicativa: Io mi sto in questa cappella ( Sant’Orsola) – egli dice – inosservato alcuna volta, e veggo entrare certe buone persone, che dopo una breve orazione rivolgono gli occhi a queste pitture, restano sospese, il volto e la mente…Mostrano d’intendere ogni rappresentazione, ragionando in suo cuore e non possono nascondere l’interno movimento che provano. Gran forza ha la verità imitata e dipinta con la sola ragione anche senza gli aiuti dell’arte, sul senso d’ogni spettatore.La verità imitata, ed i “teleri” di Carpaccio sono da vedere ( ora sono stati trasferiti alle Gallerie dell’Accademia a Venezia), oltre a tutto in uno stretto parallelo tra costume, azione teatrale e documentazione del tempo.

All’epoca quindi alcuni giovani, per lo più gentiluomini veneziani incominciarono, come detto, ad unirsi allo scopo di creare mmbro di una compagnia dela calza.jpgeventi, feste, rappresentazioni, dando così allegria e vivacità alla città.
Ed a questo scopo, per dare un significato di appartenenza ad ogni “fraglia” si distinsero per l’uso di “pantaloni” di colore diverso il destro dal sinistro, chiamati calze, e coll’insegna della “Compagnia” ricamata in oro, perle e pietre preziose.

Usavano inoltre un mantello di panno d’oro o damasco, con un lungo cappuccio, ed un berretto di stoffa preziosa con la punta ornata da un gioiello, che ricopriva in genere una chioma lunga e folta, a volte legata da un nastro di seta.

A questi si aggiungevano anche le mogli o altre gentildonne, le quali portavano i simboli della Compagnia sopra una delle maniche.

img140.jpgPer formare una Compagnia della Calza  occorreva una licenza del Consiglio dei dieci, quindi i soci compilavano uno statuto, dove, oltre alle altre regole si determinava la durata della compagnia, e venivano eletti un priore, un camerlengo, un segretario, due consiglieri, un cappellano, un nunzio ; a questi si aggiungevano un poeta, un architetto  ed un pittore.

I membri della Compagnia che si sposavano dovevano organizzare due banchetti: uno in casa con musica e momarie (mascherate) , l’altro in casa della sposa dove doveva pagare il notaio, il cappellano ed il messaggio.

Diverse furono le compagnie della Calza dal 1400 al 1562 ( arrivarono ad essere 43). I Pavoni, gli Accesi, i Fedeli, i Concordi, i Floridi, i Reali e i Sempiterni. A questa compagnia furono legati il Ruzante, Pietro Aretino che per loro scrisse la Commedia ” La Talanta”, il Vasari come scenografo, Tiziano ed il Palladio  che per loro costruì un teatro in legno.

immagine di un membro delle compagie della calza.jpgE alla Compagnia della Calza si possono attribuire spettacoli all’aperto, rappresentazioni, caze de toro, e  le momarie, dove ci si vestiva in cazza-ai-tori.jpgmaschera e si svolgevano processioni lungo i canali dove venivano presentati i vizi e le virtù.

un compagno di una compagnia della Calza.jpgmascherate delle compegnie della Calza.jpgteatro delle compagnie della calza.jpgTutto ciò, legato alla musica, all’architettura, alla pittura ed all’arte in genere rese questa città un grande teatro, una grande scenografia che si avvale tutt’ora, per opera di sette famiglie veneziane, di una Compagnia della Calza ( dal 1972) che presta il suo fantastico impegno nell’occasione del Carnevale, e per continuare in una tradizione dell’arte a tutto tondo che è la culla della cultura vera e profonda.

 

Gen 24, 2013 - Arte, Carnevale, Leggende, Luoghi, Misteri, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su Tra la Gnaga , le Baute e il Matasin: lo straordinario Carnevale di Venezia.

Tra la Gnaga , le Baute e il Matasin: lo straordinario Carnevale di Venezia.

mostra-a-venezia-di-francesco-guardi_122876_big.jpgbauta femminile.jpgbaute-veneziane.jpgIl l 27 dicembre di ogni anno  iniziava ufficialmente il Carnervale nella Serenissima. Le autorità concedevano  così il permesso di utilizzare la maschera….che non poteva essere indossata da persone armate e dalle prostitute.

