Apr 22, 2013 - Architettura, Arte, Luoghi, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su Venezia città nave.

Venezia città nave.

4921_venezia_canal_grande.jpgLa personalità di Venezia e la sua struttura intrinseca a partire dal XVI secolo sono state fortunatamente e prodigiosamente documentate dal geniale incisore Jacopo de Barbari che nelle sue opere testimoniò una visione aerea che la dice lunga sulle sue capacità e sulla sua genialità, oltre alla conoscenza profonda di questa città-

Da punto di vista topografico Venezia è divisa in due grandi zone dal percorso sinuoso del Canal Grande, grosso modo una a nord-est e l’altra a sud ovest. La striscia della Giudecca non è che un completamento urbanistico di questa seconda zona.

jacopo-de-barbari-venezia-del-1500.jpgarsenale.pngIl Canal Grande però, anzichè dividere la città divenne il punto di sutura delle due zone: Esso era infatti l’arteria dove confluivano i percorsi secondari e sopratutto le principali attività commerciali. Prima di essere una bella strada di rappresentanza il Canal Grande è stato una parte, forse la più importante, della zona portuale.

Dal punto di vista residenziale non sono espressamente identificabili zone ben definite debarb.jpgDeBarbari_1.jpgdal punto di vista residenziale ed economico perchè le diverse tipologie di abitazioni, cme precerdentemente abbiamo notato, sono mescolate in uno stresso nucleo urbano, tutta via si possono identificare zone caratterizzate dall’insediasmento di case popolari abitare da pescatori , marinai o prestatori d’opera come gli Arsenalotti della zona di Castello, e Nicolotti della zona di Dorsoduro o di S. Nicolò dei Mendicoli.

Altre zone più periferiche erano caratterizzate da abitazioni di un certo tono (palazzi e palazzetti) dotati di orti e giardini, come nella parte più settentrinale di Cannaregio ed in quella meridionale della Giudecca.

I Palazzi più ricchi e si affacciavano spesso sul Canal Grande, assieme alle case Fondaco, mentre i magazzini erano prevalentemente posti sulle sponde di Castello, di Dorsoduro e della Giudecca.

canaletyto 1.jpg05_Magazzini-del-sale.jpgLe zone commerciali interne alla città si sviluppavano di conseguenza in vicinanza delle sponde del Canal Grande , attorno a Rialto, verso il centro di S. Marco e attorno ai principali nuclei urbani come S. Polo, S. Giacomo dell’Orio, S.S Apostoli, S. Maria Formosa, S. Stefano ecc. Inseriti in questa organizzazione urbana ben precisa e quasi coinnaturati con essa, vi erano i complessi urbanistici dei conventi.

250px-Ca'_d'Oro_facciata.jpg250px-Venice_-_Chiesa_di_S__Maria_Formosa_01.jpgEssi si possono dividere in due tipi, rispetto alla collocazione topografica, i numerosi conventi posti lungo il perimetro esterno della città, quasi una corona continua a sua protezione (come i conventi dei Benedettini) e i grandi complessi conventuali centrali.

Come si vede Venezia è composta da tanti elementi eterogenei, ciascuno con una precisa funzione, distribuiti con criterei di razionalità e di ordine, come incastrati tra loro in uno spazio stretto e vincolante.

Sestiere-CastelloVenezia-a23591478.jpgVenezia dall'alto.jpgSembra di osservare l’interno di una nave dove lo spazio limitato costringe a collocare ogni cosa dove deve essere collocata ” Ogni cosa al suo posto ed ogni posto ha la sua cosa” secondo un antico detto marinaro.

Il senso di solidarietà ed il rispetto reciproco sono caratteri tipici della gente di mare, virtù indispernsabili a chi deve vivere a lungo strettamente vicino, in condizioni quasi sempre di disagio e spesso di comune pericolo. Dobbiamo credere perciò che proprio questa mentalità marinara sia stata una delle radici di quel capolavoro urbanistico che è Venezia , una città cioè letteralmente circondata dall’acqua.

 

 

 

 

 

 

Venezia nel 700: euforia e ultimi bagliori di uno stato straordinario.

tb_venezia%20dall'alto.jpgvenezia_003.jpgLa Venezia del settecento, avviata ad un tramonto preavvertito, e vissuto , creò nei veneziani un’avidità di vita legata ad un fiorire e proliferare di espressioni artistiche: teatro lirica e prosa con il tipico stimolo all’evasione che queste arti comportano. Non bastassero il teatro e la musica, si diffusero i cantastorie, gli indovini, i giocolieri tra il popolo, i pittori i musicisti ed i poeti tra l’aristocrazia , che sembravano far svolgere lo sguardo e qualcosa Cà Rezzonico maschere.jpggiocolieri.jpgd’altro che non fosse la realtà, verso una divagazione raffinata, composta come un minuetto , regolata da un ritmo di vita sociale sospeso in un comune senso di gioco, allietato dalle musiche, dai colori e da opere artigiane di squisita fattura.

