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Alla ricerca di Marco Polo

Ci sono diverse curiosità affascinanti in questa città dove ogni dettaglio dovrebbe essere osservato, ogni particolare salta all’occhio.

imagesCAUO5G9S.jpgPer cui decidiamo di andare alla ricerca della casa di Marco Polo. Siamo a S. Giovanni Crisostomo, proprio vicino al Ponte di Rialto, sulla destra troviamo un Campiello, delizioso che si affaccia proprio sulla riva del Canale. e proprio osservando la riva si potrebbe assistere ad una scena agghiacciante: il corpo affiorante dall’acqua di Fosco Loredan, e la testa di sua moglie Elena.

Il dramma avvenne nel 1578: il povero Fosco era assai geloso della moglie, ed una sera la rincorse perchè convinto di essere stato tradito dalla donna; in quel mentre giungeva il Doge, Marino Grimani, zio della sposa; egli chiese al Loredan ragione di quella violenza, ma egli ribadì la sua convinzione del tradimento della fanciulla, poi, all’improvviso, con un fendente, decapitò la povera Elena.

Subito dopo, affranto e disperato chiese al Doge quale sarebbe potuto essere il suo castigo.

Grimani gli rispose che doveva immediatamente recarsi a Roma dal Papa, recando con se il corpo e la testa della vittima. Così egli fece, ma il pontefice non volle neppure riceverlo, per cui, disperato e pentito, ritornò a Venezia, andò sul luogo del misfatto e si buttò in acqua, annegando. Ancora adesso si parla di quesi poveri ed infelici fantasmi, destinati a galleggiare l’uno accanto alla testa dell’altra.

Corte Morosina.jpg90px-7989_-_Venezia_-_Campo_Santo_Stefano_-_Palazzo_Morosini_-_Foto_Giovanni_Dall'Orto,_12-Aug-2007.jpgProprio su questo campiello si affaccia la terrazza del Palazzo Morosini caratterizzato sull’arco di ingresso da un rilievo rappresentato da un elmo ed uno scudo, messo li in onore di un giovane cavaliere proveniente dalla Terrasanta, che portava con sè, nell’elsa della sua spada una preziosissima reliquia, si dice un pezzo della Santissima Croce da consegnare al prevosto a Colonia.

Durante il viaggio di ritorno egli aveva conosciuto un Morosini, e con lui strinse un patto di amicizia. Arrivati a Venezia il mercante volle ospitare il giovane nella sua casa, proprio quel palazzo.

Capitò così che il Cavaliere conobbe la sorella del mercante e se ne innamorò, al punto di fermarsi in questa città per qualche tempo. Ma il Morosini lo aveva ingannato perchè la donna non era sua sorella ma la sua amante, per cui una notte fuggirono portando con sè la preziosa spada con la reliquia.

palazzo-morosini-cortile.JPGimagesCAAOEQRW.jpgSi racconta che di notte il cavaliere vagasse gemendo ed urlando disperato per le calli, finchè un giorno furono rinvenuti, nel Campiello Morosini che si trova parallelamente al Campiello del Remer, ma dall’altro lato del Palazzò la corazza e l’elmo,  completamente vuoti.
Ora noi  proseguiamo, oltre al Campiello Morosini, buio e non molto grande, con un selciato in mattoni, al centro una vera da pozzo che porta uno scudo con una zampa di leone per insegna, attorniato da archi di mattoni.imagesCA52PWNG.jpg

imagesCAO56M1J.jpgPassiamo sotto il Primo sottoportego del Milion, e poi anche il Secondo, ed arriviamo alla seconda corte del Milion. La casa di Marco Polo è molto vicina: passiamo sotto l’arco bizantino e ci troviamo di fronte al Teatro Malibran. 391379853_c15fa2fbfd.jpg

il milione.jpgEd è proprio qui, sotto al Teatro che a causa di lavori di ristrutturazione nel 1998 furono effettuati degli scavi sotto il controllo dell’Architetto Luigi Fozzati. Sono stati trovati i resti della casa fondaco del mercante veneziano, con reperti veramente interessanti: agianature lignee di epoca tardo antica ( tra il 650 e il 673). I rerti di ceramica recuperati, dice l’Architetto Laura Anglari, hanno permesso di ampliare le conoscenze Marco Polo.jpgrelative ai rapporti e scambi che Venezia ha casa.jpgavuto nel corso dei secoli.

imagesCANZGLHT.jpgimagesCAHMYT33.jpgTra i manufatti di più antica produzione di Venezia vi sono le stoviglie del XIII e XIV secolo, di particolare interesse è la ceramica invetriata alto medievale. Ma l’oggetto che risvegliato più entusiasmi è stato un bicchiere di vetro viola, rarissimo per colore e per il fatto che un vetro sia arrivato quasi indenne ai giorni nostri.

