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Le testimonianze dei miracoli della Santissima Croce a Venezia: una sospensione nel tempo e nello spazio di questa meravigliosa ed unica città

Sa Giovanni EvangelistA.jpgC’è un periodo veneziano, che va dal 1496 al 1501, in cui alcuni pittori di grande rilevanza ed espressività, lasciarono il loro segno, la loro testimonianza, quasi fotografica, della Venezia di quegli anni specifici. Vittore Carpaccio, Giovanni Mansueti, Gentile Bellini , Lazzaro Bastiani e Benedetto Diana.

Scuola Grande di S. Giovanni evangelista_ Lazzaro Bastiani e il dono della Reliquai della Santissima Croce.jpgLo scrigno, causa e conservatore di queste memorie fu la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista. Scuola fondata nel 1261, della corporazione dei Battuti, una delle più rinomate e conosciute della Serenissima, dedicata alla devozione a San Giovanni Evangelista.

Nel 1369 Phlip de Mazieres , cancelliere del Regno di Cipro e di Gerusalemme giudicò tale corporazione degna di ospitare la reliquia di un frammento della Santissima Croce di Cristo, per cui decise di donare questa reliquia a questa Schola.

Proprio in seguito a questo dono, di incommensurabile valore, la Schola venne ristrutturata, grazie alle donazioni dei fedeli più o meno abbienti, e dal 1414 al 1420 essa venne ricostruita: Definita Scuola Grande, il consiglio dei dieci decise di arricchire il “contenitore” di tale reliquia di opere d’arte.

Gentile_Bellini_004.jpgVittoreCarpaccioMiracoloReliquiaSantaCroce.jpgA tale scopo, per ogni miracolo che la Santissima Reliquia operò , vennero incaricati artisti presenti all’epoca per darne quasi una sequenza direi “fotografica” degli eventi, cristallizzando in questo modo una Venezia antica, ma, per chi percorre quelle calli, attraversa quei ponti è  talmente attuale che ci si trova come intrappolati in un “ingorgo” spazio temporale, per cui, attraversando il ponte di San Lio, o attraversando il Canale di San Lorenzo la vita che si svolge intorno è quasi la stessa, i Palazzi, affacciati nei campi o nei Rii sono i medesimi che, alzando gli occhi sono li, testimoni “muti” di un passato che è ancora fremente e vivo salendo quei gradini, o guardando una finestra di una casa in cui la padrona batte i suoi tappeti, fa prendere aria alle stanze.

Mansueti. Il miracolo della Croce aSan Lio.jpgQuesta è Venezia, questa è la realtà di una città sospesa non solo tra gli elementi (aria, terra, acqua) ma anche nel tempo, per cui non c’è bisogno di immaginare come in un film di fantascienza un viaggio in tale dimensione, poichè il passato è sempre qui, presente, basta soltanto immergersi…guardando con gli occhi delle persone che, con lo sciabordio della laguna si ritrovano a navigare sulle gondole, a quelle che, curiose, vogliono seguire le varie processioni, a San Marco, o sbigottite assistono alla caduta della Reliquia nel Rio di San Lorenzo, ( testimone comune Caterina Cornaro, ex regina di Cipro)  ed al suo recupero permesso miracolosamente soltanto al Capo della Scuola.

Vittore Carpaccio, con la sua realtistica testimonianza, ci porta in un’epoca passata: il Ponte di Rialto è ancora in legno, anche se i Palazzi rappresentati sono ancora presenti ( a parte il fondaco dei Persiani, andato bruciato ), ma il vivere veneziano è rappresentato, tale e quale come ora!!!

134px-Giovanni_di_Niccol%C3%B2_Mansueti_005.jpgI miracoli (veri o finti) rappresentati in quei quadri vanno dalla guarigione dell’ossesso(Miracolo della Croce a Rialto del Carpaccio) al miracolo rappresentato dal Mansueti in cui, in occasione di una processione , la reliquia cade nel Canale di San Lorenzo, e l’unico che riesce a recuperare la reliquia fu Andrea Vendramin, Guardian Grande della Scuola.

Miracolo della Santissima Croce a San Lio del Mansueti.jpgE di seguito altri miracoli rappresentati; Guarigione di Pietro Ludovici,  (Gentile Bellini) guarigione della figlia di Benvegnudo da San Polo (1501 circa), la guarigione dell’ossesso che al grande  Carpaccio dette l’opportunità, riprendendo in un breve scorcio alla sinistra in alto del miracolo, della vita vera, pullulante, direi  metropolitana di uno Stato veramente particolare, unico, meraviglioso, ed in cui, camminando tra i ponti, guardando i palazzi e specchiandoci sui rii il cielo stesso riflette la Venezia vera, forte, giusta, veramente democratica Repubblica di cui i Veneziani di origine possono essere orgogliosi, e io, almeno, mi sento tale!! Ora i teleri sono raccolti e custoditi presso le Gallerie dell’Accademia a Venezia!

 

La storia di Palazzo Ducale a Venezia, ed i suoi costruttori, maestri muratori e meravigliosi artigiani artefici di tanta bellezza.

palazzoducale1.jpgIl Palazzo Ducale, mirabile esempio di gotico fiorito, come ci appare oggi è formato da tre parti: una lungo il Rio di Palazzo, un’altra verso il bacino di San Marco che risale al 1340 ed è l’elemento originario, e la parte che da sulla Piazzetta.

Le parti successive sono state sviluppate da questo primo nucleo verso la fine del 1300, e sono di straordinaria novità per la struttura, la forma architettonica delle ali, e con funzioni, all’epoca, di governo, di amministrazione giudiziaria e di abitazione del Doge.

