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Maria Maddalena, Giuseppe d’Arimatea e le tracce della Passione di Cristo a Venezia

Maria_Maddalena.jpgMeravigliosi misteri e storie da valutare: lascio a chiunque la possibilità di fare le proprie scelte! Venezia e la sua reliquia, mistica, del Sangue di Cristo: come già scrissi , nella Basilica dei Frari c’è il reliquario con i resti del sangue di Gesù Crocefisso, si dice raccolti da Maria Maddalena, quando il corpo, seguendo le tradizioni ebraiche, venne ripulito e cosparso di oli, ed appunto la teca “contenente questa reliquia” , conservata presso la Basilica dei Frari è stata vagliata, e questa valutazione ha portato alla consapevolezza che in quella teca è conservato sangue essiccato misto ad oli.

Il prezioso reperto venne trafugato dalla Chiesa di S. Cristina a Costantinopoli dal condottiero, Provveditore del Senato della Serenissima e capitano di terra e di mare Melchiorre Trevisan, nel 1479.

Chiesa dei Frari a Venezia.jpgAltareReliquie.jpgRitornato in patria il condottiero donò la preziosa reliquia, nel 1480 ai frati minoriti della Chiesa dei Frari. E qui da allora è conservata, contenuta in una boccetta di cristallo, racchiusa in un reliquario realizzato da uno dei più grandi orafi, Evangelista Vidulich, che, nativo di Zara, si era trasferito a Venezia (da Committenze Artistiche di Nikola Jaksic). Il tutto contenuto in un preziosissimo ed enorme porta reliquie.

Monumento a Melchiorre Trevisan ai Frari.jpgPer i suoi servigi alla Serenissima a Melchiorre Trevisan venne donato il Palazzo Cappello Trevisan in Canonica, dietro San Marco, decorato splendidamente con marmi policromi, e venne eretto un monumento funebre consistente in una statua che lo rappresenta , scolpita da Lorenzo Bregno e collocata nella Cappella a lui dedicata ,nella Basilica dei Frari.

Il Trevisan morì nel 1500 a Cefalonia.

AndreaDandolo.jpgDoge Andrea Dandolo.jpgSi presume che anche a San Marco, nella gloriosa Basilica, vi sia un’altra teca contenente il prezioso liquido: tutto ciò nasce dal racconto di Andrea Dandolo (1306-1354), il Doge bellissimo, uomo estremamente colto, laureato a Padova, nipote di quell’Enrico Dandolo che, per diversi motivi ( e ne parleremo in seguito) fece parte della quarta crociata.

San Longinio.jpgNella sua “Cronaca di Venezia”, il doge racconta che il celebre avo avrebbe ottenuto l’autorizzazione a portar via da Costantinopoli ben quattro reliquie: una croce d’oro appartenuta a Costantino, un braccio di San Giorgio martire, una parte della testa di Giovanni il Battista ed un’ampolla contenente il sangue di Gesù, raccolto da Giuseppe d’Arimatea quando il centurione Longino colpì al costato Gesù crocefisso, e ritrovata da Elena, madre di Costantino, imperatore d’Oriente. Si sa inoltre che altre “testimonianze” della passione di Cristo vennero portate a Venezia in quell’occasione: un chiodo con cui era stato trafitto Gesù,( un altro si trova custodito nella chiesetta gotica all’interno delle Gallerie Giuseppe d'Arimatea.jpgEnrico Dandolo.jpgdell’Accademia) due spine della corona con cui crudelmente venne “incoronato”e una parte dell’asta con cui era stata porta la spugna imbevuta d’aceto al moribondo. Ultima, ma importante e “moltiplicata” la reliquia della santissima croce, custodita sia col tesoro di San Marco, sia nella Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista.

L’intenzione di rendere onorevole la razzìa di Enrico Dandolo nelle chiese di Costantinopoli con un atto di omaggio a lui dedicato è alquanto curiosa, ma comprensibile visto che l’autore parla di un antenato, uomo all’avanguardia e straordinario che con la sua politica aveva reso la Serenissima potente ed ammirata.

Comunque sia dell’ampolla contenente il sangue di Cristo si parla, sempre nelle Cronache in occasione di un furioso incendio che nel 1231 distrusse parte del “Santuario”, dove venivano conservate le reliquie da cui miracolosamente si salvarono i frammenti della Santissima Croce e l’ampolla contenente il sangue che recava un cartoncino legato al collo Spina della Corona nel Tesoro di S. Marco.jpg250px-Scuola_di_San_Giovanni_Evangelista.jpgnel quale era scritto:” Sanguinis Christi”.

Gallerie dell'Accademia.jpgIn seguito, grazie ad un inventario compilato nel 1283 in cui erano descritte le reliquie viene menzionata una ” ampulla una de cristallo in qua est sanguis Salvatoris nostri Jesus Chirsti ornata auro et una perla desuper et est in quadam ecclesia argenti”.