Nel settecento quindi tutti i mesi invernali erano caratterizzati da feste in cui si pavoneggiavano e danzavano coppie con la bautta, deliziose damigelle con la moretta (o servetta muta, una maschera che lascisava liberi solo gli occhi, seguendo l’ovale del viso)) la classica Furlana o il minuetto, ed altre danze antiche, e queste immagini vennero immortalate dal grande Pietro Longhi e dal Francesco Guardi: “le moretta.jpgla furlana 3.jpgLa Furlana del Longhi.jpgmaschere al ridotto”,” l’ippopotamo,” scene della vita gioiosa nei nobili, ma anche delle persone più umili. Non a caso, incontrandosi per le calli era buona educazione se non un dovere, salutare le persone mascherate con un: ossequi, Siora Maschera, o Servo suo, Siora Maschera. In genere questi scambi avvenivano moretta1.jpgla_furlana.jpgminuettotiepolo.jpgtra persone ricoperte dalla bautta, creata dai maschereri prima con il gesso, poi con cartapesta, a completata dall’uso di un mantello: le bautte erano bianche o nere, e non avevano assolutamente espressione, ricoprendo il volto in modo inquietante…assolutamente imperscrutabile, e per la loro forma e la costruzione, modificavano anche la voce.

ridotto.jpgLonghirinoceronte.jpgbautta nera.jpgbauta1.jpgbaute 6.jpgcodega.jpgcodega1.jpgE’ facile quindi immaginare queste figure così indefinite, coperte dalla testa ai piedi (in genere veniva utilizzato il tricorno come copricapo sopra uno “zendale” , una sorta di sciarpa preziosa, che nel tempo divenne lo scialle per le donne)) aggirarsi per calli e campielli illuminati, si fa per dire, dalla luce dei lumini che rischiaravo gli stretti passaggi ) i” cesendali” che venivano accesi dai parroci di fronte alle immagini sacre, illuminando le rive, le callette strette e completamente immerse nel buio. Le coppie più abbienti si avvalevano dell’opera della codega, il portatore di lanterne che illuminavano il cammino ( da questo il modo di dire :reggere il moccolo). Altre coppie si appartavano nelle gondole, sotto il felze , a scambiarsi effusioni o consumando amori a volte illeciti, come narra Casanova, con monache che vivevano quella condizione come qualcosa di imposto e non sentito, o vivendo tradimenti o amori impossibili.

GNAGA.jpggnaga3.jpggnaga 2.jpgMa la maschera più inquietante ed allusiva era quella della gnaga: camminando sui masegni, attraversando i ponticelli, entrando in un sottoportego si poteva incontrare questo strano essere : un muso da gatto, l’aspetto tozzo di un maschio con vesti femminili che reggeva un cesto carico di micini, che miagolava e sospirava frasi al limite dell’osceno invitando e provocando le bautte che la incrociavano…..espressione di uno dei disagi che venivano provocati nella Serenissima dall’omosessualità, mal sopportata dal Doge e dal maschera del mataccino.jpgmataccino.jpgmondonovo di Pietro Longhi.jpgPatriarca, che comunque a Venezia non veniva perseguita ma nemmeno accettata più di tanto.

Un altro personaggio mascherato poteva apparire e scomparire nel giro di un attimo: il berretto a sonagli a strisce variopinte, il tipico Jolli delle carte: il Matasin o Mataccino! E’, assieme a Pantalon dei Bisognosi, una delle più antiche maschere veneziane.

Francesco-Guardi,-un-invito-al-Museo-Correr001big.jpgBisogna immaginare questa Venezia, questo girovagare di persone che , come attori in uno scenario fiabesco, cercavano  la propria collocazione e avventure, magari di una notte, in una eterogeneità di ceti…li dove la verità, con la semioscurità delle calli, a volte non illuminate dalla luce della luna, o avvolte nella nebbia (caligo) veniva vissuta appieno,,,in un erotismo carnale e forte….la bellezza di una Venezia tenebrosa, misteriosa e straordinaria.

 

 

S. Nicolò dei Mendicoli: anima di un sestiere tra la semplicità esterna e la raffinatezza interna!

dorsoduro a Venezia.gifcampanile-san-nicolo-mendicoli.JPGNell’isola mendigola, facente parte di una delle sette che costituiscono  il sestier de Dorsoduro venne elevata, si dice addirittura prima di quella di S. Giovanni Elemosinario, per poi essere rinnovata nel 1600, la chiesa di S. Nicolò dei Mendicoli.