Il 28 Dicembre del 1340 il Gran Consiglio stanziò la somma di circa 10.000 ducati( somma molto ingente ) per la costruzione di un’enorme sala che potesse contenere 1,212 membri che facevano parte del Maggior Consiglio: a Ducale%20sala%20Maggior%20Consiglio.jpgquesto elemento era delegato il potere legislativo di cui facevano parte quello del Senato ( consiglio dei Pregadi) l’ordine esecutivo ( Doge e Ministri) e giurisdizionale ( Il Consiglio dei Quaranta).

Sebastiano Ziani.jpgLa storia del Palazzo si configura mediante varie ricostruzioni in tre epoche distinte: una palazzo-ducale-balcone_JPG.jpgDoge Michele Steno.jpgprima quindi, coeva alla formazione della Città ed alla costruzione della Basilica di San Marco, subito dopo il trasporto del corpo dell’Evangelista Marco nell’828; una seconda voluta dal Doge Sebastiano Ziani e composta da tre edifici separati, e la terza, compiuta nella seconda metà del 1300 e nel primo quattrocento, ed è quella che noi possiamo vedere. Nel 1404 il doge Michele Steno fece costruire da Pier Paolo e Paolo delle Masegne un balcone – tabernacolo sui cui domina la statua della Giustizia, dogma su cui la Serenissima basava uno dei suoi cardini, e rappresentata innumerevoli volte con statue e rappresentazioni allegoriche nei vari edifici della Repubblica.

Nella deliberazione del Maggior Consiglio del 21 settembre 1415 si scala dei giganti.jpgfece presente l’urgenza di costruire una nuova scala d’accesso per la sala  di riunione dei suoi membri  e successivamente il 27 settembre 1422 sempre il Maggior Consiglio decise di sostituire il vecchio palazzo, dove si amministrava la giustizia, che sorgeva lungo la Piazzetta verso la Chiesa di San Marco, con la continuazione del nuovo palazzo affichè corrispondesse al ” solenissimo principio nostri Palaci novi”.

Scultura sulla facciata.jpgL’opera di demolizione della vecchia costruzione e di continuazione del nuovo Palazzo dalla capitelli gotici.jpgsettima colonna alla Porta della Carta ebbe inizio il 27 marzo 1424. Le statue in pietra d’Istria, di cui abbiamo già parlato, ed il capitelli gotici ed esoterici vennero riportati e ridistribuiti nel nuovo edificio.

Lo spazio occupato prima dai vari edifici e poi dell’unico che ne risulta è  il medesimo , e per diverse ragioni si ritiene che la facciata di Palazzo Ducale verso la Piazzetta dovesse avere le proporzioni dell’Ospizio Orseolo in Piazza San Marco, come appare nel quadro di Gentile Bellini del 1496 ” Processione in Piazza San Marco”.

Non si conoscono i nomi degli architetti che idearono prima le varie componenti, quindi il Palazzo così come lo vediamo ora: i documenti fanno cenno ad un Maestro Enrico, poi Pietro Baseggio e Filippo Calendario, che morì nella congiura di Marin Faliero del 1355.
Sembra quindi, come ipotizzato da Elena Bassi che ha studiato con profonda cura tutta l’architettura del Palazzo, che l’ideazione dell’edificio risalga ai Procuratori “incaricati dal Governo di seguire i lavori con le maestranze”.

taiapiera.jpgI documenti parlano quindi dei ” maestri muratori” o taiapiera, ( legati come sappiamo dalla corporazione e dalla prima loggia massonica a Venezia, che lasciarono le loro tracce  nei capitelli esoterici e gotici del porticato)), e si intuisce che dietro a quel gruppo c’era la mente illuminata che guidava i lavori, ma, come era uso nel medio evo, questa persona restò anonima poichè la Repubblica assegnava la responsabilità, il merito o il demerito di un’opera all’incaricato politico di eseguirla.

Gentile_Bellini_004.jpgPalazzo Ducale nacque quindi dalla prassi artigianale, che a Venezia perdurò molto più a palazzoducale2.jpglungo di altri centri italiani anche a motivo della particolare e connaturale conformazione della città.Artigiani artisti, decoratori meravigliosi, maestri falegnami e il gusto unico prettamente veneziano, città occidentale ed orientale insieme miracolosamente sorta tra le acque della laguna e, con tutti i suoi enormi problemi, ancora qui, tutta da godere, da esplorare e da amare.

Bricoe, le vie d’acqua di venezia, e il canto struggente dei battipali..i suoni di Venezia e le armonie della Laguna

nebbia.jpgbriccole veneziane.jpgVenezia. misteriosa città d’acqua, creata sull’acqua, e tra le varie isole che la compongono i rii e i canali: l’ampiezza della laguna, le notti di nebbia, il buio profondo: per questo motivo vennero create le briccole (o bricoe): il toponimo nasce dalla necessità di dare dei colpi obliqui ai pali laterali, per cui venne creata una macchina inclinata di 15 gradi circa per poter indirizzare i pali laterali appunto nell’inserimento di questi preziosi legni appuntiti, ricavati dal larice e dal rovere, attraversando lo strato di fango, e trovando valida e solida base nel “caranto” un compatto strato di argilla e sabbia, solida base per sostenere non solo le bricoe, ma anche palazzi, ponti etc.