O tramite le mani amorevoli della Maria Maddalena, o per il gesto pietoso di Giuseppe d’Arimatea, comunque sia, chi crede non può fare a meno di avvicinarsi un pò di più al mistero del figlio di Dio fatto uomo, e che ha donato il suo sangue per l’umanità.

Lug 25, 2012 - Luoghi, Personaggi, Società veneziana, tecnologia, Tradizioni    Commenti disabilitati su Venezia e la sua laguna di “incredibilem salubritatem”, tra il respiro delle maree e gli allevamenti di cavalli!

Venezia e la sua laguna di “incredibilem salubritatem”, tra il respiro delle maree e gli allevamenti di cavalli!

LAGUNA di venezia 4.jpgLe lagune sono bacini d’acqua create da fondi di fiumi che sboccano in mare lungo coste e bassi fondali. I detriti portati dalle correnti fluviali al contatto con l’onda contraria delle maree, vengono depositati nei fondali costieri creando sottili cordoni di sabbia ed inglobando così vasti spazi acquatici.

Queste acque restano però sempre a contatto col mare ed è proprio il movimento delle maree che le purifica costantemente; la forza contraria delle correnti marine, d’altra parte, impedisce il completo interramento della laguna. In relazione a queste correnti marine la laguna di Venezia è stata lAGUNA DI vENEZIA 1.jpglaguna di Venezia 6.jpglaguna di venezia 5.jpgparagonata ad una grande fiume che inverte il suo corso ogni sei-sette ore ( il ritmo delle maree), penetrando fino agli estremi limiti del bacino lagunare con la marea crescente, per uscire ad intervalli regolari  con il flusso di bassa marea (dosarsa): questo continuo flusso e riflusso marino rinnova e ripulisce costantemente  così lo spazio chiuso tra le acque interne.

isola-di-torcello.jpgGli spazi lagunari costituiscono in tal modo habitat ideali, protetti come sono dalle tempeste del mare e dalle incursioni di nemici. Inoltre facilitano traffici ed insediamenti  diventando così , per la loro stessa conformazione naturale , luoghi privilegiati, soprattutto in determinanti momenti storici.

L’ambiente naturale delle lagune è di per sè stesso instabile, soggetto continuamente ad erosioni , smottamenti, interramenti. cioè ai movimenti contrari del mare che tende ad ampliare il suo dominio, e delle correnti fluviali che invece portano ad impaludare la laguna.

Le acque morte delle zone paludose , senza il respiro della marea, divengono malariche ed inospitali, riducendo così questi ambienti a lande deserte e pericolose per l’uomo.

jacopo_da_varazze.jpgS.Giorgio e il drago 1.jpgS. Giorgio e il drago di Carpaccio 1.jpgS.Giorgio e il drago del Csarpaccio.jpgS.Giorgio e il drago 3.jpgVittore_Carpaccio_012.jpgNelle storie dei Santi di Jacopo da Varagine lo storico genovese del 1400 si trova una  delle ‘più affascinanti versioni della leggenda di S.Giorgio, un santo particolarmente venerato nei paesi marinari. Questa leggenda è nata dalla laguna di Tunisi dove il drago con cui si scontra  non è altro che la raffigurazione fantastica dell’ammorbamento dell’aria causato dall’impaludamento delle lagune contro cui gli abitanti dovevano lottare.

isola di S- Giorgio.jpgS. Giorgio a Venezia.jpgSan Marco from the Island of San Giorgio Maggiore.JPGS. Giorgio Maggiore faro.jpgChe a S. Giorgio sia stata dedicata, fin dal IX secolo l’isola che si trova proprio di fronte a San Marco non è probabilmente casuale: S. Giorgio era li a difendere la laguna contro tutti i mostri delle acque ( le gesta del Santo sono state meravigliosamente illustrare nei quadri del Carpaccio, immagini allucinate, teschi , miasmi e decomposizione).

jesolo.jpgcavallino treporti.jpgL280px-Venezia_-_Torcello_01.jpga Laguna di Venezia era conosciuta già dagli antichi greci e romani: Marziale esaltò Altino e Vitruvio (attivo dal 46 al 30 A.C.) lodò la laguna per la sua allevamento di cavsalli.jpg“incredibilem salubritatem”. Ma anche lo stesso Omero, Euripide, Alcame e lo storico Strabone menzionarono questa zona per l’allevamento dei cavalli i quali prediligono il clima marino e i terreni sabbiosi. L’antica Jesolo si chiamava infatti Equilium, prendendo nei secoli il nome di Jesolo da Giesolo, una località vicina, dopo il maremoto che inabissò Metamauco erodendo parte del villaggio che venne quindi assorbito dal villaggio vicino, assumendone quindi il nome; altra testimonianza la località del Cavallino:o una piccola Camargue!

