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Lug 12, 2016 - Cucina venexiana, Luoghi, Mestieri, opinioni, Personaggi, Società veneziana, tecnologia, Tradizioni    Commenti disabilitati su Lo zucchero a Venezia: la rivoluzione gastronomica europea!!!!!!

Lo zucchero a Venezia: la rivoluzione gastronomica europea!!!!!!

navi a VeneziaL’importanza di Venezia nella diffusione della canna da zucchero e in seguito la sua esportazone ai Caraibi fu determinante per la modifica del commercio e dell’alimentazione in Europa. Come sempre la Serenissima all’avanguardia, attraverso i suoi osservatori e mercanti.

zucchero di canneLa scoperta di questa sostanza, sottoforma di canna avvenne nel 1099 per merito dei Crociati che poterono osservare e annotarono , nei pressi di Tripoli di Siria, la città dove nacque l’amore passionale e perfetto tra Jauffret Radel e la splendida Melisend,  delle canne color miele . Di questo parla un cronista di guerra dell’epoca al seguito dei cristiani, Albert d’Aix ;  ” i campi erano coperti da canne mielate. chiamate zucchero e coltivate con molta cura;  quando sono mature gli indigeni le pestano in mortai e se ne ottine un sacco che viene raccolto e lasciato indurire come neve o sale fino. I crociati ne fanno delle pappe mescolandi lo zucchero col pane ed aggiungendovi dell’acqua.

Tripoli di SiriaDurante gli assedi in Albania, ad Archas ed a Marra si nutrono con le dolcissime canne.”Fino a quel momento la culturta orientale in fatto di cucina era considerata superiore, per vua delle spezie e dei sapori intensi e unici che la caratterizzavano. Per questo motivo si ebbe un fiorire della ricercA culinaria testimoniata da testi di gastronomia.
In Europa apparvero ricettari fino al XIII secolo mentre in oriente c’era un catalogo ricettario fin dal  secolo-

Molto imnportante è che a Venezia venne tradotto tra i secolo XIII e XIII un trattato di dietetica araba da un personaggio chiamato Jamboninus da Cremona,  (un manoscritto inedito è conservato a Parigi). Alla fine di questo trattato che è in effetti un libro con 83 ricette è scritto: “Liber de ferculis et condimentis , traslatus in Venecia a magistro Jamibono cremonesi e arabico in latinyum extractus  ex libro Gege filii Algazael( medico di Bagdad morto nel 1100) intitolato de cibis et medicinis simplicitis et compositis-

Tzuccheroutto ciò dimostra che i veneziani acquisirono determinate abitudini gastronomiche derivate dalle esperienze culinarie effettuate in oriente e all’uso facile e ghiotto delle spezie che in Europa non erano conosciute. Nel 1222 il doge Ziani si lamentava della carenza di pesce e di tutto ciò che si era abituati a consumare, proveniente dalle campegne interne, dal frumento, al vino all’olio! Esagerava il doge, retrogrado e non propiettato alle nuove consuetudini: a lui rispose Angelo Faliese, procuratore di S. Marco  che gli fece notare che non s’era alcuna carenza di pesce, ne di olio, ne di frumento, ma che le nuove abitudini dei veneziani erano frutto della loro ricchezza: le importazioni dall’Oriente e il ruolo fondamentale della Serenissima nello Tripoli di Siriasviluppo della cultura europea!’importanza di Venezia nella diffusione della canna da zucchero e in seguito la sua esportazone ai Caraibi fu determinante per la modifica del commercio e dell’alimentazione in Europa. Come sempre la Serenissima all’avanguardia, attraverso i suoi osservatori e mercanti.

La scoperta di questa sostanza, sottoforma di canna avvenne nel 1099 per merito dei Crociati che poterono osservare e annotarono , nei pressi di Tripoli di Siria, la città dove nacque l’amore passionale e perfetto tra Jauffret Radel e la splendida Melisend,  delle canne color miele . Di questo parla un cronista di guerra dell’epoca al seguito dei cristiani, Albert d’Aix ;  ” i campi erano coperti da canne mielate. chiamate zucchero e coltivate con molta cura;  quando sono mature gli indigeni le pestano in mortai e se ne ottine un sacco che viene raccolto e lasciato indurire come neve o sale fino. I crociati ne fanno delle pappe mescolandi lo zucchero col pane ed aggiungendovi dell’acqua.

