Ott 6, 2011 - Luoghi, Mestieri, Società veneziana, tecnologia, Tradizioni    Commenti disabilitati su Il sale di Venezia: la prima risorsa per i commerci di una Repubblica ricca ed illuminata nascente.

Il sale di Venezia: la prima risorsa per i commerci di una Repubblica ricca ed illuminata nascente.

plan-lagunedevenise.jpgL’inizìo della Repubblica di Venezia fu caratterizzato dal fiorente commercio tra le due sponde dell’Adriatico che distano in media tra di loro circa un centinaio di miglia. Il primo scambio di merci avvenne, conosciamo dalle antiche documentazioni si svolgeva tra il litorale e le isole della laguna mediante piccole imbarcazioni, adatto alla navigazione tra i canali di basso fondale.

Comacchio 1.jpgComacchio.jpgDa questo traffico ebbe origine un primo collegamento con Comacchio e Ferrara a sud, con Grado ed Aquileia a nord, ed infine il retroterra attrverso le vie naturali dei fiumi.

Ferrara.jpg

Grado.jpgIl commercio con le materie prime in un’area più vasta si svolse poi con Ancona e le Puglie nella costa occidentale e con i numerosi porti della costa orientale.

Ancona, con il suo porto naturale costituiva una base allo sbocco di un’antica strada romana, che attraverso l’Appennino giungeva fino a Roma.

Dalle Puglie la Venezia nascente importava derrate alimentari come grano, Aquilieia.jpgvino ed olio che poi venivano esportate ai vari centri della pianura padana. Venezia deteneva quindi il monopolio del sale ed aveva una speciale magistratura a sovrintendere questa risorsa così fruttifera nei secoli.

La principale forma di ricchezza per Venezia nell’XI secolo era costituita dal commercio dell sale , ricavato dai giacimenti di acqua salata, le cosiddette saline in gran parte, all’inizio, di proprietà delle grandi abbazie. Lo Stato era intervenuto in questo commercio con un interessamento diretto, allo scopo non solo economico ma anche politico nell’assunzione di un monopolio così fondamentale per la vita della città. ” questo popolo” si diceva dei veneziani “non ara, non semina, nè vendemmia, eppure ha tanta ricchezza”.

05_Magazzini-del-sale.jpgbarche per trasporto sale a Venezia.jpgPoteva sembrare un paradosso per un’economia basata sui prodotti agricoli, com’era in genere quella medioevale. Venezia nello scambio e nel monopolio di alcuni prodotti essenziali ebbe un innato fiuto mercantile, una concezione così deterninata dalla coscienza delle sue forze ma anche delle sue debolezze ” il difetto di altre risorse naturali” dice Michel Mollot ” costuituiva in sostanza un incitamento saline a Venezia.jpgsaline-di-comacchio.jpgpressante a fornire al traffico vivacissimo un carico di sale disponbibile sul posto ad una clientela sempre assicurata.

magazzini del sale 2.jpgimmagine di saline a Venezia.gifmagazzini del sale Venezia.jpgLo sviluppo del commercio del sale a Venezia verso il mille non  aveva equivalente in tutta Europa: questo fu l’inizio della  grande storia di una grande, unica città Stato che divenne in seguito la fiera Serenissima.

 

Le meraviglie degli ingegneri Veneziani e l’equilibrio della Laguna.

ponte della moneta.jpgcarta della laguna di Sabbadino.jpgLa storia di Venezia si spiega nel connubio tra mare e terra, che costituisce un privilegio ma anche un impegno a ragione della sua singolarità, per cui il mare è amato e temuto come una forza che presiede alla vita stessa della città.

La laguna di Venezia si estende dalle foci del fiume Brenta a sud, quelle del Sile a nord, su una lunghezza di oltre quaranta Km. ed una larghezza variabile dagli otto ai dodici Km. Essa comunica al mappa.jpgLaguna_di_Venezia.jpgmare attraverso tre porti, Lido, Malamocco e Chioggia., cher distano tra loro poco più di dieci Km. Essi si trovano ai due estremi dell’isola lunga e stretta chiamata appunto Lido, che fa da contrafforte al mare, e dell’isola di Pellestrina.

