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La Tana a Venezia: dai Canapi alle “Forze d’Ercole”.

navi.jpgArsenale.jpgLa supremazia della Serenissima nei mari era frutto, oltre che dalla capacità politica e diplomatica dei suoi governanti, alla vocazione mercantile che portò grazie a Venezia un forte sviluppo nelle scienze, nelle arti e nell’approfondito studio e ricerca per quanto riguardava nuove terre da scoprire, in tutta Europa.

E nell’arsenale, il centro più importante di questa superiorità marittima, venivano costruite tutte le componenti delle navi sia da guerra che mercantili. Abbiamo già parlato degli arsenalotti, gente fidata e competente, e il luogo stesso, racchiuso da imponenti mura rendeva ancor più imponente il lavoro li svolto.

Tra le componenti importanti delle navi vi erano le gomene ed altre funi, di diverse grossezze, che dovevano arsenale-di-venezia.jpgessere utilizzate per le vele e per altri scopi, e la realizzazione di questi canapi si svolgeva in una parte dell’Arsenale, chiamata La Tana.

L’Arsenale stessa ed il Campo della Tana, a Castello, erano collegati da una piccola porta, che ora è stata chiusa. Il 21 Agosto 1539 l’Ufficio della Tana viene nominato in un decreto dello Stato Veneziano.

Canapa.jpgCampo della Tana all'Arsenale.jpgL’Ufficio della Tana era istituito da tre magistrati patrizi denominati dal Senato Ufficiali della Camera del Canevo, assieme ai Visdomini della Tana nel 1589 avevano la loro sede in Campo della Tana.

In questo luogo si può notare lo stemma del Doge Pasquale Cicogna, con gli stemmi dei Badoer, Bembo ed Erizzo, nominati allora i tre Visdomini della Tana.

I Conzacaveni (acconciatori di canape) avevano preso a loro sede d’arte la Chiesa di Doge Cicogna.jpgfamiglia Badoer.jpgErizzo.jpgSan Biagio, presso l’altare dei Sette Dolori, sotto il Chiesa di San Biagio.pngPatrocinio della Santissima Croce.

S. Giovanni in Bragora.jpgNel 1488 la Scuola dei Filacanevi si trasferì alla Chiesa di San Giovanni in Bragora. Tra il 1700 e il 1800 il Campo della Tana venne scelto  dagli abitanti del Sestiere di Castello Campo della Tana.jpgforze.jpgforze-ercole.jpgForze%20di%20Ercole.jpgFondamenta e Rio della Tana.jpgPonte sul Rio della Tana.jpgper organizzare il giovedì grasso i loro giochi delle ” Forze d’Ercole “prove di equilibrio e di agilità i castellani creavano delle alte piramidi umane che si reggevano su un tavolato sorretto da panche.

Luoghi veramente suggestivi, carichi di storia e di storie, luoghi semplici che conservavano i preziosi segreti di un’Arsenale che per secoli costruì tra le più belle  e potenti navi che solcarono i mari.

 

Le maschere, tradizioni e magia del Carnevale a Venezia

imagesCAAZZUJ7.jpgLa Venezia del 700 aveva la fama di essere la più gaia e contraddittoria delle capitali euopee.

I carnevali in cui uomini e donne andavano mascherati e indulgevano alle libertà rese possibili dalla finzione, creavano uno spirito durante tutto l’anno, un’aria di festa di cui era intrisa tutta la città. (F.C. LANE ).

Si dice che il termine carnevale nasca da “carnem levare”, togliere la carne: Nel medio evo infatti si usava, dopo un lungo periodo di festa, imbandire un banchetto per annunciare l’allontanamento della carne dalle mense (mercoled’ delle ceneri).

Nel XII secolo si hanno le prime tracce sulle origini del carnevale a Venezia. Tramite le  cronache del tempo si apprende che il giovedì grasso si celebrava la vittoria del doge Vitale Michieli II sul patriarca Ulrico di Aquileia, nel 1162.

In memoria di questa sconfitta il patriarca Ulrico ed i suoi successori dovevano inviare al Doge 1 toro, 12 pani e 12 maiali.

La caccia ai tori.jpgcaccia dei tori.jpgcaccia ai tori.jpgimagesCA8CAI6P.jpgNel cortile di Palazzo Ducale si svolgeva una corrida, poi gli animali venivano macellati e cucinati, e la carne veniva divisa tra nobili, clero e popolo, mentre i pani venivano dati ai prigionieri.

