La musica a San Marco e le armonie di Venezia

Processione in Piazza San Marco.jpgBasilica 1.jpgBasilica.jpgBasilica di San MaRCO.jpgDal 1500 al 1700 Venezia divenne il centro della musica per tutta Europa.La Basilica di San Marco, come descritto nella ” Guida ” del Sansovino, nell’edizione che fece il suo canonico, Giovanni Stringa, nel 1604 dà un’immagine ben configurata del significato religioso e politico della Chiesa nello Stato Veneziano.

Il Doge aveva piena giurisdizione, come “patronus et gubernator ecclesiae” ed era sua facoltà nominare il “primicerio” (primo sacerdote della Chiesa) con autorità simile a quella di un vescovo, e che per legge doveva appartenere alla nobiltà veneziana, di età superiore ai 25 anni, provveduto da Governo di un buon reddito adeguato alla sua posizione giuridica.

Primicerio e Chiostro di S. Apollonia a Venezia.jpgIl Primicerio aveva il diritto, per concessione dei vari papi, di celebrare già dal 1200 con la mitra, il pastorale, l’anello e il rocchetto vescovile, dare indulgenze e consacrare sacerdoti.

Al Primicerio seguiva il Vicario, poi venivano 24 Canonici e tutta una serie di addetti ai vari servizi, come se si trattasse di una vera e propria corte.

Il Maestro di Cappella era invece il primo musicista della Città, il Proto l’architetto “principe” che soprintendeva la Chiesa e il Palazzo Ducale, edifici considerati insieme come sede del Governo. Nel 1580 l’abitazione del Primicerio venne stabilita nel Convento di Sant’Apollonia, al dilà del Ponte della Canonica.

E la musica era quindi un elemento importante e primario nei compiti di questo Governo della Chiesa: L’ordine de officiar nella Basilica di San Marco, dice il Sansovino, è secondo l’uso della chiesa costantinopoliana, ma non molto differente dalla romana, ma tanto assiduamente che nulla più. E quanto alle cose necessarie per questo negotio, la spesa di ogni anno passa di dodicimila ducati, cun ciò che sia che vi sono provisionati due organisti dè primi d’Italia, con grosso stipendio. Il Maestro di Cappella con gran numero di cantori, i canonici e i sottocanonici ecc.

spartito di Giovanni Gabrieli.jpgorgano di San Marco.jpgGiovanni Gabrieli 1.jpgGiovanni Gabrieli.jpgAndrea Gabrieli.jpgMentre lo Stringa scriveva questa parole era organista a San Marco Giovanni Gabrieli, succeduto nel 1585 allo zio Andrea Gabrieli, e l’antico storico rivolge a Giovanni Gabrieli un giudizio che resterà memorabile: ” Il suono di quest’organo soavissimo è tanto più soave quanto che viene dal più eccellente organista ch’abbia oggidì la nostra Italia sonato; e questo è Giovanni Gabrieli, degno di lode per la rara et singolare virtù che regna in lui in simile professione”.

Alla morte di Gabrieli, nel 1613 venne chiamato a sostituirlo nel ruolo Claudio Monteverdi, che rimase per trant’anni in carica, fino alla sua morte.

Si ha notizia di una singolare gara tra due organisti di San Marco, Francesco Landino e Francesco di Pesaro, svoltasi nel 1300 dinanzi al Re di Cipro, e vinse il Landino.

Spartito del Legrenzi.jpgTomaso Albinoni.jpgGiovanni Legrenzi.jpgInterno Basilica.jpgNel frattempo a Venezia si esibivano e componevano artisti quali Giovanni Legrenzi (agosto 1626 – Venezia 27 Maggio 1690) e che divenne maestro di Cappella a San Marco nel 1681. Egli fu il maestro di Tomaso Albinoni (Venezia 1671-1751).

 

E in questo periodo condivisero la loro sapienza e la loro arte, Baldassarre Galuppi (Burano 17 ottobre 1706, 3-1-1785) allievo di Benedetto Marcello (Venezia, 31 luglio 1686, Brescia 24 luglio 1739) a cui è dedicato il Conservatorio di Musica di Venezia, nel Palazzo Pisani in Campo Santo Stefano, ed il grande Antonio Vivaldi,200px-Baldassare_Galuppi_Memorial.jpg200px-Benedetto_Marcello.pngConservatorio.jpg(Venezia 4 marzo 1678-Vienna 28 luglio 1741) il famoso Antonio Vivaldi.jpgspartito di Antonio Vivaldi.jpgprete rosso, che con i suoi insegnamenti fece diventare famose le musiciste, le sue “putte” ospiti della Pietà di Venezia, l’orfanotrofio di questa città, a cui si aggiunsero un pò alla volta alte pie istituzioni, come la Misericordia, gli Incurabili, le Zitelle ed altri “hospitali” a cui i nobili di tutta europa facevano a gara per iscrivere in educandato le proprie figlie.

le putte di Vivaldi.jpgLe putte.jpgE in tutta Europa erano famosi i concerti a cui accorrevano ed assistevano nobili, ricchi mercanti e tutti i musicofili.

L’ultimo grande compositore veneziano fu Luigi Nono (Venezia, 1924 -1990).

Venezia, con la sua armonia d’acqua, con lo sciabordio incantato ed incantante della laguna faceva ancora una volta da sottofondo all’arte che qui è profusa in tutte le sue forme ed espressioni.

 

Vivaldi e la sua Venezia

17 1.jpgSplendore, decadenza, erotismo e santità, ecco il fascino che produce una società quando ha ormai alle proprie spalle il proprio apice è indiscutibile.

L’Europa aveva giù concluso i suoi giochi, ed il Leone di S. Marco era uscito ridimensionato.Ma quanto orgoglio, quanta astuzia politica e quanta voglia di vivere per le calli della Serenissima!

La raffinata costituzione politica, le ferme prese di posizione contro le brame del Papa, le battagle eroiche vinte contro l’impero Ottomano ed un fiorire splendido delle arti, svaghi e passioni  rendono la Venezia di quegli anni unica, irrinunciabile.

imagesCAERLR6J.jpg17.jpgI fremiti che scorrevano tra calli e campielli donavano un’atmosfera  dove il vizio si mescolava alla fede, dove il gioco era praticato con passione, così come l’amore per le cortigiane, e le composizioni musicali assecondavano il gusto di ogni ceto sociale.