Dall’apice del campanile di S. Marco si puo ammirare la posizione di Venezia nella laguna: da un lato le varie isole di Venezia che fanno corona e dal lato opposto lo stendersi della campagna veneta che inizia al bordo della laguna e giunge, a vista d’occhio fino al profilo lontano delle montagne,

Venezia dall'alto.jpg4921_venezia_canal_grande.jpgCanal Grande mappa.gifLa struttura urbana è rimasta intatta  il Canal Grande predomina sugli altri e si snoda a forma di “S” dividendo la città in due parti per quasi quattro chilometri, e corre probabilmente nell’antico alveo del Brenta che giungeva fino all’isola di Rialto.

Piave.jpg

La regolazione del corso dei fiumi costituì uno degli impegni più ardui e di difficile attuazione: Immediatamente a sud della laguna sboccano due dei maggiori fiumi italiani: il Po e l’Adige, e la loro sistemazione necessitò di imponenti opere idrauliche. Il Brenta, il Bacchiglione il Sile e il Piave, che 400px-Wiki_1610_Taglio_Nuovissimo_Brenta.jpgsboccano sulla laguna, furono convogliati in un alveo opportunamente costruito oppure furono fatti defluire attraverso canali interni.

Tra le opere idrauiliche più imponenti è da ricordare la deviazione del Brenta e del Bacchiglione attuata alla metà del 500 dal famoso ingegnere idrauliuco Cristoforo Sabbadino, che ideò altresì lo spostamento del mappa del Piave.jpgSile.jpgcorso di una delle foci del Po, allontanandolo così da Venezia attraverso “il taglio di Porto Viro”, finito nel 1604.

Col Sabbadino collaborò il cartografo Giacomo Gastaldi, il maggiore cartografo italiano del 500, e al Sabbadino si deve il progetto delle due grandi dighe su mare a Malamocco e al Lido, che venne attuato tre secoili dopo la sua morte.

1565-_Giacomo-Gastaldi-Univ.jpgBacchiglione.jpgtaglio di porto viro 2.jpgIn quest’alveo naturale i maggiori ingegneri della Serenissima dovettero battersi per secoli con coraggiose opere idrauliche che taglio di Porto viro.jpgpermisero alla grandissima Repubblica di mantenersi in un equilibrio terra-mare straordinario, uomini illuminati, competenti e straordinari….la Serenissima , esempio di scienza, capacità e volontà che tutti i veneziani rimpiangono.

 

 

I curiosi anelli di pietra sulle facciate dei palazzi a Venezia.

710626340_2.jpgPalazzo Gaffaro a Venezia.jpgUna curiosità della struttura delle pareti esterne di alcuni palazzi di  Venezia: degli anelli in pietra d’Istria infissi perpendicolarmente, ed, in base alla estensione della parete, in numero di  due a tre. Un esempio eclatante si trova in Palazzo Gaffaro,

Le fonti storiche narrano che l’utilizzo di queste appendici fosse quello di reggere una grossa sbarra di ferro o di legno per infilare poi delle assi verticali. Nel pavimento interno del palazzo si anelli di pietras.jpgtrova una rastrelliera bucata in cui queste assi venivano inserite: lo scopo era quella di creare una protezione all’entrata dei palazzi in cui c’erano attività artigianali con dei magazzini per le merci.

Altro scopo era quello di proteggersi dai ladri, o, nei periodi di saccheggi derivati dalle congiure per rafforzarsi in caso di tumulti armati, nemici, etc.

Nel corso dei secoli questi anelli vennero utilizzati come supporti per stenditoi di panni o di filati tinti, oppure di tende parasole sostenute da pali, ma ancora Fondam_gaffaro_01.jpgcontinua a sfuggire il vero scopo di queste estensioni che continuano ad essere studiate, per cercare di svelare un altro piccolo enigma di questa città straordinaria ed unica.

