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Gen 23, 2012 - Carnevale, Esoterismo, Luoghi, Misteri, Personaggi, Società veneziana    Commenti disabilitati su Arlecchino, dalle origini ai mille colori del Carnevale a Venezia

Arlecchino, dalle origini ai mille colori del Carnevale a Venezia

Delle maschere più famose, proposte dal grande autore veneziano Carlo Godoni, figura Arlecchino: nato nel bergamasco e dipinto come un servitore sciocco, ma rivalutato proprio dal grandissimo commediografo veneziano che lo ripropose come figura sveglia, fuba, maliziosa e vincente: quasi diabilica ..legata quindi alla sua origine.

Arlecchino nasce dalla “contaminazione” dello Zanni maschera di origine bergamasca con l’antico demone ctonio (cioè demone riguardante la terra), poichè questo era il nome di questo demone. Nel XII secolo Orderico Vitale nella sua ” Historia Ecclesiastica” racconta dell’apparizione di una “familia Harlechini” cioè una processione di anime maschera di Zanni.jpgZanni (Harlequin).jpgzanni personaggio.jpgInferno%2022_139-140%20Alichino%20e%20Calcabrina.jpgmorte guidate da un demone gigantesco.

Dante Alighieri evoca l’Alichino nell’inferno della sua divina Commedia, il quale appare come capo di una schiatta diabolica.

La nera maschera stessa che Arlecchino porta sul volto conserva un ghigno demoniaco.Il nome stesso deriverebbe dal germanico Holie Honig (re dell’inferno), trasformato poi in Hellekin, quindi in Harlequin. In tutta l’Europa centro settentrionale c’era la credenza pagana che nel periodo invernale, in occasione di ricorrenze maschera di Arlecchino.jpgparticolari come la notte di Valpurga si svolgesse una caccia selvaggia composta di spiriti dannati.

Tristano Martinelli.jpgArlecchino 1.jpgArlecchino.jpgCol tempo l’aspetto e il significato demoniaco diventano sempre meno importanti, e Arlecchino diventa lo Zanni un pò imbranato, quasi suonato: Son Arlechin batòcio, orbo de na recia e sordo de un’ocio ” (batocio inteso come batacchio della campana), a volte furbo, a volte sciocco, come potevano essere i servi nelle commedie di Plauto.

Arlecchino approda quindi alla commedia dell’arte: il primo conosciuto fu Alberto Naselli, conosciuto come Zan Ganassa, nella seconda metà del 1500, seguì poi Tristano Martinelli, nel 1600, il cui ritratto nelle gallerie dell’Accademia di Venezia assomiglia in modo inquietante al grande commediografo ed attore Eduardo del Filippo.

Marcello Moretti arlecchino 1.jpgMarcello Moretti.jpgAltri Arlecchini importanti furono Dominique Biancolelli,Evaristo Gherardi, Carlo Bertinazzi, Tommaso Visentini, ed in seguito Antonio Sacco, che per primo recitò nelle commedie del Goldoni e poi in quelle di  Carlo Gozzi Gli ultimi grandi e famosi Arlecchini: Marcello Moretti e il grande Ferruccio Soleri.

Furbo, sempre affamato, un pò imbroglione, tuttofare, questa maschera carica di brio è uscito ormai dalla Commedia dell’Arte e sembra aver preso una vita tutta propria,  la capacità di esprimere l’arguzia, l’allegria, la trasgressione e, con il suo costume fatto di pezze colorate come le mille sfaccettature Arlecchino di Ferruccio Soleri.jpgFerruccio Soleri.jpgFerruccio Soleri Arlecchino.jpgSoleri.jpgdell’animo umano l’immagine stessa del Carnevale.

Gen 21, 2012 - Arte, Arte e mistero, Luoghi, Misteri, Società veneziana, tecnologia, Tradizioni    Commenti disabilitati su Scoperte di tesori d’arte sotto i capolavori a Palazzo Ducale a Venezia

Scoperte di tesori d’arte sotto i capolavori a Palazzo Ducale a Venezia

Guariento-ncoVerginegrande.jpgSala del Maggior Consiglio.jpgNel 1903 gli addetti alla conservazione delle opere artistiche di Palazzo Ducale a Venezia, consapevoli dell’usura a cui era sottoposto l’enorme quadro del “Paradiso”  del Tintoretto, decisero di rimuoverlo per poterlo restaurare; una volta rimossa l’enorme tela ai loro occhi apparve un affresco: un assoluto capolavoro della pittura gotica di Venezia: l’incoronazione della Vergine del Guariento.

Egli era il più noto artista di Padova, pittore di corte dei Carraresi. Nato verso il 1310, già nel 1338 era riconosciuto “maestro”, in un’epoca in cui era ancora vivissimo il ricordo di Giotto, che aveva ultimato in quella città la Cappella degli Scrovegni nel 1306. 

Palazzo_ducale,_affreschi_di_guariento_01.jpgNel 1351 aveva già dipinto un affresco di “Incoronazione della Vergine” nella chiesa di S. Agostino  a Padova e poco dopo avrebbe decorato la Cappella dei Carraresi, di cui resta una bellissima schiera di Angeli sulla tavola, nella quale, distaccandosi da Giotto, l’artista è ancora più sensibile alla pittura veneziana di antica tradizione bizantina.