17 3.jpgNel 1740 sommando locande, botteghe del caffè ed osterie arrivavano a seimila circa, per cui gioia di vivere, voglia di godere dei piaceri della vita, della socializzazione e degli incontri.

Cà Rezzonico.jpgCà Pesaro.jpgSan Stae.jpgAnche dal punto di vista architettonico la città si arricchì di altre imponenti opere: S. Rocco, S. Vidal, S. Tomà, le facciate dei Gesuiti di S. Stae, Cà Pesaro, Cà Rezzonico, la nuova pavimentazione di San Rocco.jpgPiazza S. Marco.

imagesCAN3NK4N.jpgimages.jpgQuesta era la città ai tempi di Antonio Vivaldi, colonna sonora di queste penombre, di questo bisbigliare tra le calli, dell’amoreggiare nelle gondole coperte, delle feste con le dame ingioiellate e imagesCABS684P.jpgabbondantemente scollate.

Nato a Venezia il 4 marzo del 1679, avviato allo studio del violino dal padre (morì a Vienna il 28 luglio 1741), gracile e sofferente d’asma, i capelli rossi, era un prete anomalo, con una smisurata foga compositiva e non propriamente in odore di castità.

Ma Venezia concedeva questo ed altro, per un certo periodo anche Casanova divenne parte del Clero, per cui esisteva la massima libertà, anche se una parte degli esponenti della chiesa si lamentavano per la troppa improntitudine dei più libertini.

1700 1.jpgAnche il rapporto con l’altro sesso era molto particolare per i veneziani, in città si amoreggiava praticamente ovunque, e durante il carnevale che iniziava il 26 dicembre e finiva il martedì grasso, con l’aiuto della Bauta andavano bene anche calli e campielli.

Come stupirsi quindi se Vivaldi, che celebrò soltanto una messa, si accompagnava ad un’amante, forse a due.

Era nei teatri che la vita artistica e musicale toccava i vertici per qualità, livello del pubblico, assoluta notorietà. Disse Rousseau che era impossibile sentir cantare come a Venezia.

San Moisè.jpgTeatro Malibran.jpg1700 2.jpgSan Samuele, San Giovanni Crisostomo (l’attuale Malibran), San Cassiano, S. Angelo, San Moisè erano i nomi dei Teratri più famosi di Venezia. Quando iniziava la Stagione operistica di Venezia, che coincideva con il Carnevale, se ne avevano echi in tutta Europa.

Teatro S. Angelo.jpgE fu al Teatro S. Angelo che Vivaldi debuttò comer autore dell'”Orlando finto pazzo” nel 1714, la sua prima opera veneziana, e collaborò molto sporadicamente con il San Samuele e il San Moisè.

Ogni sera si eseguivano concerti, nei palazzi e nelle chiese, anche nella Basilica di San Marco, che ospitava nella cappella Monteverdi.jpgdel Doge la Schola Cantorum, massima istituzione musicale che vantava tra i suoi componenti  i due Gabrieli e Claudio Monteverdi.
A questo proposito è bene ricordare che il governo era rigorosamente laico, e che la Basilica di S. Marco divenne cattedrale di Venezia solo alla caduta di questo sistema politico. Una situazione che incentivò il mecenatismo di stato che era attivo a Venezia fin dal Medio evo.

Delle famose, straordinarie artiste ” le Putte ” di Vivaldi parleremo la prossima volta.

 

 

 

 

 

Le maschere, tradizioni e magia del Carnevale a Venezia

imagesCAAZZUJ7.jpgLa Venezia del 700 aveva la fama di essere la più gaia e contraddittoria delle capitali euopee.

I carnevali in cui uomini e donne andavano mascherati e indulgevano alle libertà rese possibili dalla finzione, creavano uno spirito durante tutto l’anno, un’aria di festa di cui era intrisa tutta la città. (F.C. LANE ).

Si dice che il termine carnevale nasca da “carnem levare”, togliere la carne: Nel medio evo infatti si usava, dopo un lungo periodo di festa, imbandire un banchetto per annunciare l’allontanamento della carne dalle mense (mercoled’ delle ceneri).

Nel XII secolo si hanno le prime tracce sulle origini del carnevale a Venezia. Tramite le  cronache del tempo si apprende che il giovedì grasso si celebrava la vittoria del doge Vitale Michieli II sul patriarca Ulrico di Aquileia, nel 1162.

In memoria di questa sconfitta il patriarca Ulrico ed i suoi successori dovevano inviare al Doge 1 toro, 12 pani e 12 maiali.

La caccia ai tori.jpgcaccia dei tori.jpgcaccia ai tori.jpgimagesCA8CAI6P.jpgNel cortile di Palazzo Ducale si svolgeva una corrida, poi gli animali venivano macellati e cucinati, e la carne veniva divisa tra nobili, clero e popolo, mentre i pani venivano dati ai prigionieri.

Il Giovedì grasso veniva chiamato scherzosamente “berlingaccio”. Dal 1296 il Senato dichiarava festivo anche il martedì grasso.

rappresentazione in piazzetta S. Marco.jpgimagesCA4YQLDP.jpgDalla metà del 400 al 500 l’organizzazione della festa era affidata alle Compagnie della Calza, associazioni di giovani patrizi che indossavano calze con i colori del proprio Sestiere. Tutt’ora questa associazione esiste ed è molto attiva.

imagesCAIXDE9B.jpgDurante i festeggiamenti venivano usati  i fuochi artificiali, si svolgeva poi una gara tra Castellani (abitanti dei sestieri di Castello, Dorsoduro e S. Marco)e Nicolotti (abitanti degli altri tre sestieri) in una prova di forze tra due piramidi umane. Nel 600 e nel 700 si eseguiva la moresca, una danza fatta con le spade in modo da simulare i combattimenti tra cristiani e mori; quindi il volo della colombina o Angelo, che si svolge tutt’ora, ma che nacque nel 1500 quando un acrobata turco fece stendere una fune da una barca ancorata alla darsena di San Marco fino alla cella campanaria del Campanile di S. Marco imagesCA2EGCH4.jpg. La sua performance entusiasmò i veneziani ed il doge che lo remunerò con una somma di denaro. In seguito furono gli arsenalotti a voler eseguire questo pericoloso esercizio, ma quando , nel 1759, l’acrobata di turno cadde e morì, venne sostituito con una colomba fata di legno, da qui volo della Colombina, quindi dell’Angelo.. che tutt’ora da inizio ufficiale al Carnevale veneziano.

imagesCAHPX19C.jpgimagesCAV3YY0H.jpgAl fondaco dei tedeschi si lasciavano liberi i tori, e i giovani facevano come a Pamplona la corsa dei tori per cui , una volta aperto il portone, gli animali si riversavano da S. Giovanni Crisostomo fino imagesCA7CIC6M.jpgimagesCAEOONUC.jpga S. Polo, rincorsi dai ragazzi.