Palazzo Bembo Boldù con Cronos.jpgPassiamo per il ponte di S. Maria Nova ed ecco che davanti a noi appare il Palazzo Bembo Boldo con sulla facciata una bellissima nicchia del 500 con la scultura esterna forse più affascinante di Venezia: una figura di uomo selvaggio ricoperto di pelo, Chronos, il tempo, o Saturno che reca in mano un disco solare.imagesCAGT5CEJ.jpg

Meravigliosa passeggiata alla ricerca della vita Veneziana (ben poco vissuta in questi luoghi) del simbolo dell’innovazione, della ricerca, del mercante veneziano e di quella Serenissima di cui tutti i Veneziani sono orgogliosi, ma anche attraverso simboli, patare, archi, testimonianze artistiche che i veneziani hanno la fortuna di vedere tutti i giorni, di sfiorare con le dita, di sapere che quella realtà è nei loro geni, nel loro modo di concepire la vita, la democrazia, la repubblica e l’esplorazione, sempre necessaria in tutte le sue espressioni (ricerca, viaggi, scavi archeologici!!) per crescere ed essere cittadini consapevoli di sè e del proprio valore del mondo!

 

 

I gatti di Venezia

Venezia come luogo di incontro di varie etnie, porto determinante per tutto il Mediterraneo2.jpg  a cui le le navi  attraccavano e ripartivano  , portando con sè dei piccoli nemici infidi e pericolosi: i ratti asiatici, portatori, purtroppo della peste.

La Serenissima,  come gran parte delle altre capitali europee fu vittima frequentemente di queste epidemie che portarono addirittura a dimezzare la popolazione.

180px-Chiesa_Redentore_sezione_2_Bertotti_Scamozzi_1783.jpg180px-Chiesa_Redentore_sezione_1_Bertotti_Scamozzi_1783.jpg90px-Redentore02.jpgimagesCAK9Y3RH.jpgEd il senso pragmatico dei veneziani (mercanti, per cui aperti a qualsiasi soluzione logica ed economicamente vantaggiosa), portò a costruire per prima una basilica, nell’isola della Giudecca, chiamata la Basilica del Santo Redentore, nota ai veneziani come  il Redentore, progetto di Andrea Palladio, che portò a termine l’opera nel 1577.

180px-Chiesa_Redentore_pianta_Bertotti_Scamozzi_1783.jpg180px-Redentore01.jpgLa ricchezza dell’interno e all’altezza della città che l’ha costruita e che la ospita:
Opere del Tintoretto, Veronese, Palma il Giovane ecc.

E’ tradizionalmente il fulcro della grande Festa del Redentore che viene celebrata la terza domenica di luglio a memoria del pericolo scampato ad una pestilenza che colpì la città nel 1575.

L’ epidemia provocò circa 50.000 vittime, quasi un veneziano su tre.

Nel settembre del 1576 , quando il male sembrava averla vinta con gli abitanti della Serenissima, il Senato chiese l’aiuto divino  facendo voto di realizzare un nuova chiesa intitolata al Redentore.

Nel maggio del 1577 si pose la prima pietra del progetto di Andrea Palladio ( che da 1570 era il Proto della Serenissima, architetto capo della Repubblica veneziana.

Il 20 luglio successivo si festeggiò la fine dell’epidemia con una processione che raggiunse la chiesa attraverso un ponte di barche.

250px-Chiesa_del_Redentore_retouched.jpgL’edificio ha pianta rettangolare, con un singolare e splendido transetto costituito da tre absidi comunicanti con la grande cupola centrale. La facciata, in marmo bianco è uno dei più mirabili esempi di ispirazione neoclassica che tanto resero famoso il Palladio.

La ricorrenza si celebra ogni anno la terza domenica di luglio, ed è una delle feste più belle per i veneziani, che viene onorata con canti, fuochi arftificiali, ed è di rigore mangiare l’Anara col pien (l’anatra ripiena) seduti sulle barche o sulle gondole, tra luci , luminarie e canti.

Successivamente, a seguito di un’altra epidemia, come ringraziamento della sua fine, venne edificata la Chiesa della Madonna della Salute, ma il problema reale rimaneva, per cui la scaltrezza ed il pragmatismo imagesCAXVKM2F.jpgveneziano consigliarono di andare in Dalmazia, riempire le navi di gatti, e lasciarli poi liberi in questa città, tra le sue calli, i suoi micio.jpgcampielli..pancione soddisfatto al sole, e tante lunghe appisolate accanto ad una vera da pozzo. Questi sono i veri gatti di Venezia, questa la strategia contro i topi, per cui se vi capita, una carezza magnanimamente concessa da uno di questi “dormiglioni”diventa un modo di comunicare con questa Venezia appagata, placida  e soddisfatta.

Purtroppo ultimamente, per evitare problemi, la maggior parte di questi “abitanti” di Venezia sono stati sterilizzati, per cui la carezza elargita, lo sguardo enigmatico e scrutatore di questi felini diventano sempre più rari….Venezia, la popolazione dei suoi gatti che cala, inevitabilmente, sembra esigere ancora questi “personaggi” silenziosi che per anni hanno donato e continuano a donare una compagnia discreta ed affascinante.

 

 

 

Feb 27, 2013 - Arte, Mestieri    1 Comment

Orefici e il Gran Mogol a Venezia

gioielli.jpgbottega dell'orefice.jpgoro a venezia.jpgUna delle arti più raffinate, conosciute ed apprezzate in tutta Europa era quella degli Oresi (orefici), Zogielieri (gioiellieri) e diamanteri, e riuniva artigiani orefici, gioiellieri e tagliatori di diamanti.

