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Rialto, locande con letto guarnito e porte per botti a Venezia

Rialto.jpgrialtolegno.jpgPonte di Rialto.jpgRialto, le sue rive ed il suo celebre ponte: All’inizio, nel 1181 Nicolò Barettieri lo creò come ponte di barche, per diventare poi, nel 1250 una costruzione in  legno che si apriva per  far passare le navi con le loro vele, diventando poi quello attuale su progetto di Antonio da Ponte realizzato nel 1588, era il fulcro dei commerci e delle attività mercantili.

A Rialto  arrivavano e si lavoravano merci preziose come sete, spezie, oro, e dove, sotto i portici di Campo S. Giacomo c’erano i Banchi dove venivano registrati i conti personali dei vari mercanti, specialmente col sistema del “giro conto”, perfetto per non dover maneggiare denaro, per tale ragione il sottoportico era Campo S. Giacomo.jpgCampo S. Giacomp 1.jpgdenominato Banco giro.
I banchi ” de scripta” furono gestiti nei primi secoli da privati, soprattutto nobili, che dovevano ottenere l’autorizzazione versando un’adeguata cauzione, poi, dal 1587, passarono direttamente alla gestione dello Stato.

I mercanti potevano negoziare “mutui ad negotiandum”, prestiti veri e propri, oppure trattare “le colleganze” , forme assai diffuse dal 200 al 300, di compartecipazione di soci finanziatori ” socius stans”, che non si movevano da Venezia, ed i ” Soci procetans” che compivano i viaggi e le operazioni di scambio relative.

Il campo era sempre affollato di mercanti veneziani e stranieri e da loro agenti che trattavano affari o semplicemente si Canaletto Rialto.jpgsottoportici di Campo S. Giacomo.jpgstampa di Campo S. Giacomo.jpgtenevano al corrente, come nella Borsa, delle variazioni del mercato.

Accanto al portico del Banco Giro c’era la Calle della Securtà ed il Caffè della Securtà, dove si stilavano polizze assicurative contro i rischi derivanti dalla navigazione (avarie, naufragi, assalti di pirati ecc.)

Rialto inoltre brulicava di alberghi dove il proprietario detto camerante forniva il cosidetto ” letto guarnito”, in cui era previsto l’alloggio, il riscaldamento, la cena e la compagnia.

naranzeria.jpgerbaria venezia.jpgerbaria a Rialto.jpgQui sorse il mercato di Venezia, con l’Erberia, dove venivano vendute le verdure e la frutta provenienti dalle isole, la Pescheria, che non vendeva solo pesce ma anche uccelli, la Naranzeria ( da arancia), formata da piccoli e bassi magazzini che vendevano agrumi.
Nella Casaria si vendevano formaggi e anche carne di maiale conservata sotto sale.

Insomma, la toponomastica ci da indicazioni precise delle attività che si svolgevano in questo punto nevralgico ed attivo della Repubblica.

La Ruga e il Sottoportico degli Oresi ( orefici)che qui avevano le loro sedi, e che per effetto della pescheria3.jpgcolonna pescaria.jpgpescheria 2.jpgdelibera del Maggior Consiglio del 23 Marzo 1331 erano obbligati a lavorare e vendere l’oro solo nell’isola di Rialto.

C’era il Campo delle Becherie ( da Becher, macellaio), la Calle dello Stivaletto,dall’insegna di un negozio di calzolaio con  uno  stivaletto, la Calle del Capeler, (il Cappellaio) Quella del Marangon (falegname e lucidatore),Calle del Manganer (lucidatore di sete e di lane) Calle dei Varoteri (Pellicciai).

Il Ponte delle Spade, la Calle della Donzella, Calle del Sturion e quella della Campana erano i nomi di altrettante locande o alberghi.

LocandaSturionCarpaccioParticolare.jpgL’Osteria della Scimia si trovava in un palazzo proprietà delle monache che l’avevano dato in affitto, quella del Gambero, quella della Donzella, e quella dello Sturion, immortalata in un quadro di Vittore Carpaccio, ” Miracolo della Reliquia della Santa Croce”.

C’era anche in Fondamenta della ” Stua ” (stufa) un locale pubblico che ospitava una sorta di piscina riscaldata, dove, nonostante la propibizione, con le abluzioni gli ospiti più licenziosi potevano usufruire della compagnia  delle  cortigiane che stazionavano sul vicino Ponte de le Tette.

E sempre nella zona, in Campo Rialto Novo c’è ancora il bassorilievo con lo stemma dell’arte dei boteri (o bottai) risalente al XVII secolo, che avevano l’obbligo di aggiustare gratuitamente le botti del Doge, ma con diritto ai campo di Rialto novo.jpgRialtoBassorilievoBotte.jpgCalle dell'Arco.jpgcerchi, ai vinchi e alle cibarie per gli operai.

Proseguendo si passa per la Calle dell’Arco, dove due archi uniscono due palazzi solo per indicare che entrambi gli edifici erano di proprietà di una sola famiglia, la calle poi diventa Calle dell’Ochialer (occhialaio), dove c’erano le botteghe che si servivano dell’arte dei Cristalleri i quali si erano riuniti in confraternita, e nella mariegola si sanciva che l’oglar doveva essere in cristallo puro e non in vetro.Per la prima volta gli occhiali vennero nominati in un documento, ed è accaduto a Venezia nel 1274.

Proprio dove la Calle dell’Arco diventa Calle del’Ochialer doveva esistere un magazzino del vino, proprio a metà strada fra la riva del Vin (dove, è ovvio, si scaricavano le botti) e la Calle dei Boteri Lo spazio era limitato,e all’attuale anagrafico 456 escogitarono un sistema per far passare più agevolmente una botte attraverso una porta un RialtoPortaVerticale.jpgRialtoPortaOrizzontale.jpgpò stretta, ed ecco il risultato!