 

La colonna esoterica di Palazzo Ducale: il pellicano dei Rosacroce

colonna con pellicano.jpgUna delle colonne di Palazzo Ducale reca, più di altre, i simboli dell’esoterismo a Venezia, per altro ricca di questi riferimenti: il Pellicano.

Parliamo dei Rosacroce,che, nel rito scozzese hanno nominato appunto dei cavalieri a questo simbolo: Cavalieri del Pellicano .  I riferimenti ai Rosacroce non sono unici, nelle chiese veneziane, ma sono inaspettatamente frequenti.

pelican.jpgimagesCAQEO5HG.jpgIl Pellicano , chiamato dagli antichi greci onocrotalo perchè il suo strano verso” Krotos “era simile a quello dell’asino, ha un atteggiamento molto particolare per dar da mangiare ai suoi piccoli, curvando il becco verso il petto, e per questo dando l’errata credenza di squarciarselo per nutrirli con il suo sangue, fino a diventare emblema della carità (O. Wirth).

Nel “Physiologus” si dice che il pellicano ami moltissimo i suoi piccoli: ” quando ha generato i suoi piccoli, non appena sono cresciuti questi pellicano_croce.jpgcolpiscono al volto i loro genitori, che allora li picchiano e li uccidono. In seguito però provano compassione e piangono i figli che hanno ucciso”Il terzo giorno la madre  si percuote il fianco ed il suo sangue, effondendosi sui corpi dei piccoli morti, li resuscita.

Il pellicano si presta così ad una duplice simbologia: è l’immagine di Cristo che dona il suo sangue per redimere l’umanità, e l’immagine di Dio Padre che sacrifica il proprio figlio facendolo resuscitare il terzo giorno.

Nell’immagine simbolica medievale il  pellicano è rappresentato nel nido con i suoi piccoli, sulla sommità della croce e nell’atto di straziarsi il petto con il suo becco. Il sangue che scaturisce  è poi, l’ars Symbolica, la forza spirituale che diventa il lavoro dell’alchimista  che, con grande amore e sacrificio, conduce alla ricerca della perfezione.

images.jpgIl pellicano è un uccello difficile da vedere, e per questo diventa pura immagine dello  spirito, che richiama al pensiero della purezza ” Cristo, il nostro Pellicano, come lo chiama Dante quando si riferisce all’apostolo Giovanni: ” questi è colui che guacque sopra’l petto del nostro pellicano o :Questi fuei su la croce al  grande officio eletto(Divina Commedia Paradiso, canto XXV 112-114).

La purezza celeste è quindi il carattere particolare di questo uccello che, simile ad un angelo dalle ali spiegate simboleggia la Redenzione, la Resurrezione e l’amore di Cristo per le anime.

moderno.jpglaboe.gif Nel bestiario il primo riferimento preciso al pellicano è al MaimagesCADMKG3A.jpgtraccio, dove si otteneva la “circolazione doppia”, per cui questo uccello rappresentava la coabitazione dei liquidi.
O. Wirth spiega il simbolo del pellicano come emblema di generosità assoluta, in mancanza della quale nell’iniziazione tutto resterebbe vano.

Per altri sarebbe l’immagine della pietra fislosofale che si dissolve per far nascere l’oro dal piombo allo stato fluido, cui corrisponde l’aspirazione non egoistica (il pellicano si nutre del pesce strettamente necessario per vivere).

Con ciò sono da ricordare antichi gradi della società, come il Cavaliere del Pellicano e la sua effige nei Rosacroce.

imagesCAY0EZED.jpgNell’antico testamento il pellicano viene nominato solo una volta (salmo 102-107) e non viene mai nominato nei vangeli. Si deve al Phyisiologus( II-IV secolo) il pellicano è al numero 4 del suo inventario, in termini alquanto più complessi, narrando della resurrezione dei piccoli, al terzo giorno, per opera della madre che con il padre li ha uccisi, vi è l’adattamento diretto della simbologia del Cristo.