Il 27 settembre 1382 venne istituita la Mariegola,di cui la copia più antica si trova ora presso il Museo Correr a Venezia ed il Capitolo stabilì che la festa patronale, dedicata a S. Antonio Abate si tenesse nella Cappella della Misericordia nella chiesa di San Salvador dove venne ricoverata l’arca della Schola che era stata donata dal Prior e sulla quale vennero scolpite le insegne dell’arte.

SANTONIO.jpgoresi e zogielieri.jpgGli oresi veneziani erano noti soprattutto per la tecnica della filigrana, detta “opus veneciarum” od “opus venetum ad filum”, con la quale fabbricavano manini e entrecosei, intrigasi, cioè collane, braccialetti composti da minute bottega_6_p.jpgmaglie d’oro.

Oltre ai monili gli oresi erano specializzati nella produzione di arredi sacri per le chiese, e vasellame, posate, ecc,, oltre che a pugnali e scudi.

taglio a rosa del gran mogol.jpggran mogol 1.jpgNell’arte del diamanter era famosa la tecnica raffinata, copiata ed adattata poi dagli olandesi. E fu un diamanter veneziano, Ortensio Borgisi che tagliò ” a rosa ” il famoso Gran Mogol, gemma scoperta alla metà del 1600.

Assai rinomati erano anche gli oggetti lavorati con la tecnica detta ” dell’Agemina” intarsio su metallo con utilizzo di metallo diverso, e poi smaltati,

albergo degli oresi.jpgNel 1516 fu stabilito che 16 compagni, detti “tocadori” dovessero fare una 1.jpgvisita settimanale presso le botteghe per sottoportico degli oresdi.jpgverificare il titolo dell’oro e dell’argento utilizzati per le produzioni.

San Silvestro a Venezia.jpgchiesa di S. Salvador.jpgNel 1548 la schola si trasferì nella chiesa di San Silvestro, Nel 1601 il doge Marino Grimani concesse che nella chiesa di S. Gacometto  i confratelli potessero costruire una statua dedicata a Sant’Antonio Abate, loro Patrono.

bottega_3_p.jpgNel 1696 ebbe inizio la costruzione dell’albergo della schola in un edificio prospiciente il Campo Rialto Novo, con BIBLIOTE.jpgveneziaoro.jpgl’entrata ancor oggi riconoscibile all’anagrafico 554. Sulla  lunetta in ferro battuto sopra la porta sono visibili le iniziali SO ( Schola Oresi).

 

La Zecca della Repubblica prevedeva ruga degli oresi.jpgscuola degli oresi.jpgsigla degli oresi.jpgper gli oggetti preziosi cinque bolli: quello del Maestro, quello della Bottega, i marchi di controllo dei leone alato in moleca.jpgpubblici ufficiali della stessa Zecca (il tastador e il tocador ) e il punzone di garanzia, ovvero il Sigillo di San Marco con il Leone Marciano con le ali spiegate nella caratteristica posizione, “in moleca”.

 

 

 

 

Alchimisti e Maestri Vetrai a Venezia

 

imagesCAJ0YBL9.jpglibro alc.jpgE’ esistito un intreccio tra l’alchimia dei Rosacroce e la filosofia, fin dal medio evo.

 imagesCAYYPXFT.jpgimagesCAUSKY0D.jpgMolto probabilmente i primi alchimisti che esercitarono a Venezia fecero parte della Corporazione dei Vetrai. Questa si era costituita a Venezia nel 1255, e poi fu trasferita a Murano per evitare incendi che, con i imagesCAEYTK50.jpgtetti in paglia, imagesCA5BDT15.jpgimg_sforzinda.gifsarebbero potuti essere  numerosi.imagesCAEVEI22.jpgimagesCAIQO47M.jpgimagesCAGUCW0M.jpg Amico e frequentatore di uno dei più noti vetrai, Angelo Barovier, era Paolo Godi, un alchimista famoso Specchio.jpgil quale gli insegnò diverse formule per la formazione della pasta di vetro, dei colori, delle luminescenze ed opacità.

Più avanti gli altri componenti della corporazione si cimentarono anche nella costruzione di specchi, legati anch’essi ad una tradizione rosacrociana.

 

John22.jpgNel 1317 venne emanata da Papa Giovanni XXII la bolla “Spondent Pariter” che ammoniva contro l’esercizio e l’uso dell’Alchimia , la quale rimase comunque oggetto di conoscenza anche per il Papa, del  quale venne pubblicato  postumo, nel 1557 il  trattato “Ars Trasmutatoria”.

Nel frattempo, nonostante la legge promulgata dal Consiglio dei 10 il 17.12.1488 che vietava severamente lo studio e la pratica dell’Alchimia, venne creata a Venezia una società segreta alchemica, chiamata Voarchadumia, attiva tra il 1450 e il 1490. Questa aveva ramificazioni internazionali, tra i membri più conosciuti Sir George Ripley.