A Venezia il carnevale aveva inizio dal giorno di S. Stefano, quando il governo dava la licenza di portare le maschere.

fenice.jpgimagesCAJI3D4W.jpgimagesCADLDSQH.jpgFra l’altro si svolgevano varie manifestazioni teatrali, visto il gran numero di Teatri che c’erano a Venezia: il S. Salvador , oggi Goldoni, S. Cassiano, S. Angelo, S. Moisè, S. Giovanni Crisostomo , ora Malibran, il S. Samuele ed il S. Benedetto, ora La Fenice.

imagesCAFDXAGB.jpgIndossando la Bauta, la tipica maschera veneziana, si annullavano le differenze sociali, si intrecciavano idilli e relazioni, i giocatori d’azzardo potevano giocare tranquillamente perchè non venivano riconosciuti. Ma la maschera regina non fu solo la Bauta: nota era la ” Gnaga” un travestimento da donne per gli uomini, che La gnaga.jpgla moretta.jpgmaschera della gnaga.jpgindossavano questa maschera di muso di gatto e reggevano un cesto che avrebbe dovuto contenere gatti..la maschera si aggirava miagolando movendosi con  gesti vezzosi. Altra maschera di moda era ” la Moretta” che doveva essere sostenuta con la mano davanti al volto, e la persona che la reggeva non parlava (non a caso veniva chiamata “la Servetta muta”) A realizzare queste maschere erano degli artigiani che vennero conosciuti come tali dalla Serenissima, con atto del 10 Aprile 1436 (l’atto è tutt’ora conservato presso l’Archivio di Stato). 

Il carnevale per i veneziani era così importante da non poter essere interrotto. Il doge Paolo Renier morì il 13 febbraio 1789, ma la notizia venne diffusa solo il 3 marzo, al termine dei festeggiamenti.

arte dei mascareri.jpgTra le varie usanze quella importante della festa delle Marie risalente addirittura al 943, all’epoca del Doge Pietro III Canduano. Il 2 febbraio di ogni anno, dedicato alla purificazione della Vergine era usanza che le spose di Venezia si recassero presso la Basilica di S. Pietro di Castello dove venivano benedette, per poi raggiungere S. NIcolò del Lido dove le attendevano i futuri mariti, poi insieme raggiungevano S. Marco, quindi, salite sul Bucintoro, raggiungevano la Chiesa di S. Maria Formosa.

Quell’anno invece a S.Pietro di Castello fecero un’incursione i pirati istriani che le rapirono con le loro doti, ma questi vennero prontamente inseguiti dagli “Arsenalotti” che li raggiunsero e li uccisero tutti tra le isole della laguna di Caorle, proprio vicino al compagnia teatrale.jpgIl rinoceronte.jpgmolo delle Donzelle (tutt’ora così chiamato).  Questa vittoria contro i pirati venne celebrata ogni anno con la festa delle 12 Marie, in cui dodici fanciulle particolarmente meritevoli in virtù venivano fornite di dote dalle famiglie nobili veneziane.

Nel 1349 le fanciulle vennero sostituite da pupazzi di legno che vennero spregiativamente chiamate dai veneziani Marie de Tolla (legno), e sembra che derivi da qui il termine marionette. Ultimamente questa ricorrenza è stata ripristinata anche con  una regata.

galani o crostoli.jpgfrittole.jpgNaturalmente queste tradizioni veneziane furono e tutt’ora sono accompagnate dalla degustazione dei dolci tipicamente veneziani: le fritole ed i crostoli (o galani).

Il Carnevale a Venezia è sempre stato ed è speciale: tra i Campi e i Campielli, nei Teatri, nei sontuosi palazzi e nelle piccole calli complici, ovunque sia si aggiravano e si aggirano tutt’ora maschere imperscrutabili, sfuggenti e …senza tempo..il tempo in questo periodo si ferma e lascia libero spazio allo spirito veneziano, al desiderio di allegria, all’uso della maschera per le piccole, innocenti e frizzanti ” trasgressioni”.

Gen 28, 2010 - Architettura, Luoghi    1 Comment

Venezia: da Ponte della Moneta a …

Rivoalto a Venezia.jpgDalla formazione primordiale dei primi insediamenti abitativi e commerciali delle Isole Realtine di Rivoalto, la zona venne denominata Rialto (dal terreno alto) e comprendeva tutta l’insula.

Anticamente l’attraversamento da una parte all’altra del Canal Grande per poter approdare tra le due rive, era denominata Morsobrolo ( San Marco). In questo posto non c’era nessun ponte e per attraversare il canale c’era un traghetto di barche chiamato ” Sceole”.

primo ponte di barche.jpgI traghettanti dovevano pagare il traghetto per sè e per la merce se ne avevano nella misura di un “Quartarolo” (era la quartarolo.jpgquarta parte di un denaro) sottoforma di pagamento di dazio,

Nell’anno 1180 venne eretto un ponte sopra a delle barche legate tra di loro ed ancorate alle due rive e nella parte centrare c’era un rialzo a levatoio per lasciar libero transito alle imbarcazioni.

soldo veneziano.jpgquartarolo 1.jpgquartarolo2.jpgPer antica consuetudine del pedaggio “Sportula”, riferito al Quartarolo, il ponte venne citato come il “Ponte della Moneta” ( quasi il pagamento di un pedaggio in un’autostrada).

Ponte di legno.jpgNel 1255 fu costruito sopra a delle palafitte di legno un ponte sempre di legno con levatoio nella parte centrale, per far transitare le imbarcazioni a vela  e nei lati erano state collocate due ordini di botteghe.