Giustizia al Palazzo dei 10 Savi..jpgPalazzo dei 10 Savi.jpgSu tutte queste attività vigilavano i Magistrati  nel Palazzo dei 10 Savi alle Decime, una sorta di Ministero delle finanze, e sul  cui angolo è esposta, alla vista e a monito di tutti, una grande statua raffigurante la Giustizia.

 

 

Le Compagnie della Commedia dell’Arte a Venezia

400px-Commedia_dell%27arte_-_troupe_Gelosi.jpgNel 1400 le rappresentazioni all’aperto divennero spettacoli riservati nelle feste date nei palazzi ed all’interno delle corti.Si formarono così le Compagnie della Commedia dell’Arte, che si spostavano di paese in paese.

Con la Commedia dell’arte nascono le prime maschere. Una delle prime compagnie nacque a Padova verso la metà del 500, e si esprimeva in padovano con il rozzo linguaggio del Ruzzante, ed i protagonisti non erano caratterizzati più di tanto, cambiavano di Commedia in °Commedia.

Colombina.jpgBrighella.jpgBalanzone.jpgArlecchino.jpgAntoine Watteau Commedianti italiani.jpgPiù avanti ecco che nacquero le prime maschere tutt’ora conosciute: Arlecchino, Brighella, Pantalone, Colombina, Zanni.jpgil dottor Balanzone etc. ognuna con proprie caratteristiche che trassero la loro origine dalla stilizzazione delle maschere del volto del demonio,ed erano le  maschere degli Zanni. Poi, naturalmente, ogni maschera acquisì le proprie caratteristiche ed i propri ruoli specifici.

marlecchino.gifArlecchino era il secondo Zanni, e rappresentava il servo furbo, sciocco, ladro, bugiardo ed imbroglione in eterno conflitto con il proprio padrone, che cercava di calmare le sofferenze di una fame insaziable. In seguito Goldoni gli dette delle caratteristiche lievemente diverse, e lo fece diventare anche servo fedele ed attendibile. Nel 1630 divenne famosissimo l’Arlecchino di Fernando Martinelli. Noi possiamo ricordare Marcello Moretti e Ferruccio Soleri.

Colombina, compagna naturale di Arlecchino, nella Compagnia degli Intronati nel 1530 era una servetta arguta e maliziosa, dalla parola facile, ma tendenzialmente onesta ( nel 1600 furono famose le Colombine di Isabella Biancolelli Franchina e di Caterina Biancolelli).

Brighella, maschera bergamasca era primo Zanni, e la sua maschera venne resa famosa dall’attore Carlo Cantù (1609-1676), egli era il servo intrigante e furbo, ed autore di inganni a Pantalone per favorire la coppia di innamorati rappresetnati sempre in quel tipo di commedie.  Poi, con Goldoni, divenne servo fedele e saggio.

Pantalone250.jpgPantalone.jpgPantalone, la vera maschera veneziana, chiamata così o da ” Pianta Leoni” come erano definiti i mercanti veneziani (per il vessillo delle loro navi) o dai pantaloni che portava, lunghi, sopra una zimarra rossa, maschera a becco e pantofole, la “scarsela” (la borsa dei denari) e un corto spadino. Era il mercante vero e proprio di Venezia. Nella seconda metà del 500 famoso fu il Pantalone dell’attore Giulio Pasquati.

Le Compagnie della Commedia dell’arte nacquero quindi a Venezia, e si espansero per l’Europa, creando accoliti ed estimatori.

Nel 1581 Le famiglie Tron e Michieli aprirono due teatri a S. Cassiano (demoliti poi nel 1812): dalle testimonianze di Francesco Sansovino, figlio di Jacopo, i teatri aprirono le porte anche al pubblico popolare.

Ferruccio Soleri Arlecchino.jpgMarcello Moretti Arlecchino.jpgCorte del Teatro S. Luca.jpgcompagnia teatrale.jpgA loro fecero seguito le famiglie Vendramin e Grimani che dall’inizio del 700 avevano quasi il monopolio degli spazi teatrali italiani e che fecero costruire il Teatro S. Giovanni e Paolo (ora non più esistente) ed il Teatro S. Luca.

Qui si ebbe il massimo fiorire della Commedia dell’arte, e una tradizione: gli inservienti portavano una maschera ed un tricorno, da qui il nome di “maschera” agli addetti nei cinema e nei Teatri ad accompagnare il pubblico al proprio posto.

Teatro S. Cassiano.jpgPantalone1.jpgPietro Longhi il Ciarlatano.jpgCarlo Goldoni.jpgL’apoteosi delle maschere della Commedia dell’Arte si ebbe con Carlo Goldoni che seppe dare un ruolo preciso a questi personaggi, creando gustosi e divertentissimi episodi di commedie, tutt’ora vive e vitali in tutti i Teatri del mondo.

La Kabbalah a Venezia

Oggi è la giornata del ricordo, ed io , nel mio piccolo, desidero dedicare un pensiero alle vittime dell’olocausto, ma anche ai nostri concittadini che hanno subìto lutti in quell’orribile, disumano disegno di annientamento di persone forgiate da una cultura e da una fede; lo faccio a modo mio, raccontando in poche parole la storia degli ebrei a Venezia, e mi sento orgogliosa di avere amici e parenti che di questa cultura e fede fanno parte:

Isola della Giudecca.jpgFin dall’inizio del suo dominio sui mari Venezia accolse diverse comunità di stranieri: Armeni, Tedeschi, Turchi, ma tra le più numerose vi furono quelle dei Greci e degli Ebrei.

