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Mar 15, 2013 - Tradizioni    Commenti disabilitati su La Sek-kah a Venezia, e la sua egemonia monetaria del mondo conosciuto.

La Sek-kah a Venezia, e la sua egemonia monetaria del mondo conosciuto.

Immagine della Zecca di Venezia.jpg120px-Procuratie_Vecchie.jpg120px-Procuratie_Nuove.jpgjacopo_tintoretto_027.jpgCon l’espansione della sua potenza, la Serenissima cominciò a coniare moneta: dapprima la Zecca ( dalla parola araba sek-kah che vuole dire conio) venne collocata a Rialto, già dal IX secolo,  ma in seguito, per motivi di sicurezza, venne incaricato Jacopo Tatti, detto il Sansovino, per alzare di un piano un Palazzo attiguo alla  biblioteca,da lui stesso progettata,  e a creare appunto l’edificio della Zecca.Esso venne eretto tra il 1537 e il 1545, in 300px-Venice_-_Zecca_-_Libreria_Marciana.jpgA destra Biblioteca Marciana confinante con la Zecca.jpgpietra d’Istria, con uno stile austero, confacente con quello delle Procuratie Nuove e Procuratie vecchie, ed alla Biblioteca Marciana, una precisa linea architettonica omogenea, creata forse, per la sua austerità a dare maggior risalto agli influssi gotici e bizantini della Basilica di S. Marco e Palazzo Ducale.

La realizzazione avvenne tra il 1537 e il 1545, e la collocazione venne scelta proprio per essere maggiormente controllata dal Maggior Consiglio. Per la costruzione dell’edificio venne usata solo pietra d’istria, in modo da evitare possibili incendi che si sarebbero potuti propagare con l’uso del legno.

Prima dell’attuale collocazione la vecchia zecca aveva coniato diverse monete, tra cui il quartarolo ( soldo che edificio della Zecca.jpgquartarolo.jpgserviva per passare sul ponte di barche da una riva all’altra del Canal Grande), ma anche il 300px-Venezia_Matapan_1328_1910332.jpgducato d’Argento, coniato sotto il Doge Enrico Dandolo nel 1202,  la moneta valeva 24 denari ed era costituita da 2,18 grammi d’argento al 0,965%: in una faccia rappresentava S. Marco che porgeva il vessillo al Doge, e nell’altra veniva rappresentato il Redentore che sedeva sul trono;rifacendosi all’arabo “mantaban” che significava : il Re è seduto” ecco che assunse anche il nome di “matapan”.

matapan.jpgMatapan di Giovanni Dandolo.jpgSuccessivamente, nel 1472, sotto il Doge Nicolò Tron venne coniata la Lira d’Argento, detta Lira Tron, moneta costituita da 6,52 grammi d’argento al 948%. Essa valeva venti soldi.

Dal 1248 (Doge Giovanni Dandolo) venne coniato il Ducato d’oro, chiamato successivamente zecchino ( appunto derivante dalla Zecca), che valeva un fiorino fiorentino, ma che era costituito da oro al 99,/% , oro moneta veneziana.jpgmonete veneziane.jpgpuro, insomma (da qui la definizione di oro zecchino!).

Dal suo trasferimento nella nuova sede, la Zecca  poteva considerarsi il simbolo della tradizionale supremazia in campo monetario e di un prestigio di cui Venezia andava giustamente orgogliosa.

Infatti la moneta veneziana assieme a quella fiorentina circolava in tutta Europa; il Ducato d’Oro ( zecchino) ad esempio era usato anche nei paesi d’oriente; nel XV  secolo si affermava che Venezia fosse “padrona dell’oro di tutta la Cristianità”.

L’edificio della Zecca risulta articolato planimetricamente in due parti: una zona interna, che si svolge attorno al coniatore.jpgcortile rettangolare, divisa in numerosi piccoli ambienti adibiti a laboratori di conio e lavorazione dei metalli preziosi, dove i coniatori si alternavano nel conio di ogni moneta: uno coniava una faccia, l’altro l’altra!