Nel 1310 il ponte fu danneggiato a causa della lotta scatenata dalla congiura di Baiamonte Tiepolo che fu repressa dal Doge e dai la vecia del morter.jpgCavalieri di San Marco, con l’aiuto inconsapevole della “vecia del morter”, a cui ho dedicato mesi fa un post!

Vittore-Carpaccio-Miracolo-della-reliquia-della-Croce-al-ponte-di-Rialto-33291.jpgRialto di De Barbari.jpgNel 1444 il Ponte fu leso da evidenti cedimenti strutturali a causa della calca del popolo accorso a vedere il passaggio della sposa del Marchese di Ferrara mentre si stava recando ad ammirare l’Arsenale.

vecchio ponte in legno.jpgNel 1450 il ponte fu rifatto, sempre in legno. L’ 8 giugno 1588 il Senato decretò che il ponte doveva essere in pietra e si iniziò l’edificazione di una sola arcata che misurava (e misura) 28 metri, rivestito in marmi intagliati di pietra d’Istria su disegno dell’Architetto Antonio da Ponte,(l’architetto francese Antoine Rondel, in un suo libro del 1841 attribuisce il progetto anche a Vincenzo Scamozzi).

progretto di Antonio da Ponte.jpgPrimo progetto del ponte.jpgponte di rialto 1.jpgPonte attuale.jpgponte di rialto 3.jpgPer effettuare il basamento di questa magnifica opera vennero abbattuti ed affondati dodicimila pali di olmo, lunghi dieci piedi, sovrapponendovi tavoloni di larice grossi un palmo: da questa Rialto di Da Ponte.jpgRilievo del Ponte di Rialto.gifplatea di fondazioni si iniziò l’opera dell’attuale Ponte di Rialto.

Rialto, locande con letto guarnito e porte per botti a Venezia

Rialto.jpgrialtolegno.jpgPonte di Rialto.jpgRialto, le sue rive ed il suo celebre ponte: All’inizio, nel 1181 Nicolò Barettieri lo creò come ponte di barche, per diventare poi, nel 1250 una costruzione in  legno che si apriva per  far passare le navi con le loro vele, diventando poi quello attuale su progetto di Antonio da Ponte realizzato nel 1588, era il fulcro dei commerci e delle attività mercantili.

A Rialto  arrivavano e si lavoravano merci preziose come sete, spezie, oro, e dove, sotto i portici di Campo S. Giacomo c’erano i Banchi dove venivano registrati i conti personali dei vari mercanti, specialmente col sistema del “giro conto”, perfetto per non dover maneggiare denaro, per tale ragione il sottoportico era Campo S. Giacomo.jpgCampo S. Giacomp 1.jpgdenominato Banco giro.
I banchi ” de scripta” furono gestiti nei primi secoli da privati, soprattutto nobili, che dovevano ottenere l’autorizzazione versando un’adeguata cauzione, poi, dal 1587, passarono direttamente alla gestione dello Stato.

I mercanti potevano negoziare “mutui ad negotiandum”, prestiti veri e propri, oppure trattare “le colleganze” , forme assai diffuse dal 200 al 300, di compartecipazione di soci finanziatori ” socius stans”, che non si movevano da Venezia, ed i ” Soci procetans” che compivano i viaggi e le operazioni di scambio relative.

Il campo era sempre affollato di mercanti veneziani e stranieri e da loro agenti che trattavano affari o semplicemente si Canaletto Rialto.jpgsottoportici di Campo S. Giacomo.jpgstampa di Campo S. Giacomo.jpgtenevano al corrente, come nella Borsa, delle variazioni del mercato.

Accanto al portico del Banco Giro c’era la Calle della Securtà ed il Caffè della Securtà, dove si stilavano polizze assicurative contro i rischi derivanti dalla navigazione (avarie, naufragi, assalti di pirati ecc.)

Rialto inoltre brulicava di alberghi dove il proprietario detto camerante forniva il cosidetto ” letto guarnito”, in cui era previsto l’alloggio, il riscaldamento, la cena e la compagnia.

naranzeria.jpgerbaria venezia.jpgerbaria a Rialto.jpgQui sorse il mercato di Venezia, con l’Erberia, dove venivano vendute le verdure e la frutta provenienti dalle isole, la Pescheria, che non vendeva solo pesce ma anche uccelli, la Naranzeria ( da arancia), formata da piccoli e bassi magazzini che vendevano agrumi.
Nella Casaria si vendevano formaggi e anche carne di maiale conservata sotto sale.

Insomma, la toponomastica ci da indicazioni precise delle attività che si svolgevano in questo punto nevralgico ed attivo della Repubblica.

La Ruga e il Sottoportico degli Oresi ( orefici)che qui avevano le loro sedi, e che per effetto della pescheria3.jpgcolonna pescaria.jpgpescheria 2.jpgdelibera del Maggior Consiglio del 23 Marzo 1331 erano obbligati a lavorare e vendere l’oro solo nell’isola di Rialto.

C’era il Campo delle Becherie ( da Becher, macellaio), la Calle dello Stivaletto,dall’insegna di un negozio di calzolaio con  uno  stivaletto, la Calle del Capeler, (il Cappellaio) Quella del Marangon (falegname e lucidatore),Calle del Manganer (lucidatore di sete e di lane) Calle dei Varoteri (Pellicciai).

Il Ponte delle Spade, la Calle della Donzella, Calle del Sturion e quella della Campana erano i nomi di altrettante locande o alberghi.

LocandaSturionCarpaccioParticolare.jpgL’Osteria della Scimia si trovava in un palazzo proprietà delle monache che l’avevano dato in affitto, quella del Gambero, quella della Donzella, e quella dello Sturion, immortalata in un quadro di Vittore Carpaccio, ” Miracolo della Reliquia della Santa Croce”.

C’era anche in Fondamenta della ” Stua ” (stufa) un locale pubblico che ospitava una sorta di piscina riscaldata, dove, nonostante la propibizione, con le abluzioni gli ospiti più licenziosi potevano usufruire della compagnia  delle  cortigiane che stazionavano sul vicino Ponte de le Tette.

E sempre nella zona, in Campo Rialto Novo c’è ancora il bassorilievo con lo stemma dell’arte dei boteri (o bottai) risalente al XVII secolo, che avevano l’obbligo di aggiustare gratuitamente le botti del Doge, ma con diritto ai campo di Rialto novo.jpgRialtoBassorilievoBotte.jpgCalle dell'Arco.jpgcerchi, ai vinchi e alle cibarie per gli operai.

