Browsing "Personaggi"
Gen 4, 2011 - Leggende, Luoghi, Misteri, Personaggi, Società veneziana, Spionaggio e congiure    Commenti disabilitati su La testa decapitata ed il biscione sul campanile di San Polo: la triste ed intricata storia del Conte di Carmagnola.

La testa decapitata ed il biscione sul campanile di San Polo: la triste ed intricata storia del Conte di Carmagnola.

Sopra il portale del Campanile di Campo S. Polo è raffigurata, in modo potente, una vicenda di tradimenti multipli, testimonianze di un periodo di lotte e battaglie per l’espansione delle varie Signorie del nord Italia e della Repubblica di Venezia, di cui fu artefice o vittima (è ancora tutto da appurare) una famosa figura di condottiero, il Conte di Carmagnola.

Francesco Busone nacque a Carmagnola nel 1382 da una famiglia di umili origini, e fino all’adolescenza fece il guardiano di pecore, ma tanta era la sua sete di avventura e la passione per le armi che ben presto si arruolò come soldato di ventura.

Divenne prima guerriero per Bonifacio (Facino)  Cane, scegliendosi il nome di Carmagnola e immortalando nel 200px-Facino_Cane.pngGianGaleazzo-Visconti-209x300.jpgFilippo Maria Visconti.jpgsuo stemma tre agnelli, come simbolo della sua provenienza. In poco tempo divenne un bravissimo soldato e stratega, e nel 1411, come Capitano di Ventura attuò il suo primo tradimento a danno di Facino, e si pose agli ordini di Gian Galeazzo Visconti; rimase ai suoi ordini e a quelli di Giovanni Maria, seguendo quindi la sua vedova  andata sposa a Filippo Maria Visconti, prendendo le loro parti nella lotta per la Signoria di Milano contro Astorre Visconti.

Dopo questa ed altre prove di valore Filippo Maria gli donò il feudo di Castelnuovo Scrivia, gli diede in moglie la figlia illegittima Antonia Visconti: fu così che si potè fregiare del titolo di Conte di Carmagnola, ed aggiunse nel suo stemma il biscione Visconteo. La sua fama e le sue capacità però biscione-visconteo.jpgCarmagnola.jpgAmedeo VIII di Savoia.jpgfacevano paura a Filippo Maria, ed il condottiero allora cercò rifugio presso Amedeo VIII di Savoia, il quale, onde evitare di rompere i delicati equilibri che mantenevano la “pace” tra i due stati, lo respinse.

Il Carmagnola decise allora di porsi al servizio della Serenissima: il 24.2.1425 divenne Capitano di Ventura per la Repubblica di Venezia, mentre il Visconti gli aveva requisito il feudo e tutti i suoi beni, ed emanato l’ordine di ucciderlo.

Nel frattempo Firenze, impegnata in una guerra contro il ducato di Milano chiede a Venezia, a Ferrara, a Mantova ed al Monferrato di battaglia di Maclodio.jpgPapa Martino V.jpgunirsi in una Lega per conbattere i milanesi. Le truppe vennero affidate al Carmagnola il quale con il sostegno del veneziano Francesco Bembo conquistò Brescia, costringendo così i Viscontei a chiedere la pace, ma la Serenissima non si accontentò, voleva espandersi, e le ostilità proseguirono fino alla battaglia di Maclodio (il 12 ottobre 1427).

E proprio in questo vittorioso frangente che il Conte commise il suo primo errore: non si pose all’inseguimento dei molti soldati milanesi in fuga, li lasciò fuggire.

Il trattato di pace del 18 aprile 1428, con la mediazione del Papa Martino V non tranquillizzò però la Serenissima: i confini con i Visconti erano troppo vicini, e per giunta il duca milanese restituì al condottiero le sue terre. Fu così che nel 1429 il Conte di Carmagnola chiese a Venezia lo svincolo dal suo contratto per un anno, ma il Consiglio dei Dieci respinse tale richiesta, anzi, per cercare di trattenerlo, gli aumentò il soldo a mille ducati al mese per un periodo di due anni.

AssedioSoncino_000.jpgdoge Francesco Foscari.jpgNel 1430 la fragile pace si ruppe ed il doge Francesco Foscari richiamò con una lettera del 15 dicembre il Condottiero ai suoi doveri: ma la sua azione apparve lenta e l’assedio a Soncino si concluse con una disfatta, centinaia di cavalieri perduti, nessun aiuto alla flotta che attendeva il suo arrivo e l’altro condottiero Guglielmo Cavalcabò in attesa del suo arrivo dovette rifugiarsi precipitosamente a Cremona.

Il Conte non sapeva che da almeno un anno era sotto stretta sorveglianza e controllo da parte di dieci osservatori i quali erano convinti del tradimento del condottiero. Ignaro di tutto e sicuro di sè il Conte di Carmagnola venne invitato a Venezia col pretesto di consultazioni per la pace, e accolto con tutti gli onori, ma appena giunto a Palazzo Ducale, l’8 Aprile 1432 venne immediatamente arrestato, subì un processo e venne giudicato dal ” Collegio secreto” che lo condannò alla pena capitale.

conte di Carmagnola.jpgIl 5 Maggio 1432 il Conte venne decapitato in piazza San Marco.

La verità sul suo tradimento non venne del tutto acclarata, anzi , sembra proprio che anch’egli fu vittima dei tradimenti dei ducati di Ferrara, Mantova e Monferrato i quali, temendo l’espansione di Venezia nella terra ferma ritirarono le proprie truppe a Soncino, lasciandolo da solo, ed a ciò si aggiunse il voltafaccia di Amedeo VIII di Savoia che con il matrimonio concordato tra sua figlia Maria e e Filippo Maria Visconti lo abbandonò al suo destino.