Poi nella zona esterna, con la facciata sul Molo erano custoditi i tesori della Repubblica e i depositi privati con relativi Uffici.

All’estremità del corridoio c’era l’ingresso da terra (in corrispondenza con la diciassettesima arcata della Biblioteca) e l’ingresso dell’acqua, sul piccolo Rio della Zecca.

Gli ingressi vennero quindi posti non sulla facciata, ma lateralmente ed in posizione poco appariscente : La contrapposizione tra facciata ed i singoli ingressi fanno parte di un tipico atteggiamento del Governo della Serenissima: desideroso si di esibire il simbolo della propria potenza, ma nel contempo assai prudente nel mostrare le vie d’accesso a tale potenza.

Zecchino%20di%20Venezia.jpgzecchino veneziano, o Ducato d'oro.gifNaturalmente, come per tutto ciò che riguarda l’amministrazione della cosa pubblica, Venezia aveva un occhio attento, e costituiva amministratori o controllori particolari per una istituzione così delicata: Come i governatori della Zecca, il Depositario (incaricato della sorveglianza del Tesoro pubblico) i ” Provveditori sora oro e monete”, per controllare l’oro e gli altri metalli preziosi, il Conservatore del Deposito, che doveva controllare affinchè le uscite pubbliche avvenissero a norma di legge, ed i Massari all’argento e all’oro che dovevano controllare le quantità di metalli pregiati che qui venivano conservati.

Di questi magistrati rimane un’immagine del Tintoretto, quadro conservato presso le Gallerie dell’Accademia con titolo:  ” La Madonna dei Tesorieri”.

Madonna dei Tesorieri 1567 Tintoretto Gallerie dell'Accademia.jpgAnche questa capacità della Serenissima  di esprimere a livello monetario la propria potenza, divenne motivo per legare all’arte l’orgoglio di questa Repubblica unica al mondo, e di una città altrettanto unica.

 

 

 

Il pranzo di Leccardo

confetti.jpgbanchetto speciale.jpgGiovanni Garzoni.jpgCà GTarzoni.jpgEnrico III.jpgEnrico III di Francia.jpgSiamo a fine anno, e per stasera si preparano cenoni, come da tradizione, e per questo motivo mi piace illustrare un banchetto in onore di Enrico III,  organizzato dal doge Alvise I Mocenigo, la cui descrizione ci viene lasciata dal Garzoni  ci è necessaria per comprendere appieno  lo sfarzo e la ricchezza dei banchetti ufficiali veneziani, che dettarono legge per tutte le altre corti d’Europa.medievali banchetti.jpgcredenzierei a Venezia.jpgcoppieri.jpgpentole.jpgPer poter realizzare i conviti  erano necessarie figure specializzate come cuochi, scalchi, trincianti, credenzieri, bottiglieri inservienti vari, che dovevano possedere una grande cultura professionale  con tanti modi per cuochi attenti al loro lavoro.jpginsegnamento ai coppieri.jpgpoter trasformare la materia prima  in cibi  eccellenti, avendo a disposizione una vasta gamma di attrezzature, come pentole, casseruole, mestoli e coltelli.piatto.jpgpiatto 2.jpgscalchi del 1400.jpgSala del Maggior Consiglio.jpgSala del Maggio °Consiglio 2.jpgAlvise I Mocenigo.jpgSi spiega così la stupefacente ricchezza dei banchetti veneziani  del cinquecento  dei quali ho già fatto cenno, o come banchetto 4.jpgquello descritto nel 1574 da Marsilio della Croce nella sua Historia della pubblica et famosa entrata in Venezia del Serenissimo Enrico III, e precisamente quella parte che riguarda il banchetto offerto in onore del re di Francia  nella Sala del Maggior Consiglio  in Palazzo Ducale.piatto decorato.jpgbanchetto in sala.jpgargenetira.jpg” Nella sala del gran Consiglio addobbata di cuoi d’oro dalle pitture a basso, che faceva maggior ornamento, al capo della quale dalla banda del tribunale dove c’è la sede del principe, vi era apparata una credenza d’argento di meravigliosa grandezza e bellezza, e d’inestimable prezzo,  per li molti vasi, coppe d’orto e piatto d’oro e d’ argento, che vì erano, quali non furono adoperati , ancor che si mangiasse in argento.Dall’altro lato della sala si stava posto un tavolato alto circa due braccia con alquanti gradi ai piedi, , e nel messo di esso vi era un quadro come sogliono usare tutti i gran principi, sopra il quale vi era posta la tavole per Sua Maestà, coperta da un baldacchino di broccato d’oro molto ricco.