Proseguendo si passa per la Calle dell’Arco, dove due archi uniscono due palazzi solo per indicare che entrambi gli edifici erano di proprietà di una sola famiglia, la calle poi diventa Calle dell’Ochialer (occhialaio), dove c’erano le botteghe che si servivano dell’arte dei Cristalleri i quali si erano riuniti in confraternita, e nella mariegola si sanciva che l’oglar doveva essere in cristallo puro e non in vetro.Per la prima volta gli occhiali vennero nominati in un documento, ed è accaduto a Venezia nel 1274.

Proprio dove la Calle dell’Arco diventa Calle del’Ochialer doveva esistere un magazzino del vino, proprio a metà strada fra la riva del Vin (dove, è ovvio, si scaricavano le botti) e la Calle dei Boteri Lo spazio era limitato,e all’attuale anagrafico 456 escogitarono un sistema per far passare più agevolmente una botte attraverso una porta un RialtoPortaVerticale.jpgRialtoPortaOrizzontale.jpgpò stretta, ed ecco il risultato!

Giustizia al Palazzo dei 10 Savi..jpgPalazzo dei 10 Savi.jpgSu tutte queste attività vigilavano i Magistrati  nel Palazzo dei 10 Savi alle Decime, una sorta di Ministero delle finanze, e sul  cui angolo è esposta, alla vista e a monito di tutti, una grande statua raffigurante la Giustizia.

 

 

Le Compagnie della Commedia dell’Arte a Venezia

400px-Commedia_dell%27arte_-_troupe_Gelosi.jpgNel 1400 le rappresentazioni all’aperto divennero spettacoli riservati nelle feste date nei palazzi ed all’interno delle corti.Si formarono così le Compagnie della Commedia dell’Arte, che si spostavano di paese in paese.

Con la Commedia dell’arte nascono le prime maschere. Una delle prime compagnie nacque a Padova verso la metà del 500, e si esprimeva in padovano con il rozzo linguaggio del Ruzzante, ed i protagonisti non erano caratterizzati più di tanto, cambiavano di Commedia in °Commedia.

Colombina.jpgBrighella.jpgBalanzone.jpgArlecchino.jpgAntoine Watteau Commedianti italiani.jpgPiù avanti ecco che nacquero le prime maschere tutt’ora conosciute: Arlecchino, Brighella, Pantalone, Colombina, Zanni.jpgil dottor Balanzone etc. ognuna con proprie caratteristiche che trassero la loro origine dalla stilizzazione delle maschere del volto del demonio,ed erano le  maschere degli Zanni. Poi, naturalmente, ogni maschera acquisì le proprie caratteristiche ed i propri ruoli specifici.

marlecchino.gifArlecchino era il secondo Zanni, e rappresentava il servo furbo, sciocco, ladro, bugiardo ed imbroglione in eterno conflitto con il proprio padrone, che cercava di calmare le sofferenze di una fame insaziable. In seguito Goldoni gli dette delle caratteristiche lievemente diverse, e lo fece diventare anche servo fedele ed attendibile. Nel 1630 divenne famosissimo l’Arlecchino di Fernando Martinelli. Noi possiamo ricordare Marcello Moretti e Ferruccio Soleri.

Colombina, compagna naturale di Arlecchino, nella Compagnia degli Intronati nel 1530 era una servetta arguta e maliziosa, dalla parola facile, ma tendenzialmente onesta ( nel 1600 furono famose le Colombine di Isabella Biancolelli Franchina e di Caterina Biancolelli).

Brighella, maschera bergamasca era primo Zanni, e la sua maschera venne resa famosa dall’attore Carlo Cantù (1609-1676), egli era il servo intrigante e furbo, ed autore di inganni a Pantalone per favorire la coppia di innamorati rappresetnati sempre in quel tipo di commedie.  Poi, con Goldoni, divenne servo fedele e saggio.

Pantalone250.jpgPantalone.jpgPantalone, la vera maschera veneziana, chiamata così o da ” Pianta Leoni” come erano definiti i mercanti veneziani (per il vessillo delle loro navi) o dai pantaloni che portava, lunghi, sopra una zimarra rossa, maschera a becco e pantofole, la “scarsela” (la borsa dei denari) e un corto spadino. Era il mercante vero e proprio di Venezia. Nella seconda metà del 500 famoso fu il Pantalone dell’attore Giulio Pasquati.

Le Compagnie della Commedia dell’arte nacquero quindi a Venezia, e si espansero per l’Europa, creando accoliti ed estimatori.

Nel 1581 Le famiglie Tron e Michieli aprirono due teatri a S. Cassiano (demoliti poi nel 1812): dalle testimonianze di Francesco Sansovino, figlio di Jacopo, i teatri aprirono le porte anche al pubblico popolare.

Ferruccio Soleri Arlecchino.jpgMarcello Moretti Arlecchino.jpgCorte del Teatro S. Luca.jpgcompagnia teatrale.jpgA loro fecero seguito le famiglie Vendramin e Grimani che dall’inizio del 700 avevano quasi il monopolio degli spazi teatrali italiani e che fecero costruire il Teatro S. Giovanni e Paolo (ora non più esistente) ed il Teatro S. Luca.

Qui si ebbe il massimo fiorire della Commedia dell’arte, e una tradizione: gli inservienti portavano una maschera ed un tricorno, da qui il nome di “maschera” agli addetti nei cinema e nei Teatri ad accompagnare il pubblico al proprio posto.

Teatro S. Cassiano.jpgPantalone1.jpgPietro Longhi il Ciarlatano.jpgCarlo Goldoni.jpgL’apoteosi delle maschere della Commedia dell’Arte si ebbe con Carlo Goldoni che seppe dare un ruolo preciso a questi personaggi, creando gustosi e divertentissimi episodi di commedie, tutt’ora vive e vitali in tutti i Teatri del mondo.

L’Alchemico Numero Aureo e la Divina Proportione nella Basilica di san Marco e nella Chiesa di San Pantalon a Venezia

250px-Venice_-_St%2C_Pantaleon%27s_Church_01.jpgPaolo Uccello.jpgdodecaedro stellato0 di Keplero mosaico di Paolo Uccello.jpgdodecaedro stellato.jpgOsservando il pavimento all’interno della Basilica di San Marco, si può notare uno splendido mosaico con al centro un “dodecaedro stellato” un poliedro composito, carico di simboli per alchimisti e matematici.
L’autore di tale opera d’arte è Paolo Uccello (Paolo di Dono, 1397/1475).