Gli ebrei, dopo un lungo periodo in cui furono accettati e poi rifiutati, trovarono prima collocazione nell’Isola di Spinalonga, rinominata in seguito Giudecca, quindi, vero la metà del 1500 presso alcuni isolotti di Cannaregio, dapprima utilizzati come fonderia, per le gettate dei cannoni che poi vennero trasferite all’Arsenale.

Già nel 1386 venne costruito un cimitero ebraico al Lido di Venezia, e allargato notevolmente nei secoli successivi:  Cimitero 1.jpgcimitero ebraico.jpgcimitero ebraico al Lido.jpgesso occupa un’area vastissima con tombe antichissime, rimaste intatte tra la folta vegetazione, per la regola ebraica della perpetuità della sepoltura. La suggestione del luogo è accresciuta dal’accostamento di forme di civiltà diverse, quale l’ebraica nelle scritte incise, l’ottomana, nelle steli isolate, la classica nelle linee architettoniche.

Ecco che la parola “getto” del linguaggio comune si trasformò in “Ghetto”. Altre fonti comunque fanno derivare tale termine dal talmudico “get” che significa separazione. Le comunità che si insediarono in questa zona furono quella originaria, quella tedesca, levantina e ponentina; a queste si aggiunsero i Marrani, quei poveri ebrei ebrei spagnoli.jpgconvinti con la forza, e gli spagnoli.

imagine ebraica.jpgLa Repubblica, nonostante non fosse mai stata tenera con loro gli permise di commerciare e di coltivare l’attività di medici, pratica e scienza nella quale essi eccellevano,; ma furono anche soggetto di restrizioni, come la chiusura dei cancelli al tramonto ed il divieto di circolare per la città in occasione delle feste cristiane.

imagesCA0L07HB.jpgComunque il ghetto prosperò, ed ebbe bisogno sempre di più di spazio, che trovò nella costruzione di case di sei, sette piani, tanto che alla fine il Governo Veneziano dette loro l’opportunità di abitare anche in altre zone della città, purchè non costruissero nuove Sinagoghe.

In Ghetto se ne contano ben cinque: la più antica è la Schola Grande Tedesca del 1528, e poi le altre quattro successive: la Schola Canton del 1532, la Schola Italiana del 1575, nel Ghetto Novo, e la Schola Levantina del 1538 e la Spagnola del 1555 nel Ghetto Vecchio. La Sinagoga Spagnola venne costruita da Baldassarre Longhena nel 1654, ed è anche la più grande.imagesCA80D6R1.jpg

Poco distante da questa Sinagoga, dopo un sottoportico ecco che appare in fondo un portone incassato in un muro, e tra le fessure si può intravedere un bellissimo giardino: le storie raccontano che qui abitasse liber mutus.jpgun ricco orafo, Melchisedech, che proprio in quel giardino, nel muro rivolto ad est, avesse ritrovato dietro ad alcune pietre messe in modo strano il  Liber Mutus: Si tratta di un libro composto da 15 tavole, senza alcun commento, che recano formule alchemiche che trattano del processo psicologico di realizzazione di sè proiettato dagli alchimisti nella trasmutazione della materia, la ricerca dell’immortalità, simbolizzata dall’oro, nel Lapis Philosophorum, e l’ elixir vitae.imagesCA541RBB.jpg

Joseph Nassi.jpgSembra che il libro fosse stato nascosto li da Josef Nassi, (1524-1579) Marrano spagnolo che era diventato il consigliere di Salim II, figlio di Solimano. Si dice che venne costretto a fuggire da Venezia dopo aver provocato un furioso incendio all’Arsenale.

Naturalmente, con tante etnie diverse, si trattava di ebrei aschenaziti, seferditi e tutti i figli della diaspora, si trovarono a confronto le antiche storie magiche e segrete, loro eredità, per cui fu un gran fermento alla ricerca delle conoscenze più segrete, come la pietra filosofale, la golem.jpgClavicola di Re Salomone.jpgClavicola di Re Salomone, ed alla parola vivificante per creare il Golem.

Sefer Jetzira.jpgimagesCAO4XTBB.jpgTra i libri su cui si formavano i Rabbini vi erano anche il Libro dello Splendore “Sepher ha zoa”che parla della sbalorditiva evoluzione della creatura verso il creatore, della Kabbalah, delle malattie e della guarigione,  ed il libro della Formazione “Sepher Jetzira”
attribuito ad Abramo, ed è il più antico testo cabalistico; è un concentrato di formule e corrispondenze il cui scopo è imagesCA32W4J0.jpgquello di svelare il parallelismo dei fenomeni spazio-temporali nella natura fisica e umana.

 Per Venezia e per tutta la cultura europea dell’epoca gli ebrei furono fonte di conoscenza e di scienza.La parola ghetto nacque quindi, purtroppo a Venezia, ma passeggiare sui questi campi soleggiati, attorniati da alte case, negozietti che espongono oggetti e libri bellissimi, trattorie che offrono cibro delizioso in una tranquillità ed una serenità che ti fa sentire fuori dal mondo, e fa percepire la specificità di un modo di pensare e di vivere affascinante e preziosa per la nostra cultura, anche se i veneziani sono appunto tutti veneziani, ebrei, armeni, greci, ecc. ed i veneziani si sentono orgogliosi di appartenere ad una comunità così composita e così viva.