posateria preziosa.jpg” Data l’acqua per le mani fu tenuta la salvietta dal Signor duca di Savoia, la Sua
Maestà sedette quasi a mezo della tavola in faccia della sala, lasciando luogo a destra ai Coppieri et alli gentil’huomini della bocca, che la servivano: alla sinistra nella medesima faccia sedeva il cardinale et il Principe,  dal canto poi della detta tavolasedevano li signori Duchi di Savoia e di Ferrara, e si fece la credenza a S. Maestà solamente.

Alla destra del re sopra il tavolato più spatioso vi erano due altre tavole, l’una alla destra, l’altra all sinistra, alla prima sedevano il Nunzio Apostolico, li ambasciatori, li sei consiglieri del Principe con i tre Capi XL, et alla seconda il Signor Duca di Nivers, il Signor Don Alfonso d’Este, et un signor di qualità francese, a due altre tavole poi molto più lunghe e poste più in basso del piano ordinario sedevano li carissimi Senatori della Repubblica.

zuccherini 3.jpgstoviglie preziose 3.jpgIl banchetto fu cautissimo e famosissimo per la molta copia et la varietà di preziosissime vivande, e tra queste confettini e zuccari diversi in gran numero, che ascendevano a mille et dui vento piatti, che dell’uno e dell’altra ve n’era abbondante quantità, sendo stato fatto il preparamento per il mangiare di tre millia persone, che non si poteva desiderare  ne immaginare apparato maggiore.

Qualche anno prima Andrea Calmo dava alle stampe una commedia intitolata ” El Saltuzza”nella quale Leccardo, un simpatico sbafatore, vagheggiava in questo modo un suo pranzo…

tavoli.jpgil Saltuzza di Andrea Calmo.jpgcibi per il banchetto.jpg” Oh lodato sia Bacco con tutti gli dei, che han triomphato al mondo e che mi hanno fato gracia  che niun mi ci oppone’, a questo mio convito, qual è più gloriosa vita de la mia, è pasciuto questo mio corpiciuolo, tutti li secoli sono pasciuti per me, io sono patrone, madonna, servitore, fantesca, scalco, cuoco, e infine sono io stesso de gli invitati, o come saprei ben governare una mensa, se mi ci venisse dato il carico, ponerei le vivande ordinariamente, come fa un valoroso e prode capitato di un esercito a prima giunta io ci farei venire in loco de la fanteria l’insalata, il rafano, il cresciuto lesso, lengue et salsicce, con diversi bocaloni de preciosi vini invece de tamburi, le canaglierie la carne de vitello, le supe pesce.jpgpiatti antichi.jpggrasse, gli polastri e li capretti allessi, gl’uomini darme lomboli, caponi, pernice, galli d’India, fasani e pavoni arrostiti, gli ragazzi saccomani, venturieri la salsa, la mostarda, gli cedro, le melarancie, il sapor d’uva, il codognato, le torte, viene poi il gubernatore, coletrale, collonelli, intendono la malvaggia, le ostriche, il marzapano e il confetto, di le artiglieria e arcobusi non parliamo, che per elle dopo il pranzo si scroccano di sotto e di sopra senza remissione, e godi finchè Iddio ci lascia vita, e appetito, io vo pigliarmi un schiantellino de tribiano, con due bocconi de sopresciata fin che gli caponi finiscono di cucinarsi, o che dolce, e beato vivere a l’altrui spese! “

E alla soddisfazione di Leccardo e a suoi sogni desidero augurare a tutti voi un anno riucco di sorprese felici, di propserità e di serenità! Auguriu di cuore, Piera-

 
 

 

I cicisbei veneziani, e l’amore a Venezia nel 700

Cicisbeo di Longhi.jpgI cicisbei o Cavalieri Serventi furono un fenomeno soprattutto italiano, molto criticato dagli stranieri, tra i quali Montasquieu , che visitando l’Italia nel 1728 ebbe a scrivere: ” non vi ho parlato dei cicisbei, è la cosa più ridicola che un  popolo stupido abbia potuto inventare; sono degli innamorati senza speranza, delle vittime che sacrificano la loro libertà alla dama che hanno scelto”.