E al medesimo autore, o ad un suo allievo, vengono attribuiti altri due dodecaedri stellati i cui mosaici sono invece nel pavimento di una cappella della Chiesa di San Pantalon.

Tutto nasce da Platone: nel suo Timeo egli racconta:

Platone.jpg” Quando Dio prese ad ordinare l’universo, da principio il fuoco, l’acqua, la terra e l’aria erano tuttavia in quello stato come ogni cosa dalla quale Dio è assente, che fuoco, acqua terra ed aria siano corpi è chiaro a ognuno….ora bisogna dire quali siano i quattro bellissimi corpi dissimili tra loro, dei quali sono capaci, dissolvendosi, di generarsi reciprocamente. E se scopriamo  la verità intorno all’origine della terra e del fuoco e dei corpi che secondo proporzione siamo in mezzo…..convien quindi comporre queste quattro specie di corpi insigni per bellezza e allora diremo di aver compreso sufficientemente la natura.”

Egli si riferiva ai poligoni regolari i cui analoghi nello spazio a tre dimensioni sono i poliedri.

Il sigillo di Re Salomone.pngpentagono.jpgquadrato.jpgtriangolo.jpgPrima di tutto viene il triangolo che è alla base del simbolismo perchè ripete il numero 3. Può essere pienamente espresso soltanto in funzione del rapporto con le altre figure, la seconda il quadrato (  4) la terza il pentagono (5) quindi la stella a 6 punte ( quella figura che è nota come il Sigillo di Re Salomone – 6 ). Il triangolo equilatero rappresenta la divinità, ( non a caso, in seguito, si ebbe come perfezione la Santissima Trinità), l’armonia e la proporzione.

dodecaedro da de divina proportione.jpgPer quanto riguarda i poliedri, in alchimia il cubo rappresenta la terra, il tetraedo il fuoco, l’icosaedro l’acqua e l’ottaedro l’aria: quindi si ottiene la divina proporzione dell’Armonia Universale, il Numero Aureo: il dodecaedro  stellato che simboleggia sia per Platone che per gli Alchimisti la Quintessenza (l’Etere).

de Corporibus regolaribus di Piero della Francesca.jpgSul Timeo studiò sicuramente Pietro della Francesca che trattò l’argomento nel suo ” Corporibus Regolaribus” tra il 1482 e il 1492. Nel 1505 a Venezia venne pubblicata  una traduzione degli “Elementi” di Euclide e “Coniche” di Apollonio.de divina proportione di Pacioli.jpgde divina proportione 1.jpgLuca Pacioli.jpgAllievo ed amico di Piero della Francesca,  Luca Pacioli utilizzò queste ricerche per ampliare le proprie nel suo “De divina proportione” (pubblicato nel 1509) mentre si deve proprio a Paolo Ucello, a Leonardo da Vinci e ad Albrecht Durer ( grande incisore collaboratore di Jacopo de Barbari) continuare l’applicazione dei numeri nell’arte.

il quadrato magico in melancolia di Durer.jpgmelancolia_1.jpgE proprio in un’incisione di Durer, La Melancolia 1,  contenente numerosi simboli cabalistici ed alchemici appare anche il quadrato magico in cui è inclusa la data dell’incisione: 1514.

E l’arte veneziana specialmente si rifece abbondantemente a questi simbolismi, a questa ricerca dell’ermetismo che fa dei quadri dipinti da Giorgione, Tiziano, Palma il Vecchio, Giovanni Bellini, Sebastiano del Piombo e Lorenzo Lotto preziosi tesori di informazioni, messaggi e allusioni alchemiche.

Keplero.jpgHarmonices di Keplero.jpgIn seguito, nel 1618 Keplero (1571-1630) pubblicò il suo Harmonice Mundi.

 

 

La Kabbalah a Venezia

Oggi è la giornata del ricordo, ed io , nel mio piccolo, desidero dedicare un pensiero alle vittime dell’olocausto, ma anche ai nostri concittadini che hanno subìto lutti in quell’orribile, disumano disegno di annientamento di persone forgiate da una cultura e da una fede; lo faccio a modo mio, raccontando in poche parole la storia degli ebrei a Venezia, e mi sento orgogliosa di avere amici e parenti che di questa cultura e fede fanno parte:

Isola della Giudecca.jpgFin dall’inizio del suo dominio sui mari Venezia accolse diverse comunità di stranieri: Armeni, Tedeschi, Turchi, ma tra le più numerose vi furono quelle dei Greci e degli Ebrei.

Gli ebrei, dopo un lungo periodo in cui furono accettati e poi rifiutati, trovarono prima collocazione nell’Isola di Spinalonga, rinominata in seguito Giudecca, quindi, vero la metà del 1500 presso alcuni isolotti di Cannaregio, dapprima utilizzati come fonderia, per le gettate dei cannoni che poi vennero trasferite all’Arsenale.

Già nel 1386 venne costruito un cimitero ebraico al Lido di Venezia, e allargato notevolmente nei secoli successivi:  Cimitero 1.jpgcimitero ebraico.jpgcimitero ebraico al Lido.jpgesso occupa un’area vastissima con tombe antichissime, rimaste intatte tra la folta vegetazione, per la regola ebraica della perpetuità della sepoltura. La suggestione del luogo è accresciuta dal’accostamento di forme di civiltà diverse, quale l’ebraica nelle scritte incise, l’ottomana, nelle steli isolate, la classica nelle linee architettoniche.

Ecco che la parola “getto” del linguaggio comune si trasformò in “Ghetto”. Altre fonti comunque fanno derivare tale termine dal talmudico “get” che significa separazione. Le comunità che si insediarono in questa zona furono quella originaria, quella tedesca, levantina e ponentina; a queste si aggiunsero i Marrani, quei poveri ebrei ebrei spagnoli.jpgconvinti con la forza, e gli spagnoli.

imagine ebraica.jpgLa Repubblica, nonostante non fosse mai stata tenera con loro gli permise di commerciare e di coltivare l’attività di medici, pratica e scienza nella quale essi eccellevano,; ma furono anche soggetto di restrizioni, come la chiusura dei cancelli al tramonto ed il divieto di circolare per la città in occasione delle feste cristiane.

imagesCA0L07HB.jpgComunque il ghetto prosperò, ed ebbe bisogno sempre di più di spazio, che trovò nella costruzione di case di sei, sette piani, tanto che alla fine il Governo Veneziano dette loro l’opportunità di abitare anche in altre zone della città, purchè non costruissero nuove Sinagoghe.