100_1427.jpgSul portale del campanile di San Polo sono raffigurate due immagini: una, quella a destra, rappresenta un leone che mostra una testa decapitata (che tanti attribuivano o attribuiscono alla vicenda di Marin Faliero), ma la prova 100_1426.jpgche si tratti della testa del 100_1428.jpgConte di Carmagnola è comprovata dal leone di sinistra, avvinghiato in una lotta mortale con un biscione, simbolo dei Visconti ed anche dello stemma del povero Francesco Bussone, Conte di Carmagnola, a cui Alessandro Manzoni dedicò 100_1429.jpg100_1431.jpg100_1432.jpg100_1434.jpg100_1435.jpgun romanzo, proclamando la sua innocenza: come si sa Venezia era uno stato attento alle Leggi, magnanimo, aperto e giusto, ma quando si trattava della sicurezza dello Stato e di tradimenti fu sempre spietata!

Dic 26, 2010 - Alchimia, Personaggi    2 Comments

L’Elisir di lunga vita del Conte di Saint Germain

Il Conte di Sain Germain1.jpgConte di Saint Germain.jpgimagesCA1VXMQP.jpgIl primo incontro tra Giacomo Casanova ed il Conte di Saint Germain avvenne a Parigi, nel 1761, ad un pranzo a cui parteciparono diversi nobili, tra cui la Marchesa d’Urfè, donna legata ai misteri della pietra filosofale, della magia ed esoterismo, di Marchesa d'Urfè.jpgscritti della Marchesa d'Urfè.jpgcui parlerò più avanti.

Casanova ci racconta nelle sue memorie che quest’uomo non mangiava, chiacchierava tutto il tempo, parlando di qualsiasi argomento, specialmente di chimica;   sosteneva di possedere la medicina universale, di poter fare tutto quello che voleva con la natura, di poter fondere una dozzina di diamanti piccoli per farne uno più grande e di purissima acqua senza che il peso diminuisse; affermava inoltre di aver almeno trecento anni.

Era invitato continuamente ai pranzi nelle migliori case di Parigi, anche se appunto non mangiava, sostenendo che la sua vita dipendeva da come si nutriva. Usava far dono alle donne di cosmetici per dare alla loro pelle un aspetto migliore e più giovane.

zecchino d'oro.jpgA questo incontro ne fecero seguito altri, e ad uno di questi, a casa del Saint Germain questi si fece dare dal Casanova una moneta di rame, la immerse in un liquido, e questa divenne d’oro zecchino.

180px-Count_of_St_Germain.jpgE’ vero comunque che dimostrava sempre circa 40 anni, poi cominciò lentamente ad invecchiare, fino al 1784, anno in cui scomparve, e tutti pensarono che fosse morto, ma riapparve esattamente un anno dopo, a presiedere una riunione di massoni, ringiovanito, ancora esteticamente  quarantenne.

Dimostrò doti di conoscenza paranormale, invitato proprio da Re Luigi XV che, incuriosito per una vicenda accaduta nel 1701 a Parigi lo voleva mettere alla prova: in Rue Hirondelle a Parigi viveva un tale Dumas.Egli passava le giornate in soffitta con storte ed alambicchi. Ogni venerdì pomeriggio alle cinque andava a  trovarlo un orribile ometto, saliva da lui, stava un pò, poi se ne andava.

Il 31 dicembre 1700 l’ometto arrrivò alle dieci del mattino, salì e poi tornò via.La moglie del Signor Dumas non vedendo scendere il marito, salì, ma trovò la stanza vuota.
A questo punto il Conte di Saint Germain disse al re che chi era andato a fare le indagini non aveva visto una botola che si trovava nel pavimento della cucina, nascosta da tavole di legno, e che dentro alla botola avrebbero ritrovato lo scheletro dell’uomo, che si era avvelenato.Al che il re gli chiese se l’ometto fosse il Demonio, ed  il Conte rispose che lui il Diavolo lo conosceva bene e andava spesso a fargli visita.imagesCA76U720.jpg

Fatti i dovuti sopralluoghi ecco che si appurò quanto affermato dal Conte.

Durante un successivo incontro il Re chiese al Conte di svelargli il segreto di questa sua dote, ma egli rispose; Maestà, potrò svelarvi questi segreti soltanto se voi farete parte dei Rosacroce.

Si narra inoltre di un misterioso quanto significativo incontro tra il Conte di Saint Germain, il Conte di Cagliostro e Giacomo Casanova che ebbe come testimone il portale della Chiesa dei SS. Giovanni e Paolo a Venezia, complice l’oscurità della notte e l’appartenenza dei tre ai Rosacroce, legati alla magia, all’alchimia e la convinzione di poter raggiuinere il segreto della Pietra Filosofale, quindi della vita eterna.

Nella chiesa di Arles c’è una lapide con scritto: quello che si faceva chiamare Conte di Saint Germain e di Weldom , di cui non si sa altro, giace in questa chiesa.Peccato che aperta la pietra tombale il sacello è risultato vuoto.
reves-et-voyages_eu_bkumbria_1206626887.jpg

Dic 14, 2010 - Alchimia, Esoterismo, Personaggi    9 Comments

Un giorno a Venezia con Giacomo Casanova

Casanova.jpgUn giorno da vivere con Giacomo Casanova, seduttore, studioso, uomo di vasta cultura, di tanti interessi, portato all’alchimia e poi membro della confraternita dei Rosacroce, amico di Giuseppe Balsamo, Conte di Cagliostro, e conoscente ammirato e un pò invidioso del Conte di Saint Germain.