Durante gli assedi in Albania, ad Archas ed a Marra si nutrono con le dolcissime canne.”Fino a quel momento la culturta orientale in fatto di cucina era considerata superiore, per vua delle spezie e dei sapori intensi e unici che la caratterizzavano. Per questo motivo si ebbe un fiorire della ricercA culinaria testimoniata da testi di gastronomia.
In Europa apparvero ricettari fino al XIII secolo mentre in oriente c’era un catalogo ricettario fin dal  secolo-

Pelleas e MelisandMolto imnportante è che a Venezia venne tradotto tra i secolo XIII e XIII un trattato di dietetica araba da un personaggio chiamato Jamboninus da Cremona,  (un manoscritto inedito è conservato a Parigi). Alla fine di questo trattato che è in effetti un libro con 83 ricette è scritto: “Liber de ferculis et condimentis , traslatus in Venecia a magistro Jamibono cremonesi e arabico in latinyum extractus  ex libro Gege filii Algazael( medico di Bagdad morto nel 1100) intitolato de cibis et medicinis simplicitis et compositis-

ziani-pietro-doge42_0Tutto ciò dimostra che i veneziani acquisirono determinate abitudini gastronomiche derivate dalle esperienze culinarie effettuate in oriente e all’uso facile e ghiotto delle spezie che in Europa non erano conosciute. Nel 1222 il doge Ziani si lamentava della carenza di pesce e di tutto ciò che si era abituati a consumare, proveniente dalle campegne interne, dal frumento, al vino all’olio! Esagerava il doge, retrogrado e non propiettato alle nuove consuetudini: a lui rispose Angelo Faliese, procuratore di S. Marco  che gli fece notare che non s’era alcuna carenza di pesce, ne di olio, ne di frumento, ma che le nuove abitudini dei veneziani erano frutto della loro ricchezza: le importazioni dall’Oriente e il ruolo fondamentale della Serenissima nello sviluppo della cultura europea!

Giu 26, 2015 - Leggende, Luoghi, opinioni, Senza categoria, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su Il Canale degli orfani a Venezia: il primo ed unico accesso per le njavi alla Serenissima!

Il Canale degli orfani a Venezia: il primo ed unico accesso per le njavi alla Serenissima!

Canale degli orfani a VeneziaIl Canale degli Orfani è un canale navigabile della laguna di Venezia ed è l proseguo del Canale Santo Spirito: inizia dall’Isola di Santo Spirito e scorrendo parallelamente al Lido converge con il bacino di S. Marco nel canale di S. Nicolò all’altezza di S. Servolo.

Venezia_laguna_vista_satellite-1200Il canale è quindi parte del percorso che permette di raggiungere Venezia dalla parte di Malamocco, la quale, fino all’ottocento era l’unico degli accessi lagunari e garantiva un passaggio sufficiente per le grandi imbarcazioni , e questa via acquea è attestata per la prima volta in un documento del 1109 in cui l’isola di S. Servoilo è descritta :come in capite aquarioli iuxta canalem orphanorum .

canale dellorfano a VeneziaLa descrizione le attribuisce povertà d’acqua (orfana?!) ma forse si rifà al fatto che mai tante navi franche, genovesi e quindi di pirati vennero distrutte da quelle veneziane, creando tanti orfani dei nemici che venivano distrutti e annegavano.

canale dell'orfano a S. Marcola Serenissima che per sua natura era laica, quindi poco propensa alle condanne per eresia, per compiacere i papi dell’epoca usarono quelle acque per le esecuzioni tramite annegamento.

Mag 12, 2013 - opinioni, Personaggi, Società veneziana, tecnologia    Commenti disabilitati su La bellezza della maternità e la dolcezza di chi la aiuta!

La bellezza della maternità e la dolcezza di chi la aiuta!