 Il  sacerdote veneziano Giovanni Agostino Pantheus pubblicò il trattato “Voarchadumia, l’oro dei due rossi e della cementificazione perfetta, dedicandolo al doge Andrea Gritti. Pantheus dedicò inoltre un trattato ad un suo amico polacco Hierosky, grande conoscitore di testi alchemici.

Le opere di Pantheus crearono per la prima volta un sincretismo tra Alchimia e Kabbalah.

Nel 1585 il nobile veneziano Francesco Malipiero venne condannato a morte per magia, stragoneria ed alchimia.

Nello stesso periodo un alchimista al servizio di Enrico I di Buglione ottenne dallo stesso, dopo avergli trasmesso una ricetta per fare l’oro, un finanziamento per andare ad un convegno di alchimisti a Venezia.

lavorazione del vetro di Murano.jpgbotiglie.jpgUomini all’avanguardia, artigiani attenti e chimici sopraffini che conservarono per secoli i loro misteri, gettando nella laguna le prove mal riuscite di colori o lavorazioni: tutt’ora, nonostante lo svilimento di certe “cose che nanche lontanamente si avvicinano agli originali” vengono proposte da qualche bancarella (magari abusiva), opere d’arte di incredibile raffinatezza ed eleganza vengono prodotte ancora a Murano, proseguendo un’arte che è unica e che deve essere protetta ed aiutata.

 

Ott 18, 2012 - Arte e mistero, Luoghi    Commenti disabilitati su Il mistero della stella di S. Apollonia

Il mistero della stella di S. Apollonia

067_presentazione_01.jpgimagesCATGCJK7.jpgimagesCAL9A0CL.jpgimagesCAL4WDAM.jpgNel 1962 fu rinvenuta tra le fondazioni dell’Abside Maggiore della Basilica di S. Marco una lastra di pietra scolpita.

Immediatamente fu evidente a tutti l’importanza del ritrovamento. La lastra comunque venne portata nel lapidario del Chiostro di S. Apollonia a Castello, sede del museo diocesano d’arte sacra.

Solo recentemente, nel 2004, lo studioso inglese Andrew Chugg, a conclusione di un lavoro interessante e documentato sulla tomba di Alessandro Magno che è andata perduta in Macedonia, ha imagesCA5TWBFG.jpgimagesCAPOC9M0.jpgimagesCAW9JY1G.jpgproposto la tesi secondo cui la lastra di S. Apollonia sarebbe la prova simbolica e materiale che nella Basilica di S. Marco riposino assieme le spoglie dell’Evangelista e quelle del condottiero macedone.

La lastra sarebbe una parte del coperchio della tomba perduta, trasportata ad Alessandria nel IX secolo insieme al suo contenuto, in occasione del trafugamento del corpo di S. Marco, per poi essere trasferita con le spoglie dell’evangelista alla Basilica.

stele con inscrizioni riguardanti la casata Argheade.jpgstella argheade.jpgStella e casata argheade.jpgimagesCAI17LYR.jpgimagesCA4PQ44W.jpgIn effetti sulla pietra è scolpita la stella argeade, emblema della casata di Alessandro il Grande .thumb_src_santa_apollonia.jpgimagesCAFKKUEP.jpgNaturalmente sono tutti studi ed ipotesi, a cui si aggiungono un po? alla volta anche esperimenti scientifici, prove e riprove.  Si presume che  il reperto  sia relativo ad Alessandro Magno ,ma se fosse  relativo a qualche altra opera, fa pur sempre parte di un patrimonio archeologico che fa parte integrante di Venezia, imagesCAV9TTTF.jpgancora tutto da capire e da studiare, così come le cripte di San Marco e i loro tesori ancora da inventariare. Ne parleremo presto!

L’artigianato e l’arte del 700 a Venezia, sguardo all’interno della vita quotidiana

lampadario.jpgLa progettazione dei mobili veneziani del settecento è rinomata sia per le leggere opere di intaglio, gli stucchi rilevati e dorati e soprattutto per lo splendido colore delle lacche nella delicata eleganza della forma.

lampadaro Murano.jpgSi qualificò quindi una produzione artistico-artigianale varia e vastissima, che comprendeva mobili veneziani.jpganche i settori più rinomati dell’epoca, come i vetri di Murano candelabri.jpg(lampadari e candelabri colorati, specchiere con vetri intagliati e incisi, paralumi con cristalli decorati, coppe, vasi, calici, piatti, vassoi e alzate di ogni tipo) tenuti in grande onore dalla stessa REpubblica  che “menava vanto della superba produzione veneziana” protetta dai vincoli e privilegi dei Savi alla mercanzia e agli Inquisitori delle Arti.

specchiera.jpgdivano del 700.jpg200px-Albinoni.jpgLa produzione artigianale del settecento a Veneza specchiera ovale.jpgprese l’aspetto di un fenomeno spontaneo come fosse cosa fatta naturalmente, che non conosceva stacchi tra tecnica e tecnica, genere e categorie diverse: una fioritura legata all’atmosfera della città, alla selezione severa ed inappuntabile del gusto, alla precisa percezione degli accordi armonici, delle dosature dei colori e dei rapporti tonali, entro il ritmo sicuro impresso alla forma, con un’esatta misura delle linee e dei contorni, come avvenne con tanta limpidezza nelle musiche di Vivaldi ed Albinoni, tanto per citare due importanti artisti dell’epoca.

broccati del 700.jpgEd al mondo dei pittori, specialmente di Pietro Longhi (grande amico di Goldoni) l’artigianato veneziano si riferiva, con l’eleganza spirituale nell’ordito di un disegno, di un broccato, di una specchiera inghirlandata, di un lampadario splendente per i cristalli colorati ed iridesceni.