L’affresco di Palazzo Ducale è di circa venti metri di larghezza, doveva avere un’incantevole profusione di ornamenti d’oro e d’argento, che culminavano in un’immensa costruzione di figure di Santi, di aureole, di schiere angeliche, di vari colori secondo il grado gerarchico, legate assieme oltre che dagli stalli anche dai grandi cartigli nei quali i profeti, i santi e gli angeli indicavano i motivi di gloria della Vergine, secondo la cultura del tempo, con profusione di lussuosa eleganza nelle vesti, in un’atmosfera di liricità composta e pensosa.

L’affresco era stato nominato anche dal Sansovino ” Il cielo compartito a quadretti d’oro ripieni di stelle”; il Pallucchini commentava: dopo la Palazzo_ducale,_affreschi_di_guariento_03.jpgdecorazione musiva di San Marco , è questo il primo gaudioso tentativo di decorare a Venezia una grande superficie, e non più a mosaico, ma ad affresco”.

tintoretto_paradiso1.jpgL’opera venne compiuta dal 1365 al 1368, e ricopriva la parete di fondo della Sala, nella medesima posizione dove fu appunto posto(dopo l’incendio del 1577 che in parte lo danneggiò) il Paradiso del Tintoretto, nel 1590.

Il soggetto del Guariento è lo stesso preso due secoli più tardi dal Tintoretto e rappresenta ” L’incoronazione della Vergine e la corona celeste”. Sotto  il Trono della Vergine vi erano dei versi, ora quasi illeggibili, che Dante Alighieri avrebbe dettato per questo tipo di composizione tanto diffuso nel trecento:

“L’Amor che mosse già l’eterno Padre
Per figlia haver de sua deità trina
Chostei che fu del Suo Figliol poi madre
De l’universo qui fa la Regina”

stampa del Guarienti.jpgI versi richiamano l’inizio del Canto XXXIII del Paradiso del Sommo Poeta, e sono a commento dell’incoronazione della Vergine da parte di Cristo in un alto trono, attorno al quale si trovano gli evangelisti con angeli, musicanti, serafini, cherubini, profeti, apostoli, martiri e santi in una speciale distribuzione di scanni a schiera, secondo gli ordini delle varie gerarchie.

Palazzo_ducale,_affreschi_di_guariento_07.jpgCiò che si è potuto salvare di tale capolavoro si trova in una stanza adiacente alla Stanza del Maggior Consiglio, e si può ammirare in tutto il suo splendore, enigma ed arte unica a Palazzo Ducale..piccola parte di tutti i tesori artistici che rendono unico questo Palazzo e la città di cui è emblema.

Vittore Carpaccio e la testimonianza del primo esorcismo a Venezia

il miracolo della croce di Carpaccio.jpgNel famoso quadro del 1494 di Vittore Carpaccio ” il miracolo della Santissima Croce”viene raffigurata “la guarigione dell’Ossesso” , cioè la prima rappresentazione di un esorcismo a Venezia, svolto dal Patriarca di Grado Francesco Querini, attraverso l’imposizione delle reliquie della Croce sull’impossessato.

Nel tempo si ebbero notizie di diversi altri esorcismi effettuati in maggior numero su donne, a cui “la possessione” era stata causata da “fatture”, (possessione negativa) o su quelle che venivano possedute da spiriti benefici che donavano facoltà divinatorie o la capacità di guarire le malattie.
 
esorcismo4_2.jpgTra quest’ultime famosa era Elena Drago , che diceva di essere invasa da molti spiriti, ed in seguito alla peste del 1582 ne rimasero soltanto due, uno dei quali conosciuto come Faraon Drago. La guaritrice venne processata per stregoneria due volte, nel 1571 e nel 1582, e raccontava di soffrire di dolori terribili allo stomaco, alla gola e alle gambe, e provava un forte impulso suicida, tanto che nascose tutti i coltelli che aveva in casa.

Anche nei conventi di monache si ebbero casi di indemoniate, come quello di Suor Mansueta, rinchiusa all’età di diciotto anni nel Convento delle Clarisse a S. Croce, dopo la morte del fidanzato, e dopo dodici anni cominciò a demonio.jpgmostrare disperazione e deliri provocati da un demone da lei chiamato Romito. Nel processo che ne seguì lei chiese con intensità e insistenza di poter lasciare il convento, ma dopo cinque giorni di esorcismo tornò ad essere la Suor Mansueta di prima.