I tronchi erano in genere tre o quattro, e sulla sommità di questi gruppi, tenuti insieme da catene, veniva posto nei tratti della laguna o lungo i canali più importanti dei fanali, in modo da indicare le vie d’acqua e gli approdi.

via d'acqua.jpgAlle bricoe interne ai rii, in genere formate da un solo palo, venivano ancorate le gondole e le barche.

battipali 1.jpgE proprio gli operai più umili, quelli che con i loro sforzi svolgevano il lavoro di “battipali”, battipali_2.jpgincisione di battipali.jpglavoro pesante, faticoso che abbisognava della collaborazione di un gruppo, per cui di una sincronicità, diedero vita a dei canti meravigliosi, canti di lavoratori, canti di chi segue ritmi di ispirazione ed espirazione, intervallato dalle brevi pause, che, nel silenzio della laguna e trasportati dalle leggere brezze che portavano i suoni anche nella città divennero una colonna sonora meravigliosa: diverse voci, un ansimare quasi, la delicatezza e l’orgoglio di essere utili con la propria fatica allo sviluppo e all’importanza della loro Serenissima; il canto (con anche altre versioni, ma molto simili) diceva:

Oh, issa eh
e isselo in alto, oh
ma in alto bene, eh
poichè conviene, eh
per ‘sto lavoro, oh
che noi l’abbiamo
oh
ma incominciato, oh
ma se Dio vuole, eh
lo finiremo, oh
col santo aiuto, oh
viva San Marco, eh
repubblicano, oh
quello che tiene, eh
l’arma alla mano, oh
ma per distruggere, eh
el Turco cane, oh
fede di Cristo, eh
la xe cristiana, oh
quella dei Turchi, eh, la xe pagana.

briccola.jpgI primi studiosi di canti popolari nel 1800 riuscirono a rintracciare questi pezzi, che forse più che canti possono essere definiti “ritmi”; G. Péullè, uno dei primi ricercatori scrisse: Al momento pertanto che più fervea nè lontani tempi l’opera del fabbricare questa mirabile città, doveva la laguna veneta risuonare tutt’all’intorno di quella monotona salmodia che i batti-pali intonavano e che noi udiamo ancor oggi laddove si gittano le fondamenta di qualche nuova fabbrica.

briccole 3.jpgVoci meravigliose, suoni di fatica, che, accanto alle barcarole ( la più famosa quella veneziana di 100_1476.jpgMendelsshon n° 12) accompagnarono e tutt’ora, se si ha l’accortezza di astrarsi dalle voci comuni, vengono trasmesse dallo sciabordio della laguna, dal solcare leggero delle gondole sui rii più nascosti, nell’intonazione stessa della “lingua ” veneziana…tutto legato al mare, tutto mescolato al mare, un tutt’uno, di armonia, suoni fatiche e bellezza.

Gen 4, 2011 - Leggende, Luoghi, Misteri, Personaggi, Società veneziana, Spionaggio e congiure    Commenti disabilitati su La testa decapitata ed il biscione sul campanile di San Polo: la triste ed intricata storia del Conte di Carmagnola.

La testa decapitata ed il biscione sul campanile di San Polo: la triste ed intricata storia del Conte di Carmagnola.

Sopra il portale del Campanile di Campo S. Polo è raffigurata, in modo potente, una vicenda di tradimenti multipli, testimonianze di un periodo di lotte e battaglie per l’espansione delle varie Signorie del nord Italia e della Repubblica di Venezia, di cui fu artefice o vittima (è ancora tutto da appurare) una famosa figura di condottiero, il Conte di Carmagnola.

Francesco Busone nacque a Carmagnola nel 1382 da una famiglia di umili origini, e fino all’adolescenza fece il guardiano di pecore, ma tanta era la sua sete di avventura e la passione per le armi che ben presto si arruolò come soldato di ventura.

Divenne prima guerriero per Bonifacio (Facino)  Cane, scegliendosi il nome di Carmagnola e immortalando nel 200px-Facino_Cane.pngGianGaleazzo-Visconti-209x300.jpgFilippo Maria Visconti.jpgsuo stemma tre agnelli, come simbolo della sua provenienza. In poco tempo divenne un bravissimo soldato e stratega, e nel 1411, come Capitano di Ventura attuò il suo primo tradimento a danno di Facino, e si pose agli ordini di Gian Galeazzo Visconti; rimase ai suoi ordini e a quelli di Giovanni Maria, seguendo quindi la sua vedova  andata sposa a Filippo Maria Visconti, prendendo le loro parti nella lotta per la Signoria di Milano contro Astorre Visconti.

Dopo questa ed altre prove di valore Filippo Maria gli donò il feudo di Castelnuovo Scrivia, gli diede in moglie la figlia illegittima Antonia Visconti: fu così che si potè fregiare del titolo di Conte di Carmagnola, ed aggiunse nel suo stemma il biscione Visconteo. La sua fama e le sue capacità però biscione-visconteo.jpgCarmagnola.jpgAmedeo VIII di Savoia.jpgfacevano paura a Filippo Maria, ed il condottiero allora cercò rifugio presso Amedeo VIII di Savoia, il quale, onde evitare di rompere i delicati equilibri che mantenevano la “pace” tra i due stati, lo respinse.

Il Carmagnola decise allora di porsi al servizio della Serenissima: il 24.2.1425 divenne Capitano di Ventura per la Repubblica di Venezia, mentre il Visconti gli aveva requisito il feudo e tutti i suoi beni, ed emanato l’ordine di ucciderlo.

Nel frattempo Firenze, impegnata in una guerra contro il ducato di Milano chiede a Venezia, a Ferrara, a Mantova ed al Monferrato di battaglia di Maclodio.jpgPapa Martino V.jpgunirsi in una Lega per conbattere i milanesi. Le truppe vennero affidate al Carmagnola il quale con il sostegno del veneziano Francesco Bembo conquistò Brescia, costringendo così i Viscontei a chiedere la pace, ma la Serenissima non si accontentò, voleva espandersi, e le ostilità proseguirono fino alla battaglia di Maclodio (il 12 ottobre 1427).