E’ una chiesa esternamente umile, che ha conservato di originale ancora l’impianto veneto-bizantino del 200, con una semplice facciata, le bifore piccole ed il portico, ricomposto con materiale originale, dove, secondo una tesi si dice  che li sotto si riparassero i mendicanti ed i senza tetto: molto più probabilmente invece il suo nome si rifà all’isola su cui sorge.

chiesa di S. Nicolo 3.jpg2 s. nicolo.jpgchiesa-s-nicolo-dei-mendicoli-6.jpg3 s. nicolo.jpgL’aspetto esterno è quindi povero, semplice, anche se arricchito dal campanile romanico, ma è invece l’interno che lascia senza fiato: il soffitto completamento decorato da dipinti di allievi del Veronese, e l’illustrazionbe della vita di Cristo di Alvise del Friso. Le colonne decorate in oro, e conserva il pastorale vescovile di S. Nicolò., mentre le sue spoglie sono ricoverate presso la chiesa di S. Nicolò chiesa-s-nicolo-dei-mendicoli-4.jpgS. Nicolò interno 1.jpgdel Lido.

ponjte dei pugni 1.jpgponte dei pugni 2.jpgGli abitani dell’isola Mendigola erano i famosi Nicolotti, contadini e soprattutto pescatori, che avevano comunque il privilegio poter eleggere un “Gastaldo del Doge” che era il capo dei pescatori attraverso un’assemblea dei parrocchiani con l’intervento di un rappresentate del dogado.

Questo “piccolo” Doge si presentava vestito con una veste di panno e di raso rosso, paludato con una parrucca ed un berretto da gentiluomo dal Doge il giorno della sua investitura, accompagnato dai suoi sostenitori, e ne riceveva un abbraccio.

ponte dei pugni quadro.jpgponte dei pugni2.jpgImportanti quindi sia per la società, per il loro ruolo, ma anche , fin dal 300, avversari estremi dei Castellani ( gli abitanti del Sestier di Castello) quasi tutti arsenalotti, altra categoria di somma importanza per Venezia, i costruttori delle navi, dei cordami, di tutto ciò che riguardava la formazione della potenza più grande della Serenissima; una categoria molto rilevante per il Dogado, e per questo ritenuta e considerata di molto riguardo: Per risolvere queste divergenze ecco che un ponte senza spallette, come tutti gli altri a Venezia, a S. Barnaba, diventava il “ring” dove risolvere, senza spargimento di sangue queste dispute: la prima, la Mostra vedeva in disputa i due migliori delle due squadre, e per questo ai quattro lati della sommità del ponte vennero infisse delle orme per regolare le posizioni: lo scopo era quello di far cadere l’avversario in acqua e diventare così padrone del ponte.

ponte-pugni.JPGnicolo_mendicoli.jpgLa Frata era invece formata da due fazioni in cui potevano essere anche usate armi da taglio, e la terza, la più diffusa era la Guerra ordinata dove le due squadre davano l’assalto al ponte e a forza di di spinte vinceva chi riusciva a dominare il ponte appunto.

A tale scopo, per evitare ferimenti o danni maggiori, il fondo del canale sotto il ponte veniva fatto pulire ogni anno dal Doge, che lasciava così sbollire i violenti ardori di tali antagonisti.

Un controllo a distanza che la guida illuminata della Serenissima riusciva ad incanalare in una disputa organizzata e regolata, che lasciava infine i vincitori felici e gli sconfitti pronti a ricominciare, la volta successiva, ma che al momento opportuno sapevano unirsi senza remore per sviluppare e rendere sempre più grande questa città stato straordinaria che aveva a cuore l’ordine, la serenità e la salute dei suoi cittadini, poichè questi erano e sono stati i veri artefici di
quella fama e dominio straordinario  che ha portato a tutta Europa ricchezza, novità, cultura e conoscenze innovative.

 

 

 

Armatori, mercanti e navigatori veneziani: gli artefici del mondo globale!

nace mercantile.jpgmercanti_veneziani-filtered.jpgEnrico Dandolo.jpgL’inizio della Storia di Venezia coincide con l’inizio dell’economia mercantile: per merito del Doge Enrico Dandolo, nel 1200, in seguito alla conquista di Costantinopoli  e grazie alla bolla d’oro, trattato con cui i Veneziani trovarono l’appoggio di Bisanzio per espandere i propri interessi nel Mediterraneo, la Serenissima divenne il referente più autorevole nell’intermediazione dei vari mercati, acquisendo così un ruolo determinante per quanto riguardava l’interescambio tra le varie popolazioni di quel bacino.

I fattori più importanti che concorsero a formare questa assoluta superiorità marittima di Venezia furono, all’interno della Repubblica, i capitali patrimoniali d’investimento, con l’industria e la gestione dei mezzi navali, ed il mirato intervento amministrativo-politico dello Stato.

mercanti veneziani 3.pngmercanti_carpaccio.jpgmercanti veneziani 2.jpgmercanti veneziani.jpgMercanti -contrattazione.jpgLa Repubblica concedeva prestiti per finanziare affari di commercio marittimo, scritti in un contratto di commenda o colleganza. Il finanziatore e il mercante armatore partivano insieme all’equipaggio, ed il capitale investito doveva poi essere rimborsato, le spese ripartite sull’esborso delle tasse e per le spese varie.