L’arte del settecento veneziano è forse la più difficile da afferrare per quel soffio di fantasia rarefatta che l’avvolgeva e la allontanava da terra, per quella grazia e per quell’equilibrio che richiamavano in ultima sintesi la bellezza perfetta, limpida ed apollinea, al dilà della violenza delle passioni.

venezia3.jpgVenezia dall'alto.jpgNumerose famiglie patrizie, quelle più dotate di mezzi costituirono una specie di corte in una struttura sociale con tendenze popolari, dato il tessuto urbano della città e la sua conformazione fisica così singolare che alterna, le une vicino alle altre, le aristocratiche, borghesi e popolari senza soluzioni di continuità ed obbliga tutti i cittadini ad una vita comunitaria in uno spazio ben delimitato e raccolto.

venezia repubblica marinara.jpg220px-Carlo_Goldoni.jpgLa fisionomia di Venezia così fitta di popolazione,  senza un intervallo divisorio , nella trama delle calli, campi e canali non permette i distacchi netti neppure tra classi sociali, così come erano intese nel settecento.

commedia di goldoni.jpg

immagini del Tiepolo.jpgVenezia si adattava più facilmente di altre capitali alle feste, al carnevale, all’eleganza del vestire ed offrire luoghi di ritrovo pubblico e di incontri, che naturalmente si trasformavano in teatri all’aperto, come appare nelle vedute di Venezia del Canaletto, di Guardi, di Marieschi, nelle commedie di Carlo Goldoni .

CANALETTO.jpgcanaletyto 1.jpgLa laguna, le gondole, i cortei di barche favorivano anche sull’acqua questa disponibilità di convegni e di approdi, il Bacino di S. Marco era luogo di incontri, di reciproca accoglienza e di ricevimenti, frequentato e luminoso , senza timori di traffico. Esso, allargandosi verso il Canal Grande, il Caqnale della Giudecca ed il Lido divenne estesissimo spazio urbano ; era il Guardi 1.pngGuardi 3.jpgcentro di una città abitata da una popolazione che usava la barca non solo carnevale 1.jpgcome mezzo per il traffico consueto ma anche come svago , raffinato diverso , piacevole accostamento alla natura, mentre la città era così avara di spazi e di verde nel suo tessuto urbanistico.

guardi_ridotto.jpgil ridotto a Venezia del Guardi.jpgGuardi 1.pngIl mescolarsi delle varie classi sociali favoriva cos’ gli incontri, specialmente durante il carnevale qando era permesso l’utilizzo delle maschere, per cui il dialogo continuo tra popolo ed aristocrazia rendeva coesa e partecipe tutta la popolazione alle sorti della Serenissima in un’unità rara tra governanti e gente comune, insomma, una sorta di democrazia vera per cui tutti si sentivano investiti delle sorti della loro meravigliosa città -Stato, tanto amata e tanto curata.

 

Lo scheletro e le sue campane

colonne_rosa.jpgSotto il sole, il cielo azzurro e i turisti che affollano Piazzetta S. Marco, non si può pensare che in questi luoghi così belli, artisticamente decorati siano legati i ricordi delle persone che, nel lontano passato, furono giustiziate accanto ad una colonna del porticato del Palazzo Ducale, mentre altre due,al piano superiore  che  hanno un colore diverso,sono rosa,  erano destinate alla lettura della sentenza di morte, che veniva  eseguita immediatamente dopo.

Il condannato veniva costretto a guardare il quadrante dell’orologio della torre per conoscere esattamente l’ora romanazdscf0027.jpgdella propria morte, e poi veniva giustiziato.

imagesCAIP7HFF.jpgC’era una piccola opportunità di cavarsela, anzi vana: quella di girare attorno al basamento di una colonna del Palazzo, che anche ora si può notare quanto sia consumato, senza cadere. imagesCA8TG8HS.jpg

Ma il basamento era così stretto che nessuno riusciva a farcela.

Un’altra, terribile fine la facevano i prigionieri che venivano rinchiusi in una gabbia di ferro (la gheba) ed appesi al campanile, che si trova a lato del Palazzo Ducale.

imagesCAEYZQP5.jpgIl Campanile, un amico per i veneziani, costruito nel IX secolo, poi come imploso,è caduto dentro sè stesso, ma, fortunatamente un angolo rimase intatto, e da quello si potè ricostruire la Loggetta del Sansovino, e poi il campanile intero.