Nel museo civico di Padova si conserva una stele che era posta sulla sepoltura di un cavallo di nome Aegyptus con l’iscrizione “Aegyptus intra iugo primo” cioè il primo  dalla parte interna del giogo, la parte più difficile in quanto doveva tirare gli altri cavalli al giro di pista.

laguna_venezia.jpgMurazzi a Pellestrina.jpgMurazzi a Cà Roman.jpgVenezia , verso la fine del 400 si trovò a fronteggiare in maniera drammatica il “mostro”fluviale. Per evitare l’interramento provocato dai Murazzi al Lido di Venezia.jpgVnezia.jpg800px-Venedig_san_giorgio_maggiore.jpgdetriti trasportati dai fiumi più importanti che sfociavano in laguna, gli illuminati magistrati delle acque provvidero, con opere di alta ingegneria addirittura ciclopiche, a deviare i corsi del <Brenta, del Sile e del PiAVE.

Venezia%20Isola%20della%20Gudecca.jpglaguna-di-venezia13.jpgVenezia, città artificiale si creò una laguna altrettanto artificiale e ciò le permise di sopravvivere. A questi si aggiunsero altri lavori come costruzioni di difesa idraulica, questa volta contro il mare, come la grandiosa realizzazione dei “murazzi” lungo i lidi. In tal modo la Serenissima  riuscì a salvare durante i suoi dieci secoli di storia il suo  spazio vitale, quello della sua laguna, con grande sapienza di decisioni e ininterrotto lavoro per conservare la città e la laguna intatte.

 

 

 

Venezia e le sue particolarità urbanistiche: città stato sempre all’avanguardia nella concezione urbanistica e nelle sue leggi!

sOTTOIPORTEGO DEL bANCO sALVISATI.jpgsottoportego del Milion.jpgParte tipica della urbanistica Veneziana è il sottoportego. Questo è un passaggio pedonale ottenuto con un attraversamento nel corpo stresso di un edificio. Dal punto di vista urbanistico i sottoporteghi possono essere suddivisi in tre tipi:il primo è un passaggio tra due spazi pedonali, cioè tra due calli o tra un campo e una calle; diversi sono gli esempi di questo tipo , basti pensare agli antichissimi sottoporteghi sulla Corte del Milion, in Corte del Fontego a S. Margherita, in Salizzada S. Lio, in Corte del Remer o in Corte Barzizza a S. Silvestro. Interessanti sono anche quelli in Campo S. Barnaba, in Calle della Bissa o a S. Giovanni Novo.

corte remer (1).jpgUn secondo tipo di sottoportego è costituito dal passaggio tra un rio e una calle, o tra un rio e un campo. Anche in questo si possono riscontrare numerosi esempi : sul Canal Grande verso la corte del Duca Sforza o verso Calle Giustiniani a Cà Foscari, oppure sul rio di S. Severo, sul rio della Pietà, sul rio Foscari ecc.

Un terzo tipo di sottoportego è ottenuto da un lungo passaggio sotto uno o più edifici posti lungo un rio; in questo caso il sottoportego prolunga e sostituisce la fondamenta e si innesta spesso con un ponte. Questo tipo di sottoportego risulta assai più legato degli altri all’architettura dell’edificio Corte del fontego.jpgcorte del Duca Sforza.jpgsottoportego nella corte del Remer.jpgsoprastante, anzi, in questo senso la determina : esso appare per la sua posizione più aperto e luminoso e ha spesso un aspetto monumentale. Vari importanti esempi di questo tipo si hanno in edifici celebri sul Canal Grande, come Palazzo Manin o le fabbriche nuove di Rialto del Sansovino, il Palazzo Moro  Lin. Altri esempi notevoli  sono i sottoporteghi della Scuola Vecchia della Misericordia, del Palazzetto Priuli a S. Sofia,  del Palazzo Falier ai SS. Apostoli, del ponte Widmann ai Biri, dal Banco Salviati a San Polo.

corte-sant-andrea.JPGcorte-milion.JPGLa soluzione economica e pratica del sottoportego, così frequente nell’edilizia e nell’urbanistica veneziana, è stata attuabile grazie ad una concezione politico-amministrativa  dove la proprietà privata poteva essere limitata e subordinata a necessità pubbliche; d’altra parte le esigenze private, in questgo caso il diritto di edificare, potevano liberamente svilupparsi fintanto che non vincolavano talune fondamentali esigenze della comunità cittadina, per esempio per necessità di transito. La rigida concezione della proprietà del Diritto romano (ab infera usque ad sidera) era così del tutto superata in una applicazione più elastica, e diciamo pure, più moderna.

Queste soluzioni, questo modo di concepire la viabilità a Venezia, con la consapevolezza che tutti i cittadini dovevano collaborare e rinunciare magari a una piccola parte delle proprie proprietà in favore di trasporti più scorrevoli, come tante piccole vene che attraversano un corpo vivo, vibrante, dove la vita è lavoro ed energia!  Venezia sempre all’avanguardia.

 

Le favole “povere” di Venezia raccontate dal popolo per celebrare la Serenissima!

strega 1.pngstreghe 1.jpgLe favole veneziane sono poco conosciute, e il merito di averle raccolte in un libro va a Domenico G. Bernoni ed a Giuseppe Nalin. Sono favole che si possono definire “povere”, nel senso che parlano di popolani, pescatori, anche se a volte aggiungono qualche regina o qualche ricca figlia di facoltosi uomini d’affari.