All’inizio del 1200 si formarono le prime compagnie commerciali denominate ” Fraterne”, che erano per lo più a conduzione familiare, in cui i soci partecipavano con il capitale e l’attività personale. Tra di loro erano solidali con gli impegni presi da ciascuno di essi, e dividevano per quota i profitti e le perdite, e tutto questo sotto il controllo dei Provveditori di Comun alle Mercanzie.

Nel 1400 le strutture della Finanza Pubblica si perfezionarono accanto ai tradizionali sistemi di imposizione indiretta fiscale denominati ” dazi”.

Canaletto - S. Giacometto.jpgBanco di Pegni.jpgAi prestiti obbligatori richiesti dai cittadini allo Stato, risultati poi insolventi, crearono Chiesa di San Giacometto e il gobbo.jpgdocumenti-per-la-storia-ecnomica-dei-secoli-xiii-xvi.jpgulteriori debiti pubblici delle casse veneziani, si decise così di costituire il “Monte Vecchio”, che poi venne sostituito dal ” Monte Nuovo”, Nuovissimo e di Sussidio.

Vennero in seguito introdotte le tasse dirette, chiamate ” decime”: I mercanti potevano pagarsi l’un l’altro mediante una scrittura semplice d’accordo tra le parti presso i “Banchi da Scripta” o ” Banchi da Giro” . Verso la metà del 500 venne creato un Banco a Piazza di Rialto completamente pubblico che contribuiva ai finanziamenti per il mercato interno dello Stato: la sede di questi banchi era il Campo di San Giacometo, dove si svolgeva l’attività vera delle finanze dei mercanti e dello Stato.

Doge Andrea Dandolo.jpgNel 1284 il Governo autorizzò la coniazione di monete d’oro e d’argento: Il Ducato aureo pesava 3,65 grammi d’oro a 24 carati, e in seguito venne denominato ” zecchino”, e questa moneta divenne battuta e famosa in tutta Europa; accanto a questa moneta aurea la Zecca veneziana coniò anche monete d’argento, e tutto sotto il rigido controllo delle leggi emanate dal Governo.

Gasparo Balbi - libro.jpgNicolò de Conti.jpgCarta di cesare Federicci.jpgI mercanti veneziani dettero lustro alla Serenissima, e svelarono scoperte determinanti per l’Europa: oltre a Marco Polo nel 1400 Nicolò de Conti di Chioggia viaggiò in Asia Meridionale, nel 1500 Gasparo Balbi e Cesare Federicci visitarono le Indie.

Accanto ai mercanti i viaggiatori Veneziani furono famosi e richiesti in Europa: Alvise da Mosto offrì il suo operato ai Portoghesi, Spagnoli e Inglesi, esplorando le coste dell’Africa; Sebastiano Caboto attraversò l’Oceano Atlantico e scoprì le coste della Florida e lo Stretto di Hudson, e al servizio del Re di Spagna esplorò le coste orientali mercanti veneziani 1.jpgAlvise Da Mosto.jpg220px-Sebastian_Cabot.jpgdell’America del Sud fino a risalire il Ruo Paraguay: In questa esplorazione diede il suo nome ad uno stretto nel passaggio tra l’Oceano e il Golfo di San Lorenzo, e fra l’isola di Capo Breton e quella di Terra Nova.

Mercanti, navigatori, persone avventurose ed eccezionali di cui ho già parlato, ma non abbastanza per dare il senso vero dell’accellerazione e della propulsione che seppero e poterono dare attraverso le loro imprese alla conoscenza del mondo!!

 

 

 

Gen 8, 2013 - Cucina venexiana, Luoghi, Mestieri, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su Venezia e i suoi meriti per l’enologia europea: Le Malvasie.

Venezia e i suoi meriti per l’enologia europea: Le Malvasie.

bacaro 1.pngpranzo in famiglia del Longhi.jpgLe mense dei Veneziani, a partire dal 1200, vengono arricchite dal vino: un esempio del consumo di tale alimento si trova  nel quaderno dei conti di Bernardo Morosini , redatto dal 1343 e tenuto per circa sei mesi: In esso vengono registrate tutte le spese sostenute da questa famiglia nobile: uova, carne varia e in particolare cacciagione e polli, quindi  pesce ( che viene consumato in maggior parte in quaresima) , poi cavoli e rape, fave, acquistati quotidianamente, oltre a piselli secchi, radicchi ed insalata. Il pane viene preparato settimanalmente, e viene annotato anche l’acquisto di formaggi, freschi o invecchiati, oltre alla frutta fresca.

Ma la spesa maggiore, rispetto a queste vettovaglie, è per il vino: in sei mesi ne vengono consumati 2800 litri, per un consumo giornaliero di circa sedici litri.