Famiglia Sagredo, Museo Querini Stampalia.jpg4%20pietro%20longhi%20-%20il%20sarto.jpgE Pietro Longhi, nei suoi interni, nei suoi salotti, nei ritratti di famiglia ci fa entrare in questo particolare mondo, in questo particolare modo di assaporare quest’arte-artigianato che ha configurato un’epoca, ed ancora la caratterizza.

Ed ecco i suoi personaggi, quasi sempre in posa, da cui traspare quasi un’uggia sottile nel sottostare all’apparato della disciplina dell’onorata convivenza in società,  attorniati da un ambiente in penombra tra le stoffe rasate delle pareti, il grande sofà di fondo, la poltrona, la tenda coronata dalla “buonagrazia”, il quadro antico, lo specchio con cornice dorata, il caminetto sul quale brilla il vetro soffiato di Murano, le chicchere del caffè e della cioccolata.

Pietro Longhi 1.jpgTra Pietro Longhi ed il commediografo Carlo Goldoni si può notare una analoga ispirazione, commentata dallo stesso Goldoni nel sonetto scritto nel 1750 in occasione delle nozze tra Giovanni Il farmacista-Gallerie dell'Accademia.jpgIl Parrucchiere - Cà Rezzonico.jpgLa Toeletta Cà Rezzonico.jpgLezioni di Geografia Querini Stampalia.jpgGrimani e Caterina Contarini: ” Longhi, tu che la mia Musa sorella chiami del tuo pennel che cerca il vero, ecco per la tua man, per mio pensiero, argomento sublime, idea novella.Ritrai tu puoi vergine illustre e bella e dolce di viso  e portamento altero; pianger puoi  di Giovanni il ciglio arciero, che il dardo scocca alla gentil donzella. Io canterò di lui le glorie e il nome, di lei la fè, non ordinario vanto: e divise saran tra noi le some. Tu coi vivi colori, ed io Carlo Goldoni.jpgcol canto: io le grazie dirò, tu l’auree chiome: e del suo Amor godran gli sposi intanto|”.

Ago 29, 2012 - Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su La Prima Lotteria

La Prima Lotteria

saturnalia.jpgGià prima dell’invenzione del gioco del lotto, molti secoli prima di Cristo gli Egizi ed i Caldei amavano giocare a sorte. Anche a roma, durante i Saturnali di Dicembre venivano organizzate estrazioni di un numero tra quelli distribuiti ai partecipanti su tavolette di legno.

lotteria.jpgstoria_lotto_img03.jpgsala dei Pregadi.jpgConsiglio dei Pregadi 2.jpgNel 1522 a Venezia venne realizzata dal Consiglio dei Pregadi, l’antico Senato Veneziano la prima lotteria, il cui montepremi era un lotto di immobili, ed era chiamata “Lotto del Ponte di rialto”, ed il valore del premio ammontava a circa centomila ducati, una membro del consiglio dei pregadi.jpgfortuna per l’epoca.

Si poteva partecipare all’estrazione acquistando “bollettini” al prezzo di due scudi particolare del gioco del lotto.jpgciascuno.

Il ridotto a Venezia.jpgCasin dei Nobili a Venezia.jpgCase da gioco a Venezia.jpgNormalmente le lotterie erano posizionate nei Campi e poste sopra a dei baldacchini. Veniva scelto un bambino che si bendava e che aveva il compito di estrarre i numeri per la vincita dei premi messi in palio.

Nel 1638 la Serenissima inaugurò la prima Casa da gioco pubblica che venne chiamata ” Ridotto” e veniva anch’essa gestita e controllata dallo Stato. Con le leggi promulgate dal Governo Veneziano si cercava di arginare l’illegalità del gioco d’azzardo e di controllare i pubblici Ridotti “Casini”.

Il ridotto di Joseph Heinz.jpgil Ridotto a Venezia 2.jpggente del 700.jpgCasin dei Nobili a Venezia1.jpgIl gioco nel passato era lo svago che faceva parte integrante della vita quotidiana, ed era praticato con le carte ed i dadi nelle hostarie per quanto riguardava il popolo. Per i Nobili Ridotto.jpginvece il gioco si effettuava all’interno di Palazzi denominati Casini dei Nobili.

Casinò di Venezia entrata.jpgCasinò di Venezia.jpgCà Vendramin Calergi.jpg Nel 1780 nacque il Casinò di Venezia, a Palazzo Vendramin Calergi, sontuoso e riccamente decorato ed ammobiliato. Tutt’ora il Casinò Municipale di Venezia è per classe, per cornice e per fama uno dei più importanti Casinò del mondo.