 

Venezia quindi , esoterica fino nei minimi particolari, come i marmi usati, che danno un fascino ancora maggiore a questa città sospesa tra l’oriente e l’occidente, e magicamente rimasta aderente alla sua essenza che chiunque percorra le sue calli ed i suoi campi percepoisce e respira con l’aria della laguna.

Set 17, 2011 - Architettura, Arte, Luoghi, Personaggi, Società veneziana    Commenti disabilitati su Alessandro Leopardo e il cavallo di Bartolomeo Colleoni

Alessandro Leopardo e il cavallo di Bartolomeo Colleoni

Corte del Cavallo.jpgsan_marco--190x130.jpgVicino alla chiesa della Madonna dell’orto si può accedere alla Corte del Cavallo: il suo nome si deve al ricordo del luogo in cui un fantastico artista Alessandro Leopardo ( o Leopardi), realzzò e fuse il  maestoso cavallo del monumento dedicato a Bartolomeo Colleoni, monumento collocato davanti alla chiesa dei SS., Giovanni e Paolo, e che per la figura del Capitano di Ventura venne chiamato Andrea del Verrocchio.

Ma non da meno fu l’artista Leopardo che a Venezia ha donato la realizzazione dei pennoni che in Piazzetta S. Marco , realizzati proprio al bacino di S. Marco, caqvallo di colleoni.jpgcavallo e colleoni.jpgreggonoi le bandiere di Venezia.

Monumento al Colleoni.jpg

Egli collaborò anche alla realizzazione della tomba del Cardinal Zeno a S. Marco. Artista forte, prorompente, amato ed apprezzato ma poco ricordato dai libri d’arte. A Venzia invece è ricordato come Alessandro del Cavallo.

Colleoni.jpgil cavallo del momunemto alk §Colleoni.jpgAlessandro Leopardo, un brande artista che, se non troppo ricordato nelle guide turistiche o nei libri d’arte rimane sempre nel cuore e nella cultura dei veneziani: un tesoro artistico  che anche chi non ha avuto  l’opportunità di studiare vive e riesce a convivere quasi come un esperto ed amante d’arte con un dna tutto particolare: i veneziani hanno creato Venezia, e se Venezia è questa meravigliosa miniera di realizzazioni artistiche tutto il merito va agli artisti ma anche alla gente semplice ed agli artigiani.

 

Venezia: centro dell’editoria e della cultura in Europa

Biblioteca-Marciana.jpgbiblioteca-marciana-venezia.jpgIl Tempio della Cultura di tutta Europa fu, nel 1500 la Libreria del Sansovino (edificio splendido e lodato pure dagli architetti contemporanei, come Palladio); il suo prestigio era effettivo dato che Venezia era un centro culturale europeo, basato sulla valorizzazione della cultura classica e legato, oltre che per le opere contenute ( la biblioteca dono del  Cardinale Bessarione, formata da incunaboli, libri scritti in greco, libri arabi, preziose incisioni)) quella di Francesco Petrarca che ne fece dono anch’esso alla Serenissima, ma anche e soprattutto per il rapido sviluppo in questa città dell’editoria.

Le attività imperniate nella nuovissima arte della stampa ebbero infatti a Venezia , alla fine del quattrocento, un Cardinale Bessarione.jpgAntico testamentio scritto in Greco.jpgantico libro del Petrarca.jpgpetrarca.jpgrapido sviluppo che si estese e si consolidò fino al 1500.

Nel 1469 si trasferirono nella Repubblica i primi stampatori tedeschi e, appena quindici anni dopo il primo libro stampato a caratteri mobili da Gutemberg a Magonza, iniziarono la produzione libraria: questa si sviluppò immediatamente sollecitata dalla sempre maggior richiesta di libri soprattutto di cultura letteraria, umanistica e scientifica.

La produzione divenne imponente: prima del 1500 operavano nella città 154 officine che produssero tremila giosue1.gifedizioni, equivalenti a oltre due milioni di copie: ricorda Lino Moretti ( il libro veneziano nei secoli, 1973) che dal 1495 al 97 furono pubblicati in Europa 1821 libri e di questi ben 447 , quasi un quarto, a Venezia.