Dall’alto della sua tracotanza Montasqiueu non aveva capito nulla del ruolo dei cicisbei, almeno nella Venezia tra il 1600 e oltre il 1700.

Non aveva capito, il grande pensatore, la funzione e le opportunità di cui poteva avvalersi il Cavalier servente stesso, la dama ed il suo legittimo marito, anche se il Goldoni, specialmente nella sua “Bottega dell’antiquario” ironizza su questa figura.

Damina_e_Cicisbeo.jpgNato come cavaliere  in grado di proteggere una donna nelle sue uscite il cicisbeo era un figlio della Nobiltà ed Aristocrazia Veneziana, ma figlio cadetto, per cui l’opportunità di far parte della Società, anche senza possedere denaro (l’eredità andava tutta al primogenito), era legata alla frequentazione con tale ambiente che poteva assicurargli una futura sistemazione.

PoussinArcadia.jpgL’accompagnatore veniva scelto in una cerchia di parenti od amici di pari censo, ed il suo nome veniva spesso indicato sul contratto di matrimonio. Il suo compito era quello di seguire la sua dama fin dal mattino, presenziando alla sua toletta del mattino, accompagnandola a passeggiare, trattenerla con la recita di versi o di musica. Spesso tali versi erano tratti dalla letteratura Italiana legata all’Arcadia: secondo la mitologia greca l’Arcadia del Peloponneso era un possedimento di Pan, la deserta e vergine casa del dio della foresta e la sua corte di Driadi, ninfe e spiriti della natura. Viene spesso identificata come un paradiso terrestre abitato solo da entità sovrannaturali, per cui immortali.

Il cicisbeo di Pietro Longhi.jpgIl Cicisebo di Pietro Longhi.jpgCasanova, nella sua autobiografia accenna spesso a recite di brani di autori come Gian Vincenzo Gravina, Francesco Petrarca e Pietro Metastasio (pseudonimo grecizzato di Pietro Trapassi), recite che si svolgevano come interludi di amplessi con donne colte e letterate.

A tavola il Cicisbeo sedeva accanto alla sua dama, le tagliava la carne, o la sera la accompagnava al tavolo da gioco.

In questa relazione tra dama e cicisbeo, apparentemente, non poteva esistere l’amore o altro, ma una galanteria ed una cura continua di un uomo che (secondo le vecchie consuetudini degli antichi cavalieri) porgeva alla dama del suo cuore…nulla più; qui di seguito trascrivo le indicazioni di comportamento del cicisbeo:

“A’ verso miei l’orecchio, et odi di quale cura al mattino tu debbi aver di lei, che spontanea o pagata a te donossi: Per sua donna qual di lieto che a parole certe, non sente testimoni, furono a vicende connesi i patti santi, e le condizioni di caro nodo”.

Giacomo Casanova.jpgNaturalmente, considerato che diversi matrimoni venivano combinati, non è da escludere che la dama ed il cicisebo intrecciassero una relazione d’amore tra loro, con il silenzioso beneplacito del marito, che aveva via libera per intrecciare altre relazioni: comunque sia, rimaneva salda l’integrità del matrimonio e soprattutto delle proprietà familiari.

Tra i cicisbei una buona parte furono abati (anche Giacomo Casanova, nella sua prima giovinezza divenne abate), ed alcuni di loro , per alleviare la noia degli obblighi monastici, si interessarono ad alcune monache.