Piazza San Marco a Venezia.jpgQuindi a Venezia vengono smerciate diverse qualità di questo alimento che, che viene  ricavato da vitigni già preesistenti nelle isole Veneziane, comn S. Erasmo, S. Francesco della Vigna, e addirittura in Piazza San Marco, nel terreno donato dalle suore al Doge per ampliare lo spazio intorno alla basilica di proprietà della Repubblica.

La valenza di Porto Franco di Venezia permette alla Serenissima di importare ed esportare merci e conoscenze: e nella Morea si produce un nettare malvasia.jpgmalvasia_lipari_sic.jpgmalvasia-di-bosa-doc-L-Bzx58K.jpgdelizioso, con il nome di Monemvasia. Ecco che allora, , accorciato il nome di Malvasia, il vitigno di questo nettare viene esportato a Candia, in Istria nel Lazio, a Cagliari, alle Lipari, Brindisi, Casorzo d’Asti. Chianti . Basilicata, una comunione mediterranea e vini diversi in base alle alle terre diverse.

Calle della Malvasia.jpgCASANOVA.jpgEcco che allora a Venezia sorgono delle mescite pregiate, chiamate Malvasie, contrariamente a quelle più scadenti e diverse che offrono vini locali (ma non per questo riconosciuti ora meno pregiati), come furatole, osterie o magazeni, dove addirittura chi si accomodava sulle panche, magari fornito di pane e formaggio e pesce fritto, poteva, oltre che a bere vino scadente, ottenere denaro in prestito, ottenendo metà del prestito in fornitura di vino, chiamato vin da pegno.

Casanova , nelle sue memorie, ci ricorda la delicatezza e la bontà della malvasia e la raffinatezza di scelte legate agli abbinamenti di cibi,una cultura che ha sempre fatto parte della Serenissima, abituata a sperimentare, a sceglierre, a proprorre, e a donare a tutta Europa esperienze gastronomiche particolari e diverse.

 

 

 

Il pranzo di Leccardo

confetti.jpgbanchetto speciale.jpgGiovanni Garzoni.jpgCà GTarzoni.jpgEnrico III.jpgEnrico III di Francia.jpgSiamo a fine anno, e per stasera si preparano cenoni, come da tradizione, e per questo motivo mi piace illustrare un banchetto in onore di Enrico III,  organizzato dal doge Alvise I Mocenigo, la cui descrizione ci viene lasciata dal Garzoni  ci è necessaria per comprendere appieno  lo sfarzo e la ricchezza dei banchetti ufficiali veneziani, che dettarono legge per tutte le altre corti d’Europa.medievali banchetti.jpgcredenzierei a Venezia.jpgcoppieri.jpgpentole.jpgPer poter realizzare i conviti  erano necessarie figure specializzate come cuochi, scalchi, trincianti, credenzieri, bottiglieri inservienti vari, che dovevano possedere una grande cultura professionale  con tanti modi per cuochi attenti al loro lavoro.jpginsegnamento ai coppieri.jpgpoter trasformare la materia prima  in cibi  eccellenti, avendo a disposizione una vasta gamma di attrezzature, come pentole, casseruole, mestoli e coltelli.piatto.jpgpiatto 2.jpgscalchi del 1400.jpgSala del Maggior Consiglio.jpgSala del Maggio °Consiglio 2.jpgAlvise I Mocenigo.jpgSi spiega così la stupefacente ricchezza dei banchetti veneziani  del cinquecento  dei quali ho già fatto cenno, o come banchetto 4.jpgquello descritto nel 1574 da Marsilio della Croce nella sua Historia della pubblica et famosa entrata in Venezia del Serenissimo Enrico III, e precisamente quella parte che riguarda il banchetto offerto in onore del re di Francia  nella Sala del Maggior Consiglio  in Palazzo Ducale.piatto decorato.jpgbanchetto in sala.jpgargenetira.jpg” Nella sala del gran Consiglio addobbata di cuoi d’oro dalle pitture a basso, che faceva maggior ornamento, al capo della quale dalla banda del tribunale dove c’è la sede del principe, vi era apparata una credenza d’argento di meravigliosa grandezza e bellezza, e d’inestimable prezzo,  per li molti vasi, coppe d’orto e piatto d’oro e d’ argento, che vì erano, quali non furono adoperati , ancor che si mangiasse in argento.Dall’altro lato della sala si stava posto un tavolato alto circa due braccia con alquanti gradi ai piedi, , e nel messo di esso vi era un quadro come sogliono usare tutti i gran principi, sopra il quale vi era posta la tavole per Sua Maestà, coperta da un baldacchino di broccato d’oro molto ricco.

posateria preziosa.jpg” Data l’acqua per le mani fu tenuta la salvietta dal Signor duca di Savoia, la Sua
Maestà sedette quasi a mezo della tavola in faccia della sala, lasciando luogo a destra ai Coppieri et alli gentil’huomini della bocca, che la servivano: alla sinistra nella medesima faccia sedeva il cardinale et il Principe,  dal canto poi della detta tavolasedevano li signori Duchi di Savoia e di Ferrara, e si fece la credenza a S. Maestà solamente.