Desidero affidare queste mie parole alla maternità, di cui oggi si dedica la festa . e non solo alla maternità fisica….che è frutto di esperienze pregresse, di progetti comuni o no che hanno coinvolto o coinvolgono un’altra persona, soggetto della paternità! ed è proprio al frutto di una capacità fisica o anche solo creativa di poter far nascere nuove persone ma anche nuove idee e nuovi processi mentali.

Io come madre, e orgogliosa futura  nonna, so cosa vuol dire partorire una creatura concepita in comune con la persona amata. e so che nonostante il progetto comune e la partecipazione più sentita, l’esperienza del parto è qualcosa di unico, che la donna vive con le proprie sofferenze, con il propro coraggio facendo fronte alle proprie paure di persona consapevole, si, ma non del tutto preparata ad un’esperienza che può diventare cruenta: e tutto ciò mi rende orgogliosa innanzi tutto dell’essere donna, ma non soltanto, di essere un individuo che porta qualcosa di meraviglioso e nuovo al mondo!

E allora , proprio in questo giorno, desidero rendere omaggio alle persone innovative, a chi , con le proprie idee ha contribuito e contribuisce al miglioramento del nostro modo di pensare, ad illuminare, con le proprie capacità e i propri studi il cammino della scienza; a chi con la propria costanza e i propri sacrifici riesce a donare sollievo a quelle donne, malate di Aids ed ai loro figli, che sopravvivono con dolcezza e tenerezza!

Per me la maternità è portare in sè creature non consapevoli, tenerissime, dolcissime, che nulla hanno chiesto e che non conoscono il proprio destino…creature che , al sicuro nel ventre materno si muovono, sbadigliano, dormono…..rassicurate e serene, che verranno poi catapultate, all’improvviso in un mondo fatto di fame, sete, sofferenze…..ed è anche portare idee, pensieri, capacità che, se giustamente sostenute potrebbero rendere la vita…tutte le vite, degne di essere affronte e vissute!

E a questo io mi sento di congratularmi con chi, madre o non madre, uomini,, donne….donano vita alla vita!!!!! Auguri a tutte le mamme e alle persone che queste donne seguono con abnegazone e rispetto!!!!

Donne veneziane: lo zengàle e l’arte de ” tacàr botòn”

Eugenio da Venezia-donna con scialle.jpgveneziane.jpgLe donne veneziane, sia nobili che popolane hanno sempre avuto un modo particolare di esprimere la propria femminilità: donne argute, decise, la battuta pronta, e consapevoli del proprio essere persone, oltre che donne.

Veneziana.jpgA Venezia queste caratteristiche venivano definite con un termine ” morbin”: questo brio, questa vivacità, questo modo  di sapersi districare tra le attenzioni degli uomini senza offendere, ma lasciando in qualche modo, aperta la strada per continuare a relazionarsi con gli altri senza per questo promettere nulla, esempio eclatante nella letteratura è la descrizione di Goldoni, occhio acuto e sornione sulla civilità veneziana, che seppe così magistralmente descrivere Marietta nelle ” Morbinose ” giovane allegra e piena di vita che fa credere per scherzo ad uomo di essere innamorata di lui , che  cade poi, vittima felice del suo stesso gioco, e la ” Locandiera”, giovane donna energica inseguita da uno stuolo di ammiratori, che riesce in qualche modo a gestire queste attenzioni, fino a che non si arrende anch’essa all’uomo di cui si era innamorata!

Questo atteggiamento così disinvolto nelle relazioni sociali, che nulla aveva a che fare con l’essere facili, ma che rifletteva la concezione non ipocrita e bigotta che in altri Stati veniva imposta da unmodo di concepire i rapporti umani, era frutto di un atteggiamento mentale legato ad uno Stato laico, anche se la Religione veniva professata e vissuta quotidianamente (basti pensare alle centinaia di chiese che sono state erette nella Serenissima).

Giacomo Favretto.jpgscialle veneziano in lino e pizzo a fusello.jpgNel 1761 fu concessa a tale Giovanni Zivaglio la licenza di “fabbricare fazzoletti come si usano nelle Indie e portati anche dalle donne dello Scià di Persia”! Tale “fazzoletto” venne chiamato ” zendado, o zendàle, e altro non era che un grande scialle con lunghe frange confezionato in seta, in pizzo, e, per le popolane più povere, in lana, tutti di vari colori o delicatamente ricamati( dal 1848, quando venne proclamato il lutto per i caduti della lotta di liberazione diventarono rigorosamente neri), ed in seguito venne rinominato scialle (da Scià di Persia, appunto).