Il Giovedì grasso veniva chiamato scherzosamente “berlingaccio”. Dal 1296 il Senato dichiarava festivo anche il martedì grasso.

rappresentazione in piazzetta S. Marco.jpgimagesCA4YQLDP.jpgDalla metà del 400 al 500 l’organizzazione della festa era affidata alle Compagnie della Calza, associazioni di giovani patrizi che indossavano calze con i colori del proprio Sestiere. Tutt’ora questa associazione esiste ed è molto attiva.

imagesCAIXDE9B.jpgDurante i festeggiamenti venivano usati  i fuochi artificiali, si svolgeva poi una gara tra Castellani (abitanti dei sestieri di Castello, Dorsoduro e S. Marco)e Nicolotti (abitanti degli altri tre sestieri) in una prova di forze tra due piramidi umane. Nel 600 e nel 700 si eseguiva la moresca, una danza fatta con le spade in modo da simulare i combattimenti tra cristiani e mori; quindi il volo della colombina o Angelo, che si svolge tutt’ora, ma che nacque nel 1500 quando un acrobata turco fece stendere una fune da una barca ancorata alla darsena di San Marco fino alla cella campanaria del Campanile di S. Marco imagesCA2EGCH4.jpg. La sua performance entusiasmò i veneziani ed il doge che lo remunerò con una somma di denaro. In seguito furono gli arsenalotti a voler eseguire questo pericoloso esercizio, ma quando , nel 1759, l’acrobata di turno cadde e morì, venne sostituito con una colomba fata di legno, da qui volo della Colombina, quindi dell’Angelo.. che tutt’ora da inizio ufficiale al Carnevale veneziano.

imagesCAHPX19C.jpgimagesCAV3YY0H.jpgAl fondaco dei tedeschi si lasciavano liberi i tori, e i giovani facevano come a Pamplona la corsa dei tori per cui , una volta aperto il portone, gli animali si riversavano da S. Giovanni Crisostomo fino imagesCA7CIC6M.jpgimagesCAEOONUC.jpga S. Polo, rincorsi dai ragazzi.

A Venezia il carnevale aveva inizio dal giorno di S. Stefano, quando il governo dava la licenza di portare le maschere.

fenice.jpgimagesCAJI3D4W.jpgimagesCADLDSQH.jpgFra l’altro si svolgevano varie manifestazioni teatrali, visto il gran numero di Teatri che c’erano a Venezia: il S. Salvador , oggi Goldoni, S. Cassiano, S. Angelo, S. Moisè, S. Giovanni Crisostomo , ora Malibran, il S. Samuele ed il S. Benedetto, ora La Fenice.

imagesCAFDXAGB.jpgIndossando la Bauta, la tipica maschera veneziana, si annullavano le differenze sociali, si intrecciavano idilli e relazioni, i giocatori d’azzardo potevano giocare tranquillamente perchè non venivano riconosciuti. Ma la maschera regina non fu solo la Bauta: nota era la ” Gnaga” un travestimento da donne per gli uomini, che La gnaga.jpgla moretta.jpgmaschera della gnaga.jpgindossavano questa maschera di muso di gatto e reggevano un cesto che avrebbe dovuto contenere gatti..la maschera si aggirava miagolando movendosi con  gesti vezzosi. Altra maschera di moda era ” la Moretta” che doveva essere sostenuta con la mano davanti al volto, e la persona che la reggeva non parlava (non a caso veniva chiamata “la Servetta muta”) A realizzare queste maschere erano degli artigiani che vennero conosciuti come tali dalla Serenissima, con atto del 10 Aprile 1436 (l’atto è tutt’ora conservato presso l’Archivio di Stato). 

Il carnevale per i veneziani era così importante da non poter essere interrotto. Il doge Paolo Renier morì il 13 febbraio 1789, ma la notizia venne diffusa solo il 3 marzo, al termine dei festeggiamenti.

arte dei mascareri.jpgTra le varie usanze quella importante della festa delle Marie risalente addirittura al 943, all’epoca del Doge Pietro III Canduano. Il 2 febbraio di ogni anno, dedicato alla purificazione della Vergine era usanza che le spose di Venezia si recassero presso la Basilica di S. Pietro di Castello dove venivano benedette, per poi raggiungere S. NIcolò del Lido dove le attendevano i futuri mariti, poi insieme raggiungevano S. Marco, quindi, salite sul Bucintoro, raggiungevano la Chiesa di S. Maria Formosa.

Quell’anno invece a S.Pietro di Castello fecero un’incursione i pirati istriani che le rapirono con le loro doti, ma questi vennero prontamente inseguiti dagli “Arsenalotti” che li raggiunsero e li uccisero tutti tra le isole della laguna di Caorle, proprio vicino al compagnia teatrale.jpgIl rinoceronte.jpgmolo delle Donzelle (tutt’ora così chiamato).  Questa vittoria contro i pirati venne celebrata ogni anno con la festa delle 12 Marie, in cui dodici fanciulle particolarmente meritevoli in virtù venivano fornite di dote dalle famiglie nobili veneziane.

Nel 1349 le fanciulle vennero sostituite da pupazzi di legno che vennero spregiativamente chiamate dai veneziani Marie de Tolla (legno), e sembra che derivi da qui il termine marionette. Ultimamente questa ricorrenza è stata ripristinata anche con  una regata.

galani o crostoli.jpgfrittole.jpgNaturalmente queste tradizioni veneziane furono e tutt’ora sono accompagnate dalla degustazione dei dolci tipicamente veneziani: le fritole ed i crostoli (o galani).