Le Cortigiane a Venezia: Piacere e cultura

imagesCAERLR6J.jpgimagesCA9VXSQH.jpgcortigiana.jpgEssere cortigiane nel XVI secolo a Venezia significava non solo offrire il proprio corpo agli uomini più importanti della società, avendo come fine il vivere in agiatezza, ma anche saper leggere, scrivere ed intrattenere con il proprio savoir fairie: Le cortigiane  dovevano essere affascinanti, colte in molte discipline, dalla musica alle lettere, dalla danza alla politica.

Queste figure femminili tanto desiderate non furono solo muse di uomini di lettere, ma anche di diversi pittori, i quali, per la loro bellezza  le utilizzavano come soggetto per dipingere figure femminili, anche sacre, addirittura la Vergine Maria, ed esse erano felici perchè attraverso  i quadri che le raffiguravano, accrescevano la loro fama.

imagesCATP68H1.jpgsonetto di Stampa.jpgcortigiana onesta.jpg200px-422px-Allori_Portrait.jpgLe cortigiane dette “oneste” venivano definite in tal modo non per la loro rettitudine, ma perchè onorate e rispettate.

imagesCAILCCNR.jpgA Venezia dove la prostituzione era più tollerata e fiorente, le cortigiane, con la loro ostentazione ed il loro sfarzo costituivano anche un richiamo turistico ed una prova palese dei piaceri e della libertà garantiti nella Serenissima.

La cortigiana onesta.jpgMontesquieu.jpgBasta leggere Montesquieu, che imagesCAKQU8AC.jpgdiceva della Repubblica:  Mai, in nessun luogo si sono visti tanti devoti e tanta poca devozione come a Venezia. Bisogna però ammettere che i veneziani e le veneziane hanno una devozione che riesce a stupire: un uomo ha un bel mantenere una cortigiana ma non mancherà la sua messa per nessuna cosa al mondo.

imagesCABS684P.jpgProprio un proverbio veneziano del settecento riassumeva così la dolce vita suggerita ai nobiluomini: ” La matina una messeta, dopo pranzo una basseta, dopo cena una donneta”, messa, bisca, amante.

Le cortigiane a Venezia erano dette “mamole”: Secondo i diari di Marin Sanudo nella Serenissima all’inizio del 500 le prostitute erano più di dodicimila  su trecentomila abitanti.

Aretino.jpgUn paradiso per l’Aretino che durante il suo soggiorno  a Venezia unì attorno a sè un gruppo di letterati (le cosiddette officine) i cui scritti avevano come soggetto  le storie delle cortigiane.

De Montaigne.jpgUn acuto osservatore della realtà italiana come Michel de Montaigne quando giunse a Venezia si meravigliò della quantità di cortigiane che con i loro proventi avevano conseguito uno stato sociale degno di una nobildonna.

Queste si distinguevano, per categoria e prezzi richiesti, dall’abito; Se erano “oneste” indossavano eleganti soprabiti “zimarre” di velluto con i bottoni d’oro, con pelliccia di scoiattolo “vaio” e con le sopravvesti foderate di “pelliccia guarnaccia”, sottane di raso o ormesino lunghe fino a terra. Le più celebri percorrevano le salizzade e le calli seguite da paggi e servitori, ed indossavano gioielli preziosi.

imagesCAH0RZ0C.jpgDi solito si arricciavano i capelli e li tingevano di biondo, raccogliendoli con cordelline di seta in una rete d’oro. Esse seguivano i consigli di una nota alchimista, la nobildonna Isabella Cortese, che nel 1500 pubblicò il libro “Secreta”, dedicato alla cosmetica femminile , come già ho raccontato in un altro mio post.

Invece quelle di basso rango usavano giubbotti di tela, camicie e braghe da uomo. In capo avevano un mezzo velo bianco di cambrai acconcio con la falda, la quale sporgeva tanto in fuori sopra la testa da coprire tutta la fronte.

come quelle delle psrostitute.jpgimagesCAWBXN1M.jpgAi piedi calzavano scarpe rialzate, simili agli attuali zatteroni. Erano fanciulle “perdute” che si offrivano alla vista ed all’offerta dei passanti quasi del tutto svestite sul famoso “Ponte de le Tette”, incoraggiate in questo dal Doge e dal Vescovo che pensavano in questo modo di ridurre l’omosessualità dilagante in quel periodo.

imagesCARN0K4O.jpgGaspara Stampa profilo.jpgGaspara Stampa.jpgTra le cortigiane oneste e famose, oltre a Veronica Franco, di cui abbiamo già parlato, ci fu Gaspara Stampa, nata a Padova e trasferita a Venezia, la voce femminile più autentica e spontanea della poesia erotica italiana. Si innamorò del conte Collaltino di Collalto, che poi rime di Stampa.jpgl’abbandonò. La Stampa dedicò al suo amore finito “Le Rime”, un canzoniere che raccoglie trecentoundici composizioni, sonate, madrigali, canzoni e sestine.

sonetto di Stampa.jpgsonetti di Gaspara.jpgD’Annunzio citò un suo verso nel “Fuoco” in cui il protagonista è il personaggio più autobiografico di questo autore: ” Vivere ardendo e non sentire il male”.La cortigiana poetessa morì giovane nel 1554.

S. Francesco della Vigna.jpgFamosa e ricchissima fu anche Giulia la Lombarda, che, grazie alle sue relazioni con vescovi e sacerdoti importanti riposa ora accanto all’altar maggiore della chiesa di S. Francesco della Vigna a Castello.

Importante e ricca, ma che soggiornò a Venezia solo per qualche tempo, fu Tullia d’Aragona, famosa per essere l’autrice del “Discorso dell’infinità d’amore “(edito a Venezia nel 1574>) e per imagesCALDUW6J.jpglibro di Tullia d'Aragona.jpgle “Rime”.