Con la loro eleganza e l’innata capacità seduttiva le popolane utilizzarono questo indumento che poteva essere aperto, avvolto, coprire la testa, o maliziosamente lasciare leggermente scoperte le spalle per un’innocente quanto attraente mezzo per far avvicinare i giovani da cui si sentivano attratte e che percepivano in qualche modo  troppo timidi per esprimere loro la propria ammirazione: all’avvicinarsi del prescelto con un rapido gesto della mano prendevano un lembo dello scialle e lo facevano volteggiare Banco Lorro di Favretto.jpgEttore Tito.jpgIl Sorcio di Gacomo Favretto.jpgper ricoprire la spalla, facendo svolazzare le lunghe frange ….le quali, quasi magicamente, andavano ad impigliarsi sui bottoni del futuro innamorato….piccole ragnatele colorate e delicate che impigliavano e imprigionavano il cuore dell’uomo.

Ecco da dove nasce il termine: attaccare bottone (tacàr botòn). Chissà quante storie d’amore sono nate in passato in questo modo: le nostre ave,  occhi vivaci, sorriso allegro, sguardo malizioso ed uno scialle “malandrino”.

la_gondola_ettore_tito.jpgPopolane veneziane di Favretto.jpgVeneziana 1.jpgL'ultma_parola_-_Giacomo_Favretto.JPGLa Pescheria di Ettore Tito.jpgpopolane veneziana.jpgCome al solito a scegliere era la donna!

 

Prendersi a pugni sul ponte

7-Ponte dei Pugni.jpg

Desidero accompagnarvi in un ipotetico percorso   lungo il sestiere  di  S.Croce, uno dei sei che formano la città. Gli altri sono Dorsoduro, S. Polo, Cannaregio, S. Marco  e Castello. I sestieri sono rappresentati a prua delle gondole come il pettine formato appunto da sei punte. Da Piazzale Roma proseguiamo verso i Tolentini, e con tranquillità, si arriva in Campo S. Barnaba  (proprio vicino ad una sede dell’università di Cà Foscari).

Siamo a Dorsoduro: eccoci quindi arrivati alla prima curiosità. Un ponte, sembra uno qualsiasi ma qualsiasi non è . Fino a qualche tempo fa era privo di spallette, e la sua sommità sembra un ring ai quattro lati sono impresse delle orme di piedi, dove venivano raffigurate, in un vero incontro di box. le postazioni dei contendenti. Non è l’unico ponte di questo tipo, ma è comunque un esempio della pragmatica lungimiranza del governo della Serenissima.

I membri dei vari sestieri covavano spesso inimicizie, invidie e diatribe con i componenti di altri sestieri: in questo caso erano i Castellani che non riuscivano sicuramente ad accordarsi con i nicolotti-

 Facile quindi prendere fuoco per una frase mal riferita, per una provocazione, ma, visto che l’omicidio era condannato8-Orma del Ponte dei Pugni.jpg con la pena di morte, i Dogi avevano scovato un rimedio giusto per tutti i mali: due contendenti di un Sestiere e due dell’altro si mettevano in postazione, i piedi posti sopra le orme scalfite sulla pietra e poi via, scazzottate a tutto spiano, che un po’ alla volta coinvolgevano anche trecento, quattrocento persone.

Essendo il ponte sprovvisto di spallette, chi veniva colpito in modo netto finiva in acqua, ma senza farsi male, perché il canale veniva costantemente dragato in modo che la nuotata contribuisse a ridare un po’ di lucidità ai contendenti, fino a quando, soddisfatti tutti, la disputa veniva dichiarata conclusa. Era un sistema molto saggio per far sfogare i livori senza violenze vere e proprie, in una città in qualche modo molto piccola, dovecomuque tutti dovevano e si sentivano chiamati a collaborare per la sua vita e per il suo splendore.

9-Stampa del Ponte dei Pugni.jpg