Alcune trovano ispirazione dalla potenza di Venezia nel Mediterraneo, nella velocità delle sue navi, nel trafugamento del corpo di S. Marco ad Alessandria d’Egitto da parte dei due furbi mercanti Buono da Malamocco e Rustico di Torcello ingannando gli “infedeli” ed anche il diavolo, come ad esempio la favola ” Sette streghe che dalla mezzanotte al mattino andarono a tornarono da Alessandria d’Egitto”.

Alessandria d'Egitto.jpgCi sono due versioni: nella prima un povero pescatore si accorse che il nodo con cui fissava la cima della sua barca veniva sciolto durante la notte. Una sera decise di vedere cosa succedeva, per cui si infilò nel fondo e rimase in attesa. A un certo punto, era giusto mezzanotte, arrivarono sette streghe che salirono a bordo, senza accorgersi di lui. La “capa”disse “sette in volo”, ma la barca non si mosse , quindi aggiunse”evidentemente una di noi è gravida”, e parlò nuovamente “otto in volo”.

In quel momento la barca cominciò a volare così velocemente, e in un attimo fondamente nuove 1.jpgfondamente nuove.jpgsi ritrovarono ad Alessandria d’Egitto, perchè questo era il luogo in cui le streghe si riunivano. Le donne scesero a terra. e qui le versioni divergono: in una anche il pescatore scese e si ritrovò nel giardino del Sultano, e qui colse un ramo di una pianta di datteri, che nascose sotto la camicia, quindi si riportò in attesa sul fondo del natante.

Tornarono le streghe, ancora “otto in volo” ed il datteri.jpgPiantagioni di datteri_4.JPGpescatore si ritrovò alle Fondamente nuove, ancora sbigottito ma soddisfatto del viaggio e del suo furto così prezioso. L’indomani portò il ramo agli amici che lo riempirono di elogi e brindarono tutti per quel prodigioso avvenimento e per l’audace furto.

Nella seconda versione il pescatore si innamorò di una delle streghe, la seguì e si presentò a diavolo (1).jpglei. Presto i due si sposarono, ma ogni mercoledì e venerdì la sposa lo incitava ad andare in osteria con gli amici. Ma un venerdì, vigilia di Natale, egli rimase a casa ed allora la moglie, facendo un incantesimo lo portò con sè in un palazzo meraviglioso dove c’era tanta gente che lui conosceva, del cibo squisito e donne sfarzosamente vestite ed ingioiellate. A quel punhto gli si avvicinò il padrone di casa che gli offrì enormi ricchezze se lui avesse firmato un foglio: capì allora che quello era il Demonio e che voleva acquistare la sua anima.

Si fece riaccompagnare a casa dalla moglie, ma ora era infelice perchè non voleva più che sua moglie fosse una strega: si rivolse ad un sacerdote il quale gli spiegò che durante il sonno lo spirito diabolico della moglie si allontanava dalla fanciulla, per cui, una volta addormentata doveva tapparle il naso , la bocca e le orecchie in modo che l’invasore non potesse più rientrare in lei. Cosi’ fece, e la moglie si svegliò felice e dolce come ogni donna normale: si fece chiamare Maria, perchè il Diavolo non può toccare nessuna donna che porti questo nome.

strega.jpgstreghe.jpgUn’altra favola invece racconta di una regina il cui marito era spesso impegnato in battaglie, tornando a casa di tanto in tanto. La Regina era perseguitata da una strega la quale, ogni volta che la donna partoriva le prendeva il figlio e lasciava al suo posto un cucciolo di cane. La prima volta il re si trovava a Cipro, la seconda a Candia e la terza in Morea, ma tornò giusto in tempo per smascherare la strega, che fu posta al rogo, mentre un vecchio pescatore ritrovò in un cesto i tre bambini che erano stati affidati alla laguna.

Il re allora riconobbe i propri figli e li battezzò con i nomi di Cipro, Candia e cipro resti.jpgcandia.jpgmorea-air-web.jpgMorea, le tre più importanti conquiste della Serenissima nel Mediterraneo. Naturalmente il re e la regina  stanno a dimostrare la sovranità di Venezia,e la storia vuole celebrare la gloria della grande Repubblica, allora dominante e retta da persone illuminate e lungimiranti.

Carlo Gozzi.jpgIl grande narratore di fiabe di Venezia, acerrimo nemico di Carlo Goldoni, Carlo Gozzi, scrisse delle meravigliose e raffinate fiabe, che parlavano di oriente di principesse, di re, di atmosfere esotiche…tra cui l’amore delle tre melarance, e la famosa Turandot che venne poi utilizzata per creare il libretto per la meravigliosa e straordinaria musica di Puccini, ma questa storie non appartenevano veramente ai veneziani.. si nutrivano di un mondo talmente di fantasia, illuminato dalla luce della laguna, dai suoi intriganti riflessi….tutta legata ed ispirata al confine sottile tra una realtà di un popolo di artigiani, tagliapietre, pescatori, ortolani….questo a spiegare le mille sfaccettature delle anime di Venezia di cui noi veneziani siamo orgogliosamente figli.