Fra gli esorcisti conosciuti vi furono Fra Fabrizio Aldriventi nel 1581, frate Fidenzio nel 1589, e frate Francesco Amici nel 1610. Quest’ultimo , nella sua relazione agli inquisiori veneziani raccontò dell’esorcismo operato sulla veneziana Angelina Frangipane scrisse che gli spiriti cacciati erano tredici, e che raggiunse il suo scopo di liberare la donna facendola vomitare, (chissà con quali mezzi).

demone.jpgI metodi, le preghiere e le invocazioni usate non vengono raccontati, ma certo i “rimedi” erano parecchio discutibili se non pericolosi, e vennero praticati anche per guarire malattie, come ad esempio quello operato da Frate Bartolomeo dei Frari, che cercò di curare il male alle gambe di un bambino , imponendogli bagni caldi di zolfo e olio.

monache.jpgparlatorio delle monache.jpgQueste informazioni vennero trascritte e catalogate nei registri dell’inquisizione a Venezia, e si possono ancora trovare questi documenti all’Archivio di Stato di Venezia. convento.jpgInformazioni importanti legate ad un’epoca che per altri paesi fu accompagnata da episodi orribili e cruenti, come roghi e terribili torture, ma che a Venezia venne vissuta con una giusta dose di disincanto, non trascurando certo il fenomeno, ma senza procurare sofferenze asssurde, se non si calcolano quelle di quelle povere monachelle costrette alla vita di Convento quando le loro aspirazioni erano un matrimonio ed una serena vita familiare.

L’origine degli occhiali e i maestri vetrai a Venezia

nobile veneziano con occhiali.jpgocchiali 1.jpgLa prima descrizione degli occhiali nacque a Venezia, esattamente nel 1284, e si tratta del Capitolare, cioè dello statuto dell’arte dei Cristalleri, in cui si definiva testualmente che gli “oglarios” dovevano essere fatti di buon cristallo e non di vetro.

Seguì un successivo documento , datato 1301 , in cui si ribadisce l’attenzione e la cura con cui le lenti venivano controllate e approvate in base alla qualità, elemento determinante, e la costruzione dei supporti di cui tali lenti dovervano  essere inserite.

occhiali antichi 4.jpgocchiali%20vista.jpglente diingrandimento.jpgSembra che i grandissimi maestri vetrai, ancor prima di locarsi nell’isola di Murano per la sicurezza contro gli incendi ( situazioni abbastanza frequenti considerati i tetti in paglia delle abitazioni e che queste fossero accostate le une alle altre) avessero scoperto e verificato che il cristallo puro, leggermente arquato, potesse ingrandire gli oggetti osservati.

astuccio per occhiali del crivelli a Parigi.jpgocchiali con swtanghetta.jpgA questo seguì la consapevolezza che si dovesse costruire un supporto con cui reggere queste lenti di cristallo, e magari farle reggere da sole, senza doverle portare agli occhi con un manico, ma costruendo strutture che scavalcassero il naso, e si posassero sopra le orecchie.

Nel capitolato del 1284 venne anche coinsiderata la differenza tra gli occhiali “roidi da ogli”, e le lenti di ingrandimento: lapides ad legendum.

Seguirono altri capitolati, come quello del 1330 , in cui vennero definite le dizioni: rodoli de vero per gli ogli da leser, e lapides ad legendum.

Calle della occhialeria.jpgSS. Pietro e Paolo con occhiali.jpgSi sa che l’ultima fabbrica di occhiali chiuse a Venezia nel 1788, e di questa è rimasta la denominazione della Calle: Calle delle occhialerie”.

E gli artisti, attenti alle realtà da cui traevano ispirazione, ebbero modo di testimoniare questi nuovi elementi, trasportati anche con episodi del passato, come il quadro dei SS. <Pietro e Paolo, in cui fa bella foggia di sè uno splendido e direi attualissimo paio di occhiali.

Venezia, città stato quasi levantina, strana, orientale e unica, è unica anche nell’aver apportato tanti elementi moderni ed attuali quando ancora altri stati occhiali%20vista.jpgpersona con occhiali.jpgastucci per occhiali a Venezia.jpgmonocolo-con-ingrandimento-10x-con-supporto-reggente.jpgeuropei ed altri comuni erano rimasti legati al passato, frutto, questo , dell’apertura completamente laica al pensiero scientifico e religioso, e aperta a qualsiasi pensiero o idea! città che si pensa antica, ma che è nata e rimarrà moderna ed attuale!

 

L’isola sommersa: Metamauco, la piccola Atlantide di Venezia tra storia e leggenda.

laguna di Venezia.jpgLaguna_di_Venezia.jpgCampanile di §S. Angelo.jpgIl mare antistante la laguna di venezia sembra , in base a trascrizioni storiche e a detti popolari, nascondere una Metamauco nei fondali, che conserverebbe ancora, visibili in alcune giornate di mare calmo, i resti della vecchia Malamocco, una delle culle della Venezia nascente.

Canaletto_-_Campo_Sant'Angelo_a_Venezia.jpgLa struttura dei fondali stessi e delle isole che formano Venezia non sembrano particolarmente soggette a terremoti, ma si ricordano tre sismi importanti che la coinvolsero: Nel 1093 scosse tanto forti che ” storsero el campanil de S. Angelo, ed a cui seguirono carestie”.

Dopo undici anni ecco altre eventi che scossero e sconvolsero la Laguna. Nel 1106 oltre al sisma si aggiunse un terribile maremoto che portò appunto allo sprofondamento dell’antica Malamocco; “le acque da tutti i lidi entravano  metamauco 1.jpg260px-Malamocco_01.jpgcon molti guasti, tante case rovesciate e tanti fondaci guasti, e ingoiarono un’isola”; Metamauco appunto , situata all’altezza di Malamocco ma più vicina al mare.