 

Ago 22, 2012 - Luoghi, Società veneziana    Commenti disabilitati su Nizioleti a Venezia

Nizioleti a Venezia

foto2calledellafava.jpgA Venezia la toponomastica è veramente particolare: le Calli sono strade strette, le salizzade sono strade che erano pavimentate, nei tempi in cui esistevano i campi coltivati e la città non era ricoperta dai” masegni”; poi ci sono i Rio Terà, canali che erano stati interrati, le rughe, cioè le strade (da Rue), e le fondamente, quelle strade che costeggiano i canali.

I nomi poi sono veramente particolari, e legati a determiate caratteristiche dei ponti, delle calli e altro, ed i nomi sono scritti sui “nizioleti” delle targhe dipinte di bianco sui muri delle case.

Calle dei Assasini.jpgsottoportego del Dioavolo.jpgCorte del Diavolo.jpgEsistono per questi motivi la Calle dei Fabbri, la Calle delle Ostreghe (dove probabilmente c’era un bacaro dove si potevano gustare le ostriche, il ponte de le Tete, di cui già ho parlato,la Calle degli Avvocati, la corte ed il Sottoportego del Diavolo, che, come la Calle ed il Rio Terà dei Assasini doveva fare particolarmente paura magari per l’oscurità dei luoghi.

imagesCAJC2XDY.jpgDonna-Onesta.JPGnizioletocalledellafava.jpgRiguardo invece il Ponte, la Calle e la fondamenta della donna onesta si raccontano quattro versioni; due amici, mentre attraversavano il ponte stavano discutendo sulla fedeltà delle donne ed il più cinico disse all’altro: Sai qual’è l’unica donna onesta, quella li, e così indicò il volto di marmo  scolpito di una donna, tuttora inserito nel muro di una casa vicina al ponte.

Ponte, calle e fondamenta della donna onesta.jpgUn’altra ipotesi parla di una prostituta, probabilmente una “cortigiana onesta” che abitava li vicino. Altri invece raccontano di una donna, moglie di un maestro spadaio , di cui si innamorò un giovane patrizio che per intrufolarsi in casa della donna ordinò al marito una daga, allora chiamata “misericordia”. Dopo qualche giorno, con la scusda di vedere a che punto fosse l’opera si fece aprire la porta dalla donna che in quel momento era sola, e le usò violenza. Sopraffatta dal dolore per essere stata disonorata, e temendo che il marito, per vendicarsi, uccidesse il patrizio, la povera donna si uccise con la daga.

Forse, molto più semplicemente, in quella zona abitava nel 1537 una donna di nome “Honesta”, come riportano le cronache dell’epoca.

ponte delle maravege.jpgAnche il Ponte delle Meravegie deve il suo nome a quello di una famiglia ” Maraviglia”che risiedeva nerlla casa all’angolo: viene ricordata una certa Belisandra Maraviglia sorella di Giovanni, segretario del senato e moglie di Pietro Albino, gran cancelliere di Cipro, morta erociamente nella guerra contro i Turchi nel 1570, dopo aver dato fuoco a navi e a munizioni nemiche.

La leggenda collegata invece racconta che di fronte al Ponte abitasse una famiglia con sette figlie, sei belle ed una, Marina , non certo bella. La casa era frequentata da un giovane barcaiolo, che un giorno si ammalò. Si convinse allora che la causa della sua malattia fosse la maledizione della giovane, brutta donna; un venerdì santo decise di andare in quella casa, sapendo che Marina sarebbe stata sola, per vendicarsi di lei. Ma quando fu sul ponte si fermò, meditando su quello che stava facendo, ed allora vide attraverso i vetri della finestra la ragazza inginocchiata davanti ad un Crocefisso. Alzò per un attimo gli occhi al cielo e scorse sei stelle fiammeggianti disposte a forma di carro, ed una settima, più piccola e fioca che le precedeva.  Ma subito dopo, quelle più luminose persero la loro luce l’unica stella rimasta cominciò a diventare sempre più vivida.

Accantonato ogni proposito di vendetta dopo la visione meravigliosa, il giovane entrò in casa della ragazza e scoprì che Marina, segretamente innamorata di lui, pregava il Santissimo perchè facesse ammalare e morire lei e non il suo amato.

Da allora il  giovane barcaiolo si innamorò della ragazza, e riacquistata la salute sposò Marina.

Sottoportego del Casin dei Nobili.jpgsottoportico del Casi9n dei Nobili.jpgIl sottoportego, il Ponte il Rio e la Fondamenta dei dai traggono il loro nome da dadi, probabilmente utilizzati o venduti in questo luogo. Esistevano leggi dal 1200 che proibivano di giocare ai dadi sotto il portico della Chiesa di S. Marco, e sotto il palazzo Ducale quando il Maggior Consiglio era riunito.

forno.jpgFrezzeria.jpgQualcosa di simile anche per il Casin dei Nobili, dove appunto si riunivano i più ricchi per giocare, per poi indebitarsi e rischiare così la reputazione.  Dedicata al mestiere dei costruttori di frecce la Frezzaria a San Marco, luogo dove erano appunto riunite le loro botteghe, oppure la Calle del Forno, deicata ai panettieri, ed altre calli, sottoporteghi che attestano i luoghi dove le varie arti erano praticate.