Nei monasteri benedettini, specialmente, dove le figlie di famiglie nobili erano destinate ai voti, si svilupparono relazioni con abati e anche con persone esterne. Infatti, dalla descrizione di uno di questi monasteri lasciataci dall’abate guardi_parlatorio1.jpgPizzicchi,parlando del monastero benedettino ebbe a dire: “esse vestono leggiadrissime vesti, con abito bianco alla francese, il busto di bisso a piegoline, velo piccolo cinge loro la fronte, sotto il quale escono i capelli, arricciati e mirabilmente accomodati; seno mezzo scoperto e tutte insieme abiti da ninfa che da suora”.

Rievocando sempre Giacomo Casanova, nota fu la sua relazione con la famosa MM, suora del convento di Murano. Destini tristi di persone che non avevano alcuna intenzione di vestire abiti talari e monacali, la laicità stessa di Venezia, l’atmosfera che in questa città è sempre stata unica, magari vittima qualche volta di alcune ipocrisie, ma città viva, con persone vive…che consumavano i loro amori  tra i Palazzi e le gondole coperte dal loro felze, portando avanti una gioia di vivere, inizio, purtroppo della decadenza!!

 

 

Venezia: centro dell’editoria e della cultura in Europa

Biblioteca-Marciana.jpgbiblioteca-marciana-venezia.jpgIl Tempio della Cultura di tutta Europa fu, nel 1500 la Libreria del Sansovino (edificio splendido e lodato pure dagli architetti contemporanei, come Palladio); il suo prestigio era effettivo dato che Venezia era un centro culturale europeo, basato sulla valorizzazione della cultura classica e legato, oltre che per le opere contenute ( la biblioteca dono del  Cardinale Bessarione, formata da incunaboli, libri scritti in greco, libri arabi, preziose incisioni)) quella di Francesco Petrarca che ne fece dono anch’esso alla Serenissima, ma anche e soprattutto per il rapido sviluppo in questa città dell’editoria.

Le attività imperniate nella nuovissima arte della stampa ebbero infatti a Venezia , alla fine del quattrocento, un Cardinale Bessarione.jpgAntico testamentio scritto in Greco.jpgantico libro del Petrarca.jpgpetrarca.jpgrapido sviluppo che si estese e si consolidò fino al 1500.

Nel 1469 si trasferirono nella Repubblica i primi stampatori tedeschi e, appena quindici anni dopo il primo libro stampato a caratteri mobili da Gutemberg a Magonza, iniziarono la produzione libraria: questa si sviluppò immediatamente sollecitata dalla sempre maggior richiesta di libri soprattutto di cultura letteraria, umanistica e scientifica.

La produzione divenne imponente: prima del 1500 operavano nella città 154 officine che produssero tremila giosue1.gifedizioni, equivalenti a oltre due milioni di copie: ricorda Lino Moretti ( il libro veneziano nei secoli, 1973) che dal 1495 al 97 furono pubblicati in Europa 1821 libri e di questi ben 447 , quasi un quarto, a Venezia.

Nel cinquecento, superata la crisi dei primi decenni, Venezia visse il suo secolo di opulenza che fu anche il secolo d’oro della stampa Veneziana. In questi cento anni si annoverarono 493 ditte tra tipografi, editori e librai.

Oltre al numero i libri veneziani erano apprezzati e riconosciuti per alcuni pregi intrinseci: la qualità della carta che veniva da Fabriano nelle Marche o dal Friuli, la nitidezza dei caratteri e la raffinatezza delle illustrazioni e delle decorazioni in cui si rifletteva lo splendore dell’arte Veneziana di quel periodo: la pregevole fattura delle rilegature specie quelle in pelle di ispirazione persiana.

manuzio.jpgAldo Manuzio a sinistra.gifLa personalità che più contribuì al prestigio europeo del libro veneziano di Aldo Manuzio: nativo del Lazio, dotto umanista prima di diventare stampatore ed editore di opere classiche egli giunse a Venezia quarantenne e vi operò dal 1489 al 1515, pubblicando più di trenta volumi classici, soprattutto greci, (Archimede, Omero, Esopo), in lingua originale, e la famosa e splendida opera “Hypnerotomachia Poliphili” (1499) di, si dice Francesco Colonna, sacerdote veneziano, e xilografie  di   Mantegna,     ma la storia di questo libro ed il suo significato alchemico è così importante che ne parlerò a parte.