 

Donne veneziane: lo zengàle e l’arte de ” tacàr botòn”

Eugenio da Venezia-donna con scialle.jpgveneziane.jpgLe donne veneziane, sia nobili che popolane hanno sempre avuto un modo particolare di esprimere la propria femminilità: donne argute, decise, la battuta pronta, e consapevoli del proprio essere persone, oltre che donne.

Veneziana.jpgA Venezia queste caratteristiche venivano definite con un termine ” morbin”: questo brio, questa vivacità, questo modo  di sapersi districare tra le attenzioni degli uomini senza offendere, ma lasciando in qualche modo, aperta la strada per continuare a relazionarsi con gli altri senza per questo promettere nulla, esempio eclatante nella letteratura è la descrizione di Goldoni, occhio acuto e sornione sulla civilità veneziana, che seppe così magistralmente descrivere Marietta nelle ” Morbinose ” giovane allegra e piena di vita che fa credere per scherzo ad uomo di essere innamorata di lui , che  cade poi, vittima felice del suo stesso gioco, e la ” Locandiera”, giovane donna energica inseguita da uno stuolo di ammiratori, che riesce in qualche modo a gestire queste attenzioni, fino a che non si arrende anch’essa all’uomo di cui si era innamorata!

Questo atteggiamento così disinvolto nelle relazioni sociali, che nulla aveva a che fare con l’essere facili, ma che rifletteva la concezione non ipocrita e bigotta che in altri Stati veniva imposta da unmodo di concepire i rapporti umani, era frutto di un atteggiamento mentale legato ad uno Stato laico, anche se la Religione veniva professata e vissuta quotidianamente (basti pensare alle centinaia di chiese che sono state erette nella Serenissima).

Giacomo Favretto.jpgscialle veneziano in lino e pizzo a fusello.jpgNel 1761 fu concessa a tale Giovanni Zivaglio la licenza di “fabbricare fazzoletti come si usano nelle Indie e portati anche dalle donne dello Scià di Persia”! Tale “fazzoletto” venne chiamato ” zendado, o zendàle, e altro non era che un grande scialle con lunghe frange confezionato in seta, in pizzo, e, per le popolane più povere, in lana, tutti di vari colori o delicatamente ricamati( dal 1848, quando venne proclamato il lutto per i caduti della lotta di liberazione diventarono rigorosamente neri), ed in seguito venne rinominato scialle (da Scià di Persia, appunto).

Con la loro eleganza e l’innata capacità seduttiva le popolane utilizzarono questo indumento che poteva essere aperto, avvolto, coprire la testa, o maliziosamente lasciare leggermente scoperte le spalle per un’innocente quanto attraente mezzo per far avvicinare i giovani da cui si sentivano attratte e che percepivano in qualche modo  troppo timidi per esprimere loro la propria ammirazione: all’avvicinarsi del prescelto con un rapido gesto della mano prendevano un lembo dello scialle e lo facevano volteggiare Banco Lorro di Favretto.jpgEttore Tito.jpgIl Sorcio di Gacomo Favretto.jpgper ricoprire la spalla, facendo svolazzare le lunghe frange ….le quali, quasi magicamente, andavano ad impigliarsi sui bottoni del futuro innamorato….piccole ragnatele colorate e delicate che impigliavano e imprigionavano il cuore dell’uomo.

Ecco da dove nasce il termine: attaccare bottone (tacàr botòn). Chissà quante storie d’amore sono nate in passato in questo modo: le nostre ave,  occhi vivaci, sorriso allegro, sguardo malizioso ed uno scialle “malandrino”.

la_gondola_ettore_tito.jpgPopolane veneziane di Favretto.jpgVeneziana 1.jpgL'ultma_parola_-_Giacomo_Favretto.JPGLa Pescheria di Ettore Tito.jpgpopolane veneziana.jpgCome al solito a scegliere era la donna!

 

Lug 17, 2012 - Luoghi, sport, Tradizioni    Commenti disabilitati su Il gioco del calcio a Venezia

Il gioco del calcio a Venezia

gioco del pallone a Venezia.jpgCampo S. Giacomo dell'Orio.jpgLa passione del gioco del pallone faceva parte dei divertimenti e di eventuali sfide tra Sestieri a Venezia. I Nobili veneziani (probabilmente “contagiati” dal calcio fiorentino ) si sfidano in partite epiche dapprima in Campo S. Giacomo dell’Orio, per poi, viste le condizioni del prato pieno di erbacce ed incolto, si trasferirono in Campo dei Gesuiti a Cannaregio.