Casanova immagine.jpgUomo che ha cercato dalla vita il piacere, carico di vizi ma anche di risorse per potersi barcamenare tra le varie denunce dell’Inquisizione, che ha passato il Carcere, ne è fuggito, è tornato a Venezia e poi è dovuto fuggire ancora, figlio di due attori, (ma sembra che il padre in effetti fosse un nobile e la madre una bellissima attrice, Giovanna Farussi detta la Buranella).

Palazzo Merati d'Audiffret.jpgChi ne ha letto l’autobiografia conosce benissimo le sue avventure e le sue esperienze di viaggi: ciò che gli piaceva come cibo, vini, donne.

Ecco che allora, in questa giornata partiamo dalle fondamente Nuove, esattamente da Palazzo Merati, , ora d’Audiffret, dove vissero i fratelli e la madre del nostro “scapestrato” seduttore, nato nel 1725.

alcova di Casanova a Palazzo Merati d'Audifnet.pngIn questo ricco appartamento, l’unico ancora rimasto nella zona dove dimorò Casanova dopo aver ricevuto la grazia dal Consiglio della Serenissima, c’è ancora la sua alcova, con il letto a baldacchino e stucchi, testimone delle sue Palazzo Merati.jpglicenziose avventure notturne.

Campo S. Maurizio con Palazzo di Giorgio Baffo.jpgAl mattino probabilmente, dopo essersi alzato, lavato e profumato, (Casanova era molto attento alla propria persona ed al suo aspetto fisico) ecco che usciva ed andava verso Campo S. Maurizio, al Palazzo Bellavite, dove viveva Giorgio Baffo, amico di suo padre, e uno dei più grandi poeti erotici mai conosciuti, che lo iniziò all’idea dei piaceri della vita propabilmente già dalla prima volta che il Giorgio Baffo.jpgRialto.jpgai do Mori.jpgnostro Giacomo, mandato a studiare libro di rime di Giorgio Baffo.jpgil burchiello.jpga Padova, ancora ragazzino, fece con lui il viaggio nel Burchiello (è quella barca che da Venezia, attraverso la Riviera del Brenta, porta a Padova).

Dopo aver conversato, spettegolato e commentato sulle più belle dame veneziane, sui progetti, sulle possibilità di riuscire ad arrivare alla conquista di qualche altro cuore femminile, l’ora di pranzo incalzava, e il nostro Giacomo era anche una buona forchetta, amava mangiare e mangiar bene.

ai do mori a Venezia 3.jpgDove andava? bastava arrivare a Rialto, ed ecco la zona del mercato..subito dopo il bacaro ai do mori.jpgCampo delle Beccarie 2.jpgCampo delle Beccarie.jpgCalle Vallaresso 4.jpgTribunale , vicino al Campo delle Beccarie (dei macellai)nel Sotoportego dei ” Do Mori” un bacaro, dove poteva mangiare deliziosamente, e bere malvasia, aspettando tranquillamente le amanti di turno.

Calle Vallaresso.jpgDopo aver conversato amabilmente, corteggiato e dichiarato amore profondo ed esigente alle donne ammaliate dal suo fascino, ed aver iniziato nuove relazioni, in attesa di consumarle con grande trepidazione e profonda partecipazione, arrivava il momento del gioco, il gioco d’azzardo, che in seguito lo vide come ideatore del gioco del lotto a Parigi: allora bastava raggiungere il ” Ridotto”, così erano definite le case da gioco, dopo le leggi emanate dal Consiglio della Repubblica per regolamentare quella che era un’abitudine dei veneziani, specialmente nobili: ed ecco allora Calle Vallaresso ed il suo ridotto, che poi divenne ed è rimasto Teatro.

Calle Vallaresso 3.jpgQui Casanova si presentava, se nel periodo Carnevalesco ( che andava dal 31 dicembre al martedi’ grasso) coperto da una Calle del Ridotto.jpgCase da gioco a Venezia.jpgbauta, una maschera che copriva completamente il viso, molto gondola coperta.jpgveneziani del 700.jpgbella ed enigmatica, e così acconciato, nel tardo pomeriggio prendeva una gondola e si faceva accompagnare a MUrano: scendeva all’approdo che ora si chiama Fondamenta Venier, dove, proprio di fronte, dalla porticina del muro di cinta del convento usciva M.M. la sua amante suora, con una sua compagna, anch’essa amante del tenebroso Giacomo.

Il Convento era quello di Santa Maria degli Angeli, e la povera suora sicuramente era stata costretta alla vita monastica per motivi ereditari..e qui si consumava una delle gente del 700.jpgPietro Longhi nobili al Ridotto.jpgS. Maria degli Angeli.jpgConvento di S. Maria degli angeli.jpgconvento a Venezia.jpgFondamenta Venier.jpgstorie sentimental-erotiche più importanti di Giacomo Casanova…ora purtroppo quel che resta di questi luoghi è Bauta a Venezia.jpgfatiscente , e rimane ben poco, ma l’atmosfera, il suo modo di essere, di concepire l’innamoramento e l’amore, di vivere appieno la decadenza dei costumi veneziani dell’epoca sono veramente testimonianze affascinanti di un mondo composito e misterioso.