Un altro terremoto, con epicentro in Lombardia Chiesa di S. Ermagora e Fortunatoi.jpgportò terrore e ingenti danni alla nascente Serenissima, e fu di tale violenza che acqua sulfurea sgorgò e appiccò fiamme alla chiesa di S. Ermagora (forse sacche di metano liberate dal sottosuolo ) mentre il Canal Grande “rimaneva ogni tanto asciutto inb modo da far vedere il fondo”.

atlantide_cartina1.jpgSi continuano a fare ricerche per ritrovare le rovine sommerse e per riportare alla luce una  mitica isola, quasi una ricerca di un altro piccolo mito di Atlantide in Laguna.Uno dei tanti meravigliosi segreti che Venezia conserva e che fa di questa città un meraviglioso scrigno di meraviglie e di tesori!

 

 

Ruga Giuffa a Venezia: prima sede della comunità Armena.

Ruga Giuffa verso S. Maria Formosa.jpgIngresso a Ruga Giuffa.jpgRuga Giuffa.jpgNella toponomastica dell’antica Venezia il termione Ruga stava ad indicare una calle contornata, nei suoi due lati di transito delle file di botteghe, poste l’una di fronte all’altra e preposte alla vendita di beni commerciali.

Per ordine dello Stato i mercanti non potevano proporre prodotti slealmente concorrenziali, addirittura anche nella presentazione dei prodotti.

La famosa Ruga Giuffa, a Castello, aveva preso questo nome 220px-Julfa_armenischesViertel.jpgANTICA jULFA.jpgda Collegio Armeno.jpginterno del Collegio Ameno.jpgCIMITERO DI jULFA.jpgJulfa, città Armena, e i negozianti erano tutti di quell’etnia, che si propagò e divenne corpo unico della Serenissima anche attraverso la costruzione di un collegio, il più isola di S. Lazzaro.jpgS. Lazzaro.pngmummia di S. Lazzaro degli Armeni con poerline di Turchese.jpggrande di Europa, e un convento, di cui già ho raccontato, nell’isola chiamata S. Lazzaro degli Armeni, in cui è conservata una mummia egizia rivestita di perline di turchese.

san%20lazzaro.jpg

Schiah Abas.jpgCIMITERO DI jULFA.jpgDONNA ARMENA DI jULFA.jpglibro di S. Lazzaro degli Armeni.jpgDa Julfa, collocata nel territtorio di Arasse gli armeni dovettero fuggire dalla loro patria distrutta e saccheggiata da Schiah Abas, re di Persia. Essi trovarono asilo sereno e possibilità di commerciare , per cui denominarono questa calle, che venne loro concessa ” Julfa “.

Nel 1253 il Senato decise di rendere libero tutto il territtoio della Serenissima ai profughi i quali divennero in tutto e per tutto cittadini veneziani con i medesimi obblighi e doveri. Il decreto venne stemma di Marco Ziani.jpgemanato da Patrizio Nobile Marco Ziani, figlio del doge Pietro Ziani.

42%20pietro%20ziani.jpgmoneta di Pietro Ziani.jpgLa Serenissima, evoluta, aperta, accogliente diede l’opportunità a tante etnie diverse di integrarsi nella Repubblica e di arricchire con la loro cultura e con le loro tradizioni una città -Stato appunto multietnica, all’avanguardia..un popolo libero, con regole ben precise, ma senza alcun pregiudizio…..un’eccezione anche per il mondo attuale.

 

 

Femminilità, cultura e potere delle donne veneziane: storie nella storia.

Importante e determinante nella cultura veneziana è stato il ruolo delle donne: donne intellettualmente curiose, aperte, assertive che si ponevano come persone attive di quella società, lavorando, mantenendo i contatti sociali, avendo anche, nei casi delle donne più abbienti ,l.a propria indipendenza economica

Partiamo quindi dai vanti che possiamo proporre al mondo, come veneziani, come persone aperte e lungimiranti.

Caterina Cornaro.jpgIl primo esempio di donna veneziana colta, aperta al mondo e dedita al conseguimento della Serenissima del suo predominio nel Mediterraneo ed in Europa fu Caterina Cornaro, Regina di Cipro nata il 7 novembnre del 1454 del Marco Corner e Floriana Crispo. Cresciuta ed educata in un monastero a Padova, venne data in sposa il 30 luglio del 1468 a  Giacomo Secondo di Lusignano, re di Cipro.

Era incinta del loro figlio quando il marito e tutti i suoi parenti vennero trucidati nella notte del 13 novembre 1475 da nobili Catalani, istigati dal Re di Napoli e dal Duca di Savoia, e, a malincuore lasciò a questo punto la guida del Regno di Cipro alla Serenissima, avendone in cambio il titolo didiletta figlia della Repubblica”, ed una corte, piccola ma nutrita di artisti ed intellettuali ad Asolo (Giorgione, Lorenzo Lotto, Pietro Bembo ecc..) ora le sue spoglie sono accolte dalla chiesa dei SS. Apostoli a Venezia.