E proprio in questo vittorioso frangente che il Conte commise il suo primo errore: non si pose all’inseguimento dei molti soldati milanesi in fuga, li lasciò fuggire.

Il trattato di pace del 18 aprile 1428, con la mediazione del Papa Martino V non tranquillizzò però la Serenissima: i confini con i Visconti erano troppo vicini, e per giunta il duca milanese restituì al condottiero le sue terre. Fu così che nel 1429 il Conte di Carmagnola chiese a Venezia lo svincolo dal suo contratto per un anno, ma il Consiglio dei Dieci respinse tale richiesta, anzi, per cercare di trattenerlo, gli aumentò il soldo a mille ducati al mese per un periodo di due anni.

AssedioSoncino_000.jpgdoge Francesco Foscari.jpgNel 1430 la fragile pace si ruppe ed il doge Francesco Foscari richiamò con una lettera del 15 dicembre il Condottiero ai suoi doveri: ma la sua azione apparve lenta e l’assedio a Soncino si concluse con una disfatta, centinaia di cavalieri perduti, nessun aiuto alla flotta che attendeva il suo arrivo e l’altro condottiero Guglielmo Cavalcabò in attesa del suo arrivo dovette rifugiarsi precipitosamente a Cremona.

Il Conte non sapeva che da almeno un anno era sotto stretta sorveglianza e controllo da parte di dieci osservatori i quali erano convinti del tradimento del condottiero. Ignaro di tutto e sicuro di sè il Conte di Carmagnola venne invitato a Venezia col pretesto di consultazioni per la pace, e accolto con tutti gli onori, ma appena giunto a Palazzo Ducale, l’8 Aprile 1432 venne immediatamente arrestato, subì un processo e venne giudicato dal ” Collegio secreto” che lo condannò alla pena capitale.

conte di Carmagnola.jpgIl 5 Maggio 1432 il Conte venne decapitato in piazza San Marco.

La verità sul suo tradimento non venne del tutto acclarata, anzi , sembra proprio che anch’egli fu vittima dei tradimenti dei ducati di Ferrara, Mantova e Monferrato i quali, temendo l’espansione di Venezia nella terra ferma ritirarono le proprie truppe a Soncino, lasciandolo da solo, ed a ciò si aggiunse il voltafaccia di Amedeo VIII di Savoia che con il matrimonio concordato tra sua figlia Maria e e Filippo Maria Visconti lo abbandonò al suo destino.

100_1427.jpgSul portale del campanile di San Polo sono raffigurate due immagini: una, quella a destra, rappresenta un leone che mostra una testa decapitata (che tanti attribuivano o attribuiscono alla vicenda di Marin Faliero), ma la prova 100_1426.jpgche si tratti della testa del 100_1428.jpgConte di Carmagnola è comprovata dal leone di sinistra, avvinghiato in una lotta mortale con un biscione, simbolo dei Visconti ed anche dello stemma del povero Francesco Bussone, Conte di Carmagnola, a cui Alessandro Manzoni dedicò 100_1429.jpg100_1431.jpg100_1432.jpg100_1434.jpg100_1435.jpgun romanzo, proclamando la sua innocenza: come si sa Venezia era uno stato attento alle Leggi, magnanimo, aperto e giusto, ma quando si trattava della sicurezza dello Stato e di tradimenti fu sempre spietata!

Dic 1, 2010 - Leggende, Luoghi, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su I Colombi a Venezia: “sti venexiani”!!!

I Colombi a Venezia: “sti venexiani”!!!

colombi.jpgI colombi veneziani,  croce e delizia della città: padroni incontrastati di Piazza San Marco, ma solo li: gli altri campi di Venezia sono terreno di scorribande anche di gabbiani e passeri, in una popolazione volatile ingorda, per niente timida, orgogliosa, e per dirla tutta, prettamente veneziana.

passeri a Venezia.jpgGabbiano reale.jpgCocae.jpgcolombo-zoppo.jpgChiunque si sieda su una panchina, magari spiluccando distrattamente una fetta di pizza o un tramezzino ecco che si trova in compagnia di questi compagni eterogenei, in competizione: a me è capitato di scorgere tra gli altri un piccione con una zampina sola, altri malformati, mentre i gabbiani (non quelli piccoli e autoctoni, chiamati comuni e in veneziano cocai)) ma quelli enormi e voraci,detti “reali” gradassi che squarciano un sacco delle immondizie in pochi secondi e a volte, cannibali, mangiano volando qualche passeretto o colombo che veleggia da quelle parti.

La dignità di residenza principale comunque l’hanno i piccioni: si narra che provenissero dalla terraferma, accompagnando i profughi di Altino (452 d.c), o che dogaressa veneziana.jpguna coppia di questi uccelli che li legano in coppia e vivono la loro vita insieme, sia stata donata ad una dogaressa triste per la lontananza del suo amato Doge.

Si racconta pure che durante le feste indette per la costruzione della Basilica di San Marco una coppia di questi uccelli, lasciata libera dalla gabbia che era stata consegnata in dono al Doge, volassero subito sotto  la volta dorata del Tempio: il Doge allora diede ordine che  tale coppia venisse nutrita e curata da tutti i veneziani; un’altra leggenda racconta che la domenica delle Palme i rappresentanti dei sestieri donassero al doge una coppia di piccioni, per poi cacciarli e mangiarli la domenica di Pasqua.