E’ alto quasi 100 metri, e sopra vi è la Statua d’Oro dell’Arcangelo Gabriele alta tre metri. che gira spostata dal vento, e quando guarda alla Basilica per i Veneziani significa che ci sarà l’acqua alta.

Si racconta che un giorno il Kaiser Federico III d’Asburgo, uscito da un ricevimento dato dal Doge in suo onore, seccato per aver dovuto fare tante scale per accedere alla Sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale, si arrampicò con il suo cavallo bianco sulla scala a chiocciola del campanile, per dimostrare la sua superiorità al Doge.

Nessuno riuscì più ad emulare l’impresa.

Galileo Galilei durante la sua permanenza a Venezia usò il campanile come specola, e sempre li nel 1609 presentò il suo cannocchiale alla Signoria.

imagesCAXDV1CZ.jpgIl campanile ospita  cinque campane: il Maleficio i cui rintocchi accompagnavano una condanna a morte, la Nona, perchè segnava le nove, la Trottiera, quella delle Pregadi, che chiamava i magistrati ed i Senatori alle sedute a Palazzo Ducale, e per ultima la Marangona, l’unica che si è salvata dal crollo. Segnava l’inizio e la fine dell’orario di lavoro per i marangoni (carpentieri), ma sopatutto era l’unica che segnava i dodici rintocchi della mezzanotte.

E tutt’ora sempre a mezzanotte segna la fine del Carnevale, battendo i fatidici dodici rintocchi nella notte tra martedì e mercoledì.

Molo legato al  campanile ed alle  campane, specialmente alla Marangona, fu un uomo altissimo, il campanaro Zani, il cui scheletro è conservato al Museo di Storia Naturale di Venezia, cioè il Fondaco dei Turchi.

imagesCATPDHP8.jpgRaccontano testimoni attendibili che questo scheletro, ogni mezzanotte si allontana dal museo per andare a suonare le sue campane nel suo campanile.

Poco più a destra, guardando la laguna e la punta della dogana, ci sono dei giardini pubblici.

E’ nota a tutti veneziani la vicenda legata a questi giardini, abbastanza recente: era il 1921 quando Vinicio Salvi andò a cercare lumache, cosa che faceva ogni mattina presto. In quel giardino esisteva (ed esiste tutt’ora) una stata dedicata a Giuseppe Garibaldi.

imagesCASPWKCR.jpgVinicio, nella sua ricerca, si trovò vicino alla statua, ed il quel momento si sentì dare una poderosa spinta, per cui cadde a terra, e vide un’ombra rossa dileguarsi.

Raccontò la vicenda agli amici, i quali lo presero in giro, dicendogli che di ombre rosse lui avrebbe visto solo quelle che poteva bere al bacaro ( il bicchiere di vino a Venezia è chiamato ombra, ed il Bacaro è il l locale dove si mangiano cicchetti e si beve vino)

Qualche giorno dopo però capitò la medesima esperienza ad una coppia di fidanzatini c he cercavano un pò di intimità, poi ad un pescatore, che ne ricavò un bernoccolo in testa.

Tutti questi eventi cominciarono a creare un pò di inquietudine per cui fu costituita una ronda notturna. La notte successiva la ronda potè appurare la verità della vicenda, ma l’ombra rossa non si dileguò, anzi, prese le sembianze di un garibaldino.

Tra la gente che intanto era confluita al luogo vi fu una persona che riconobbe nel
fantasma Giuseppe Zatti, nato nel 1838, che, durante la spedizione dei 1000 aveva promesso a Garibaldi di guardargli sempre le spalle, anche dopo morto.

Il Comune allora decise di costruire la statua di Zatti proprio dietro all’eroe dei due mondi, e da quel momento non si ebbero più apparizioni.

 

Apr 6, 2013 - Luoghi    3 Comments

Campi, campielli e corti a Venezia

canal_detto_canaletto_009_Campo_Santa_Maria_Formosa_1735.jpgcampo.jpgI Campi a Venezia sono ampi spazi dove la Chiesa, soprattutto con la parte absidale è in posizione predominante e determina una complessa configurazione di questi importanti centri cittadini, come i Campi di S. Polo, S. Maria Formosa, S. Giacomo dell’Orio e S. Giovanni e Paolo.

Qui ha una posizione importante anche il campanile che con la sua direttrice verticale contribuisce alla varietà di prospettive e delle scenografie; essi sono tra i più blli di Venezia ed anche tra i più antichi, come si può determinare dall’epoca di fondazione della chiesa.

cazza.jpgcazza-ai-tori.jpgCanaletto_(1697-1768),_Venezia,_campo_Santi_Giovanni_e_Paolo,_1741.jpgQui si svolgeva la vita sociale della città, in quanto venivano ospitati mercati, cacce ai tori ( detti cazze ai tori)un sorta di corse dei tori come a Pamplona, ed anche cerimonie pubbliche, fiere popolari, spettacoli all’aperto, insomma tutto quello che una popolazione pronta al divertimento ed alla convivialità desidera vivere fuori dalla propria casa.

