Primo tempio di riferimento bizantino, che in qualche modo trova dei punti in comune con quella di S. Apollinare nuovo di Ravenna: ” La coincidenza felice per Venezia, dice Sergio Bettini, è che si trattava di un gusto più di ogni altro adatto ad una città sorgente dalle acque: e acquorea è infatti nell’arte tardoromana e paleocristiana, con loggiati, peristili, pannelli marmorei, i mosaici alle pareti e l’opera tassellata del pavimento che reca un carattere marino nella trasparenza traslucida e come lavata”.
Essa, anche nelle parti aggiunte nel IX ed XI secolo porta tracce di tre momenti dell’architettura veneto-esarcale, che in gran parte precedono la Basilica di San Marco, la vera grande costruzione bizantina a Venezia.
L’interno di Santa Maria Assunta è molto semplice: nove colonne di marmo greco, sormontate da bellissimi capitelli veneto bizantini dividono le tre navate, di cui la centrale, così alta rispetto alle laterali, da l’immagine di una nave. A compattare la struttura vi sono dei tiranti, travature longitudinali e trasversali particolarmente
Importante è l’iconostasi racchiusa da sei colonne e da un largo architrave in cui sono incastonati dei dipinti fondo oro con immagini della Madonna e degli Apostoli, eseguiti da artisti di Murano alla metà del Quattrocento.
Accanto all’iconostasi uno straordinario pulpito costruito con antichissimi marmi lavorati in diverse epoche ed adattati gli uni agli altri, la qual cosa pone un interessantissimo problema archeologico per poter definire tali epoche.
Il motivo principale della Chiesa è la Madonna: la sua immagine è al centro dell’edificio,
Importanti e altamente simbolici i quattro plutei di origine bizantina, risalenti all’XI secolo che racchiudono appunto il presbiterio, di cui due di particolare interesse: quello con due pavoni che si abbeverano ad una fonte, simboli cristiani di grazia, ma che hanno anche un corrispondente alchemico: “distruttori di serpenti” ed i colori cangianti delle code avevano il doppio significato di tramutare il veleno in sostanza solare, e gli “occhi” erano simbolo dell’onniscenza di Dio.
Vi era inoltre un riferimento all’ “albedo” ( da bianco, che è la somma di tutti i colori), segno visibile nel “processo alchemico” di un’altra tappa della “grande opera”: le sostanze vili che vengono trasformate in sostanze superiori. Un pluteo
Il secondo pluteo, particolarmente interessante è quello che raffigura due leoni, uno a destra e l’altro a sinistra di una pianta, che si fronteggiano: i Leoni simboleggiano la luce, la regalità, la conoscenza la forza ed il coraggio.
Dal punto di vista esoterico essi erano posti dagli antichi egizi a guardia della nave del faraone defunto, ed in base al “fisiologus” (testo gnostico del II° secolo d. C) vennero loro attribuite tre nature:
La prima: egli cancella le proprie impronte quando è sulla montagna e sente l’odore dei cacciatori, la seconda: Quando dorme i suoi occhi vegliano, ed infine la terza: la leonessa partorisce i piccoli morti, ma il terzo giorno il maschio li resuscita con il proprio respiro.
E’ un’immensa pagina apocalittica per la lettura immediata per tutti i credenti. Chiara è qui l’analogia, specie nella suddivisione delle pene, con la Divina Commedia di Dante, che venne scritta però circa un secolo dopo: in sette comparti stanno i condannati per i sette vizi capitali, che corrispondo ai gironi della Commedia, con le pene stabilite per la legge del contrappasso, per primi infatti appaiono i lussuriosi avvolti nelle fiamme che si agitano ai venti della passione.