Campo S.Giacomo dell'orio.jpgIl gioco e gli spettatori -tifosi creavano però schiamazzi e strepiti, e la presenza  delle scuole nelle vicinanze il Consiglio dei Dieci, il 7 Aprile del 1711 ne proibì la pratica. Allora i giocatori ritornarono nel vecchio Campo, facendolo selciare a proprie spese.

Dai nobili la febbre del pallone aveva preso con il tempo  anche il popolo che diede vita a sfide a volte Campo dei Gesuiti a Venezia.jpgCampo dei Gesuiti.jpgCampo%20Dei%20Gesuiti%202.jpgcruente che provocarono la morte a causa di una pallonata di tale Luca orese (orefice) nel luglio del 1581, e Giandomenico Franco nel maggio del 1583.

Campiello delle Chiovare.jpgCampo dei nicoli a Castello.jpgTali partite si svolgevano in campi minori, come alle Chiovere, o nel Campo dei Nicoli a Castello, o nelle corti grandi della Giudecca. Per l’occasione i tetti delle case che si affacciavano sul campo venivano ricoperti da tavole per far eventualmente ricadere meglio il pallone nel campo da gioco, ed intorno venivano poste delle panche o a volte anche delle gradinate per il pubblico.

Le partite ed i tornei erano organizzati da imprenditori che si potevano rifare affittando i posti a sedere agli spettatori e ricevendo anche un obolo dagli abitanti delle case attorno poichè gli abitanti erano veramente felici di assistere a quegli eventi.

corte grande alla giudecca.jpgCome ai giorni nostri ferveva tutt’intorno una frenetica pratica di scommesse, chiamate “pirie”, e a volte venivano ingaggiati giocatori provenienti da altre città, accrescendo l’entusiasmo e l’interesse dei veneziani.

Certamente Venezia era una grande Repubblica, aperta a tutte le opportunità e alle novità che provenivano da altri Stati, e considerato lo spirito giocoso, disincantato e pronto allo svago dei suoi abitanti a Venezia ci si divertiva, era una città-Stato dinamica e brillante. Non ci resta altro che sperare ad un ritorno della  nostra gloriosa squadra in Serie A per poter ancora tifare i nostri amati arancio-nero-verdi!!

I Palazzi di Venezia e i loro meravigliosi stucchi: tra scultura e affreschi.

interno del Collegio Ameno.jpgdecorazioni della scala d'oro.jpgGli stucchi occupano un posto particolare nella casa veneziana dell’epoca barocca e rococò. Nel cinquecento lo stucco apparteneva più alla scultura che alla pittura: uno scultore come il Vittoria da allo stucco in bianco e oro un risalto plastico di tipo classico nelle due famosissime scale di Palazzo Ducale: la Scala d’oro e la libreria, decorando la volta a cassettoni con forti rilievi entro cui risaltano gli affreschi: tra pittura e scultura non v’è soluzione di continuità: l’oro dergli stucchi risalta tra le campiture bianco-azzurre dell’affresco, creando un effetto ricco e sontuoso.

stucchi dela sala delle 4 porte col dipinto del Tiepolo.jpgNella Sala delle 4 porte a Palazzo ducale vi è uno dei maggiori capolavori dello stucco a Venezia, di gusto rinascimentalr, prevalentemente plastico, opera di Giovanni Cambi del 1575: la sala acquista un aspetto di incantevole bellezza nella volta in un’opera quasi unica tra pittura, scultura ed architettura: questa unità costituisce il raggiungimento più alto tra gli stili Barocco e Rococò.

stucchi della sala delle 4 porte.jpgLe decorazioni si arricchiscono, nelle chiese e nelle case private, di putti , tra cui, una delle più belle , si trova a Palazzo Barbaro-Curtis a S. Stefano.La collaborazione degli artisti con gli artigiani di tecniche diverse per stucchi, mobili, lampade e specchi, appare perfetta e spontanea e nasce da un gusto comune.

A Palazzo Albrizzi a S. Aponal una sala del amorini a Palazo di sorveglianza.jpgalcova a Palazzo Sagredo.jpgpiano nobiliare è tutta decorata da un volo di putti in veste di amorini e di angeli insieme che irrompono tra le linee dell’architettura con una sorridente invasione dello spazio libero tra cornici e i grandi quadri del 600.

Alcuni di questi putti modellati con tanta finezza Putti a Palazzo Sagredo.jpgPutti chiesa dei S. Maria dei miraacoli.jpgappaiono negli stucchi di Cà Sagredo accanto ai nomi dei due autori e la data: Abbondio Stazio e Carpoforo Mazzetti, Tencalla 1718.

Palazzo Sagredo putti.jpg

Nell’appartamento di Palazzo Sagredo gli stucchi non si accompagnano con gli affreschi, ma Palazzo Barbarigo.jpgdominano soffitto e pareti e vanno visti da vicino, nella perfezione tecnica della linea, nella morbidezza dei rilievi, nell’armonia compositiva.