Vi sono però a Venezia numerosissimi altri spazi pubblici, piazzette fuori dal traffico principale, quasi sempre chiusi tra edifici di abitazione, non servite campiello a Venezia.jpgCampiello del Remer.jpgda un canale. Queste piazzette si chiamano “campielli” o ” corti”.

La corte è in genere uno spazio rettangolare, talvolta molto allungato quasi come una calle, cone alle estremità due campiello 1 a Venezia.jpgcampiello 3.jpg“sottoporteghi” per la comunicazione verso l’esterno. Nelle corti e nei campielli vi sono sempre uno o più pozzi, decorati con vere da pozzo istoriate, lavorate e di grande bellezza.

patera con grifi dell'arco della corte seconda del Milion.jpgCorte del Milion arco bizantino.jpgCorte del milion.jpgTra gli esempi più antichi è la Corte del Milion, così denominata perchè vi si trovava l’abitazione di Marco Polo, ed è ricca di numerosi elementi architettonici e decorativi veneto-bizantini e gotici.
UN’altra corte assai antica è Corte Barzizza a San Silvestro, piena di fascino medievale.

Ne campielli e nelle corti, in questi spazi così riservati,  quasi continuazione all’aperto della casa di abitazione, si svolgeva la vita cittadina più intima e segreta, e vi si stabilivano i più immediati e quotidiani rapporti sociali: con il brio dei veneziani, con la voglia di “ciacolare” nascevano amori, dicerie, litigi…vite campiello-pisani.jpgtrato dalla Commedia di Goldoni.jpgCarlo Goldoni.jpgvere e convissute: non a caso Carlo Goldoni scrisse ” Il Campiello”, che rappresenta appunto questo piccolo, vivace e sapido mondo veneziano, dove il vero protagonista in definitiva risulta essere appunto l’ambiente comune del campiello.

Apr 2, 2013 - Cucina venexiana, Mestieri, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su Le spezie a Venezia: l’importanza della Serenissima nella gastronomia europea

Le spezie a Venezia: l’importanza della Serenissima nella gastronomia europea

cannella-benefici-su-alzhaimer.jpgChiodi_di_garofano.jpgLa funzione di Venezia nell’apertura alla cultura gastronomica europea fu davvero imnportante: il contatto della Serenissima con le culture che si affacciavano sul mediterraneo, dall’Africa e dall’Asia fu un veicolo importante per l’importazione in tutta Europa di spezie: Nel V secolo venivano scaricate dalle navi provenienti dai paesi levantini circa 5000 tonnellate di spezie, quali pepe, zenzero, zafferano, cannella, nove moscata, macis, chiodi di garofano il coriandolo ed altre.

pepe-in-grani.jpgmacis_muscade_1.jpgnoce moscata.jpgcoriandolo.jpgFamosi divennero i “sacchetti veneziani” un miscuglio di queste che venivano chiamate droghe, e venduti dagli spezieri “da grosso”.

riso al latte.JPGAnche le varie etnie che formavano la popolazione veneziana lasciarono un segno ben preciso nella cucina raffinata e particolare della Serenissima: riso con l’uvetta, gli gnocchi di pangrattato, i salami d’oca e le orecchie di Ammon, una specie di galani ripiegati su sè stessi.. ed anche l’abbinamento di riso con le verdure provengono dalla mescolanza delle varie gastronomie, come ad esempio quella ebraica, mentre agli Armeni si deve un piatto particolare: il riso al latte cotto nel latte, spolverato di cannella e zucchero.

E proprio lo zucchero venne diffuso da Venezia in tutta Europa: attorno all’anno 1000 i Cavalieri Templari lo importarono da Cipro e Creta, incrementando la produzione nell’entroterra Veneto, per cui, un pò alla volta il miele venne sostituito da questo dolce elemento,

sculture di zucchero.jpgIn seguito la lavorazione di questo dolcissimo e mirabile elemento divenne cardine di un’arte che a Venezia toccò vette incredibili: famose ed elaborate sculture di zucchero vennero curate non solo da abili pasticceri, ma le decorazioni vennero curate da importanti artisti, come il Sansovino ed anche il Canova.