Nel cinquecento, superata la crisi dei primi decenni, Venezia visse il suo secolo di opulenza che fu anche il secolo d’oro della stampa Veneziana. In questi cento anni si annoverarono 493 ditte tra tipografi, editori e librai.

Oltre al numero i libri veneziani erano apprezzati e riconosciuti per alcuni pregi intrinseci: la qualità della carta che veniva da Fabriano nelle Marche o dal Friuli, la nitidezza dei caratteri e la raffinatezza delle illustrazioni e delle decorazioni in cui si rifletteva lo splendore dell’arte Veneziana di quel periodo: la pregevole fattura delle rilegature specie quelle in pelle di ispirazione persiana.

manuzio.jpgAldo Manuzio a sinistra.gifLa personalità che più contribuì al prestigio europeo del libro veneziano di Aldo Manuzio: nativo del Lazio, dotto umanista prima di diventare stampatore ed editore di opere classiche egli giunse a Venezia quarantenne e vi operò dal 1489 al 1515, pubblicando più di trenta volumi classici, soprattutto greci, (Archimede, Omero, Esopo), in lingua originale, e la famosa e splendida opera “Hypnerotomachia Poliphili” (1499) di, si dice Francesco Colonna, sacerdote veneziano, e xilografie  di   Mantegna,     ma la storia di questo libro ed il suo significato alchemico è così importante che ne parlerò a parte.

Marchio_Tipografico_aldo_Manuzio-b1f27.jpg250px-Aldo_Manuzio_Aristotele.jpgDa Hypnerotomachia Poliphili.jpgLe edizioni Aldine divennero famose ed inconfondibili, non solo per l’alta qualità della stampa e delle decorazioni, ma anche dalle dimensioni dei volumi, che dal formato “in folio” fu ridotta “in ottavo”;

Tale riduzione unita all’uso di una carta più sottile ma resistente resero il libro molto più maneggevole.

L’attività editoriale veneziana del cinquecento fu connotata da una grande apertura culturale: venivano pubblicati libri in latino, in greco, in volgare, in slavo, in armeno, in Legatura di un libro.gifTorchio per stampa.jpgebraico oltre che le prime e più belle edizioni musicali.

08bembo.jpgDice sempre il Moretti: Proprio al libro di un patrizio veneziano, edito a Venezia, ” Prose della volgar lingua” di Pietro Bembo, l’Italia dovrà la costituzione della sua lingua letteraria sui modelli di Petrarca e di Boccaccio.

E proprio la presenza di Francesco Petrarca che nella Serenissima abitò nel 1362 in un casa donatagli dal Senato sulla Riva degli Schiavoni, prima di trasferirsi ad Arquà, ed il dono alla Marciana della sua preziosa raccolta di manoscritti, furono  certamente elementi determinanti per avviare l’apertura in senso italiano della cultura veneziana, che, perdendo la propria provincialità divenne l’elemento propulsore della nuova letteratura in “volgare”.

immagine del frtontespizio di un libro di Manuzio.jpgLa Repubblica veneziana, con una classe dirigente formata prevalentemente da un ceto aristocratico colto e raffinato, seppe capire l’importanza della cultura come fattore determinante del prestigio politico e di conseguenza facilitò la venuta e l’operosa pemanenza a Venezia delle più diverse personalità, non restingendosi in campanilistiche preclusioni.

Menti illuminate in una città fortemente portata all’arte, alla bellezza, alla capacità di rapportarsi con gli gli altri, in tutti i settori.
 

 

Set 8, 2011 - Architettura, Arte, Mestieri, tecnologia, Tradizioni    Commenti disabilitati su I mobili del settecento veneziano e i loro autori: i geniali artigiani della Serenissima.

I mobili del settecento veneziano e i loro autori: i geniali artigiani della Serenissima.

palazzo-zenobio-sala-ballo.JPGI palazzi veneziani avevano una propria conformazione: grandi saloni di rappresentanza, e poi piccoli salotti riccamente decorati ed arredati con mobili particolari e famosi in tutta Europa, lampadari e specchi (naturalmente in vetro di Murano).