Il “Mostro di Venezia” ed il suo orrido Sguazeto

Anche Venezia ebbe il suo mostro: vicenda che rimase nei suoi annali e, come sempre accadeva, rimase come monito per chi avesse tendenze criminali e orribili:

San Zan àDegolà.jpgIn Campo San Zan Degolà ( S. Giovanni decollato) divenne famosa la ” Taverna da Biagio”, di Biagio Cargnio ( in dialetto Biasio) innanzi tutto per le sue salsicce squisite, Biasio era un luganegher rifinito e bravo, ma, soprattutto, rinomato era il suo “sguazeto”, una sorta di spezzatino, talmente gustoso per gli avventori, che venivano le genti di Mestre per degustare quella specialità.

Accadde un giorno che tra gli avventori capitasse Toni, un carpentiere, persona proba e molto attenta. Naturalmente ordinò una porzione di sguazeto, e con gusto si mise a degustarla: mentre mangiava però, portò la scodella alla bocca per bere il brodo gustoso ma tra i denti rimase una pezzettino probabilmente d’osso: Toni, persona probabilmente schizzinosa sputò l’ossicino e con grande orrore scoprì che non si trattava di osso, no, ma Sguazeto.jpgdi una piccola falange, sicuramente un pezzo di dito di bambino, compresa l’unghia!.

Rimase inorridito, ma nonostante cioò ebbe la lucidità di nascondere il ditino nel fazzoletto, quindi, riposto il ritrovamento nella tasca pagò e uscì.

zandeca.jpgIn poco tempo la taverna venne invasa dai soldati della Quarantia Criminal che, luganeghe.jpgcacciando gli avventori, si ritrovarono nelle cucine ad affrontare una esperienza terribile: parti di bambini tagliati a pezzi, tritati, pronti per diventare salsicce o far parte di quel guazzetto di cui Biasio andava molto orgoglioso e la cui ricetta non aveva voluto mai confidare a nessuno.

Si narra che da molti anni a Venezia erano spariti molti bambini: Il Cargno, scoperto di flagranza di reato confessò i suoi orribili crimini.

quarantia-criminal.pngCondannato a morte, venne trascinato da un cavallo alle prigioni: qui gli furono mozzate le mani e con quelle esecuzione.jpgappese al collo venne prima torturato, quindi trasportato tra le colonne di Marco e Todaro per il supplizio finale: venne decapitato ed il suo corpo diviso in uqatro pezzi, così come aveva fatto ai bambini, e la sua testa esposta in Campo di San Zan Degolà.

La sua taverna e la casa vennero rase al suolo, e l’immagine della sua testa venne riprodotta sul muro vicino al ponte del campo, e , a ricordo di tanto orrore la riva dove anche ora approdano i vaporetti, venne chiamata Riva de Biasio.

testa d'uomo.jpgimmagine bimbo.jpgStoria di orrore, terribile che fa parte comunque del passato di questa città che comunque seppe dare (visti i tempi) una punizione esemplare ad un “mostro”, uno di quegli esseri umani Riva de Biasio.jpgdeviati, terribili, orchi che comunque continuano ad esistere, purtroppo, in tutte le nostre società.

Doge Pietro II Orseolo e l’inizio dello “Stato de Mar” – Venezia, Regina dell’Adriatico

150px-Doge_Pietro_OrseoloII.pngAlla fine del decimo secolo Venezia cominciò a perseguire una via espansionistica legata all’Adriatico. Questa strada non venne più abbandonata, accompagnata in seguito da una politica espansionistica anche continentale.

Basilio II di Bisanzio.jpgOttone_3.jpgBasilio e Costantino -Crisobolo.jpgIl Doge Pietro II Orseolo , giovane ed intelligente dette il via ad un suo progetto, dopo aver composto i dissidi interni e pacificate le diverse famiglie nobili in nome della dignità nazionale. Egli comprese che soltanto la potenza economica, sussidiata dall’azione militare nei limiti imposti dalle necessità, poteva dare sicurezza, prosperità e grandezza allo Stato.

Con gli Imperi di Occidente e di Oriente stabilì rapporti amichevoli, normalizzandoli con Ottone III (diploma del 992) e regolarizzandoli con Bisanzio mercè il “crisobolo”( sigillo d’oro) di Basilio e Costantino, che stabiliva condizioni di favore nel commercio marittimo.

Pietro II Orseolo.jpgUna volta assicurata la pace interna, con una legge promulgata nel 997 che condannava ogni sedizione, e regolati i rapporti internazionali per il libero sviluppo dell’espensaione veneziana nel continente e in Adriatico, Pietro II Orseolo si prese cura della sicurezza della navigazione, per agevolare gli scambi mercantili.

L’egemonia economica sull’Istria, stabilita dagli accordi del 933 era fino ad allora molto precaria e ridotta a ben poca cosa, mentre la pressione della Croazia sulla Dalmazia rendeva difficile la vita ai Veneziani che vi risiedevano.

fiume Narenta.jpgIl disimpegno di Bisanzio per quest’ultima regione significava libertà d’azione per Venezia che, tra l’altro, era in continua lotta con i Pirati Narentani che infestavano le coste, per cui solo con la forza si poteva raggiungere il necessario equilibrio adriatico, raggiungendo una fattiva e concreta fedeltà delle genti rivierasche.

dalmazia1.jpgAgli inizi del 1000 l’Orseolo allestì una flotta che partì da Equilio, diretta a Pola. Era la risposta veneziana alle popolazione Dalmate che volevano liberarsi della servitù slava.

Dopo aver sostato a Grado e a Parenzo il doge Orseolo raggiunse Pola, e proseguì verso sud-est, toccando Ossero, Veglia, Arbe, Zara, Traù, Spalato, Curzola, Lagosta e Ragusa.

anfiteatro romano a Pola.jpgLe città istriane resero omaggio a Pietro II e giurarono fedeltà a Venezia. La spedizione non si svolse, tuttavia, del tutto incontrastata: vi furono resistenze armate da parte degli abitanti di Curzola e Lagosta, dove si annidavano i pirati narentani.