Se andate in Calle Carboni a Rialto, ecco che, incassata nel muro di quello che è il Municipio di Venezia c’è una lapide, dedicata ad Elena Cornaro, la prima donna che si è laureata al mondo, in filosofia e Teologia al Bò di Padova il imagesCAAOWU0J.jpguniversità.jpg25.06.1608.

Oltre a ritratti che la immortalano, c’è una statua all’università di Padova che la ricorda, e pure una vetrata, al Wasser College.

Certo la libertà di pensiero e l’orgoglio dei genitori l’hanno aiutata a realizzarsi in questo suo sogno ,in cui  ha dimostrato che le capacità maschili e femminili sono simili. Orgoglio per lei, ed orgoglio per l’apertura mentale delle classi dirigenti e degli insegnanti a Venezia ( ed anche Padova, all’epoca prima Università al mondo).

imagesCAAX53AP.jpgimagesCA3EJ5LG.jpgimagesCA2UC061.jpgimages.jpgìCarriera 3.jpgChe dire poi di Rosalba Carriera,(1675-1757) ritrattista e grande musicista, richiesta da tutte le casi regnanti dell’epoca per ritrarre le famiglie reali; Fu lei ad eseguire il primo ritratto di Luigi XV bambino. Una buona parte dei suoi dipinti è conservata alle Gallerie dell’Accademia a Venezia.

Non ultima per meriti, ma prima per la capacità di dare vorrei ricordare Veronica Franco (1546-1591).

La società rinascimentale di Venezia riconosceva due diversi tipi di cortigiane: la cortigiana onesta, ossia l’intellettuale, tipo geisha, e la cortigiana di lume, quella che si offriva sul ponte delle Tette alle Carampane.

franco 2.jpgVeronica Franco fu probabilmente il più celebre esempio di cortigiana onesta, anche se non fu l’unica intellettuale in una Venezia rinascimentale che vantava una cultura raffinata e annoverava numerosi talenti in ambito letterario e artistico.

Già lei figlia di una cortigiana onesta venne introdotta nell'”arte”dalla madre, e, aiutata dalle proprie doti naturali, contrasse giovanissima matrimonio con un ricco medico, ma il matrimonio finì male.

Per mantenersi diventò una cortigiana d’alto rango.. Secondo le cronache un suo bacio  costava 5 o 6 scudi, il servizio completo 50 scudi.

imagesCAIX4I67.jpgGrazie alle sue amicizie con uomini facoltosi ed esponenti di spicco dell’epoca divenne molto famosa. Ebbe perfino una liason con il re Enrico III di Francia. Quindi fu inserita nel Catalogo di tutte le principale et più honorate cortigiane di Venerzia.

imagesCAQGQT7D.jpgimagesCAMEHJXH.jpgLa Franco scrisse due volumi di Poesia: Terze Rime nel 1575 e Lettere familiari a diversi nel 1580.

imagesCATNO4MT.jpgPubblicò  raccolte di lettere e raccolse in un’antologia le opere di scrittori famosi, Dopo il successo di questi lavori fondò un’istituzione caritatevole a favore delle cortigiane e dei loro figli.

imagesCAUG3NV9.jpgNel 1575 scoppiò la peste a Venezia, e lei fu costretta ad allontanarsi , subendo così il saccheggio della sua casa, ed al suo ritorno dovette subire un processo  dell’Inquisizione in cui fu accusata, ma poi assolta, di stregoneria( cosa assai comune per le cortigiane). Morì, si dice, in povertà nel 1591.

 

libro di isabellacortesi.jpgAltra donna famosa, intellettuale e studiosa fu Isabella Cortese, nobildonna del 1500, alchimista e studiosa che si occupò dell’aspetto fisico delle donne, e pubblicò. assieme ad un’altra studiosa, Floriana Canali, “Secreti”, un libro dedicato alle arti ella cosmesi, appunto.

Cecilia Venier Baffo.jpgAltre due donne, famose, intelligenti e volitive, dettero lustro con la loro cultura, con le lor capacità, all’espansione della Serenissima: Nipote del Doge Sebastiano Venier, Cecilia Venier Baffo, con il nome arabo di Noor Banu  (Pincipessa della luce)divenne la sposa di Solimano il Magnifico nell’anno 1537, e dette alla luce l’erede al trono, oltre ad altri quattordici figli. Fu comunque donna di cultura che trattenne profondi ed interessanti rapporti epistolari con Elisabetta I di Inghilterra e Caterina de Medici, divenuta  Regina di Francia.

 

Bianca Cappello.jpgNel frattempo, pedina già costruita e preparata dalla Repubblica, ma donna forte, capace ed assertiva, si dimostrò Bianca Cappello, nata da famiglia nobile, ed avviata dalla zia, sorella del Doge Andrea Gritti, all’arte della Cortigiana Onesta, ed accompagnata passo, passo, alla conquista del cuore del Granduca Francesco I di Toscana, di cui divenne, dopo diverse vicissitudini, moglie, ed anch’essa nominata, con gran pompa “diletta figlia della Serenissima”.