Enrico Dandolo.jpgNel 1204 il Doge Enrico Dandolo inviò dei piccioni da Costantinopoli per annunciare la vittoria della Serenissima e la conquista della città, e per la gioia e riconoscenza i veneziani nutrirono e curarono i portatori di tale notizia.

Certo è che i colombi furono utilizzati dai mercanti, dalle spie e dagli ambasciatori veneziani all’estero per comunicare molto rapidamente con la madre patria, e per questo motivo vennero sempre tenuti, nutriti, curati ed utilizzati.

La provenienza quindi non è certa: si dice che siano stati importati da Costantinopoli, Cipro o mercanti veneziani.jpgpiccioni viaggiatori.jpgCandia da mercanti che donando ai Veneziani questi “viaggiatori” speciali li utilizzassero per trasmettersi informazioni circa la percorribilità dei mari e la richiesta di merci particolari.

colombi-venezia.JPGcolombi a Venezia 1.jpgIn pace e in guerra questi particolari “postini” diedero il loro contributo per la crescità, lo sviluppo e la prosperità della Serenissima, e ne ebbero in cambio protezione e cibo. Ora si sono moltiplicati in modo esponenziale, tanto da creare dei problemi ai cittadini e alla città: ma esprimo una preghiera: che si trovi il sistema giusto ed indolore per frenare la loro prolificità e che permanga la loro, a volte anche rumorosa compagnia, in PIazza San Marco, per  colombi a Venezia.jpgcondividere con  questi dolcissimi e fantastici uccelli  una storia importante e bella della nostra straordinaria Venezia.

 

Nov 25, 2010 - Alchimia, Esoterismo, Luoghi    2 Comments

Alchimia ed Ermetismo alla Biblioteca Marciana di Venezia

L’alchimia è la scienza della trasformazione e si interroga principalmente sui processi inerenti all’uomo e alla natura. Lo scopo dell’ alchimista è appunto comprendere questi processi e utilizzarli a vantaggio dell’uomo, si tratti di trasformare il piombo in oro o l’uomo in Dio.

Nel 1330 Pietro Bono da Ferrara definì il lavoro dell’alchimista ” ricerca di ciò che non c’è ancora”.

imagesCAPAZTAI.jpgI più antichi testi di alchimia sono redatti in lingua greca, sebbene siano stati composti per lo più in imagesCAJ0ZI4U.jpgCodedx Marcianus.jpgEgitto. Gli scritti si conservano in copie bizantine del X – XI secolo, la più famosa delle quali è costituita dal Codex Marcianus, conservato appunto nella Biblioteca Marciana a Venezia.

Quando nel 1453 Costantinopoli cadde in mano ai Turchi, Bessarione si assunse la responsabilità di salvaguardare per i posteri il patrimonio letterario greco. Prese così a procacciare manoscritti.Corpus Hermeticum.jpgBessarione.jpgEgli raccolse numerose copie del Corpus Hermeticum ed una copia dell’Aselepus latino. La copia latina del corpus Hermeticum venne pubblicata , sotto il titolo di Primander nel 1497 a Treviso, e poi ripubblicata diverse volte a Venezia.

Corpus Hermeticum 1.jpgQuasi tutti i manoscritti ermetici raccolti da Bessarione vennero quindi da lui donati alla Biblioteca veneziana, e tra questi possiamo nominare un esemplare di Kyrandes, accanto ad alcune raccolte alchemiche tradotte dall’arabo in latino.

 

Dono di Bessarione.jpgAlcuni sono molto noti, come l’Aureum Opusculum, il Septem Tractatus Hermetis e, il più importante Hypnerotomachia Poliphili, ( di cui parlerò a parte) qui conservati anche nella loro versione originale. Quasi del tutto ignoto invece  il Liber Hermetis de arte alchimiae con il commento di Galienus Alpochin, e Ermete Tr.jpgErmete.jpgl’Expositio dictorum Aristotelis, ed Hermetis super secreta secretorum de mutatione naturae contenente per la prima volta la versione “vulgata” della Tavola Smeragdina (o Smeraldina) di Ermete Trismegisto.Tavola Smaragdina.jpg

Altra tavola smaragdina.jpgIn un altro manoscritto, Secreta Hermetis vengono discusse le corrispondenze tra metalli e pianeti. Alla Marciana è pure esposta la biografia di Ermete in cui si parla non solo delle tre figure nate sotto questo nome, ma anche dei suoi allievi Ascolapio, Ammone Empedocle e  Platone. Platone.jpgEmpedocle.jpgL’ermetismo a Venezia è legato non solo ai testi che in gran quantità si trovano riuniti in questa ricchissima biblioteca, ma anche al nome del francescano Francesco Giorgio, detto Zorzi, Arcangelo da Borgonovo, Giulio Camillo delminio, ed al medico danese Peter Severinus, il primo medico Paracelso.jpgallievo di Paracelso ad esercitare la professione a Venezia .

Galeno.jpgAristotele.jpgLo svizzero Theodor Zwinger in veste di precettore espose ad alcuni patrizi veneziani le opere di Aristotele e Galeno, prima di scoprire, a suo dire, la grandezza di Paracelso. Ed infine Giordano Bruno, che dopo il suo ritorno in Italia trascorse gli ultimi giorni a Venezia, prima di essere denunciato ed arrestato dall’inquisizione, con il successivo trasferimento a Roma Giordano Bruno.jpge la conseguente morte sul rogo.

Curiosità di Venezia

imagesCAB1DHYA.jpgTra le curiosità di Venezia ci sono le piazze, normalmente chiamate Campi. Effettivamente anticamente in queste aree venivano coltivate le verdure, La Piazza San Marco stessa era anticamente un grande campo coltivato dalle Monache del convento di S. Zaccaria, diviso dalla Piazza vera e propria dal Canale Botario. Nel campo venivano anche coltivati alberi da frutto, oltre che numerose colture.