Il Carnevale a Venezia è sempre stato ed è speciale: tra i Campi e i Campielli, nei Teatri, nei sontuosi palazzi e nelle piccole calli complici, ovunque sia si aggiravano e si aggirano tutt’ora maschere imperscrutabili, sfuggenti e …senza tempo..il tempo in questo periodo si ferma e lascia libero spazio allo spirito veneziano, al desiderio di allegria, all’uso della maschera per le piccole, innocenti e frizzanti ” trasgressioni”.

La Corporazione dei Fritoleri a Venezia

a venezia.jpgL’indiscussa regina dei dolci veneziani è “la fritola”, ovvero la frittella.

Da sempre è stata considerata il dolce nazionale della Repubblica Serenissima, gustata non solo a Venezia ma in tutto il territtorio veneto – friulano, seppur con ricette diverse, fino ad arrivare in Lombardia.

La frittella veniva prodotta esclusivamente dai “fritoleri” che quasi a sottolineare questa loro ufficialità, nel 600 si costituirono in associazione.

imagesCARMW3E7.jpgLa Corporazione era formata da settanta fritoleri, ognuno con una propria area dove poteva esercitare in esclusiva l’attività commerciale e con la garanzia che a loro sarebbe potuti succedere solo i figli, tramandando quindi l’arte e l’attività in famiglia, di padre in figlio.

Questa attività ebbe fine solo negli ultimi anni dell’800.

La ricetta di questo dolce risale alla seconda metà del 300 e si tratta del più vecchio documento di gastronomia veneziana custodito presso la Biblioteca Nazionale Canatense a Roma, esiste poi una ricetta rinascimentale che si presenta come una sorta di appunto di cucina che è contenuta in una miscellanea di documenti del Fondo Correr (Museo Correr a Venezia).

imagesCAWQJ6Y3.jpgIn ogni caso l’invenzione viene attribuita a Bartolomeo Scappi, cuoco di Papa Pio VI, autore di trattati di gastronomia che hanno fatto la storia della cucina italiana.

imagesCAU3NRU3.jpgFrittelle.jpgLa corporazione dei “Fritoleri” riuscì ad ottenere dalla Serenissima il permesso di “frizer” nei campi “boccon da poareti e da siori”(così dicevano).

C’erano fritoleri che preparavano e friggevano i dolci all’aperto o chi si riparava sotto una baracchetta di legno.

imagesCAUWXH3M.jpgimagesCAC4YVDQ.jpgIl nobiluomo veneziano Pietro Gasparo Moro descrive così i fritoleri:
Hanno sempre sul davanti un pannolino che s’assomiglia al grembial delle donne, che sembra venuto allora fuor dal bucato. Tengono in mano un vasetto bucherellato con cui gettano del continuo zucchero sulla mercie, ma con tal atteggiamento che par vogliano dire: e chi sente l’odore e il sapore di questa cosa che noi inzuccheriamo?.

Mentre lo storico Giovanni Marangoni scriveva: Cuocitori e venditori a un tempo, impastavano la farina sopra ampi tavolati per poi friggerle con olio, grasso di maiale o burro, entro grandi padelle sostenute da tripodi.

A cottura ultimata le frittelle venivano esposte su piatti variamente e riccamente decorati, di stagno o di peltro. Su altri piatti, a dimostrazione della bontà del prodotto venivano esibiti gli ingredienti usati: pinoli, uvette, cedrini.

imagesCALWP2Y0.jpgfoto1251_1.jpgimagesCA1NCPXB.jpgDella frittella parla anche Goldoni nella sua Commedia il Campiello scritta nel 1756, e la conseguente opera musicale di Wolf Ferrari ispirata proprio a quella commedia.

Moro Lin in una sua memoria ne descrive a suo modo la ricetta: Composte da fior di farina di formento, rimpastate a lievito unito i pignoli e a zucchero, con uva che pendeva dai tralci delle viti calabre, vengono collocate nell’olio bollente.

E l’economista veneziano e noto buongustaio Ugo Trevisanato così descriveva le regole in versi rimasti famosi: ” La dev’esser gustosissima, cotta bene e ben levada, un pocheto inzucherada. Calda…o freda se volè”.

una fritola ebraica.jpgLa fritola contagiò anche la cucina ebraica che ne fece una propria versione ed ancor oggi viene preparata per la festa del Purim.

Azzardo la ricetta:

Mescolare in una terrina la farina 00 con latte, uova e zucchero, facendone un impasto abbastanza tenero, aggiungere un pizzico di sale, un pò di lievito di birra, uva sultanina bagnata ed infarinata, e si rimesta molto bene cercando che tutto si amalgami; lasciare il composto coperto a lievitare in un luogo tiepido per alcune ore.
Lavorare di nuovo il composto, aggiungendo se ce ne fosse bisogno un pò di acqua per rendere più fluido l’impasto e versare a cucchiaiate in olio bollente, e quando si rapprende voltarlo con una schiumarola fino a che prenda un colore marrone chiaro. Quando sono pronte levarle con la schiumarola e posarlas su canovaccio o carta assorbente, mettendoole a cupola su di un piatto, coperte da un velo di zucchero vanigliato.

Vigliaccamente non garantisco il risultato!

 

 

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