In Ghetto se ne contano ben cinque: la più antica è la Schola Grande Tedesca del 1528, e poi le altre quattro successive: la Schola Canton del 1532, la Schola Italiana del 1575, nel Ghetto Novo, e la Schola Levantina del 1538 e la Spagnola del 1555 nel Ghetto Vecchio. La Sinagoga Spagnola venne costruita da Baldassarre Longhena nel 1654, ed è anche la più grande.imagesCA80D6R1.jpg

Poco distante da questa Sinagoga, dopo un sottoportico ecco che appare in fondo un portone incassato in un muro, e tra le fessure si può intravedere un bellissimo giardino: le storie raccontano che qui abitasse liber mutus.jpgun ricco orafo, Melchisedech, che proprio in quel giardino, nel muro rivolto ad est, avesse ritrovato dietro ad alcune pietre messe in modo strano il  Liber Mutus: Si tratta di un libro composto da 15 tavole, senza alcun commento, che recano formule alchemiche che trattano del processo psicologico di realizzazione di sè proiettato dagli alchimisti nella trasmutazione della materia, la ricerca dell’immortalità, simbolizzata dall’oro, nel Lapis Philosophorum, e l’ elixir vitae.imagesCA541RBB.jpg

Joseph Nassi.jpgSembra che il libro fosse stato nascosto li da Josef Nassi, (1524-1579) Marrano spagnolo che era diventato il consigliere di Salim II, figlio di Solimano. Si dice che venne costretto a fuggire da Venezia dopo aver provocato un furioso incendio all’Arsenale.

Naturalmente, con tante etnie diverse, si trattava di ebrei aschenaziti, seferditi e tutti i figli della diaspora, si trovarono a confronto le antiche storie magiche e segrete, loro eredità, per cui fu un gran fermento alla ricerca delle conoscenze più segrete, come la pietra filosofale, la golem.jpgClavicola di Re Salomone.jpgClavicola di Re Salomone, ed alla parola vivificante per creare il Golem.

Sefer Jetzira.jpgimagesCAO4XTBB.jpgTra i libri su cui si formavano i Rabbini vi erano anche il Libro dello Splendore “Sepher ha zoa”che parla della sbalorditiva evoluzione della creatura verso il creatore, della Kabbalah, delle malattie e della guarigione,  ed il libro della Formazione “Sepher Jetzira”
attribuito ad Abramo, ed è il più antico testo cabalistico; è un concentrato di formule e corrispondenze il cui scopo è imagesCA32W4J0.jpgquello di svelare il parallelismo dei fenomeni spazio-temporali nella natura fisica e umana.

 Per Venezia e per tutta la cultura europea dell’epoca gli ebrei furono fonte di conoscenza e di scienza.La parola ghetto nacque quindi, purtroppo a Venezia, ma passeggiare sui questi campi soleggiati, attorniati da alte case, negozietti che espongono oggetti e libri bellissimi, trattorie che offrono cibro delizioso in una tranquillità ed una serenità che ti fa sentire fuori dal mondo, e fa percepire la specificità di un modo di pensare e di vivere affascinante e preziosa per la nostra cultura, anche se i veneziani sono appunto tutti veneziani, ebrei, armeni, greci, ecc. ed i veneziani si sentono orgogliosi di appartenere ad una comunità così composita e così viva.

I fratelli Zeno ed il Tesoro dei Templari

200px-Giovanni_Battista_Tiepolo_The_Apotheosis_of_Admiral_Vettor_Pisani.jpgTra i grandi navigatori veneziani non vengono spesso ricordati i fratelli Zeno. Appartenenti ad una nobile famiglia
il più conosciuto ed onorato fu Carlo, ammiraglio della flotta comandata da Vittor Pisani che sconfisse i Genovesi nella battaglia di Chioggia.

Il fratello Nicolò si dette invece al’esplorazione: affascinato dalle terre del Nord, allestì una nave e nel 1390 partì da Venezia. In questo suo vagabondare toccò terre sconosciute, come la Groenladia, la Finlandia ecc. e ne disegnò le mappe.

Heny Sinclair.jpgcarta dei Fratelli Zeno.jpgveliero.jpgFortuitamente, a causa di una tempesta approdò presso un’isola, una delle ora conosciute come Isole Orcadi, e qui, aggredito con il suo equipaggio dalla popolazione venne salvato e ospitato dal Signore di quell’isola: Principe Hanry Sinclair, Signore delle Orfkney, e Cavaliere del Tempio.

Nacque quindi una forte amicizia tra il cavaliere templare ed il Navigatore, il quale sposò subito la causa del suo ospite, per cui con le ricchezze del Sinclair e l’abilità di navigatore dello Zeno allestirono una nutrita flotta. Nel frattempo, chiamato dal fratello che durante le sue esplorazioni aveva sempre inviato le sue scoperte a VEnezia, si aggiunse anche Antonio Zeno.

carta di Antonio e Niccolò Zeno.jpgCavalieri Templari.jpgCarta della Frisland ecc. di Antonio e Nicolò Zeno.jpgInsieme esplorarono in lungo ed il largo il mare del Nord ed una parte dell’Atlantico,e proprio ascoltando i racconti dei pescatori di quelle isole poste all’inizio dell’Oceano si convinsero che esistevano altre terre verso occidente.

Ma nel 1394 Nicolò morì, e rimase Antonio, che ormai aveva vissuto esperienze, disegnato mappe ed era un navigatore altrettanto abile del fratello.

Quando in Europa si sparse la voce della persecuzione dei De Molai al rogo.jpgRogo di Templari.jpgTemplari, i cavalieri si rifugiarono in Scozia per sfuggire ai roghi di Filippo il bello, recando con loro i tesori che avevano nascosto. Il principe ed Antonio allestirono una flotta di dodici navi per cercare un luogo sconosciuto per mettere al sicuro l’ingente tesoro  di cui erano depositari ( si racconta che esso  fosse costituito si da oro e gioielli, ma anche da documenti particolarmente importanti), per cui nel 1398 salparono verso queste nuove terre.