Alla destra del re sopra il tavolato più spatioso vi erano due altre tavole, l’una alla destra, l’altra all sinistra, alla prima sedevano il Nunzio Apostolico, li ambasciatori, li sei consiglieri del Principe con i tre Capi XL, et alla seconda il Signor Duca di Nivers, il Signor Don Alfonso d’Este, et un signor di qualità francese, a due altre tavole poi molto più lunghe e poste più in basso del piano ordinario sedevano li carissimi Senatori della Repubblica.

zuccherini 3.jpgstoviglie preziose 3.jpgIl banchetto fu cautissimo e famosissimo per la molta copia et la varietà di preziosissime vivande, e tra queste confettini e zuccari diversi in gran numero, che ascendevano a mille et dui vento piatti, che dell’uno e dell’altra ve n’era abbondante quantità, sendo stato fatto il preparamento per il mangiare di tre millia persone, che non si poteva desiderare  ne immaginare apparato maggiore.

Qualche anno prima Andrea Calmo dava alle stampe una commedia intitolata ” El Saltuzza”nella quale Leccardo, un simpatico sbafatore, vagheggiava in questo modo un suo pranzo…

tavoli.jpgil Saltuzza di Andrea Calmo.jpgcibi per il banchetto.jpg” Oh lodato sia Bacco con tutti gli dei, che han triomphato al mondo e che mi hanno fato gracia  che niun mi ci oppone’, a questo mio convito, qual è più gloriosa vita de la mia, è pasciuto questo mio corpiciuolo, tutti li secoli sono pasciuti per me, io sono patrone, madonna, servitore, fantesca, scalco, cuoco, e infine sono io stesso de gli invitati, o come saprei ben governare una mensa, se mi ci venisse dato il carico, ponerei le vivande ordinariamente, come fa un valoroso e prode capitato di un esercito a prima giunta io ci farei venire in loco de la fanteria l’insalata, il rafano, il cresciuto lesso, lengue et salsicce, con diversi bocaloni de preciosi vini invece de tamburi, le canaglierie la carne de vitello, le supe pesce.jpgpiatti antichi.jpggrasse, gli polastri e li capretti allessi, gl’uomini darme lomboli, caponi, pernice, galli d’India, fasani e pavoni arrostiti, gli ragazzi saccomani, venturieri la salsa, la mostarda, gli cedro, le melarancie, il sapor d’uva, il codognato, le torte, viene poi il gubernatore, coletrale, collonelli, intendono la malvaggia, le ostriche, il marzapano e il confetto, di le artiglieria e arcobusi non parliamo, che per elle dopo il pranzo si scroccano di sotto e di sopra senza remissione, e godi finchè Iddio ci lascia vita, e appetito, io vo pigliarmi un schiantellino de tribiano, con due bocconi de sopresciata fin che gli caponi finiscono di cucinarsi, o che dolce, e beato vivere a l’altrui spese! “

E alla soddisfazione di Leccardo e a suoi sogni desidero augurare a tutti voi un anno riucco di sorprese felici, di propserità e di serenità! Auguriu di cuore, Piera-

 
 

 

Dic 27, 2012 - Cucina venexiana    Commenti disabilitati su La Grande cucina Veneziana – 1° parte

La Grande cucina Veneziana – 1° parte

monumento sepolcrale di Cassiodoro nato a Squillace.jpgCassiodoro 1.jpgCassiodoro.jpgCassiodoro, il grande retore giunto da Ravenna, prefetto del Pretorio con Teodorico, quindi ministro durante il regno di Vitigine, nella celebre lettera inviata attorno al 537 ai tribuni marittimi di Venezia, ci da un’informazione sul cibo degli abitanti delle isole della Laguna.