Nel settecento si facevano sentire profondamente a Venezia l’eleganza, lo stile, il senso di misura, la ricercatezza, in una parola dell’alta società europea che frequentava le corti e le ambasciate.

01_tavolo_dorato956.jpg22432-armadio-veneziano-del-xviii-secolo-laccato-con-decorazioni-floreali-e-decori-a-mascheroni-big.jpgIl riflesso fu immediato anche nelle opere di arte applicata, eseguite per quelle classi privilegiate che vivevano nelle dorate cornici dei salotti veneziani. La qualità artigianale dei mobili laccati, dei lampadari di Murano, delle specchiere, dei velluti rasati, le maioliche e porcellane che si collegavano armonicamente con l’alta qualità degli stucchi degli arredi e perfino dei pavimenti “alla veneziana” che si ottenevano con un impasto di frammenti lapidei e lucide scaglie di marmo variamente colorate.

I più bei mobili del settecento erano decorati dalle straordinarie colorazioni delle lacche e tecniche carezzonico.giffalegnami veneziani.jpgdiverse nelle quali trovava sfogo un estro decorativo pittorico popolare ed aristocratico a un tempo che apparteneva alla corporazione dei “depentori”.

Tra i mobilieri veneziani non si trovano grandi nomi, ma gli artigiani furono stimolati ad inventare nuovi tipi di colori e nuove decorazioni.

Il laccatore ” dice il Morazzani ( mobili veneziani laccati), doveva accuratamente levigare la superficie lignea sulla quale stendeva un velo di mobil leccato.jpgmobile barocco.jpgpastiglia ottenuta sciogliendo nella colla di guanto del gesso sottilissimo , anzi, impalpabile.

mobile laccato.gif

Questo sottilissimo strato , sotto il quale scomparivano le connessure a sua volta era coperto da altri strati di mobile veneziano.jpgmobili a Cà Rezzonicol.jpgstucco caldo avendo cura, che la sovrapposizione di strato a strato avvenisse solo quando l’antecedente fosse secca: questa preparazione, una volta ben levigata rivestiva come una tenace epidermide tutto l’oggetto: una volta ben essiccato, con fine carta vetrata e con l’agata veniva lisciato e levigato in modo da togliere ogni minima asperità a fargli acquistare al tatto una caratteristica morbidezza”

Allora si iniziava l’opera di decorazione, prima col dar la tinta di fondo poi con dipingere i motivi e le decorazioni ornamentali, usando colori a tempera.

cassettiera del 700 veneziano.gifpoltyrona dorata.jpgOttenuta la completa essiccazione della pittura, il laccatore la difendeva sotto molteplici strati di “sandracca”che aveva praticamente la stessa funzione della invetratura delle maioliche e delle porcellane, essendo essa compatta, liscia, brillante e morbida al tatto.

Ecco infine l’opera dell”indoratore”, artigiano di grande tradizione in quanto le dorature venivano usate un pò su tutto, tanto che anche sui contratti per le commesse dei quadri erano previste anche le cornici si richiedeva esplicitamente ” l’uso di oro zecchino”.

Sedia in ebano di Brustolon.jpgribalta-veneta.jpgNel settecento i “depentori” dei mobili ebbero la classificazione della loro arte, distinta da quella dei pittori e da quella degli indoratori: la grazia del mobile laccato veneziano nasceva quindi dall’armonica collaborazione delle varie arti, ambientata tra i campielli della città che vedeva insieme nomi di illustri artisti e di oscuri ma abilissimi e geniali artigiani che sono sempre stati alla base della ricchezza, della cultura e delle risorse della Serenissima.

Set 2, 2011 - Cucina venexiana, Leggende, Personaggi, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su Il pan de Megio e il doge Megioto a Venezia

Il pan de Megio e il doge Megioto a Venezia

Fondamenta del Megio con fondaco.jpgFontego del Megio.jpgIl sestiere di S. Croce conserva tra i suoi edifici il fontego del megio: era una magazzino costruito nel 1300 con approdo adiacente al Fondaco dei Turchi. Questo magazziono era destinato inizialmente allo stoccaggio del grano, ma in seguito vennero conservati anche cereali di meno valore destinati a riserva in caso di carestie, proprio per il pericolo delle truppe turche, tra cui il miglio (megio in veneziano).