Una nota a parte l’attesta il nizioleto che indica la Calle dell’amor degli amici! Anche queste dolcissime dediche  in una Venezia che sembra pragmatica a volte, ma che in altre situazioni riesce ad esprimere quell’animo dolce, romantico e poetico attinente ad Calle Amor dei Amici.jpgun popolo legato al mare, alla laguna ed alla bellezza dell’arte che denota sensibilità e nobiltà d’animo!

 

Donne veneziane: lo zengàle e l’arte de ” tacàr botòn”

Eugenio da Venezia-donna con scialle.jpgveneziane.jpgLe donne veneziane, sia nobili che popolane hanno sempre avuto un modo particolare di esprimere la propria femminilità: donne argute, decise, la battuta pronta, e consapevoli del proprio essere persone, oltre che donne.

Veneziana.jpgA Venezia queste caratteristiche venivano definite con un termine ” morbin”: questo brio, questa vivacità, questo modo  di sapersi districare tra le attenzioni degli uomini senza offendere, ma lasciando in qualche modo, aperta la strada per continuare a relazionarsi con gli altri senza per questo promettere nulla, esempio eclatante nella letteratura è la descrizione di Goldoni, occhio acuto e sornione sulla civilità veneziana, che seppe così magistralmente descrivere Marietta nelle ” Morbinose ” giovane allegra e piena di vita che fa credere per scherzo ad uomo di essere innamorata di lui , che  cade poi, vittima felice del suo stesso gioco, e la ” Locandiera”, giovane donna energica inseguita da uno stuolo di ammiratori, che riesce in qualche modo a gestire queste attenzioni, fino a che non si arrende anch’essa all’uomo di cui si era innamorata!

Questo atteggiamento così disinvolto nelle relazioni sociali, che nulla aveva a che fare con l’essere facili, ma che rifletteva la concezione non ipocrita e bigotta che in altri Stati veniva imposta da unmodo di concepire i rapporti umani, era frutto di un atteggiamento mentale legato ad uno Stato laico, anche se la Religione veniva professata e vissuta quotidianamente (basti pensare alle centinaia di chiese che sono state erette nella Serenissima).

Giacomo Favretto.jpgscialle veneziano in lino e pizzo a fusello.jpgNel 1761 fu concessa a tale Giovanni Zivaglio la licenza di “fabbricare fazzoletti come si usano nelle Indie e portati anche dalle donne dello Scià di Persia”! Tale “fazzoletto” venne chiamato ” zendado, o zendàle, e altro non era che un grande scialle con lunghe frange confezionato in seta, in pizzo, e, per le popolane più povere, in lana, tutti di vari colori o delicatamente ricamati( dal 1848, quando venne proclamato il lutto per i caduti della lotta di liberazione diventarono rigorosamente neri), ed in seguito venne rinominato scialle (da Scià di Persia, appunto).

Con la loro eleganza e l’innata capacità seduttiva le popolane utilizzarono questo indumento che poteva essere aperto, avvolto, coprire la testa, o maliziosamente lasciare leggermente scoperte le spalle per un’innocente quanto attraente mezzo per far avvicinare i giovani da cui si sentivano attratte e che percepivano in qualche modo  troppo timidi per esprimere loro la propria ammirazione: all’avvicinarsi del prescelto con un rapido gesto della mano prendevano un lembo dello scialle e lo facevano volteggiare Banco Lorro di Favretto.jpgEttore Tito.jpgIl Sorcio di Gacomo Favretto.jpgper ricoprire la spalla, facendo svolazzare le lunghe frange ….le quali, quasi magicamente, andavano ad impigliarsi sui bottoni del futuro innamorato….piccole ragnatele colorate e delicate che impigliavano e imprigionavano il cuore dell’uomo.

Ecco da dove nasce il termine: attaccare bottone (tacàr botòn). Chissà quante storie d’amore sono nate in passato in questo modo: le nostre ave,  occhi vivaci, sorriso allegro, sguardo malizioso ed uno scialle “malandrino”.

la_gondola_ettore_tito.jpgPopolane veneziane di Favretto.jpgVeneziana 1.jpgL'ultma_parola_-_Giacomo_Favretto.JPGLa Pescheria di Ettore Tito.jpgpopolane veneziana.jpgCome al solito a scegliere era la donna!

 

Giu 16, 2012 - Alchimia, Donne venexiane    1 Comment

Alchimia e Cosmesi delle donne veneziane

dame del 500 a Venezia.jpgLe donne veneziane hanno sempre voluto curare la propria bellezza, il biancore della pelle, la lucentezza della capigliatura, la capacità di tingere la chioma di biondo con dei riflessi considerati particolari, e conosciuti ed ammirati in tutta Europa.

Per fare questo venivano aiutate dagli spezieri, mezzi alchimisti e mezzi medici, ma anche cercando, con l’aiuto di un pò di conoscenza di erboristeria, di ottenere ricette per creme, detergenti e maschere di pulizia e nutritive per certi versi molto simili come concetto a quelle che si utilizzano tutt’ora.