Scrive infatti che che essi hanno un solo cibo che li nutre tutti, ricchi e poveri essi hanno abbondanza soltanto di pesce.

saline asVenezia laguna nord.jpgsaline a Venezia.jpgE aggiunge che se emulazione c’è  tra quegli antichi veneziani  essa sta nel lavoro delle saline. Infatti, invece di aratri e falci essi fanno girare cilindri che sono la fonte vera della ricchezza, perchè non tutti desiderano l’oro, scrive sempre Cassiodoro, ma non c’è alcuno che non desideri il sale, al quale si deve ogni cibo più gradito.

anguilla alla pietra.jpganguilla.jpgsepie in tecia col nero e polenta bianca.jpgsepe in tecia col nero.jpgI Veneti sfuggirono alle invasioni barbariche, e dover assestarsi nel territtorio, creare basi città e civilità non dava troppo  tempo per dedicarsi alla cucina, salvo essere i progenitori nella cottura delle seppie, in tecia con il loro nero, l’anguilla arrostita alla pietra ( bisato su l’ara) e le zuppe di molluschi, delle cape sante ( coquilles  Saint Jaques per la gran cuisine) e le cape longhe o da deo.

Quanto agli ortaggi, elemento base della cucina discendente da quella dell’impero romano, si parla della lattuga romana.

Bisogna tuttavia arrivare al 1173 con la legge annonaria del Doge Sebastiano Ziani ( de edulis  vendendis, et de ponderibus, et mensuris) che fissa il prezzo massimo delle vettovaglie , per trovare più precise notizie sul vino dei Veneziani ( 20 soldi al Barile) ed  in particolare sula varietà degli alimenti ed il loro costo.

lattuga romana 1.jpglattuga romana.jpgcastradina veneziana.jpgcapelonghe.jpgcapesante.jpgNella legge Ziani viene menzionata, dopo secoli di pesce, anche la castradina, carne di castrato che serviva da cibo nelle navi veneziane., ed è il piatto tipico tradizionale per la festa della Madonna della Salute.

Pompeo Molmenti.jpggermano reale.jpgfolaga.jpgChiurli.jpgIl cibo dei Veneziani, scrive Pompeo Molmenti in “la Storia di Venezia nella vita privata”, pensando all’anno mille, oltre che carne di bove, di capretto, di maiale, era composto anche dalla cacciagione, come le anatra selvatiche ( osele)  i masorini o germani reali, le folaghe, i chiurli, le cercedule, le arzagole: Erbaggi e frutta venivano coltivati e ricavati dagli orti delle isole dell’estuario, Sant’Erasmo ecc.

Ma il valore aggiuntio della cucina veneziana viene dalle spezie: dalla Siria e dall’Egitto fu importato, nel  966 lo zucchero, che divenne quasi un monopolio per i veneziani i quali raggiunsero sulla raffinatura un livello nettamente superiore a tutti gli altri importatori.

marzapane.jpgNon tardò quindi il perfezionamento della pasticceria, e le carte antiche parlano spesso di marzapane, zeli (zaletti) pignocade, codognade, storti, occhietti, spongade e specialmente di scalette, da cui deriva il nome di scaletteri (pasticceri).

spongade 1.jpgzaleti.jpgspongade.jpglo zucchero.jpgA poco a poco, come dice Elio Zorzi in Osterie Veneziane,  con l’accrescersi delle ricchezze , crebbero il lusso delle mense e la raffinatezza dei cibi.

zaleti 1.jpgDomenico Selvo e Teodora Ducas.jpgNel secolo XI la Principessa Teodora Ducas, figlia di Alessio, imperatore bizantino, sposa del doge Domenico Selvo ( o Silvio) aveva portato per prima l’uso della forchetta a Venezia. Essa non toccava cibo  con le dita, ma lo faceva tagliare dagli Eununchi , e lo portava alla bocca con forchette d’oro.

E dal termine peirein, neogreco  peironnion  (infilzare) ecco che il nome della forchetta fu ” piron”.

Con i suoi mercati Venezia importò spezie che modificarono la cucina di tutta europa: nel 1000 erano famosi i sacchetti veneti, ripiendi di spezie aromatiche, come pepe, cannella, coriandolo, comino, chodi di garofano, noce moscata e macis.

Teodorico.jpgTeodorico 1.jpgCon calma potremo fare un exursus tra le varie ricette che si crearono nei secoli, a  partire codognata.jpgFamiglia Ducas.jpgforchetta.jpgdal 1300, ricette ancora attuali e golose, che, chiunque voglia assaggiare in questa particolare e sublime città può farlo con calma, visitando le varie osterie, bacari e trattorie.