 

imagesCAMQ9S75.jpgDonne diverse, donne ricche, donne che si sono conquistate la possibilità di perseguire i propri sogni e le proprie capacità intellettuali in uno stato che ha dato loro l’opportunità di farlo, rispettando anche le povere, piccole cortigiane affacciate sul ponte delle Tette che comunque, al difuori del loro “lavoro” venivano considerate cittadine a tutti gli effetti, e rispettate.

Concludo con le parole di Veronica Franco: Se siamo armate ed addestrate siamo in grado di convincere gli uomini che anche noi abbiamo mani, piedi ed un cuore come loro. e anche se siamo deboli e tenere , ci sono uomini delicati che possono essere anche forti e uomini volgari e violenti che sono dei codardi. Le donne non hanno ancora capito che dovrebbero comportarsi così, in questo modo riuscirebbero a combattere  fino alla morte e per dimostrare che ciò è vero, sarò la prima ad agire, ergendomi a modello.

 

 

Alla scholetta dei Calegheri a Venezia “Le maternità possibili”.

scoleta dei calegheri.png6579_-_Venezia_-_Madonna_della_Misericordia_(sec__XIV)_-_Scoleta_dei_calegheri_-_Foto_Giovanni_Dall'Orto,_8-Aug-2004.jpgVenezia è una città fortunata e ricca di palazzi e luoghi da adibire a diversi scopi; parlo ora dalla Scoletta dei Calegheri, in Campo S. Tomà a S. Polo.

 

La scuola era la sede della congregazione dei calegheri (calzolai), e conserva in sè ancora resti di affreschi del quindicesimo secolo, cone l’Annunciazione e i Santi. All’esterno notevole è il bassorilievo del Lombardo, del 1478, rappresentante S. Marco che guarisce S.amiano, patrono dei calzolai.

 

La scultura inoltre della Madonna della Misericordia bossorilievo del Lombardo.jpgimmagine di calzatura sul portale della scoletta dei calegheri.jpgsovrasta un portale in cui sono scolpite delle calzature.

 

Ora questa è diventata la sede della biblioteca di quartiere e luogo di convegni dedicati a conferenze. E proprio martedì 6 dicembre prossimo verrà presentato un libro a cui mi onoro di aver partecipato come coautrice assiene ad altre donne importanti e no: Alda Merini ad esempio, o persone appunto come invito a Venezia.jpgMaternità Possibili.jpgme, ma tutte legate al tema della maternità: vissuta, non vissuta, voluta o non accettata: ma sempre e comunque un elemento sostanziale dell’essere donna, che vuol dire accoglienza, generosità, voglia di farsi coinvolgere, o essere solo e comunque madri di sè stesse.

 

Tutto questo per mezzo della capacità e della volontà di due donne straordinarie, come Emilia Miraztchijska e Rayna Castoldi che hanno raccolto esperienze, testimonianze, pensieri o altri modi di concepire questa parte essenziale delle donne di diverse nazionalità , tutte accomunate dal fatto che le donne sono tali in tutte le latitudini.

 

Maternità possibili 1.jpgVi ringrazio per la pazienza e spero che, chi ne abbia l’opportunità, possa ritrovarsi ad ascoltare e a discutere insieme di questo affascinante ed essenziale argomento che è alla base della vita.

Le prime camere oscure a Venezia e i vedutisti: meraviglioso Canaletto

Carlevaris.jpgNel 1700 nasce a Venezia, legata all'”epoca dei lumi” una modifica sostanziale della pittura: la veduta. Fra i vari indirizzi della pittura veneziana del 700  nasce dal proposito di un’osservazione più intima ed immediata della realtà, e per primo Luca Carlevaris (1663-1729) fece uso della “camera oscura”.

Carlevaris, ritenuto insigne matematico  “mathematicae cultor egregius”nel suo ardore scientifico di ricerca.

La camera oscura era un apparecchio molto carlevaris-carlevarijs-luca-ca-le-fabricche-e-vedute-di-venez-1885493.jpg02-01_camera2.jpgrudimentale eseguito sui principi di quella che sarebbe stata in futuro la macchina fotografica, per ottenere mediante un gioco di specchi la visione prospettica il più possibilmente esatta.

La “veduta” del settecento nasce dall’antica predilezione del paesaggio che è costante lungo tutto il corso della pittura veneta; basta pensare alla Madonna di Giovanni Bellini , di Giorgione o di Tiziano senza un particolare camera oscura.giftaglio paesistico, che conserva dei precisi caratteri nell’incontro tra figura e ambiente naturale . In questa concezione tipica dell’epoca rinascimentale e barocca la figura umana è predominante, mentre il paesaggio assume il valore di una partecipazione corale della natura al significato umano e religioso dell’intera visione del quadro.

La “veduta” nasce come documento della realtà e cerca di cogliere una Carlevaris.jpgcarlevaris-carlevarijs-luca-ca-venice-a-view-of-the-molo-with-1144144-500-500-1144144.jpgillimitata profondità panoramica suggerita dalla illusione ottica della prospettiva, mentre la stessa figura umana è assorbita e diventa un modulo di misura della vastità spaziale ( P. Zampetti : i vedutisti veneziani nel 700″, catalogo della mostra a Venezia nel 1967).