Molto nota fu Isabella Cortese,nobildonna del XVI secolo  che pubblicò un trattato ed una serie di ricette per dare alle sue contemporanee dei consigli utili e preziosi per rendersi ancora più belle; il trattato, chiamato “Secreti” ebbe un i segretti di cortese.jpgalchimia.jpgsuccesso enorme, e si contano addirittura dodici edizioni. La Cortese era anche un’alchimista, e nel suo libro appare una nota alchimisti.jpgdi una sua collega, Floriana Canale che aveva pubblicato un libro sugli esor e scon.jpgesorcismi.jpgesorcismi e gli scongiuri. Erano tutte e due conosciute dagli alchimisti dell’epoca, come Marie Meurdrac, il cui libro “la chimica caritatevole e facile a favor delle donne” venne tradotto e pubblicato.

Esse usarono quindi le loro conoscenze ed arti alchemiche per realizzare dei preparati utili ed isabella cortese.jpgefficaci per la bellezza, il biancore della pelle, la lucentezza dei capelli delle loro contemporanee.

Ecco un rimedio per la pelle secca: Piglia albume de ova de gallina, lardo di porco raspato, oleo comune, aceto o varo agresti et mescola omne cosa insieme a modo de confetione, et con questo ugne la faccia e il collo, le mano diventeranno bianche et lucente come argento.

boccette.jpgPer quanto riguarda il segreto della colorazione bionda, per cui le veneziane erano famose anche per i magnifici riflessi  che riuscivano ad ottenere, ecco la ricetta: fiori di lupino con salnitro, zafferano ed altre sostanze, facendo asciugare i capelli al sole con un copricapo fornito di tesa per proteggere il bianco latteo della pelle.

Ed il biancore della pelle era una prerogativa a cui non si poteva derogare, ed ecco qui di seguito i segreti:

Distillasi un’acqua molto convenevole a far bianco e chiaro il viso in questo modo: trovate una lira di rose bianche, una di prodotti alchemici.jpgfiori di ninfea et una di fiori di sambuco, altrettanto di fiori di gigli bianchi, gettatene via però quella parte gialla che vi è dentro, una lira di acqua di fragola, e tanta medolla di pane quanta vi parrà assai, dodici bianchi di ovo, due once di incenso maschio, colle quali mettete per una notte una lira di cerusa (biacca, dal latino cerussa) in polvere, ora in un lambico (alambicco, apparecchio usato per la distillazione, dall’arabo al-ambiq, e dal greco ambix, tazza) posate tutte queste specie cavatene acqua, la quale poi stia al sole, di questa vi lavate la mattina e sera senza asciugarvi, che vi lascerà la carne bianca e lucente.

alambicco.jpgPiù facile questa: meschiate tartaro bianco con vino bianco, fiori di rosmarino, distillate insieme: che avrete acqua oltre ad ogni altra mirabile.

Vale parimenti la seguente: trovate 30 lumache bianche, due lire di latte di capra, tre once di grasso di porco o di capretto fresco, una dramma (dracma, moneta in uso in Grecia) di canfora, dopo questo distillate acqua, la quale sarà eccellente in nettàre e far bianca la vostra carne.

Distillansi molte acque semplici: queste sono acque di fiori di fava, acqua di fragola, acqua di rosmarino, acqua di latte di capra, di latte d’asina, di latte di donna, acque di fiore di persico (di pesca) di foglie tenere di salice: queste sono ottime per far bianca la faccia.

Laudano sommamente le donne l’acqua fatta di bianchi d’ova: perciocchè dicono che fa bianco lucente tutta la carne.

Per chi aveva la pelle grassa invece:

dame.jpgLa mattina quando vi levate dal letto, estendetevi il saponetto per viso in su la faccia ( il saponetto era composto da tre libbre di sapone tenero di buon olio, una quarta di zucchero candi, una di borace, ed un quarto di una quarta di canfora), poi, quando sarete vestite, con un’imboccata di acqua bagnate un drappo con il quale ne laverete la faccia poco a poco, insaponando fino a che tutto si laverà e la faccia restererà lucente e pulita che questa saponetta la netta e si mangia le panne (lentiggini) e se la donna ha la pelle grassa la tenga per un’ora e sarà ben fatto.

Venivano utilizzate anche maschere di pulizia fatte con uova e farina di senape da togliere poi con un tonico detergente utilizzando dell’urina.

bardana.jpgContro i foruncoli e l’acne veniva usata la bardana, sia sotto forma di crema ( con l’aggiunta di grassi) che  come decotto.

Leo fior.jpgimagesCA2Z5RM5.jpgcapiricci medicinae.jpgFamoso fu anche un certo Leonardo Fioravanti, alchimista e medico bolognese che forniva una serie di consigli che spaziavano dalla medicina alla magia, per arrivare alla cosmesi. Egli pubblicò a Venezia ” De Capricci medicinali” nel 1564, un’oipera che ebbe una notevole diffusione, così come ” I Libri Segreti” fatti stampare dal 1561 al 1580.

E non dimentichiamo il Conte di Saint Germain che nel 1700 rese felici le donne maestro fioravanti.jpgleonardo fioravanti.jpgleonardo.jpgs.german.jpgper i consigli e le pomate segrete che a loro donava, e che avevano la capacità di renderle non solo più belle, ma anche più giovani.

 

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