Famosa rimase la “dimostrazione a sorpresa”, nel 1574 al giovane Enrico, erede al trono di Francia, e figlio  di Caterina de Medici>( la corte di Francia era tra le più raffinate e rappresentative d’Europa: Nella sala del Maggior Consiglio venne allestito un banchetto che, dalle tovaglie alle supellettili, alle statue che ornavano la sala, tutto era composto di zucchero; a questo allestimenot diede apporto appunto il Sansovino con i suoi bozzetti, e i famosi e fantastici scaletèri, pasticceri sopraffini, che resero talmente verosimili le suppellettili, la tovaglia, perfino i tovaglioli, tanto che il principe si sedette a tavola convinto di iniziare il banchetto,,,,e si accorse che tutto era stato realizzato con lo zucchero quando il tovagliolo si disgregò tra le sue mani.

Naturalmente seguì il vero banchetto, ma la straordinarietà dell’evento rimase negli annali della cucina europea.

risi-e-bisi-fibished-dish.jpgsarde-saor.jpgAnche il riso venne importato dai veneziani, che all’inizio lo utilizzaano come sostanza addensante per zuppe o minestre, e veniva venduto nelle spezierie a chicchi, ed in seguito, reimpiantato e coltivato nell’entroterra veneto divenne parte essenziale della cucina veneziana: il famoso “risi e bisi (piselli) è il piatto che in genere viene cucinato per la festa del patrono, S. Marco.

Anche la vita dei veneziani, come quella di tutte le popolazioni marinare, li costrnse a cercare i modi migliosi per la conservazione degli alimenti:  nacque così “il saor”, fatto sia con le sarde e anche con i passerini, e la creazione di un pane biscottato, bussolai%202.jpgchiamato “frisopo”, che aveva il pregio di durare anche per anni sempre saporito e fragrante: Nel 1821, durante alcuni scavi a Creta operati in un antico forte veneziano, venne ritrovato un sacco contenente questi biscotti risalenti alla guerra contro i Turchi, 150 anni prima, e i frisopi si rivelarono non solo ancora commestibili, ma anche buoni. I discendenti sono i bussolai, che ora sono dolci, anche se la ricetta del frisopo è stata dimenticata.

operascappibig.jpgScappi-Bartolomeo.jpgL’arte della cucina e della pasticceria furono quindi peculiari nella cultura della Serenissima, e proprio a Venezia vennero pubblicati dal 1500 famnosi libri di ricette, tra cui quello di uno dei più famosi cuochi veneziani, Bartolomeo Scappi-.

 

 

La reliquia della Santissima Croce

imagesCAZC9EYY.jpgimagesCA8M6IGZ.jpgimagesCAH8SZ12.jpgQuesta scuola è indubbiamente considerata la più grande istituzione laica di Venezia. Contemporanea alla più antica Scuola della Carità, il cui anno di fondazione è il 1261, la Scuola di S. Giovanni Evangelista  ricevette la massima notorietà  allorquando, nel 1360 il Guardian Grande della Confraternita, Andrea Vendramin, ricevette da uno dei massimi funzionari del Regno di Cipro , la reliquia della SS. Croce  a lui pervenuta dal patriarca  di Costantinopoli.

Grazie a questa donazione la Confraternita assunse un prestigio ed una fama fino ad allora sconosciute, tanto che i fedeli presero il pubblico impegno morale di rendere l’edificio all’altezza del tesoro in esso conservato,

imagesCASDW2GZ.jpgimagesCA16XN2E.jpgimagesCA3Z0E6N.jpgLe straordinarie sale delle gallerie dell’Accademia ospitano  alcune delle meravigliose opere dedicate alla SS. Croce: Processione della Croce in P,zza S.Marco, il Miracolo della Croce di Ponte di S. Lorenzo, di Gentile Bellini, ed il miracolo della reliquia della croce di Vittore Carpaccio, le quali, oltre che al significato profondamente religioso che esprimono, impressionano per l’estrema nitidezza  con cui ci regalano spaccati della vita veneziana di allora.

Parimenti alle vicende artistiche procedettero quelle architettoniche ed intorno al 1415 la Scuola era praticamente finita.

imagesCAY7DZPW.jpgimagesCAWSDS2H.jpgA Bartolomeo Bon è da accreditarsi il magnifico portale marmoreo sormontato da un lunettone con l’Aquila, simbolo  proprio di S. Giovanni Evangelista, portale appunto che dava accesso al cortile privato, delimitato dall’edificio della Scuola, e della vecchia Chiesa sulla sinistra.

imagesCAA0P3G2.jpgNel 1498 Mauro Codussi, straordinario architetto ( membro della Scuola del Tajapiera) redige il progetto del sontuoso salone che porta ai piani nobiliari, e lo realizza caratterizzandola con la classica bifora  al piano intermedio, elemento da sempre presente ed emblematica dell’architettura Codussiana.

imagesCABQIS51.jpgimagesCAOEL9YQ.jpgimagesCA0JX7T8.jpgAi giorni nostri una parte della Scuola è diventata albergo, ma la reliquia della croce è sempre li, e per la gentilezza dei proprietari è accessibile alla vista dei visitatori.