La struttura toponomastica della città è veramente molto semplice. Vicino ad una chiesa, solitamente di fronte, c’è un campo. Quasi sempre la facciata della Chiesa è posta verso il Rio, dal quale accedevano le persone che in chiesa erano dirette, giunti con le gondole private.

imagesCA6R7RKA.jpgimagesCACY8CK4.jpgSpesso, vicino alla chiesa c’era un cimitero. In alcuni campi sono ancora visibili le testimonianze dell’uso passato. L’esempio più eclatante lo si ritrova nel Campiello dei Morti, quasi di fronte alla Chiesa di S. Stefano, una zona sopraelevata rispetto alla viabilità normale di oltre un metro, ed il nome stesso fa riferimento all’uso a cui era adibito.

imagesCAXPKIHA.jpgAnche a S. Giacomo dell’Orio esiste una corte ed un ponte chiamati dell’Anatomia, perchè li si svolgevano le anatomie delle persone defunte.

Proprio perchè lo spazio non era così abbondante, invalse l’uso di seppellire i morti nelle chiese o negli oratori a loro annesse.

Solo con l’avvento di Napoleone si provvedette a bonificare le zone, coprire con i masegni questi campi, e si utilizzarono due isole, Quella di S. Michele imagesCAZS4L25.jpgimagesCAZRYOIZ.jpgimagesCAT4TALV.jpgdi S. Criostofo, uniti da un ponte, per creare l’unico cimitero della Città.

Altra curiosità di questi campi è che immancabilmente  si trovano i pozzi che permettevano alla popolazione di avere acqua potabile in una città circondata completamente da acqua salata.

La parte esterna del pozzo che noi vediamo, la vera, non è altro che la parte terminale di una complessa costruzione  fatta in modo tale da far filtrare l’acqua piovana che cadendo a terra entra imagesCA6YYT2T.jpgnelle caditoie, viene filtrata da sabbia fine e rimane intrappolata in questa specie di cisterna  da un involucro di creta, imagesCAJMOHVD.jpgche non permetteva nè l’uscita dell’acqua dolce nè l’entrata dell’acqua salata.

Vi erano addetti della Serenissima che controllavano continuamente questi pozzi, per evitare che l’acqua potesse venire inquinata o avvelenata

Molti sono o palazzi che possiedono ,ancora esistenti ,pozzi interni alle corti private. Questi raccoglievano le acque meteorologiche comprese anche quelle provenienti dalle falde dei tetti, che le scaricavano nel cortile e quindi al pozzo attraverso gli scarichi pluviali.

imagesCAX5YIXY.jpgimagesCALMDDN6.jpgL’acqua era un bene così prezioso che si cercava di raccogliere e di non sprecare assolutamente.

 

I Santi che dall’alto delle colonne vegliano su Venezia

Colonne di Marco e Todaro verso il bacino di San Marco.jpgChi giunge a Venezia dal bacino di San Marco vede svettare due colonne: l’una sorregge la statua di un guerriero che uccide il drago, l’altra un mostruoso leone. Sia il guerriero che il leone si ergono come simboli e custodi di questa città, prima Stato e Repubblica, che ha dominato i mari europei.

Gli affusti di granito in origine erano tre, e vennero caricate a Costantinopoli, dopo essere state razziate in Oriente, su tre navi diverse: due raggiunsero il porto, la terza invece affondò. Vennero poste in piazzetta ed innalzate soltanto un anno dopo, con l’aiuto di Nicolò Barattieri nel 1172, lo stesso costruttore che un anno dopo realizzò a Rialto il primo ponte fisso in legno.

S. Todaro su colonna.jpgSu queste due colonne vennero poste, in quella più vicina alla biblioteca Marciana la statua marmorea di San Todaro, santo guerriero, conosciuto come Teodoro D’Amasea (Anatolia), originario dell’Oriente ma legionario di Galerio Massimiano proprio in quella città. Egli fu martirizzato per essersi rifiutato di fare sacrifici agli dei, ed aver dato fuoco al tempio di Cibèle.

250px-Venezia_-_Chiesa_di_San_Salvador.jpgSan Todaro 3.jpgSan Todaro 1.jpgSan Teodoro.jpgVenne arso vivo, e i suoi resti tumulati a Euchaite, vicino ad Amasea (odierna Aukhat in Turchia) che nel decimo secolo venne chiamata Teodoropoli. E da qui nacque il suo culto, che si propagò per tutto l’Oriente e successivamente all’Impero Bizantino.Si racconta che i suoi resti vennero asportati e portati a Venezia, dove divenne il primo patrono della Città: ora la teca è collocata nella chiesa di San Salvador.

 

Come ogni santo guerriero viene ritratto nella statua San todaro.jpgnell’atto di uccidere un drago, metafora del bene che vince il demonio in quanto questo rettile, che emette San Todaro 5.jpgdrago.jpgSan Todaro 2.jpgfuoco, e con il suo alito distrugge qualsiasi forma di vita è l’immagine stessa del maligno.

Leone sulla colonna.jpgSull’altra colonna è posta l’immagine in bronzo di uno strano leone: statua molto antica che raffigurava una chimera, a cui vennero aggiunte le ali per completare la figura di un leone alato, e raffigura San Marco, il secondo e attuale patrono di Venezia.