Marchio_Tipografico_aldo_Manuzio-b1f27.jpg250px-Aldo_Manuzio_Aristotele.jpgDa Hypnerotomachia Poliphili.jpgLe edizioni Aldine divennero famose ed inconfondibili, non solo per l’alta qualità della stampa e delle decorazioni, ma anche dalle dimensioni dei volumi, che dal formato “in folio” fu ridotta “in ottavo”;

Tale riduzione unita all’uso di una carta più sottile ma resistente resero il libro molto più maneggevole.

L’attività editoriale veneziana del cinquecento fu connotata da una grande apertura culturale: venivano pubblicati libri in latino, in greco, in volgare, in slavo, in armeno, in Legatura di un libro.gifTorchio per stampa.jpgebraico oltre che le prime e più belle edizioni musicali.

08bembo.jpgDice sempre il Moretti: Proprio al libro di un patrizio veneziano, edito a Venezia, ” Prose della volgar lingua” di Pietro Bembo, l’Italia dovrà la costituzione della sua lingua letteraria sui modelli di Petrarca e di Boccaccio.

E proprio la presenza di Francesco Petrarca che nella Serenissima abitò nel 1362 in un casa donatagli dal Senato sulla Riva degli Schiavoni, prima di trasferirsi ad Arquà, ed il dono alla Marciana della sua preziosa raccolta di manoscritti, furono  certamente elementi determinanti per avviare l’apertura in senso italiano della cultura veneziana, che, perdendo la propria provincialità divenne l’elemento propulsore della nuova letteratura in “volgare”.

immagine del frtontespizio di un libro di Manuzio.jpgLa Repubblica veneziana, con una classe dirigente formata prevalentemente da un ceto aristocratico colto e raffinato, seppe capire l’importanza della cultura come fattore determinante del prestigio politico e di conseguenza facilitò la venuta e l’operosa pemanenza a Venezia delle più diverse personalità, non restingendosi in campanilistiche preclusioni.

Menti illuminate in una città fortemente portata all’arte, alla bellezza, alla capacità di rapportarsi con gli gli altri, in tutti i settori.
 

 

Mag 26, 2010 - Tradizioni    1 Comment

Lo sfoggio della potenza a Venezia: le Processioni religiose.

Particolare della Processione del Doge nella domenica delle palme.jpgNell’apparato legato alla liturgia ma anche allo sfoggio di potenza e di ricchezza, le processioni a Venezia costituivano per la nobiltà ed il popolo veneziano momenti di gran giubilo: spettacoli in cui le scuole, gli ordini religiosi, il patriziato, la Signoria e lo stesso Doge potevano far sfoggio di quanto più prezioso possedevano in un’aria di festa e di composta solennità, quasi un rituale che si inquadrava nelle architetture nel fasto e nel colore tutto orientale della città.

Numerosi sono i quadri che immortalano questi momenti, dipinti da grandi pittori come Gentile Bellini e Giovanni Mansueti.

diari di Marin Sanudo.jpg200px-Marin_Sanudo_Inscrizione.jpg250px-Gentile_Bellini_004.jpgMa molto meglio è poter seguire la descrizione tramandataci da Marin Sanudo, attraverso i suoi diari, di una solenne processione svoltasi in Piazza San Marco, che ebbe luogo il 10 ottobre 1511, in occasione della Lega Santa , promossa da Giulio II di Spagna, l’Inghilterra, gli Svizzeri e Venezia, contro il re di Francia.

Piazza San Marco appariva animata dagli stendardi al vento, in un tripudio di colori sullo sfondo di Palazzi ornati da ricche stoffe appese alle finestre, da gonfaloni sgargianti e tappeti orientali.

Marin Sanudo.jpgPersino le statue degli Apostoli nella Basilica di San Marco  erano adornate di paramenti sacri, tra il luccichio dorato delle coperture di festa delle balaustre, i velluti rossi decorati in oro e di broccato sui pulpiti, ed i tesori più preziosi della chiesa bene in vista.