 

La Serenissima: lungimiranza e regole incise su pietra!

canaletto_venezia_piazza_smarco_sudest.jpgMurazzi a Pellestrina.jpgLa Serenissima doveva la sua potenza e la sua attrattiva per tutti gli altri stati europei per la qualità dei propri artigiani, l’abilità dei comandanti delle navi, la credibilità dei suoi mercanti: queste caratteristiche erano vanto dei suoi governatori, che promulgavano leggi precise e inderogabili.

Oltre alla cura e all’attenzione continua dei suoi ingegneri ed architetti per le fortificazioni, il Murazzi a Cà Roman.jpgmagistrato alle acque vegliava sul delicato equilibrio della laguna, in perenne controllo, lavori di arginatura ( murazzi) in cui si sperimentavano sempre nuove tecniche.

A questi controlli si aggiungevano regole ben precise anche per il commercio interno: per la lavorazione dell’oro esistevano ispettori che controllavano continuamente il titolo dell’oro, la qualità delle lavorazioni, insomma, una sorta di protezione del consumatore rispetto gli artigiani, che in questo modo eccellevano nelle loro qualifiche ottenendo così prodotti sempre di alta qualità.

misure pesci.jpgtarga pesci.jpgLe leggi insomma, le regole per quanto riguarda la vita quotidiana dei veneziani, venivano inscritte sulla pietra, a conferma che il rispetto verso i cittadini consumatori veniva prima di tutto, e rimaneva stabile nel tempo.

Al mercato di Rialto, in Pescheria, si trova una lapide con su scritte le misure minime dei pesci che venivano venduti, in modo da salvaguardare la pesca, e , contemporaneamente rendere uniforme il prezzo di questo cibo tanto consumato a Venezia.

Leone_in_moeca_cippo ai SS. Apostoli.jpgUn’altra lapide, che si trova in Campo SS. Apostoli, con una grande “leone in moleca” inciso alla sommità determinava le qualità di pane e le farine che dovevano venire usate, dando così qualità precise e definite a questo alimento base: tutt’ora il pane a Venezia è di una bontà assoluta.

Altre targhe in pietra vennero quindi utilizzate anche per la vita morale dei cittadini, esortando a non bestemmiare,( la Serenissima era si di matrice cattolica, ma il suo governo era laico!).

E’ meraviglioso tutt’ora rileggere quelle regole su queste targhe, a perenne ammonizione serenissima 003.jpgricordo di una Repubblica molto attenta alla propria essenza, al suo ambiente, alle  caratteristiche di questa terra, e ai suoi cittadini che di buon grado accettavano regole e leggi che assicuravano a loro stessi un vivere armonico, sano , e dove non era permesso cercare di imbrogliare gli altri!

Mar 20, 2013 - Luoghi, Società veneziana    1 Comment

Il fulcro vitale di Venezia

Fabbriche vecchie di Rialto.jpgPalazzo dei Camerlenghi.jpgPalazzo dei 10 Savi 3.jpgPalazzo dei 10 Savi 1.jpgIl maggior addensamento di edifici pubblici avvenne, come è ovvio, attorno a San Marco, ma anche, come già visto, nella zona di Rialto col Palazzo dei Dieci Savi, quello dei Camerlenghi, le Fabbriche Vecchie e le Fabbriche nuove, che costituivano le sedi delleMagistrature.

Forno militare 1473.jpgFabbriche nuove 3.jpgFabbriche nuove 2.jpgFabbriche nuove 1.jpgVicino all’Arsenale invece furono creati due importanti edifici legati all’attività marinara, i Forni del Pane e i Magazzini dei Cereali.

All’infuori delle zone pertinenti i tre centri si trovano ben pochi edifici di interesse pubblico che non fossero legate alla funzione difensiva del più importante ingresso alla Laguna, cioà al Lido di Venezia: la cosiddetta Forte di San Andrea 3.jpgForte di San Andrea 2.jpg” Casa Rossa” di pertinenza del Consiglio dei Dieci, il ” Castel Vecchio” una fortificazione medievale ora scomparsa, ed il Magazzini del sale alle Zattere.jpg“Castel Novo” o Forte di S. Andrea, opera militare del Sammicheli.

Sulle rive del bacino di San Marco si trovano, come abbiamo visto, i Granai di San Basilio ed i Forni pubblici che affiancavano il rio dell’Arsenale, e sono quindi in qualche modo legati a questo complesso industriale.

Punta della dogana 3.jpgMagazzini del Megio.jpgLa ” dogana da mar” centro dell’attività portuale si ricollegava al centro di San Marco: poco distante, sulla riva delle Zattere troviamo i magazzini del sale di fronte ai quali, sulla riva dell’Isola della Giudecca si allineavano numerose costruzione adibite a depositi di granaglie.