Con questa fortunata spedizione, approvata da Bisanzio, Pietro II Orseolo prese il titolo di ” Duca di Dalmazia” che integrava quello di “Doge di Venezia”.

Istria e Dalmazia.jpgMa non si era trattato di una vera e propria conquista territoriale, perchè i veneziani miravano solamente a raggiungere il dominio del mare. Sotto il profilo giuridico gli ordinamenti rimasero quelli locali, e si raggiunse così l’unità della costa dalmato-bizantina, con l’estromissione dell’influenza slava, per cui una modifica era avvenuta soltanto dal punto di vista politico-militare.

La supremazia di Venezia dell’Adriatico era così assicurata, con l’acquiescenza dell’Impero greco per il quale il dogado dell’Orseolo era diventato un potente alleato.

Per riconoscenza verso Bisanzio il doge inviò nel 1002 una spedizione in soccorso di Bari, assediata dai Saraceni, ristabilendo l’equilibrio nel basso Adriatico. A sancire l’alleanza tra Venezia e Bisanzio il figlio del Doge, Giovanni, sposò Maria, la nipote dell’Imperatore Basilio II.

il doge Pietro II Orseolo.jpgLe imprese dalmata e Pugliese contribuirono a portare alla città uno sviluppo demografico e urbanistico e alla prosperità e splendore.

Ottone Orseolo.jpgGiovanni e Maria Orseolo.jpgAlla morte di Pietro, nel 1008, gli succedettero i figli Giovanni ed Ottone.

Con Pietro Orseolo scompariva una singolare figura di capo a cui, tra l’altro, va attribuita l’istituzione della cerimonia detta “benedizione  del mare”, nel giorno dell’Ascensione: una festa nazionale durante la quale il Vescovo di Olivolo tracciava, davanti ai dignitari , al clero e al popolo, il segno della Croce sulle acque della Laguna, a testimonianza della potenza e della grandezza di Venezia.

Questa festa diverrà in seguito quella più completa e significativa dello “sposalizio del Sposalizio del Mare del Guardi.jpgmare” quando il Doge dal Bucintoro getterà in acqua l’anello d’oro pronunciando la formula rituale: ” desponsemus te, mare, in signum veri perpetuique dominii”.

Da allora Venezia diverrà una forte e temuta potenza, attribuendosi il titolo di Serenissima, Repubblica forte ed illuminata.

Lug 28, 2010 - Donne venexiane, Personaggi    4 Comments

Caterina Cornaro, Regina di Cipro e diletta figlia di Venezia

Giacomo II di Lusignano.jpgCarlotta.jpgNel 1400 regnava a Cipro la dinastia dei Lusignano. Il re Giovanni da Lusignano aveva avuto due figli, e tra questi due, alla sua morte, si svolse una vera e propria disputa per l’eredità del Regno.

stemma dei Lusignano reali di Cipro.jpgduca di Savoia marito di Carlotta.jpgCarlotta, sposata con il duca di Savoia si appoggiava a Ferdinando I° d’Aragona, re di Napoli, mentre Giacomo II° preferì allearsi con la Repubblica di Venezia.

Giacomo II di Lusignano 2.jpgPer questo motivo venne combinato un fidanzamento prima ed un matrimonio poi con la figlia di una delle famiglie più ricche ed influenti di Venezia: la famiglia Corner.

 

 

Caterina giovane.jpgLa piccola Caterina Corner, poi corretto in Cornaro, nacque il 7 novembre 1454. Venne cresciuta ed educata presso un monastero di Padova, ed all’età di 14 anni vene promessa sposa, con tanto di matrimonio per procura il 30 luglio 1468,  con il re di Cipro ed Armenia
Caterina Cornaro.jpgGiacomo II° di Lusignano.

il matrimonio di Caterina Cornaro.jpgLa fanciulla era figlia di Marco Corner e Fiorenza Crispo, famiglia nobile e ricchissima, appunto. Il Senato della Caterina Cornaro 3.jpgRepubblica la nominò “diletta figlia della Repubblica” onore mai tributato ad alcuna donna prima di lei.

Lo sbarco di Caterina Cornaro.jpgNel 1472 Caterina Cornaro si recò a Famagosta, dove vennero celebrate sontuose e solenni nozze. La ragazza era una giovane e timorata 18enne, ma il suo carattere si dimostrò forte e temprato. L’anno successivo infatti rimase vedova, incinta del primo ed unico figlio.

Nella notte del 13 novembre 1475 dei nobili catalani, con l’approvazione del vescovo di Nicosia rapirono l’erede al trono, trucidando ferocemente tutti i parenti della giovane sovrana.

Caterina Cornaro 2.jpgCaterina Cornaro 1.jpgLa Serenissima inviò immediatamente una flotta ed un esercito che catturarono i catalani, al soldo del Re di Napoli e del Duca di Savoia.

Il piccolo Giacomo III° venne ritrovato, poco tempo dopo, nel 1474 il piccolo morì a causa della malaria. Per la giovane Caterina si sommarono sciagure su sciagure, ma lei, con il sostegno e l’aiuto della Repubblica di Venezia, continuò a guidare il suo Stato.

Caterina Cornaro cede Cipro alla Serenissima.jpgNell’ottobre del 1488 fu sventata un’altra congiura, sempre dei nobili Catalani sobillati dal solito re di Napo0li e del duca di Savoia. Fu allora che la Repubblica di Venezia chiese alla REgina di firmare la sua abdicazione a favore della Serenissima

Caterina Cornaro si rifiutò, ma venne minacciata di venire spogliata dei suoi privilegi, e considerata una ribelle.