0425San%20Marco%20Evangelista%203.jpgMarco, il cui nome ebraico era Giovanni, fu uno dei primi battezzati da Pietro, il quale lo chiamava “figlio mio ” in senso spirituale. Figlio di una donna benestante, Maria, che metteva la sua casa a disposizione di Gesù e degli Apostoli, e nella quale sembra sia stata consumata l’ultima cena, ascoltò con cura tutti i racconti dei loro viaggi, e scrisse il suo vangelo tra il 50 e 60 a Roma.

evangelista%20san%20Marco.jpgPietro in seguito lo inviò ad evangelizzare l’Italia settentrionale, e durante il viaggio, sorpreso da una tempesta, approdò alle isole realtine, il primo nucleo di Venezia, e qui si addormentò e fece un sogno: un Angelo che lo salutava dicendogli: ” Pax tibi marce evangelista meus”, e gli promise che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.

Venne martirizzato mentre cercava di evangelizzare Alessandria: trascinato per la strada per tutto un giorno, quindi rimesso in carcere e qui, durante la notte, venne confortato da un angelo: l’indomani, il 25 Aprile dell’anno 72 circa, venne di nuovo trascinato per strada e morì.

Le spoglie vennero dapprima tumulate presso la chiesa di Canopo di Alessandria, che venne in seguito incendiata dagli Arabi nel 644, ma venne ricostruita dai Patriarchi di Alessandria, Agatone (662-680) e Giovanni di Samanhud(680-689).

Marco_mosaico.jpgQui giunsero i due mercanti veneziani Buono da Malamocco e Rustico da Torcello che si impadronirono della reliquia, la nascosero nella carne di maiale, considerata impura dagli arabi, e la portarono a Venezia, e accolte con grandi onori dal Doge Giustiniano Partecipazio, e poste provvisoriamente in una cappella dove si trova ora presumibilmente il tesoro di San Marco.

basilica_san_marco_venezia_italia1.jpgIl doge iniziò subito i lavori di costruzione della Basilica, che fu portata a termine nell’832 da fratello Giovanni, suo successore; Dante  nella sua Commedia scrive: Cielo e mare vi posero mano” parlando della bellezza dei marmi policromi, degli intarsi, dei mosaici.

La Basilica fu consacrata sotto il dogado di Vitale Falier il 25 aprile 1094, e durante la cerimonia, preceduta da tributi di preghiere, digiuni e penitenze in quanto la reliquia non si trovava più, il vescovo spezzò inavvertitamente il rivestimento in marmo di un pilastro, e qui apparve la teca, che emanava un profumo dolcissimo. Da quell’istante la Serenissima e San bassorilievo.jpgIl_leone_di_San_Marco_02.jpgleone_di_san_marco.pngMarco divennero un tutt’uno, e il suo simbolo, il leone alato che posa la zampa sul libro in cui è scritto: ” Pax tibi marce evangelista meus” , è diventato il simbolo e l’emblema di Venezia.

Ecco quindi che i due patroni e custodi della Serenissima, il Santo Guerriero ed il Santo evangelista che dall’alto delle loro colonne sembrano affrontare tutto il mondo, dal bacino di San Marco; più prosaicamente sotto alle colonne furono costruite in epoca medievale delle botteghette in legno per poi dedicare quello spazio per il patibolo, Colonne e Piazzetta.jpgTorre%20orologio.jpgdove vennero portate a termine esecuzioni importanti e storiche, e sembra che i condannati fossero posti con la faccia rivolta alla torre dell’orologio, per fare vedere loro l’ora della loro morte, e gli veniva detto ” te fasso vedar mi che ora che xe” ( ti faccio vedere io che ora è). Da allora il passare tra le due colonne divenne di cattivo auspicio per i veneziani.

Ma questa è un’altra storia!

 

 

 

 

 

La Tana a Venezia: dai Canapi alle “Forze d’Ercole”.

navi.jpgArsenale.jpgLa supremazia della Serenissima nei mari era frutto, oltre che dalla capacità politica e diplomatica dei suoi governanti, alla vocazione mercantile che portò grazie a Venezia un forte sviluppo nelle scienze, nelle arti e nell’approfondito studio e ricerca per quanto riguardava nuove terre da scoprire, in tutta Europa.

E nell’arsenale, il centro più importante di questa superiorità marittima, venivano costruite tutte le componenti delle navi sia da guerra che mercantili. Abbiamo già parlato degli arsenalotti, gente fidata e competente, e il luogo stesso, racchiuso da imponenti mura rendeva ancor più imponente il lavoro li svolto.

Tra le componenti importanti delle navi vi erano le gomene ed altre funi, di diverse grossezze, che dovevano arsenale-di-venezia.jpgessere utilizzate per le vele e per altri scopi, e la realizzazione di questi canapi si svolgeva in una parte dell’Arsenale, chiamata La Tana.

L’Arsenale stessa ed il Campo della Tana, a Castello, erano collegati da una piccola porta, che ora è stata chiusa. Il 21 Agosto 1539 l’Ufficio della Tana viene nominato in un decreto dello Stato Veneziano.

Canapa.jpgCampo della Tana all'Arsenale.jpgL’Ufficio della Tana era istituito da tre magistrati patrizi denominati dal Senato Ufficiali della Camera del Canevo, assieme ai Visdomini della Tana nel 1589 avevano la loro sede in Campo della Tana.

In questo luogo si può notare lo stemma del Doge Pasquale Cicogna, con gli stemmi dei Badoer, Bembo ed Erizzo, nominati allora i tre Visdomini della Tana.

I Conzacaveni (acconciatori di canape) avevano preso a loro sede d’arte la Chiesa di Doge Cicogna.jpgfamiglia Badoer.jpgErizzo.jpgSan Biagio, presso l’altare dei Sette Dolori, sotto il Chiesa di San Biagio.pngPatrocinio della Santissima Croce.