A stivarlo nel fondaco ci pensò il Doge Pietro Loredan, uomo giusto,  giunto anziano al dogado, e persona di per sè semplice e pragmatica. Nel 1570 i Turchi Doge Pietro Loredan.jpgCalle del Megio.jpgarrivarono fino alle porte di Treviso, ed allora il Doge decise che per l’uso comune del popolo si dovesse confezionare pane di miglio.

miglio.gifpane di miglio 1.jpgLe restrizioni di questo tipo colpirono proprio la fascia più povera della popolazione che affibbiò l’appellativo di Doge paner di miglio.jpgMegioto al Loredan, il quale non visse certo a lungo. Morì infatti quello stesso anno, ed allora il popolo imventò un detto: “El Dose del Megioto che fa vendere el pan de megio ai pistori (panettieri) xe morto. Viva San Marco e la Signoria, xe morto el Dose de la carestia”.

Così la povera gente riuscì ad esorcizzare la paura dei Turchi, e a mangiare pane più buono: i veneziani ironici, sempre di buon umore e con la voglia di guardare avanti, scherzando anche sugli eventi più seri, e la storia dette loro battaglia di Lepanto 2.jpglepanto-1571.jpgragione: il 7 ottobre 1571 sconfissero i Turchi nella battaglia di Lepanto: il più grande vanto della Serenissima!

Ago 29, 2011 - Architettura, Arte, Luoghi, Mestieri, Società veneziana    Commenti disabilitati su Il Ponte della Paglia a Venezia

Il Ponte della Paglia a Venezia

immagine del ponte derlla Paglia.jpgponte della paglia 1.jpgIl ponte che dal molo di S. Marco collega Riva degli Schiavoni e corre parallelo al ponte dei sospiri,venne costruito nel 1100 , era largo circa tre metri, e la sua parte più antica è proprio quella prospicente il Ponte dei sospiri: si tratta del Ponte della Paglia.

Esso trasse il suo nome dalla Stazione di sosta ubicata in quel luogo per permettere il carico e lo scarico delle barche cariche di paglia e fieno. Anticamente la paglia da vendere era usata per i pagliericci, per coprire i tetti delle case più povere impastata con fango ( e per questo motivo tanti incendi si sviluppavano nella antica Venezia), oltre ad altri usi domestici; veniva usata nelle stalle, ubicate a Castello,  e il fieno veniva utilizzato per nutrire i cavalli e gli asini.

proigioni.jpgL’impiego della paglia era abbondantemente utilizzato per i pagliericci delle carceri.

ponte della paglia del canaletto.pngAi piedi di questo ponte erano poste le garitte (piccole casette in legno) , una ubicata vicino a Palazzo Ducale e l’altra vicino alle carceri, ed i soldati della Serenissima che stavano all’interno controllavano l’entrata e l’uscita dei cittadini in transito sul Ponte; oltre a questo compito essi dovevano vigilare sul commercio e far pagare i dazi dovuti allo Stato per lo scarico di questo materiale così importante e necessario per la vita della Serenissima.

Ponte-della-paglia-02.jpgIn certi giorni davanti alle carceri e presso la garitta venivano esposti i cadaveri degli annegati per il dovuto riconoscimento.

Il Ponte della Paglia quindi, ampliato nel 1854 e diventato così com’è ora era un luogo importante e nevralgico di questa città, che fa parte della sua storia quotidiana, dei cittadini più semplici e della loro vita: Venezia e i suoi cittadini, Venezia e le loro necessità ..meraviglioso pensarla anche così!

Ago 20, 2011 - Società veneziana    1 Comment

I Baili: artefici della cultura e dell’espansione della Serenissima

basilica_di_san_marco_a_venezia.jpgLa vocazione naturale di Venezia fu subito chiara, vista la sua posizione geografica, proiettata verso l’est Europa, e destinata a far fiorire il commercio con le popolazioni di tali zone.