Il 28 Febbraio 1489 la sovrana firmò l’abdicazione, ed il 18 marzo, vestita a lutto, lasciò Cipro.

la corte di Caterina Cornaro ad Asolo.jpg300px-Asolo_Il_Castello.jpgCastello di Asolo 1.jpgCà Corner della Regina 1.jpgTrasportata nel Bucintoro.jpgVenezia la accolse trionfalmente, ed il doge Agostino Barbarigo la ospitò nel Bucintoro per farla scendere con tutti gli onori a San Marco: venne nominata Signora di Asolo, conservando comunque tutte le prerogative e il titolo di Regina.

Nel suo castello, nell’incantevole paese di Asolo, tra i colli trevigiani, Caterina Cornaro si contornò di artisti, come Giorgione, Lorenzo Lotto, e Castello di Asolo 1.jpgCà Corner della Regina.jpgscrittori, come Pietro Bembo, e gli asolani l’amarono molto.

Palazzo di caterina Cornaro a Venezia.jpgAlla sua morte avvenuta il 10 luglio 1510 il corpo venne trasportato a Venezia e tumulato per la prima volta nella chiesa dei SS. Apostoli; la gente accorse ad onorare questa donna forte e sfortunata, tanto che per facilitare lo scorrimento venne creato un ponte di barche che collegava Rialto a S. Sofia; Nel 1575 il suo corpo venne trasportato nella chiesa di San Salvador, dove tutt’ora riposa.

tomba di Caterina Cornaro.jpgchiesa di San Salvador.jpgCaterina Corner o Cornaro, donna che si dedicò alla causa della Repubblica di Venezia, patì lutti terribili, ma donna che ha dato e continua a dare lustro a tutte le donne, molto particolari, competenti, colte, ricche di interessi della Serenissima.

 

 

 

 

Giovan Francesco Valier: un’ enigmatica spy story a Venezia

impiccagioni a Venezia.jpgLuogo delle esecuzioni di Jacopo de Barbari.jpgColonne di Marco e Todaro.jpgIl 22 settembre 1542, sul patibolo allestito tra le colonne di Marco e Todaro a San Marco, davanti agli occhi dispiaciuti e sbigottiti dell’ambasciatore dei Gonzaga, Benedetto Agnello, venivano giustiziati Giovan Francesco Valier, Agostino Abondio e Niccolò Cavazza, rei di tradimento della Serenissima.

Niccolò Cavazza aveva coperto l’incarico di Segretario del Senato, mentre il fratello, Costantino Cavazza, segretario del Consiglio dei Dieci, venne condannato all’esilio perpetuo. Di Giovan Francesco Valier venne cancellata qualsiasi traccia della sua esistenza
a seguito della “damnatio memorie” a cui erano destinati coloro i quali si erano macchiati di un delitto così terribile.

ariosto.jpgMa un lutto colpiva anche la letteratura dell’epoca, poichè Giovan Francesco Valier, uno dei più straordinari e misteriosi personaggi dediti a  tale arte , era un fine letterato, poeta, novellatore. Ma dei suoi scritti non rimane alcuna traccia; rimangono invece le citazioni di Ludovico Ariosto che gli attribuiva la fonte di una delle più belle novelle dell'”Orlando Furioso”.

speronesperonibig.jpgPietro Bembo.jpgPietro Bembo gli inviava le prime stesure dei suoi manoscitti per ottenerne un parere e Baldassarre Castiglione gli affidò la correzione delle bozze del ” Cortegiano (edito poi da Manuzio a Venezia). Sperone Speroni gli assegnò il ruolo di interlocutore nei suoi due importanti dialoghi: ” Dialogo della Retorica” e ” Dialogo della vita attiva e contemplativa”, Claudio Tolomei gli dedicò il famoso Canzoniere sperimentale Versi e regole della Poesia Toscana.

Molto giovane e valente letterato, appunto, Giovan Francesco Valier venne inviato come Ambasciatore presso la corte dei Gonzaga a Mantova: e da qui ebbe inizio la tragedia che lo portò alla vergogna ed alla morte: Nell’ambiente degli ambasciatori presso le varie corti europee si creavano amicizie, maneggi, missioni segrete ed anche episodi di spionaggio.

Ermolao Barbaro.jpgNell’ambito degli ambasciatori si possono annoverare letterati famosi, come Macchiavelli per Firenze, Baldassarre Castiglione.jpgIl Libro del Cortegiano edito da Manuzio a Venezia.jpgGuicciardini per Roma, Baldassarre Castiglio per Urbino e Ermolao Barbaro per Venezia, tutta gente attenta ai particolari e dedita a delicati episodi di spionaggio.