 

 

Dic 22, 2012 - Arte, Chiese    7 Comments

Da Venezia: Auguri di Buon Natale

Cima_Nativita_ok_38272.jpg
Cima da Conegliano . Chiesa ai Carmini: Natività

Domenico Tiuntoretto adorazione dei Magi.jpg

Domenico Tintoretto : Adorazione dei Magi, 1587 – Chiesa di S.Trovaso

natività del Tiepoloo a San Marco.jpg

Natività di Giovan Battista Tiepolo –Paolo Veneziano 1333, chiesa di San Trovaso.jpgBasilica di San Marco

Paolo Veneziano ( 1333 circa) chiesa di San Pantalon: Natività

 

 

Girolamo Savoldo, natività 1540 . Chiesa di S. Giobbe Savoldo_Nativita_ok1_38183.jpg

tintoretto.jpg

Jacopo Robusti “Tintoretto”: Natività nella Scuola Grande di San Rocco

Presepe della Chiesa dei Frari Presepio-Chiesa-Frari.JPGPresepe Veneziano.jpg

Presepio Veneziano.jpg

Presepi venezianiNeve a Venezia.jpg       

Natale a VeneziaNatale in Campo S. Stefano a Venezia.jpgNatale a Venezia.jpg                                   

                         TANTI AUGURI SINCERI DI BUON NATALE, E DI UN SERENO NUOVO ANNO, CON TANTO AFFETTO,

                                                                   PIERA

Dic 19, 2012 - Architettura, Arte, Arte e mistero, Luoghi, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su La quadriga veneziana tra lo splendore dei mosaici di s. Marco.

La quadriga veneziana tra lo splendore dei mosaici di s. Marco.

basilica di s. Marco.jpgquadriga-marciana-venezia-basilica.jpgUn’immagine classica di Venezia è la famosa quadriga di S. Marco, la cui copia sta ora innanzi all’arcone di ingresso di S. Marco (l’originale è conservata all’interno e si può ammirare in tutta la sua bellezza, attorniata dai bagliori d’oro e di smalti dei mosaici che  si possono sfiorare con gli occhi talmente da vicino che sembra di essere immersi in un mondo dorato, luminoso e fantastico.

ippodromo costantinopoli_color+copy.jpgCostantino.jpgI quattro cavalli fanno parte di un bottino di guerra della IV croiciata, come la famosa icona della Nicopeia (cioè vincitrice)incastonata solennemente nell’altare che  porta il suo nome , a sinistra dell’Altare Maggiore. Le quattro statue, ricoperte d’oro stavano sopra l’ingresso dell’ippodromo di Costantinopoli, decorato in modo fastoso e superbo dall’imperatore Costantino, con una serie di opere d’arte provenienti da tutto l’impero romano.

Amche l’imperatore aveva razziato questa scintillante quadriga nel IV secolo da un altro arco di Traiano.jpgisola di Chio.jpgcentro dell’impero . Sulla provenienza le opinioni sono diverse, una che da Corinto sia stata portata a Roma per ornare l’arco di Trionfo di Nerone prima e poi di Traiano. Un’altra tradizione dice che i cavalli siano provenienti dall’isola di Chio, quale opera dello scultore Lisippo, alcuni critici infine ritengono la quadriga del tardo impero.

Da S. Sofia, presso la grande piazza dell’Ippodromo in cui si trovavano i cavalli, a S. Marco, dove li abbiamo inteerno di S. Sofia a Istambul.jpgS. Sofia.jpggiustiniano 1.jpgconosciuti, la distanza, almeno idealmente, non è immensa. La Basilica di S. Sofia dedicata , cioè, alla Divina Sapienza dall’imperatore Giustiniano ha, come si è visto, la sua continuazione più immediata nella Basilica di S. Marco, costruita dai Dogi di Venezia.

Detto questo della storia, sarebbe interessante Gattamelata-Jun04-D1846sAR.jpgosservare la sua funzione estetica ed in particolare quella classica, che questi cavalli ebbero nel cuore di Venezia, quando la città era ancora bizantina , romantica, gotica; prima della lezione rinascimentale cioè di Donatello a Padova, alla metà del quattrocento dove proprio un monumento equestre , il Gattamelata , imponeva con una visione del tutto originale la nuova classicità di Atene e Roma.

Siu faceva questo quesito un giorno anche Roberto Longhi, raffrontanto lo stile della scultura romanica a S. Marco che sta sotto gli zoccoli dei cavalli, quadriga originale.jpgInterno_della_basilica_di_san_marco,_venezia.jpgquello dei mosaici bizantini della chiesa e l’armonica esaltazione derl “reale” imposta dalla famosa quadriga. Si tratta di parametri diversi di vedere la realtà e di trasformare mentalmente in momenti diversi della nostra storia  in un luogo come S. Marco, che aveva entusiasmato lo stesso Petrarca .

Petrarca ritratto_m.jpgIl poeta dalla Loggia, presso i cavalli, aveva assistito il 4 giugno 1364 ad un torneo in Piazza S. Marco : ” io pregato , e questa è spesso della cortesia del Doge”, dice il Petrarca,” gli sedetti sulla destra e stetti due giorni a vedere dove sono quei quattro cavalli di bronzo indorati, opera antica ed illustre”.

 

Pagine:«1...891011121314...39»