S. Giovanni in Bragora.jpgNel 1488 la Scuola dei Filacanevi si trasferì alla Chiesa di San Giovanni in Bragora. Tra il 1700 e il 1800 il Campo della Tana venne scelto  dagli abitanti del Sestiere di Castello Campo della Tana.jpgforze.jpgforze-ercole.jpgForze%20di%20Ercole.jpgFondamenta e Rio della Tana.jpgPonte sul Rio della Tana.jpgper organizzare il giovedì grasso i loro giochi delle ” Forze d’Ercole “prove di equilibrio e di agilità i castellani creavano delle alte piramidi umane che si reggevano su un tavolato sorretto da panche.

Luoghi veramente suggestivi, carichi di storia e di storie, luoghi semplici che conservavano i preziosi segreti di un’Arsenale che per secoli costruì tra le più belle  e potenti navi che solcarono i mari.

 

Breve passeggiata tra i ricordi del Sestier di dorsoduro a Venezia

I sestieri di Venezia.gifLa denominazione del sestiere di Dorsoduro viene fatto risalire o all’aspetto toponomastico del terreno, formato a guisa di dorso, e dall’aspetto geologico, molto compatto e solido, o dal nome di una delle famiglie che per prime venne a dimorare in queste terre, i Dosduri di Padova, che si insediarono verso il 200 o 300 d,C.

Anticamente la località venne denominata Deursum Turris Dorsoduri: in questa parte della città vennero erette delle mura di difesa identiche a quelle costruite nel Castello del Forte di S. Rocco, che si collegavano a Dorsoduro, ed erano unite tra loro da alte mura di cinta, munite di grosse torri. Nei tempi remoti la città aveva poche abitazioni e cittadini che si dedicavano alla coltivazione degli orti ed all’allevamento degli animali domestici.

Un pò alla volta la zona  divenne parte integrante di Venezia nascente, e qui permangono ancora tracce di vecchi mestieri, oltre che a palazzi imponenti e riccamente decorati.

300px-PI5D9E~2Ca%27_Rezzonico.jpgMuseo Gugghenhaim.jpgvenice_gallerie_accademia_2.jpgCà Dario.jpgIn questo sestiere si può ammirare Cà Dario, il palazzo magnifico quanto maledetto in quanto tutti i proprietari sono morti di morte violenta, i Musei dell’Accademia, nel Campo della Carità, antico convento che nel 1619 la Serenissima destinò ad un’Accademia o Collegio per giovani patrizi, ma lo scarso numero delle iscrizioni e delle frequenze convinse gli amministratori preposti ad accogliere soltanto figli di famiglie povere, e i loro studi venivano finanziati con le entrate pubbliche: le materie che venivano loro insegnate erano la grammatica, la Religione, matematica e tecnica della musica.

La sede dell’Università di Cà Foscari è un altro dei numerosissimi palazzi famosi, la sede del Museo Guggheneim, la Chiesa di San Barnaba dove si racconta che sia sepolto il guardiano del Sacro Graal Nicodemè de Besant- Mesurier ed in cui vennero girate alcune scene del film  Indiana Jones e l’ultima crociata,  ed il famoso ponte dei pugni, dove i  si sfidavano in sanbarnaba.jpgCà Foscari.jpgPonte dei Pugni 1.jpg250px-Orma_Ponte_Pugni_1.jpgstrenue “scazzottate” i rappresentanti dei sestieri di Castello e quelli di S. Niccolò dei Mendicoli, sotto il patrocinio ponte-dei-pugni.jpgdel Doge, che in questo modo riusciva a calmare gli animi dei rivali facendo in modo che cadessero in acqua e non si ammazzassero, ed avendo l’accortezza di tenere sempre ripulito il canale in modo che le cadute fossero indolori. Esplicative sono le orme in pietra d’Istria inserite sul Ponte che allora era senza spallette, da dove dovevano fronteggiarsi i contendenti.

Squero con gondola.jpgSquero di S. Trovaso.jpgQui esiste l’ultimo, suggestivo e storico squero di Venezia, in località San Trovaso, dove ancora si costruiscono le gondole con i materiali, l’arte e la maestria dei vecchi maestri d’ascia Veneziani.

dorsoduro-piscina-venier-T.jpgPiscina S. Agnese a Dorsoduro.jpgNei secoli passati in questa zona, come in altri sestieri di Venezia, esistevano dei laghetti o degli stagni chiamati piscine, dove gli abitanti facevano il bagno o lavavano i panni, in seguito questi vennero interrati, ma rimasero i nomi, come Piscina Venier o Piscina S. Agnese

Chiovere%20di%20San%20Rocco.jpgLe tracce dei tintori di lana o di tessuti si possono ritrovare nelle “chiovere” che erano dei campi dove venivano stese le stoffe appena tinte ad asciugare, e a Palazzo Palazzo Gaffaro con pietre forate.jpgPalazzo Gaffaro 1.jpgGaffaro in fondamenta Gaffaro appaiono sulla facciata delle pietre d’Istria forate e fatte ad anello, in cui, si dice, venivano inseriti dei pali dove si appendeva la lana filata e tinta.

Naturalmente ogni Palazzo, Chiesa o elemento di cui ho parlato meritano di essere trattati singolarmente, ma un’immagine d’insieme di una piccola parte di Venezia, che è una piccola ma splendida “bomboniera”, che racchiude in un limitato  territtorio arte, storia dell’artigianato, mestieri, cultura,e storia, per la gioia di noi veneziani e di chi veneziano lo è nell’animo e nell’amore che porta verso questa città, patrimonio del mondo!

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