Nel 1703 Luca Carlevaris pubblica un bel volume di centoquattro incisioni all’acquaforte di vedute veneziane : “Fabbriche veneziane ” che costituiscono 1586-piazza-san-marco-with-jugglers-luca-carlevaris.jpgMarco °ricci 1.jpgun documento prezioso per la città e per la storia della pittura veneziana del settecento. Il paesaggio di Venezia si presenta sotto angoli visuali diversi come pagine di un lungo racconto in cui partecipano le feste, i ricevimenti , le regatr, le partenze e gli arrivi del Bucintoro nel bacino di S. Marco.

Di poco posteriore è il bellunese Marco Ricci (1676-1730) nipote di Sebastiano Ricci. Qui al paesaggio Marco ricci.jpgMarco ricci 1.jpgsi aggiungre la passione per le antichità romane e le memorie che esse suscitano attraverso i monumenti. Le rovine classiche appaiono assieme al paesaggio in un’unità tra uomo ed evocazione della storia, frammenti palpitanti di vita inseriti nella natura.

Ma il vedutista simbolo di Venezia è Antonio Canaletto, che nasce nel 1697, soggiorna a Roma tra il 1719 e il 1720, poi dipinge le prime canaletto 1.jpgvedute che vanno moltiplicandosi per ordinazioni del console inglese Joseph Smith, e personaggi della nobiltà inglese. Dal 1740 al 1744 esegue le celebri incisioni, dal 1746 al 1753 soggiorna a lungo in Inghilterra, dove i suoi quadri ottengono grasnde successo.

Dal 1753 al 1768, anno della sua morte, risiede a Venezia ed è proprio durante quest’epoca che le sue vedute sono riprese da Francesco Guardi.

“Quanto al Canaletto”, scrisse Charles de Brosses nelle Lettere Familiari del 1739,” la sua specialità è di Canaletto 4.jpgCanaletto,_San_Cristoforo,_San_Michele_and_Murano.jpgdipingere le vedute di Venezia, e in questo genere supera supera tutto ciò che è mai esistito. La sua maniera è luminosa, gaia, viva, trasparente e mirabilmente minuziosa.”

La sua opera va osservata tutta insieme, pittura, disegno, incisione, per intendere la varietà e l’unità dei motivi, di tecniche, di esperienze che gradualmente e con sorprendente sicurezza conducono l’artista a questa nitidezza di visione così assoluta, specie CANALETTO.jpgCanaletto_(1697-1768),_Venezia,_campo_Santi_Giovanni_e_Paolo,_1741.jpgper quella felicità solare che egli sa dare alla veduta nelle angolature più diverse.

Venezia, nella tavolozza di Canaletto assume un aspetto ideale, illuminata da una luce tersa, lucida e penetrante in un’astmosfera che sembra purificata da una potenza nascosta che ha illimpidito ogni cosa, rese più espressive e ancor più incidenti le ombre , più largo e dispiegato l’arco del cielo.

canaletto_bucintoro.jpgPassano sotto i nostri occhi le sue immagini della laguna, di S. Marco, della riva degli Schiavoni, di S. Giorgio, del Canal Grande, della Salute, del Palazzo ducale, campi, palazzi, chiese, feste, regate, mercantili, botteghe, tutto immerso in questa incantata luce.

Nel 1700 nasce a Venezia, legata all'”epoca dei lumi” una modifica sostanziale della pittura: la veduta. Fra i vari indirizzi della pittura veneziana del 700  nasce dal proposito di un’osservazione più intima ed immediata della realtà, e per primo Luca Carlevaris (1663-1729) fece uso della “camera oscura”.

Carlevaris, ritenuto insigne matematico  “mathematicae cultor egregius”nel suo ardore scientifico di ricerca.

La camera oscura era un apparecchio molto rudimentale eseguito sui principi di quella che sarebbe stata in futuro la macchina fotografica, per ottenere mediante un gioco di specchi la visione prospettica il più possibilmente esatta.

canaletto-regatta.jpgLa “veduta” del settecento nasce dall’antica predilezione del paesaggio che è costante lungo tutto il corso della pittura veneta; basta pensare alla Madonna di Giovanni Bellini , di Giorgione o di Tiziano senza un particolare taglio paesistico, che conserva dei precisi caratteri nell’incontro tra figura e ambiente naturale . In questa concezione tipica dell’epoca rinascimentale e barocca la figura umana è predominante, mentre il paesaggio assume il valore di una partecipazione corale della natura al significato umano e religioso dell’intera visione del quadro.

La “veduta” nasce come documento della realtà e cerca di cogliere una illimitata profondità panoramica suggerita dalla illusione ottica della prospettiva, mentre la stessa figura umana è assorbita e diventa un modulo di misura della vastità spaziale ( P. Zampetti : i vedutisti veneziani nel 700″, catalogo della mostra a Venezia nel 1967).

carlevaris-carlevarijs-luca-ca-le-fabbriche-e-vedute-di-venez-1765357-500-500-1765357.jpgNel 1703 Luca Carlevaris pubblica un bel volume di centoquattro incisioni all’acquaforte di vedute veneziane : “Fabbriche veneziane ” che costituiscono un documento prezioso per la città e per la storia della pittura veneziana del settecento. Il paesaggio di Venezia si presenta sotto angoli visuali diversi come pagine di un lungo racconto in cui partecipano le feste, i ricevimenti , le regatr, le partenze e gli arrivi del Bucintoro nel bacino di S. Marco.