Il problema Adriatico fu quindi il primo che la neonata Serenissima si trovava ad affrontare, legata com’era anche a Bisanzio, alla sua cultura, al suo fascino; nei primi secoli l’azione del Governo cercò di rendere sicura la navigazione mediante punti di appoggio contro i focolai di pirati narentani e saraceni, perciò le conquiste territtoriali non furono mai vistose, solo quanto bastava ed era indispensabile ad una strategia di dominio che si affidava soprattutto alla sicurezza delle rotte che portavano ad Oriente.

Genetile Bellini, ammiraglio turco.jpgPietro Orseolo II.jpgImperatore Basilio.jpgTra i vantaggi e la strategia basata sul dialogo e sulle alleanze, ebbe molta importanza la Bolla d’Oro, un accordo fondamentale stipulato con l’Imperatore Basilio nel 992, che garantiva la strada aperta per i commerci e la navigazione verso Costantinopoli, ottenuto dal doge Pietro Orseolo II a riconoscimento del suo aiuto contro i Saraceni.

In questo modo Venezia ebbe la strada aperta per i commerci con la Siria, l’Egitto e l’Africa del Nord, e con banchine oltre che a Costantinopoli nel Corno d’Oro, e fondaci a Gerusalemme, Alessandria, Acri, Beirut, Aleppo, Damasco, il Cairo.

Occupò anche isole del sud, e porti dell’Egeo. Grazie ai mercanti come Marco Polo ed altri, Solimano Agostino di Gentile Bellini.jpgcreò una profonda penetrazione mercantile anche in Asia minore, e creando addirittura servizi di linea che si estendevano, alla fine del 1300 all’Inghilterra e alle Fiandre.

Sultan_Mehmed_II.jpgBaili veneziani.jpgambasciatore turco.jpgGrazie alla conquista ed ai buoni rapporti con la Dalmazia La Serenissima era la regina del commercio in tutto il Mediterraneo.

Lo strumento più usato dalla Repubblica fu quindi la diplomazia, arte delicata a cui Venezia dedicò estrema attenzione e preparazione: allo scopo vennero preparati personaggi particolarmente abili, pronti a studiare le lingue e le abitudini dei luoghi dove darebbero stati inviati per creare un ponte “diplomatico”, e a governare quei veneziani che in quei luoghi si erano trasferiti: si tratta dei Baili, persone di grande Dogre con ambasciatori arabi.jpgBaili Veneziani in Islam.jpgcultura e di mente aperta, così come aperta era la civiltà Veneziana pronta a cercare di capire, ad adeguarsi, più che a imporre religione, usi, anzi, traendo da queste diversità possibilità di ampliare la propria cultura e, per quanto riguarda i commerci, le proprie informazioni: non a caso dalla Siria vennero le prime informazioni per la lavorazione del vetro, e dall’Islam la lavorazione dei tappeti e dei velluti.

I lavori orafi importati da Damasco, con relativi metalli preziosi, e le lacchi indiane, per l’abbellimento delle ceramiche. Ma il maggior apporto culturale fu quello legato alla filosofia  ed alle scienze, tra cui l’algebra, parola araba, come arabi sono i numeri tutt’ora utilizzati, e lo zero, grande scoperta di qualcosa Istambul di Gentile Bellini.jpgche è nulla ma che posta prima o dopo un numero ne accresce o ne diminuisce il valore.

Istambul.jpgGentile Bellini, donna turca.pngBaili veneziani in oriente.jpgNon a caso a Venezia venne pubblicato il primo Corano (inteso come libro) nel 1537 ,le opere astronomiche di Tolomeo , il compendio medico di  Avicennia e le opere filosofiche di Avennoè.

Questa è stata la ricchezza di Venezia e dei governanti che si sono susseguiti nei secoli, dando lustro, potere e predominio culturale, letterario, filosofico, I Baili di Venezia.jpgmusicale e scientifico: una cultura aperta e pronta a recepire e capire!

 

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