Altro edificio di simile destinzione è il Magazzino del megio (miglio) ben addentro nel Canal Grande. Di grande rilevanza è notare che tutti i tre centri preposti ad attività pubbliche furono costruiti pressapoco negli stessi anni: La Chiesa di San Marco fu iniziata nel 1063, il Punta della dogana de mar.jpgpunta della dogana de mar 1.jpgPalazzo Ducale dal 1106 alo 1116, i Mercati di Rialto nel 1097 e nel 1104 l’Arsenale.

Piazza e piazzetta S. arco.jpgPiazza e piazzetta San Marco 1.jpgLa Piazza e la Piazzetta S. Marco, il complesso architettonico-monumentale più ricco e fastoso della città divennero quindi il vero centro di espansione di questa città così particolare che aveva nella flotta potente, nell’abilità dei mercanti e nella possibilità di scambi la porta illuminata verso l’Oriente.

Mar 15, 2013 - Tradizioni    Commenti disabilitati su La Sek-kah a Venezia, e la sua egemonia monetaria del mondo conosciuto.

La Sek-kah a Venezia, e la sua egemonia monetaria del mondo conosciuto.

Immagine della Zecca di Venezia.jpg120px-Procuratie_Vecchie.jpg120px-Procuratie_Nuove.jpgjacopo_tintoretto_027.jpgCon l’espansione della sua potenza, la Serenissima cominciò a coniare moneta: dapprima la Zecca ( dalla parola araba sek-kah che vuole dire conio) venne collocata a Rialto, già dal IX secolo,  ma in seguito, per motivi di sicurezza, venne incaricato Jacopo Tatti, detto il Sansovino, per alzare di un piano un Palazzo attiguo alla  biblioteca,da lui stesso progettata,  e a creare appunto l’edificio della Zecca.Esso venne eretto tra il 1537 e il 1545, in 300px-Venice_-_Zecca_-_Libreria_Marciana.jpgA destra Biblioteca Marciana confinante con la Zecca.jpgpietra d’Istria, con uno stile austero, confacente con quello delle Procuratie Nuove e Procuratie vecchie, ed alla Biblioteca Marciana, una precisa linea architettonica omogenea, creata forse, per la sua austerità a dare maggior risalto agli influssi gotici e bizantini della Basilica di S. Marco e Palazzo Ducale.

La realizzazione avvenne tra il 1537 e il 1545, e la collocazione venne scelta proprio per essere maggiormente controllata dal Maggior Consiglio. Per la costruzione dell’edificio venne usata solo pietra d’istria, in modo da evitare possibili incendi che si sarebbero potuti propagare con l’uso del legno.

Prima dell’attuale collocazione la vecchia zecca aveva coniato diverse monete, tra cui il quartarolo ( soldo che edificio della Zecca.jpgquartarolo.jpgserviva per passare sul ponte di barche da una riva all’altra del Canal Grande), ma anche il 300px-Venezia_Matapan_1328_1910332.jpgducato d’Argento, coniato sotto il Doge Enrico Dandolo nel 1202,  la moneta valeva 24 denari ed era costituita da 2,18 grammi d’argento al 0,965%: in una faccia rappresentava S. Marco che porgeva il vessillo al Doge, e nell’altra veniva rappresentato il Redentore che sedeva sul trono;rifacendosi all’arabo “mantaban” che significava : il Re è seduto” ecco che assunse anche il nome di “matapan”.

matapan.jpgMatapan di Giovanni Dandolo.jpgSuccessivamente, nel 1472, sotto il Doge Nicolò Tron venne coniata la Lira d’Argento, detta Lira Tron, moneta costituita da 6,52 grammi d’argento al 948%. Essa valeva venti soldi.

Dal 1248 (Doge Giovanni Dandolo) venne coniato il Ducato d’oro, chiamato successivamente zecchino ( appunto derivante dalla Zecca), che valeva un fiorino fiorentino, ma che era costituito da oro al 99,/% , oro moneta veneziana.jpgmonete veneziane.jpgpuro, insomma (da qui la definizione di oro zecchino!).

Dal suo trasferimento nella nuova sede, la Zecca  poteva considerarsi il simbolo della tradizionale supremazia in campo monetario e di un prestigio di cui Venezia andava giustamente orgogliosa.

Infatti la moneta veneziana assieme a quella fiorentina circolava in tutta Europa; il Ducato d’Oro ( zecchino) ad esempio era usato anche nei paesi d’oriente; nel XV  secolo si affermava che Venezia fosse “padrona dell’oro di tutta la Cristianità”.