La veneziana Bianca Cappello divenne addirittura Granduchessa. Figlia di Pellegrina Morosini e del nobiluomo Bartolomeo Cappelli, si dette alla vita di cortigiana, quindi conobbe un tale Pietro Bonaventura, fuggì con lui, e si sposò a quindici anni. Insieme andarono a firenze dove conobbero il Granduca Francesco I De Medici, che si innamorò di lei, e le fece una corte travolgente.

Il Bonaventura venne trovato morto, ed il Granduca sposè Bianca.

Francesci I de Medici.jpgTullia d'Aragona.jpg200px-Bianca_Capello.jpgMorirono entrambi avvelenati nel 1587.

 

Ott 20, 2009 - Religione a Venezia, Società veneziana    Commenti disabilitati su I Benedettini e Venezia

I Benedettini e Venezia

monaci benedettini 1.jpgLa regola monastica dell’Ordine dei Benedettini ” Ora et labora”influì molto nella fisionomia del convento benedettino nell’epoca medievale. Infatti assommava le caratteristiche del cenobio, della fattoria, del Centro Studi.

Nell’alto Medio Evo, nell’epoca di grandi rivolgimenti politici, militari ed economici, di instabilità ed insicurezza, i monasteri benedettini rappresentavano dei punti fermi, delle isole di sicure dove poteva sopravvivere, oltre ad una tradizione di vita sociale, organizzata (piccole comunità quasi autonome nell’ambito di una vasta organizzazione internazionale) anche quel tanto di cultura, arte e tecnica che la vita monastica presupponeva.

Oltre alla vita monastica gravitava attorno alla vita del convento una piccola comunità fatta di dipendenti che prestavano la Convento di San Giorgio Maggiore 1.jpgloro opera dipendente e organizzata dal Convento stesso, formando dei centri abitati, talvolta di notevole importanza. L’organizzazione conventuale diventava così centro di potere economico ed anche politico.

Precise erano le norme della Regola Benedettina per quanto riguardava l’erezione del convento: il capitolo 66 diceva…” si deve, fin quando si potrà costruire i monasteri in posizione comoda, al fine che si possa avere le cose necessarie, come l’acqua, un mulino, un giardino, una panetteria e altri luoghi che diano possibilità di esercitare delle arti e dei mestieri differenti, in modo che non si sia obbligati ad uscire dalla cinta delle mura”

monaci benedettini.jpgI benedettini, oltre che dei religiosi e degli uomini di studio, erano per vocazione anche costruttori e coltivatori: come uomini di studio erano allora in pratica i detentori della cultura. Essi svilupparono la tradizione costruttiva romana nelle chiese, dove venne rielaborata la struttura basilicale paleocristiana, e venne ripresa la configurazione del “peristilio” della casa romana quale centro di un complesso organismo costruttivo.

Il chostro dei Cipressi a San Giorgio Maggiore a Venezia.jpgchiesa di San Zaccaria a Venezia.jpgConvento di San Giogio Maggiore.jpgEd a Venezia fiorirono i conventi benedettini, legati ed intersecati alla vita comune dei veneziani: il Convento dell’Isola di S. Giorgio Maggiore,( costruito nel 982, poi, dopo il terremoto del 1223 venne rinnovato) S. Giorgio in Alga, San Michele ( questi eretti in piccole isole) mentre altri furono locati proprio nel centro della città come S. Croce, S. Zaccaria, S. Gregorio e S. Lorenzo. Al lido venne edificato il Convento di S. Nicolò.

Convento di San Nicolò.jpgChiostroi di SS. Filppo e Giacono.jpgchiostroemuseo.jpgchiostro di San Michele a Venezia.jpg Quello di S. Nicolò ( 1044)ebbe anche la funzione di avamposto fortificato a protezione della vita cittadina.
Nel 1030 venne costruito un convento di monache benedettine nell’isola di San Secondo, isola a metà percorso del Canale navigabile tra Venezia e la Terraferma ( S. Giuliano). Dopo  l’avvento di Napoleone il convento venne distrutto e l’isoletta Isola convento di San Secondo.jpgridotta nelle dimensioni attuali dall’erosione delle acque fu adibita a fortilizio.

Nel 900 vicinissimo a San chiostro_san_apollonia.jpgMarco venne costruito il Convento dei SS. Filippo e Giacomo, e S. Apollonia, di cui ci rimane il prezioso chiostro, unico esempio del periodo romanico a Venezia e costituisce un prezioso cimelio, ora sede del lapidario.

il parlatorio di San Zaccaria.jpgI benedettini e Venezia, esempio di intreccio tra vita civile e monastica in una città in cui la chiesa faceva parte integrante della vita cittadina in una repubblica essenzialmente laica.

Furatole ed antiche Osterie Veneziane

TN_bacari17.jpgVino ed osterie fanno parte delle più antiche tradizioni veneziane. Già nel 42 a.c. quando nacque l’attuale Concordia Sagittaria si coltivava la vite, non solo in collina ed in pianura, ma anche in Piazza S. Marco.ma venivano addirittura importati vini provenienti dalla Grecia, come il Cipro, l’Aleatico, lo Scrupolo, Samos, e dall’Epiro la Malvasia.

Vi erano però diverse tipologie di osterie o taverne, come i Magazeni, i Bastioni e le Furatole.