Mariegola della Scuola S. Giovanni Evangelista.jpgNella processione appariva prima la Scuola grande della Misericordia, con i candelieri dorati ed il baldacchino di velluto posto sopra il porta reliquie, tra le quali la famosa icona d’argento donata dal Cardinale Bessarione; seguiva la Scuola della Carità con il cappello di porpora del Cardinale sul vassoio, poi la Scuola di San Giovanni Evangelista, quella di San Rocco, che aveva come emblema il 59__mariegola.jpgCrocefisso e non lo stendardo, ultima la Scuola di San Marco.

dono del Cardinale Bessarione a Venezia.jpgCardinale Bessarione.jpgLo storico narra che per decreto del consiglio dei dieci non potevano sfilare più di cinquecento confratelli popolari per scuola, a parte quella di San Marco (600) secondo la concessione fatta in seguito all’incendio della sede nel 1485.

Il corteo di ogni scuola era  preceduto da ventisette bambini: ” putini piccoli vestiti in modo de anzoleti, quali tutti portavano arzenti in mano”.

Un altro personaggio sfilava davanti ad un’altra scuola, e rappresentava la Giustizia, con la spada nella mano destra e la bilancia d’argento in quella sinistra. Altri portavano doni fatti alla Scuola, come il piccolo trono d’argento donato dalla duchessa Beatrice Sforza a Gian Antonio Dandolo.

portatori dei vessilli nella processione.jpgAl centro, sotto il baldacchino, spiccava la croce astile delle scuole, accanto alle immagini ed alle reliquie dei protettori, perfino la Pace e la Misericordia  erano personificate da due fanciulle che recavano due motti in latino.

Facevano seguito le immagini dei re di Inghilterra e Spagna, del Papa con due cardinali, mentre il re di Francia era circondato dalle fiamme e portava una scritta che recitava: Signore aiutami perchè sono bruciato in questa fiamma.

Dopo le Scuole grandi era la volta degli ordini religiosi che recavano reliquie, argenti ed immagini con iscrizioni, tra cui un “San Marco” che dice: ” Son Marco Evangelista tuo tutore, ch’è sempre davanti a Dio e Protetore. Non creder figlia mia m’abi smendicato: la tua corona illesa t’ho servito cessa i sospir, cessa li to pianti che felice ti farò più ch’a inanti”

Giovanni+Bellini+-+Doge+Leonardo+Loredan+.jpgProcessione reliquia della Santissima croce a S. Lio.jpgProcessione dell'XI secolo a Piazza San marco.jpgIntanto suonavano le campane, mentre gli artiglieri delle navi alla fonda sparavano a salve ( “soni di tromba e pifari e trazer di artillerie da li nobili erano in porto”).

Naturalmente quello vestito più lussuosamente era il Doge, Leonardo Loredan (vestito di un manto di ristagno d’oro fodrà di armellini e con il bavero di armellini el soto vesta de veludo cremixi e in capo havìa bareta di restagno d’oro, ma avanti li era portata una confeteria, la bareta ducal di zoie”).Lo seguivano i procuratori, i membri del Consiglio dei Quaranta e del Consiglio dei Dieci e centocinquanta patrizi (“s’chè fu bellissimo veder tanta nobiltà”).

Processione con il Doge a Venezia.pngProcessione in Piazza San Marco.jpgLa Processione, iniziata alle 16 finì alle 21 ( ” et con gran jubilo et leticia di tutta la terra et a confusion de rebelli”).

Tutto lo sfoggio di una Repubblica allora solidissima, ricca e potente che poteva ostentare tanto sfarzo ed opulenza, a metà tra occidente ed oriente: uno spettacolo imponente e magnifico.