L’edificio della Zecca risulta articolato planimetricamente in due parti: una zona interna, che si svolge attorno al coniatore.jpgcortile rettangolare, divisa in numerosi piccoli ambienti adibiti a laboratori di conio e lavorazione dei metalli preziosi, dove i coniatori si alternavano nel conio di ogni moneta: uno coniava una faccia, l’altro l’altra!

Poi nella zona esterna, con la facciata sul Molo erano custoditi i tesori della Repubblica e i depositi privati con relativi Uffici.

All’estremità del corridoio c’era l’ingresso da terra (in corrispondenza con la diciassettesima arcata della Biblioteca) e l’ingresso dell’acqua, sul piccolo Rio della Zecca.

Gli ingressi vennero quindi posti non sulla facciata, ma lateralmente ed in posizione poco appariscente : La contrapposizione tra facciata ed i singoli ingressi fanno parte di un tipico atteggiamento del Governo della Serenissima: desideroso si di esibire il simbolo della propria potenza, ma nel contempo assai prudente nel mostrare le vie d’accesso a tale potenza.

Zecchino%20di%20Venezia.jpgzecchino veneziano, o Ducato d'oro.gifNaturalmente, come per tutto ciò che riguarda l’amministrazione della cosa pubblica, Venezia aveva un occhio attento, e costituiva amministratori o controllori particolari per una istituzione così delicata: Come i governatori della Zecca, il Depositario (incaricato della sorveglianza del Tesoro pubblico) i ” Provveditori sora oro e monete”, per controllare l’oro e gli altri metalli preziosi, il Conservatore del Deposito, che doveva controllare affinchè le uscite pubbliche avvenissero a norma di legge, ed i Massari all’argento e all’oro che dovevano controllare le quantità di metalli pregiati che qui venivano conservati.

Di questi magistrati rimane un’immagine del Tintoretto, quadro conservato presso le Gallerie dell’Accademia con titolo:  ” La Madonna dei Tesorieri”.

Madonna dei Tesorieri 1567 Tintoretto Gallerie dell'Accademia.jpgAnche questa capacità della Serenissima  di esprimere a livello monetario la propria potenza, divenne motivo per legare all’arte l’orgoglio di questa Repubblica unica al mondo, e di una città altrettanto unica.

 

 

 

Mar 10, 2013 - Architettura, Arte, Luoghi, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su Alzando gli occhi a Venezia: i Liagò, tra luce e acqua!

Alzando gli occhi a Venezia: i Liagò, tra luce e acqua!

altana.jpgaltana1.jpgL’architettura veneziana spicca tra tutte le altre per le particolarità legate alla struttura stessa della città, legata alla luce, così scarsa nelle piccole calli, ai piani bassi, e così meravigliosamente limpida e iridescente sui piani alti dei palazzi, per cui se si potesse camminare per Venezia guardando soltanto in alto, si vedrebbero le altane ( terrazzine in legno create alla sommità dei tetti)e le Logge.

liago.JPGLiagò sul Ponte dei Bareteri.jpgQuelle che occupano tutto o buona parte dell’ultimo piano  nella facciata di buona parte dei palazzi  si chiamavano “liagò”probabilmente perchè erano  utilizzate per prendere il sole ( dal greco Heliacon), e sono presenti, per quanto molto restaurate nei periodi del periodo veneto-bizantino del XIII-XIV secolo , per esempio nel Palazzo Donà sul Canal Grande e nel cosiddetto “Albergo del Salvadego”, a San Marco.

In alcuni palazzi gotici vi è un altro tipo di loggia, posta a copertura di scale esterne , la troviamo nel Palazzo Grifalfoni a Castello, nel Palazzo Ariani-Minotto all’Angelo Raffaele, nel Palazzo Fortuny a S. Beneto.

Iliagò a Palazzo Barbarigo.jpgLIAGò2.jpgn quest’ultimo le serie di logge sovrapposte richiama alla mente quella ancor più interessante in Corte Rampani a S. Polo, o quello in Corte Lucatelli a S. Zulian.

L’armonia e la capacità di condividere con l’iridiscenza perlacea dell’acqua il bagliore del sole fanno di Venezia un mondo legato alla luce, così come la capacità di costruire era legato alla terra, e la comunicazione e la vita stessa della popolazione alla laguna.

loggia.jpgloggia a Palazzo Ducale.jpgloggia derl sansovino.jpgPer cui consiglio, chi voglia guardare in modo nuovo, di alzare ogni tanto lo sguardo e di lasciarsi ammaliare dalle strutture così particolari, uniche e belle della città unica al mondo…un tramite dall’acqua al cielo, attraverso una terra amata, saggiamente e genialmente usata da un popolo che sapeva apprezzare la natura e la bellezza che la natura insegna a perseguire!

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