Queest’ultime erano oscuri stambugi, male illuminati da un lumicino ad olio, specie di bottegucce dei luganegheri (i pizzicagnoli)dove la sera i popolani si riunivano in una mensa comune dove veniva servita minestra e pesce fritto, ma non veniva servito vino.

imagesCAZCNIOD.jpgI bastioni erano cantine infime doveva veniva smerciato un vino di pessima qualità.

Nei  magazeni, oltre che ad ospitare, specialmente la sera operai e gondolieri, ognuno col proprio bocaleto davanti, venvano svolti anche altri servizi:I popolani che non volevano rivolgersi al Monte di Pietà, dove ottenere un prestito era molto complicato, trovavano nei proprietari di questi magazeni un aiuto per loro disastroso dando ad essi effetti in pegno, ritraendone due terzi in denaro ed un terzo in pessimo vino, chiamato anche: vino da pegni.

C’erano infine le Osterie vere e proprie (chiamate bacari) frequentate ed apprezzate da uomini di cultura come Goldoni,  Stendhal, Wagner.

imagesCA03GQC4.jpgOggi, di osterie autentiche ne sono rimaste ben poche: i veri bacari in genere sono poco appariscenti, spesso riconoscibili per un’insegna che ricorda un fatto od un oggetto particolare.

All’interno l’arredamento è essenziale: un bancone, alcuni tavoli, le botti da cui spillare il vino al momento. Alle pareti sono appesi pochi quadri o vecchie foto o come nel caso dell”Osteria Enoteca al Volto” le etichette di vini provenienti da tutto il mondo.

Qui si gioca a carte, briscola, scopa, tressette, bevendo appunto un’ombra di vino, chiamata così perchè era consuetudine per gli operai, in estate, consumare il proprio magro pasto all’ombra di qualche albero o di un riparo, bevendo, per ristorarsi, un buon bicchiere di vino.

TN_bacari22.jpgNel cuore di Rialto, all’Osteria ai do Mori, o alla ” Cantina do Spade” si continua a gustare il proprio goto dei vin, come già ai tempi di Casanova, quando le frequentava con le allegre ragazze del ponte delle Tette.

imagesCAWD6C1H.jpgimagesCAZZRI4M.jpgAll’Osteria Antico Dolo si può gustare la famosa tripa rissa, trippa bollita con aromi, servita calda con un pizzico di sale. e poi  un salto al Mascaron, che prende il nome dal mascherone inquietante che si trova alla base del campanile di S. Maria Formosa.

imagesCAO20CGI.jpgimagesCAKE1GJJ.jpgimagesCAEQLXY8.jpgPer cui un assaggio di Sarde in Saor, l’uovo sodo con l’acciughina, la seppia fritta, la polpetta di carne alla veneziana, preparata con carne bollita, patate ed aromi e poi fritta, baccalà servito con la polenta abbrustolita..un godimento di sapori e di assaggi gustati con un’ombra ed una buona compagnia.

 

I mercanti di Venezia e i primi Banchi di Pegni

nave di mercanti.jpgNel 500 a Venezia si commerciavano, accanto ai prodotti provenienti dall’Oriente, quelli  come l’olio di Puglia, i vini di Malvasia, uva passa di Zante e Cefalonia, mercurio dell’Istria e zolfo delle Marche.

Non basta, a Venezia giungevano mercanti tedeschi che venivano per acquistare i prodotti delle sue manifatture, come lo zucchero raffinato, il sapone, vetri muranesi, damaschi, velluti e soprattutto “ormesini” tessuti di seta che dalla loro destinazione erano detti  ” da Fontego”.

la Zecca.jpgInfine Venezia con i suoi 150.000 abitanti e l’alto tenore di vita doveva essere considerato un mercato interessante per le tele di lino tedesche e per i prodotti di metallurgia di Norimberga, mentre la sua Zecca ( la cui sede si trova accanto alla Biblioteca Marciana a San Marco) assorbiva grosse partite d’argento dal Tirolo e del Rame dall’Alta Germania.

Fondaco dei Turchi.jpgFondaco dei Tedeschi.jpgI mercanti stranieri potevano usufruire di fondachi, cioè magazzini con accesso all’acqua, come il Fondaco dei Tedeschi (ora Poste centrali di Rialto) o il fondaco dei Turchi, ora sede del Museo di Storia Naturale.

C’è da notare che i mercanti veneziani spesso, in Oriente ,pagavano gran parte dei loro prodotti con altre merci, come il riso, carta della Riviera di Salò, manufatti esteri come coltelli e tele di lino tedesche, o panni grossolani inglesi ( le cosidette carisee).

mercanti veneziani 3.jpgmercanti.jpgfondamenta dei Ormesini.jpgMa il grosso dell’esportazione veneziana in Oriente era costituita da prodotti veneziani come lo zucchero raffinato, il sapone, specchi, conterie, e specialmente i cosidetti “pannilana”, tessuti pregiati di seta.

ghetto_ebraico.jpgMa agli inizi del 600 si ebbero dei decrementi notevoli negli scambi, per cui i mercanti avevano bisogno di qualcuno che prestasse loro denaro, naturalmente coperti con un pegno: e gli unici che svolgevano questo mestiere erano gli ebrei, chiusi  nel loro ghetto, i quali non erano ben visti dai dogi e dalla nobiltà Veneziana, che comunque ne aveva bisogno.