Giovan Francesco Valier fece amicizia con George de Selve, Ambasciatore di Francesco I° di Francia, rivale per quanto riguardava i contatti e la “diplomazia” con i Turchi di Carlo V°, Imperatore . Non si Georges del Selve a destra con Francesco I°.jpgFrancesco I° di Francia.jpgCarlo V ritratto dal Tiziano.jpgLa sublime Porta.jpgconoscono le motivazioni, ma il Valier, attraverso una sottile rete di spionaggio e di informazioni (di cui facevano parte Agostino Abondio, Niccolò e Costantino Cavazza) riuscì ad informare Francesco I° di Francia delle “commissioni” date dai decemviri veneziani all’ambasciatore Alvise Badoer presso la ” Sublime Porta ” ( la parte del Palazzo di  Istambul  in cui il Gran Visir riceveva e svolgeva le cerimonie di benvenuto agli Ambasciatori) che prevedevano di arrivare alla concessione di due piazze forti della Morea per ottenere la pace a tutti i costi con i Turchi: tutto questo per mantenere l’egemonia dei mercati e dei trasporti nel Mediterraneo.

leone di S. Marco.jpgVenezia e Islam.jpgSublime porta.jpgCosì il nome di Valier venne cancellato, le sue opere ( che si possono immaginare sublimi dalle testimonianze di altri grandi letterati)  distrutte per sua volontà secondo un atto da lui firmato ad un notaio pochi giorni prima dell’esecuzione affinchè il cognato alienasse  tutti i suoi scritti, e la sua immagine eliminata secondo la legge della “damnatio memorie”:  ma supremazia ed il bene di Venezia venivano innanzi tutto: Giustizia dura, vera, ma uguale per tutti, anche per chi aveva talenti così particolari ed unici, ma un pò di rimpianto rimane!

 

Mag 12, 2010 - Leggende, Misteri, Personaggi    14 Comments

La donna Vampiro a Venezia, Dalla leggenda alla realtà

imagesCA0J6529.jpgIl ritrovamento venerdì 7 marzo di due anni fa nell’isola del Lazzaretto nuovo a Venezia, da parte dell’archeologo dottor  Matteo Borrini del teschìo di una donna (risalente a metà del 17° secolo), con un mattone in bocca, naturalmente un rito svolto in una creatura deceduta per peste, visto che in quell’isola di Venezia sono stati concentrati diversi corpi di defunti per questo terribile morbo, ci riporta a vecchie leggende veneziane che narravano di donne vampiro a Venezia. Si riteneva infatti che i portatori della peste fossero i vampiri, per cui trovando il corpo non decomposto di una vittima di questo morbo terribile, con un rivolo di sangue al lato della bocca, o dal naso (cosa naturale per chi moriva di quella malattia),  e per di più donna  (strega?)  secondo la credenza destinata a nutrirsi del sangue od anche solo delle energie dei viventi che si avvicinassero al suo corpo era come ritrovarsi  davanti la sconosciuta, la potente, chi è in grado di dare la vita, ma anche di toglierla … Per cui , per difendersi e difendere il resto della popolazione era necessario un rito: si teschio.jpginseriva un mattone nella sua bocca, e la “vampira” non avrebbe più potuto nuocere.

Tutto cio nasce dalla figura del Nachzeher, dalle parole tedesche Nacht (notte) e Zehrer(divoratore).

Da come si potrà intuire la figura è prettamente nordica, come una sorta di vampiro.  Secondo la tradizione  si tratterebbe di una persona morta annegata od un bambino che alla nascita sarebbe rimasto con tutto il sacco amniotico o soffocato dal cordone ombelicale.

Più interessante è la teoria Polacca (e numerosi ebrei vennero dalla Polonia a Venezia) Qui il Nachzeher è visto come un vero e proprio vampiro, al quale però non è stata data la possibilità di completare l’abbraccio, cioè non si è compiuta la definitiva trasformazione tra essere umano e vampiro.

imagesCAASFTAJ.jpgNon essendo un essere completo, si troverebbe in uno stato di torpore perenne all’nterno della sua tomba, non vigile ed incapace di intendere cosa stia succedendo; Proprio per questo si limiterebbe a masticare il suo sudario, come fosse una sorta di bambino.

Come altre creature leggendarie masticherebbe, come già detto, il proprio sudario, ed anche i suoi vestiti ed altre parti del corpo come le mani e le labbra.

Anche se apparentemente innocuo la leggenda vuole che il Nachzerher  rimanga in vita succhiando l’energia vitale degli esseri viventi che si trovano accantro alla sua tomba , e che da  portatore di peste, il suo sudario guarirebbe invece tutte le malattie, per cui c’era l’interesse, da parte dei “tombaroli” di trovare questi sudari, scatenando la violenza dei “vampiri” proprio contro chi si fosse reso responsabile del furto.

Il solo modo per fermare il Nachzehrer era quello di fermare la mascella del defunto, con dei sassi, delle monete, o con dei piccoli mattoni.

imagesCA47PZNI.jpgimagesCA30HD81.jpgQuesto mito ha attirato l’attenzione di diversi studiosi. Uno dei primi fu Philip Rohr, teologo, che nel 1679, nel trattato “De masticatione mortuorum” suggeriva che dietro questa immonda attività si nascondesse l’attività blasfema di un demone, Azazel.

imagesCAJ2P85V.jpgimagesCACGSTAO.jpgimagesCABM49G4.jpgSuccessivamente fu Michael Ranfitus, nel 1725, ad occuparsi dell’argomento. Egli propose due teorie: prima una spiegazione razionale, suggerendo che i rumori tra le tombe e la diffusione della peste fossero da ascriversi alla febbrile attività dei ratti , quindi dava una   supposizione                                                                                                                                                                                                                                               supposizione sovrannaturale:l’esistenza di imagesCAO6QZ86.jpgimagesCALOPZKB.jpgimagesCAM3992I.jpgun’anima vegetativa che aleggiava intorno al morto, causando la crescita dei peli e delle unghie ed a volte in grado anche di danneggiare i vivi.

Rimane comunque l’inquietante mistero di un teschio di giovane donna. di vecchie credenze e dell’ombra sinistra che il morbo della peste aveva portato e continuava a portare sui quei poveri resti, attori e vittime di leggende, storie e , magari, di angosciose presenze di esseri morti ed abbandonati, senza alcun rito, senza alcuno che li piangesse, così come accade in corso di terribili epidemie..sperando che non accada più!