Alcova a Palazzo Barbarigo.jpgMeravigliosi stucchi anche a Palazzo Merati sulle fondamente nuove, specialmente quelli della scala e dell’alcova utilizzata per un certo periodo da Giacomo Casanova,  e la decorazione dell’alcovaanche di Palazzo Barbarigo a S. Maria dei Carmini.

Tutta la gamma festosa dei vari stili degli stucchi veneziani del settecento si incontra  a Palazzo delle Feste a Cà Zenobioo.jpgCà Zenobio ai Carmini e illumina meravigliosamente lo scintillante Salone delle Feste ideato dal De Gaspari.

Palazzo Sagredo.jpgputti.jpgTutto ciò non è che una minuscola parte delle decorazioni, degli stucchi, della meravigliosa opulenza  che ha reso indimenticabili e stupefacenti tutti i Palazzi Veneziani, e che, e ne parleremo, diverrà un tutt’uno con i mobili, i famosi mobili veneziani ; immagini fiabesche illuminate dalla luce riflessa dall’acqua della laguna.

 

Il Redentore a Venezia

la peste a Venezia.jpg
medico_peste.jpgPeste a Venezia 1.jpgpeste.jpg180px-Chiesa_Redentore_sezione_1_Bertotti_Scamozzi_1783.jpgTra il 1575 ed il 1577 vi fu un altro episodio di peste a Venezia. Circa cinquantamila persone ( quasi un terzo della popolazione) morirono a causa di questo terribile morbo.

Chiesa del Redentore.jpgIl 4 settembre del 1576 il Senato della Serenissima decretò di erigere una chiesa intitolata a Cristo Redentore, e la prima pietra fu posta il 3 maggio 1577. IL progetto venne affidato al Palladio, che dal 1570 era ” proto” ovverosia architetto capo della Repubblica di Venezia e  che seguì le direttive dei cappuccini ai quali la futura chiesa venne affidata.

Interno Redentore.jpgredentore.jpgEgli scelse per questa  chiesa posta nell’isola della Giudecca un’architettura rinascimentale, un tentativo insomma di conciliare la chiesa cristiana con tutti gli elementi del tempio classico: Un frontone classico infatti domina la facciata, resa proprio per i canoni di povertà e sobrietà dei cappuccini molto schematica, con materiali poveri cotto e mattoni, rifuggendo da marmi pregiati ed altre decorazioni.

180px-Chiesa_Redentore_pianta_Bertotti_Scamozzi_1783.jpgNel rispetto della griglia funzionale dei cappuccini, per la definizione della planimetria il Palladio si rifà alle strutture termali antiche, specialmente alle Terme di Agrippa come fonte delle sequenze degli Terme di Agrippa.jpgstruttura delle Terme di Agrippa.jpgspazi che si susseguono l’uno all’altro.

E la cupola, che funge da canone per l’intera costruzione, ha il diametro uguale all’ampiezza della scala con i suoi quindici scalini, che simboleggiano la salita al tempio di Gerusalemme.

Il progetto del Palladio, morto nel 1580, fu portato a termine da Antonio da Ponte  Andrea Palladio.jpg180px-Chiesa_Redentore_sezione_2_Bertotti_Scamozzi_1783.jpgnel 1592.

Heintz_Joseph_La_Processione_del_Redentore.jpgBasilica del Redentore.jpgLa ricorrenza del Redentore è una delle feste più sentite dai veneziani. Nella serata  del sabato della terza settimana di luglio viene creato un ponte di barche che collega le Zattere all’Isola della Giudecca,quindi i veneziani salgono sulle barche decorate con fronde e palloncini colorati si radunano nel canale della Giudecca e nel Bacino di San Marco.

Sulle rive illuminate e sui balconi dei palazzi si assiepa una gran folla per assistere a questa festa di suoni e luci  che trionfa con un grande spettacolo Processione del Redentore stampa.jpgPonte di barche per il Redentore.jpgfuochi Redentore.jpgpirotecnico che rinfrangesull’acqua giochi cromatici altamente suggestivi.

I veneziani nelle barche appositamente apparecchiate mangiano l’oca e l’anitra arrosto, quindi attendono il sorgere del sole sulla spiaggia del Lido.

fuochi redentore 1.jpgRedentore a Venezia - festa.jpgRegata di gondole per il Redentore.jpgLa domenica si svolgono le regate di gondole e riti di ringraziamento officiati dal Patriarca. Una festa in cui tutti i veneziani si riconoscono e si ritrovano, per cui…AUGURI A TUTTI !!!!
 

 

Fusta, scuola e strumento di reinserimento dei galeotti a Venezia

Bacino di San Marco.jpg800px-Canaletto%2C_Veduta_del_Palazzo_Ducale.jpgChi osserva con attenzione i quadri del Canaletto o di altri pittori del 500 che ritraevano il bacino di San Marco può notare la presenza, costante, di una galea. E’ rappresentata con i remi issati e una lunga tela a bande rosse e giallo oro la ricopre in tutta la sua lunghezza.