Nel 1700 venne regolamentato anche il sistema, per cui i banchi dei pegni potevano prestare denaro al popolo fino a tre denari (poi innalzati a sei), con l’interesse del 5%, mentre si creò il progetto di costituire un Monte di Pietà, mercanti veneziani 1.jpgmercanti veneziani 5.jpgquesto naturalmente destinato ai ricchi mercanti più facoltosi, per il cui il prestito era compreso dai 10 ai 400 ducati (in alcuni casi, previa autorizzazione anche 1000) per operazioni da erogarsi dietro rilascio di pegni costituiti da mercanti veneziani.jpgdrapperie, biancheria, ori, argenti, preziosi.

img139.jpgIn alcuni casi, come nel “Mercante di Venezia” anche altri pegni, molto più drammatici e terribili, non certo casi reali ma soltanto frutto del genio di Shakespeare!

 

I massoni a Venezia

imagesCAX0R74Q.jpgI legami del mondo esoterico misteriosofico favorevole alla riforma  sono proiettati in campo politico su due fronti, quello britannico e quello palatino. Elisabetta, figlia di Giacomo I° di Inghilterra si sposa con Federico V, elettore palatino dell’impero asburgico, nel 1613.

imagesCAC5R5MC.jpgIl matrimono viene celebrato con una segreta simbologia nelle nozze alchemiche di Kristian Rosenkrautz, il cavaliere della rosa come speculare al cavaliere della Rosa Rossa del de Foire Queen  di Edmund Spencer.

Il primo esattamente come lo sposo Palatino  veste le insegne del Toson d’Oro germanico, e quello dell’ordine imagesCA5IWUA1.jpgdella giarrettiera britannico. Speranze antiasburgiche ed antipapali  riposte nei circoli esoterici, Kabbalistici e misteriosi nell’aiuto della Gran Bretagna nella causa Palatina. Subito prima del matrimonio J,V. Andreas ha pubblicato la Phama Fraternitas e subito dopo sono apparsi dei manifesti rosacrociani  che riprendono idee ed inviti ai fratelli rosacrociani invisibili alla Fama.

Traiano Boccolini da Venezia, nei ragguagli del Parnaso  (1612-13) esprime le medesime convenzioni.

Esiste una connessione tra circoli britannici, veneziani e praghesi  all’insegna della saldatura tra alchimia, filosofia, kabballah ed ermetismo: John Dee, Robert Fiudd, Guglielmo Poste, imagesCA1LJZI4.jpgTraiano Boccolini e Michael Myer. Prodromi dell’iluminismo filosofico settecentesco nelle opinioni dei Rosacroce.

imagesCAEJJC8S.jpgMichael Majer afferma esistere nel 1622 a l’Aja una Società di alchimisti che si facevano chiamare Rosa Croce , con imagesCA1TNEWH.jpgramificazioni anche a Venezia: i membri vestivano cordone bleu con croce d’oro sormontata da una rosa.

Statuti ed organizzazione sarebbero in libri, redatti da massoni, non facilmente reperibili.

Il Frosini afferma la Massoneria esistere a Venezia dal 1535 sino al 1686, data in cui fu interdetta a Venezia, dopo la visita del Gran Maestro della Loggia di Londra, Sir Thomas Howard, nel 1729, o se sia stata ufficializzata sotto nuova forma.

imagesCA7QZZG4.jpgA questo proposito il Sagredo fornisce notizia di una conventicola di Liberi Muratori in una casa a Madonna dell’Orto.

La nascita della Massoneria veneziana moderna avviene all’epoca di Casanova e Goldoni.

Venezia torna comunque indirettamente alla ribalta ad opera di J.E. Marconis de Negre, figlio di un ufficiale dell’armata imagesCA8LKQ1E.jpgfrancese in egitto che istituì la Società dei Saggi della Luce.

imagesCA67HZEP.jpgimagesCA0V1W5Z.jpgSostiene la conversione del prete egiziano Ormuz da parte imagesCA326HKX.jpgdi S. Marco e la linea di trasmissione degli imagesCAE4JJY1.jpgEsseni sino ai Cavalieri images.jpgGerosolimitani in Svezia ed in Scozia,

imagesCA9H905E.jpgQui sorge la moderna Società dei Saggi della Luce che reca nel suo sigillo il familiare leone di San Marco con il Vangelo aperto.

imagesCAZ12XMS.jpgimagesCAFAHPH6.jpgimagesCAPWUOWV.jpgA Venezia, con Cagliostro, nasce anche il filone egiziano.

 

 

Ago 28, 2009 - Luoghi, Società veneziana    Commenti disabilitati su Torcello, terra bizantina e culla di Venezia

Torcello, terra bizantina e culla di Venezia

Chiesa di S. Maria a Torcello.jpgesarcato di Isaaqc.jpgIsola.jpgLa zona lagunare di Venezia , verso la fine dell’impero bizantino sotto Eraclio era un territtorio bizantino, che faceva parte della provincia di Venezia a capo della quale c’era un “magister militum” alle dirette dipendenze dell’esarca di Ravenna. La Basilica di S. Maria Madre di Dio di Torcello fu costruita per ordine dell’esarca Isaac, ed a lui dedicata per “volere di Dio” a utile ricordo dei suoi meriti e del suo esercito.

L’opera fu compiuta dal “magister miliotum” Maurizio, “governatore della provincia di Venezia, mentre risiedeva in questo luogo di sua proprietà.

Teodorico.jpgCassiodoro ministro.jpgLa prima descrizione della laguna Veneta ci perviene comunque da una famosa lettera di Cassiodoro (480-575) ministro del re Teodorico che aveva posto la sua sede a Ravenna e che aveva accarezzato il sogno di poter riuinire l’Italia in una nuova unità etnica e sociale, mediante la fusione dei barbari con i romani.