Rosslyn Chapel.jpgRosslyn Castle 1.jpgRosslyn Castle.jpgStemma di Sinclair.jpgNelle loro

leggende i pellerossa Mi’cmak che occupavano la terra chiamata Nuova Scozia narrano della venuta di queste navi che attraccarono in una località chiamata Guyborough.All’inizio Oak Island.jpgOak Island particolari.jpgOak Island 2.jpgdel 1900 a Oak Island, un’isoletta al largo della Nuova Scozia, venne scoperta una strana costruizione costituita da stanze e tunnel sotterranei, dove si dice che venne nascosto il Tesoro che i Cavalieri Templari partavano con sè.

Ceppo dedicato ad Henry Sinclair.jpgTutt’ora si stanno svolgendo ricerche e studi per esaminare bene l’isola e svelarne i segreti.

Nel 1400 la flotta fece ritorno alle Orcadi, ed Antonio Zeno salutò il suo compagno per tornare a Venezia, ma nel viaggio probabilmente naufragò.

Lord Sinclair venne invece ucciso subito dopo il suo ritorno a casa.
Il destino lascia così un affascinante mistero da svelare!

Le mappe che gli Zeno avevano inviato a Venezia vennero stampate nel 1561 dalla “Geographia ” di Venezia di Gerolamo Ruscelli, mentri i resoconti vennero pubblicati nel 1558.

Mappa delle Vinland.jpgCarta di navigazione dei fratelli Zeno.jpgFrisland.jpg

La Corporazione dei Fritoleri a Venezia

a venezia.jpgL’indiscussa regina dei dolci veneziani è “la fritola”, ovvero la frittella.

Da sempre è stata considerata il dolce nazionale della Repubblica Serenissima, gustata non solo a Venezia ma in tutto il territtorio veneto – friulano, seppur con ricette diverse, fino ad arrivare in Lombardia.

La frittella veniva prodotta esclusivamente dai “fritoleri” che quasi a sottolineare questa loro ufficialità, nel 600 si costituirono in associazione.

imagesCARMW3E7.jpgLa Corporazione era formata da settanta fritoleri, ognuno con una propria area dove poteva esercitare in esclusiva l’attività commerciale e con la garanzia che a loro sarebbe potuti succedere solo i figli, tramandando quindi l’arte e l’attività in famiglia, di padre in figlio.

Questa attività ebbe fine solo negli ultimi anni dell’800.

La ricetta di questo dolce risale alla seconda metà del 300 e si tratta del più vecchio documento di gastronomia veneziana custodito presso la Biblioteca Nazionale Canatense a Roma, esiste poi una ricetta rinascimentale che si presenta come una sorta di appunto di cucina che è contenuta in una miscellanea di documenti del Fondo Correr (Museo Correr a Venezia).

imagesCAWQJ6Y3.jpgIn ogni caso l’invenzione viene attribuita a Bartolomeo Scappi, cuoco di Papa Pio VI, autore di trattati di gastronomia che hanno fatto la storia della cucina italiana.

imagesCAU3NRU3.jpgFrittelle.jpgLa corporazione dei “Fritoleri” riuscì ad ottenere dalla Serenissima il permesso di “frizer” nei campi “boccon da poareti e da siori”(così dicevano).

C’erano fritoleri che preparavano e friggevano i dolci all’aperto o chi si riparava sotto una baracchetta di legno.

imagesCAUWXH3M.jpgimagesCAC4YVDQ.jpgIl nobiluomo veneziano Pietro Gasparo Moro descrive così i fritoleri:
Hanno sempre sul davanti un pannolino che s’assomiglia al grembial delle donne, che sembra venuto allora fuor dal bucato. Tengono in mano un vasetto bucherellato con cui gettano del continuo zucchero sulla mercie, ma con tal atteggiamento che par vogliano dire: e chi sente l’odore e il sapore di questa cosa che noi inzuccheriamo?.

Mentre lo storico Giovanni Marangoni scriveva: Cuocitori e venditori a un tempo, impastavano la farina sopra ampi tavolati per poi friggerle con olio, grasso di maiale o burro, entro grandi padelle sostenute da tripodi.

A cottura ultimata le frittelle venivano esposte su piatti variamente e riccamente decorati, di stagno o di peltro. Su altri piatti, a dimostrazione della bontà del prodotto venivano esibiti gli ingredienti usati: pinoli, uvette, cedrini.

imagesCALWP2Y0.jpgfoto1251_1.jpgimagesCA1NCPXB.jpgDella frittella parla anche Goldoni nella sua Commedia il Campiello scritta nel 1756, e la conseguente opera musicale di Wolf Ferrari ispirata proprio a quella commedia.

Moro Lin in una sua memoria ne descrive a suo modo la ricetta: Composte da fior di farina di formento, rimpastate a lievito unito i pignoli e a zucchero, con uva che pendeva dai tralci delle viti calabre, vengono collocate nell’olio bollente.

E l’economista veneziano e noto buongustaio Ugo Trevisanato così descriveva le regole in versi rimasti famosi: ” La dev’esser gustosissima, cotta bene e ben levada, un pocheto inzucherada. Calda…o freda se volè”.

una fritola ebraica.jpgLa fritola contagiò anche la cucina ebraica che ne fece una propria versione ed ancor oggi viene preparata per la festa del Purim.

Azzardo la ricetta:

Mescolare in una terrina la farina 00 con latte, uova e zucchero, facendone un impasto abbastanza tenero, aggiungere un pizzico di sale, un pò di lievito di birra, uva sultanina bagnata ed infarinata, e si rimesta molto bene cercando che tutto si amalgami; lasciare il composto coperto a lievitare in un luogo tiepido per alcune ore.
Lavorare di nuovo il composto, aggiungendo se ce ne fosse bisogno un pò di acqua per rendere più fluido l’impasto e versare a cucchiaiate in olio bollente, e quando si rapprende voltarlo con una schiumarola fino a che prenda un colore marrone chiaro. Quando sono pronte levarle con la schiumarola e posarlas su canovaccio o carta assorbente, mettendoole a cupola su di un piatto, coperte da un velo di zucchero vanigliato.

Vigliaccamente non garantisco il risultato!