E l’immagine di una galea tutta particolare che venne ancorata al Bacino di S. Marco, proprio davanti alle colonne di Marco e Todaro nei primi del 1500, e chiamata Galea FUSTA: da frusta, uno strumento che veniva usato sui galeotti che scontavano delle pene nelle carceri veneziane

Fusta Galea.jpgUna volta scontata la pena ai galeotti, prima di riprendere una vita normale, veniva data l’opportunità di servire la Fusta del Canaletto.jpgGalea.jpgMarina della Serenissima attraverso il loro lavoro di rematori: La Fusta era quindi una “nave scuola”, in cui gli ex prigionieri stessi venivano alloggiati assieme ai rematori mercenari, ma al contrario di questi, non avevano il permesso di scendere a terra.

Una volta al giorno i condannati dovevano svolgere l’attività della voga, e la galea stessa aveva funzione di controllo sulle navi che entravano di giorno e di notte nel bacino di S. Marco.

galeaVenezianaCDM.gifDopo aver dato prova di abilità e capacità marinaresca i galeotti diventavano mercenari, e potevano svolgere la loro vita di marinai, ritornando quindi, quando le loro galee, dopo le varie spedizioni fossero attraccate, a svolgere la vita comune degli agli altri veneziani.

Queste erano le strategie della Serenissima, Repubblica forte e severa, a volte perfino crudele, ma che aveva in galera2.jpggran cura la preparazione, l’esperienza e le capacità dei propri uomini, elementi determinanti per il suo sviluppo e la sua potenza nei mari perchè dal mare traeva la vita e la sua ricchezza.

Venezia: da Le Courbusier a Buchanan, tra India e Londra, la città più moderna ed attuale per la sua viabilità ed urbanistica!

tb_venezia%20dall'alto.jpgVenezia dall'alto.jpgrio a Venezia.jpgA Venezia vi è una doppia viabilità, una per via acquea, assicurata da canali e rii, e una per via terrestre ora esclusivamente pedonale ( agli inizi venivano usati cavalli e carri). Le due viabilità hanno uno Canali-116.jpgsviluppo ed un’estensione pressocchè equivalenti sercondo due fittissime reti, tra loro indipendenti, che si intersecano e si incrociano completandosi a vicenda.

Calle stretta a Venezia.jpgCalle Varisco.jpgcalle-stretta.JPGLe calli non sono certo molto ampie, ma almeno tre sono parecchio Calle stretta.jpgcalle-stretta.JPGproblematiche se ad attraversarla sono due persone: una, a San Canciano, un’estremità di Calle Varisco è larga 53 cm., una seconda, 58 cm, a Castello, chiamata Callesella dall’Occhio Grosso, ed un’altra, un pò più confortevole, Sestiere di San Polo: Calle della Raffineria.

Ad ognuna delle due reti di viabilità è assegnata una funzione naturale: per i rii i mezzi di trasporto, per le calli e i campi solo le persone. Esiste quindi una differenziazione e specializzazione tra le due reti di comunicazioni interne cittadine: Questo è un concetto urbanistico all’avanguardia  che le Courbusier, entusiasta assertore della modernita ed avvenieristica concezione della struttura di Venezia prese come modello per la costruzione della città di Le-Corbusier-11.jpgChandigarh.jpgChandigarh in India: egli differenziò le varie strade a seconda dell’uso del traffico: viabilità multipla, differenziata secondo le modalità di traffico: veloce, lento e locale, esclusivamente pedonale.

Chandigarh_Secretariat_.jpg

Anche nello studio per la rete viaria di Londra, elaborato recentemente da Buchanan, per risolvere in modo radicale i problemi di una grande città moderna Sir Colin Buchanan.jpgviene fatto specifico riferimento al sistema viario di Venezia.

Le calli più importanti vengono denominate “calle  Larga”, “Salizzada”, Ruga: queste in genere erano calli affiancate da negozi , quindi a carattere commerciale, molto animate.

Talvolta la denominazione delle calli deriva da determinate categorie di artigiani che avevano il loro nucleo nella zona: per esempio Mercerie dai merciai, o frezzerie, da costruittori di frecce, calle dei fabbri, facilmente comprensibile, o quella dei botteri, calle dei bombardieri o Frezzeria.jpgdella pegola (pece).

Ciò fa capire che le varie attività venivano riunite in alcune zone della Repubblica, e questo per precisi indirizzi di carattere economico: la vicinanza di tante attività presupponeva anche ad una rinuncia della libera concorrenza commerciale, quindi a dei piccoli monopoli a carattere sociale, tutto questo a vantaggio del consumatore che veniva favorito dalla molteplicità delle scelte, sia della produzione, favorita dal più facile scambio di esperienze e di tecniche produttive.

E’ questo uno degli esempi indicativi di come la vita sociale della Serenissima fosse regolata: gli interessi del singolo cittadino venivano sempre, in certa misura, subordinati a quelli della collettività. Questo fece di Venezia una grande Repubblica ed un grande Stato, tutt’ora, nella sua concezione, moderno e pragmatico!

 

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