Cassiodoro senatore.jpglapide di dedicazione.jpgUno dei documenti che parlano di Torcello, cioè l’isola in cui si fondò Venezia, abitata da popoli provenienti da Oderzo, da Aquileia  da Eraclea, e insediamento romano, fu un’altra lettera di Cassiodoro a Teodorico del 537, e la lapide di dedicazione della Basilica a Santa Maria Madre di Dio.

Torcello vista dall’alto è al centro del grande arco segnato dal bordo della laguna sul litorale della terraferma, a poca distanza delle dighe ove la laguna Isola di Torcello.jpgincontra il mare e nella costellazione delle varie isole che fanno corona a Venezia.

ìMosaici di Torcelo.jpggiudizio universale.jpgUn pò alla volta l’isola si spopolò, anche a causa delle condizioni ambientali poco salubri, ma rimasero, e sono ancora da ammirare la Basilica di Santa Maria Madre di Dio, del 537 d.c., una chiesa splendida, basterebbe soltanto il mosaico del Giudizio Universale per darle la dignità di fantastico monumento, il motivo della Madonna che è il perno della chiesa, la sua immagine è al centro dell’edificio, altissima ed azzurra in un cielo d’oro creato nella conca dell’abside sotto cui stanno gli apostoli.

Essa è sola in uno spazio reso immateriale dalla luce dorata del mosaico che dà il senso dell’infinito, ed appare immediata l’assolutezza e la supremazia della sua visione rispetto a tutte le altre.

resti del Battistero.jpgSan Eliodoro.jpginterno basilica.jpgmadonna 1.jpgI plutei sono di scultura bizantina, con i due pavoni che si abbeverano ad una fontana, simboli della grazia.

Qui riposano le spoglie di S. Eliodoro, patrono dell’isola.

Da ammirare anche la Chiesa di S. Fosca, del 1100, e i resti del Battistero, davanti alla basilica. Curioso è il trono di Attila, anche se sembra che il re degli Unni non vi sia mai seduto, ma che probabilmente era lo scragno di marmo che veniva utilizzato dai tribuni per l’amministrazione della giustizia, e l’altrettanto curioso ponte del diavolo, legato ad una leggenda.

il ponte del diavolo.jpgIl trono di attila a Torcello.jpgpanorama della basilica.jpgchiesa di S. Fosca.jpgIl museo è ricco di opere e ritrovamenti. C’è ancora moltissimo da scrivere su Torcello, ma per ora, per chi può e ne ha voglia, lascio la possibilità di andare ad ammirare di persona….luogo fantastico e culla della Venezia che conosciamo!

 

 

Ago 7, 2009 - Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su Filastrocche veneziane

Filastrocche veneziane

filastrocche 1.jpgfavole e filastrocche.jpgDi una cultura fanno parte integrante le filastrocche e le ninnenanne cantate ai bambini, ed anche le filastrocche cantate dai bambini nei momenti di gioco: per chi ha voglia e a chi va, leggerle è una cosa bellissima, per me, è un ritornare indietro alla mia infanzia, spero che tutto ciò sia gradito, anche perchè sono convinta che tante filastrocche siano collegate ad altre recitate con altri dialetti ed in altre regioni: tanto per capire che l’Italia, almeno nei suoi bambini, è sempre stata unica ed unita!

Pantalone.jpgSO e e so sesantanove                                 Su e giù, sessantanove
case nove da fitar                                        case nuove da affittare
daghe a papa al vecio                                  dai la pappa al vecchio
maschere veneziane.jpgdaghea col scucier    dagliela con il cucchiaio

Ea befana vien de note       La Befana viene di notte  
coe scarpe tute rote            con le scarpe tutte rotte
col vestito da romana          con il vestito da romana
viva, viva la befana            viva, viva la Befana.

Piova Piova vien                             Pioggia pioggia vieni
che te vogio tanto ben                     che ti voglio tanto bene
che te vogio tanto mal                     che ti voglio tanto male
piova piova va in Canal                   pioggia pioggia vai in Canale.

Caregheta d’oro                               Seggiolino d’oro
che porta el me tesoro                      che porta il mio tesoro
che porta el me bambin                    che porta il mio bambino
caregheta, careghin                          seggiolina, seggiolino!

Din don campanon                             Din Don campanone
7 muneghe sul balcon                        sette monache sul balcone
una che stira                                     una che stira
una che ava                                      una che lava
una che fa capei de pagia                   una che fa cappelli di paglia
una che speta so mari0                      una che aspetta suo marito
una che fassa il pan bogio                  una che prepara il pane bollito
sensa olio, sensa sal.                        senza olio e senza sale
Sue rive del canal                             Sulle rive del Canale
passa do fanti con do cavai bianchi     passano due fanti con due cavalli bianchi
passa ea guera!                               passa la guerra
tutti so per tera!                                tutti giù per terra.

Questa se a storia                             Questa è la Storia
del Sior Intento                                 del Signor Intento
che dura tanto tempo                        che dura tanto tempo
che mai no se destriga                      che non sa cavarsela mai
vustu che tea conta                           vuoi che te la racconti
o vustu che tea diga?                        o vuoi che te la dica?

Gira, gira volta                                Gira, gira volta
Piero se volta                                  Piero si volta
casca na sopa Piero se copa            cade un ramo, Piero si ammazza
casca un sopin                                 cade un rametto
Piero fa un Tomboin                         Piero cade
casca un sopon                                cade un grosso ramo
Piero fa un Tomboeon.                     Piero fa un grosso capitombolo.

 
Pum pum d’oro
la lila lancia
questo sogo
se fa in Francia
lelo, lelo mi
lelo , lelo ti
pum pum d’oro
sta soto ti!

Veneziani gran Signori
Padovani gran dottori
vicentini magnagatti
veronesi..tutti matti!