Mag 19, 2009 - Leggende, Luoghi, Misteri    31 Comments

Venezia: a spasso per il Sestier de Santa Crose

El Vecio Fritolin

El vecio Fritolin a Venezia ora.jpgel vecio Fritolin.jpgCaterina Cornaro regina.jpgCaterina Cornaro.jpgCalle della Regina, n° 2262. Oltrepassando il Campo San Cassian in direzione di San Stae, passato il ponte di fronte al Portico della Regina, nome derivato  dal fatto che questi erano i possedimenti di Caterina Cornaro, Regina di Cipro,  esisteva  ed esiste tutt’ora ( anche se è diventato un famoso ristorante) un locale denominato ” el fritolin” l’ultimo rimasto dei veci fritoin della Città.

Una volta a Venezia c’erano molte friggitorie che cucinavano e vendevano il pesce da portare via su dei cartocci di carta, fritto al vecio fritolin a avenezia.jpgfritto e polenta.jpgaccompagnati da una fumante fetta di polenta gialla.

Successivamente il lavoro dei fritoin venne proibito perchè i camini a fiamma libera venivano considerati pericolosi a causa degli incendi che potevano sprigionarsi.

L’ultimo proprietario del ” fritoin” in Calle della REgina si chiamava Aristide Piccin, e la popolazione lo conosceva  come una persona dal cuore d’oro.

pesce fritto.jpgPalazzo Corner o Cornaro.jpgAi bambini più piccoli, quando entravano nel suo negozio, regalava un cartoccio di pesciolini ( pesseti – zottoli), con l’aggiunta di qualche anello di seppia.

 

 

 

Il cofanetto misterioso

Fondamenta S. Chiara , civ. 495/A.

Un giorno nel 1262 nel Convento di S. Chiara sentirono bussare all’uscio del Monastero. Alla porta c’era un pellegrino uguale a tanti altri che in S. Croce a Venezia.jpgquel periodo si recavano o tornavano dalla Terra Santa.

I Pellegrini si fermavano a Venezia anche per venerare le sacre reliquie che venivano ospitate in questa città, e l’ospite chiese alle suorine di poter affidare loro, fino al suo ritorno, un cofanetto che conservava, così raccontò lui, un anello preziosissimo.

Le suore furono molto attente nel far fronte all’importante incarico, ma gli anni passarono e nessuno venne a reclamare Luigi IX re di Grancia e Santo.jpgLuigi re di Francia.jpgil cofano. Nel frattempo al Convento la vita continuava, Suorine morivano e novizie arrivavano, ma, straordinariamente capitava che queste suore avessero delle strane visioni di luci splendenti provenienti dalla scatola, e deliziose e struggenti armonie sembravano essere emesse dall’interno di quel misterioso involucro.

Dopo qualche anno di queste esperienze la Madre Badessa decise di aprire lo scrigno per vedere cosa contenesse: vi trovò un chiodo ed una pergamena che spiegava che quel chiodo era uno di quelli che avevavo straziato i piedi di Gesù nella Croce.

chiesa con campanile.jpgchiesa di S. Pantalon a Venezia.jpgIl documento descriveva inoltre il personaggio che aveva affidato tale reliquia alle modeste suore, ed era stato Luigi Re di Francia, travestito da pellegrino e morto crociato a Damietta, poi proclamato Santo.

cappella del chiodo della Croce.jpgnella chiesa di S. Pantalon.jpgDa allora il sacro Chiodo è stato venerato nel monastero fino all’anno 1830, per poi essere conservato in un’apposita Cappella nella Chiesa di San Pantalon.

 

 

 

L’antica Hosteria Besseta

Salizzada Cà Zusto, civ. 1395

Antica Besseta - statua.jpgantica bessseta.jpgantica Besseta 4.jpgantica besseta 3.jpgIn questo Sestiere è ubicata ancora l’Antica Hosteria Besseta. Il nome è derivato dalla “besseta” che era una vecchia usuraia residente in questa Calle.

Si narra che la vecchia fosse tanto avida, interessata al denaro ed avara, che il fratello, uomo buono  e completamente diverso da lei, donava una volta alla settimana un pasto ai poveri e a chi ne aveva bisogno, ad un soldo (besso in veneziano). Da qui nacque la Sestiere di S. Croce.jpgTrattoria Antica Besseta.jpgdenominazione del locale.