Di poco posteriore è il bellunese Marco Ricci (1676-1730) nipote di Sebastiano Ricci. Qui al paesaggio si aggiungre la passione per le antichità romane e le memorie che esse suscitano attraverso i monumenti. Le rovine classiche appaiono assieme al paesaggio in un’unità tra uomo ed evocazione della storia, frammenti palpitanti di vita inseriti nella natura.

Guardi.jpgMa il vedutista simbolo di Venezia è Antonio Canaletto, che nasce nel 1697, soggiorna a Roma tra il 1719 e il 1720, poi dipinge le prime vedute che vanno moltiplicandosi per ordinazioni del console inglese Joseph Smith, e personaggi della nobiltà inglese. Dal 1740 al 1744 esegue le celebri incisioni, dal 1746 al 1753 soggiorna a lungo in Inghilterra, dove i suoi quadri ottengono grasnde successo.

Dal 1753 al 1768, anno della sua morte, risiede a Venezia ed è proprio durante quest’epoca che le sue vedute sono riprese da Francesco Guardi.

Charles_de_Brosses_Comte_de_Tournai_et_de_Montfaucon_by_Charles-Nicolas_Cochin.jpg“Quanto al Canaletto”, scrisse Charles de Brosses nelle Lettere Familiari del 1739,” la sua specialità è di dipingere le vedute di Venezia, e in questo genere supera supera tutto ciò che è mai esistito. La sua maniera è luminosa, gaia, viva, trasparente e mirabilmente minuziosa.”

La sua opera va osservata tutta insieme, pittura, disegno, incisione, per intendere la varietà e l’unità dei motivi, di tecniche, di esperienze che gradualmente e con sorprendente sicurezza conducono l’artista a questa nitidezza di visione così assoluta, specie per quella felicità solare che egli sa dare alla veduta nelle angolature più diverse.

Venezia, nella tavolozza di Canaletto assume un aspetto ideale, illuminata da una luce tersa, lucida e penetrante in un’astmosfera che sembra purificata da una potenza nascosta che ha illimpidito ogni cosa, rese più espressive e ancor più incidenti le ombre , più largo e dispiegato l’arco del cielo.

canaletyto 1.jpgPassano sotto i nostri occhi le sue immagini della laguna, di S. Marco, della riva degli Schiavoni, di S. Giorgio, del Canal Grande, della Salute, del Palazzo ducale, campi, palazzi, chiese, feste, regate, mercantili, botteghe, tutto immerso in questa incantata luce.

 

Prendersi a pugni sul ponte

7-Ponte dei Pugni.jpg

Desidero accompagnarvi in un ipotetico percorso   lungo il sestiere  di  S.Croce, uno dei sei che formano la città. Gli altri sono Dorsoduro, S. Polo, Cannaregio, S. Marco  e Castello. I sestieri sono rappresentati a prua delle gondole come il pettine formato appunto da sei punte. Da Piazzale Roma proseguiamo verso i Tolentini, e con tranquillità, si arriva in Campo S. Barnaba  (proprio vicino ad una sede dell’università di Cà Foscari).

Siamo a Dorsoduro: eccoci quindi arrivati alla prima curiosità. Un ponte, sembra uno qualsiasi ma qualsiasi non è . Fino a qualche tempo fa era privo di spallette, e la sua sommità sembra un ring ai quattro lati sono impresse delle orme di piedi, dove venivano raffigurate, in un vero incontro di box. le postazioni dei contendenti. Non è l’unico ponte di questo tipo, ma è comunque un esempio della pragmatica lungimiranza del governo della Serenissima.

I membri dei vari sestieri covavano spesso inimicizie, invidie e diatribe con i componenti di altri sestieri: in questo caso erano i Castellani che non riuscivano sicuramente ad accordarsi con i nicolotti-

 Facile quindi prendere fuoco per una frase mal riferita, per una provocazione, ma, visto che l’omicidio era condannato8-Orma del Ponte dei Pugni.jpg con la pena di morte, i Dogi avevano scovato un rimedio giusto per tutti i mali: due contendenti di un Sestiere e due dell’altro si mettevano in postazione, i piedi posti sopra le orme scalfite sulla pietra e poi via, scazzottate a tutto spiano, che un po’ alla volta coinvolgevano anche trecento, quattrocento persone.

Essendo il ponte sprovvisto di spallette, chi veniva colpito in modo netto finiva in acqua, ma senza farsi male, perché il canale veniva costantemente dragato in modo che la nuotata contribuisse a ridare un po’ di lucidità ai contendenti, fino a quando, soddisfatti tutti, la disputa veniva dichiarata conclusa. Era un sistema molto saggio per far sfogare i livori senza violenze vere e proprie, in una città in qualche modo molto piccola, dovecomuque tutti dovevano e si sentivano chiamati a collaborare per la sua vita e per il suo splendore.

9-Stampa del Ponte dei Pugni.jpg
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