Mag 8, 2010 - Personaggi    6 Comments

Antonio Canova ed il suo cuore a Venezia

ca_farsetti.jpgantonio_canova_selfportrait_1792.jpgUno dei più grandi scultori interprete dell’arte classica, Antonio Canova (1757-1822), ancora apprendista di uno scultore di Asolo, sedicenne, studiò con amore ed entusiasmo una famosa raccolta di  calchi di statue antiche a Palazzo Farsetti, a Venezia, frequentando contemporaneamente la Scuola di nudo presso l’Accademia di Belle Arti.

A ventidue anni, più maturo ed espressivo, il Canova andò a Roma, presso la sede dell’ambasciata Veneziana (a Palazzo Venezia) e conobbe il pittore Novelli, gli architetti Selva e Quarenghi, il figlio di Giovanbattista Piranesi, Francesco, e gli incisori Morghen e Volpato: aveva trovato la strada giusta.

6C-%20Antonio-Canova-Psiche-rianimata-dal-bacio-di-amore-1793-Parigi-Louvre.jpgNel 1787 il Canova finì nella Basilica dei Santi Apostoli  il monumento a Papa Clemente XIV ed il modello di  ” Amore e Psiche”.

Orfeo e Euridice.jpgStatue di Orfeo e Euridice a Venezia.jpgNella sua raffinata classicità incarnò nelle due statue di Orfeo e di Euridice, provenienti da una villa di Asolo ed ora esposte presso il Museo Correr a Venezia tutta la bellezza e la perfezione della sua nitidezza:  si tratta di due opere giovanili (l’autore non aveva ancora diciotto anni) in cui il Canova  esprimeva ancora intatta la morbidezza di alcune statue di ville venete del settecento.

Nel periodo Napoleonico elaborò la statua di Paolina Bonaparte, le tre Grazie, ed innumerevoli altre opere i cui calchi sono 1804-Paolina%20Borghese%20as%20Venus%20Victrix-AntonioCANOVA.jpgconservati presso la le tre grazie.jpgCanova_Antonio_04.jpgGypsoteca, a Possagno,  suo paese natale.

A Canova ( che aveva collaborato nel frattempo con Napoleone) si deve la restituzione di alcune opere d’arte a Venezia: ” Innamorato di Venezia , dice Alvise Zorzi, lo scultore aveva gettato tutto il peso della sua celebrità e del suo prestigio, grandissimo in tutta Europa, ma specialmente in Francia, nell’impresa di recupero”.

Il grande artista morì a Venzia, in casa Francesconi, ed il suo corpo venne conteso da Possagno e da Venezia: A lui venne dedicata la tomba (in cui riposa il suo cuore) presso la basilica dei Frari a Venezia, una tomba che egli stesso aveva progettato per Tiziano, che richiama alla massoneria ( la piramide ne è il simbolo) a cui Tiziano e lo stesso Canova aderivano, che venne realizzata da suo allievo più importante, Luigi Zandomeneghi, Gypsoteca di Canova a Possagno.jpgantonio-canova-1-sized.jpgcanova_autoritratto_pittore.jpgmentre una sua mano è conservata presso le Gallerie dell’Accademia.

Tomba di Canova ai Frari.jpgBasilica dei Frari a Venezia.jpgIn armonia con la città, ormai alla fine del suo splendore, Antonio Canova regala a chi ammira le sue opere la pulizia, la grazia, e la delicatezza di un classicismo che non può che rendere ammiratiTomba di Canova ai Frari, Venezia.jpg Tiziano Vecellio.jpged orgogliosi tutti gli amanti dell’arte!

 

Mag 4, 2010 - Leggende, Personaggi    4 Comments

Sior Rioba: ritrovata la sua testa e l’anima dei veneziani!!!!

Moro a Venezia.jpgNaso di Ferro.jpgFinalmente tutti i Veneziani gioiscono: il nostro “naso di ferro” è stato ritrovato, ed ongnuno ritrova parte del suo, cuore, della sua venezianità, della bellezza nel riconoscerci in una statua di moro, mercante di spezie, che prova e fa provare sentimenti veri e puri a tutti.

Chi non è veneziano forse non può capire, ma la nostra città vive delle proprie pietre, della terra strappata alla laguna, dei glicini sulle terrazze e sulle altane che si riflettono sul Canal Grande, delle nostre pietre ” i masegni” ed i nostri ponti, croce e delizia di questa nostra meravigliosa “casa”, ed anche dei nostri tempi, dilatati, lenti, perchè ogni luogo rievoca ricordi, in ogni luogo ci si ritrova nei secoli passati, e si assapora allora il tempo, la bellezza, la luce e lo spazio di questa città: Per questo motivo tutti hanno sofferto ed ora tutti gioiscono….Venezia sarà sempre quella..il campo dei mori, con le tre teste, le calli, i campielli, la bellezza di alcuni scorci sopra i rii, in un’atmosfera unica…senza tempo e romantica, gentilmente e non stucchevolmente romantica.

Rio a Venezia.jpgCampo dei Mori.jpgPartecipo la mia gioia a voi, e spero che la condividiate perchè la bellezza è patrimonio di tutti, e della bellezza ognuno usufruisce e ne gode, partecipando con gli altri del proprio piacere e del piacere universale che “il bello” contribuisce a rendere tale. Se si pensa che il Campo dei Mori si trova proprio dall’altra parte del Rio della Casa del Tintoretto..!! che ne dite? il viaggio vero e puro nell’arte.

Un abbraccio affettuoso ed un saluto gioioso a tutti, Piera