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Dic 5, 2010 - Società veneziana    5 Comments

La Venezia dei Veneziani: espressione di arte ed artigianato per renderla preziosa, come ora!!!

Venezia_-_Mascherone_con_rictus_facciale_-_Foto_G__Dall%27Orto,_2_lug_2006_-_01.jpgConsiglo dei Dieci.jpgLa negazione dell’arbitrio individuale, così severamente perseguita dal Consiglio dei Dieci ebbe il suo specchio immediato nella conformazione della città, la quale non sarebbe stata pensabile senza quel rigido e perenne sguardo dall’alto  sull’operare del cittadino, nella cerchia privilegiata della capitale.

Venezia ebbe dal suo sorgere il privilegio della difesa naturale che rendeva i cittadini completamente sicuri dal arsenale-di-venezia.jpgpericolo dei nemici esterni (la laguna rappresentava una difesa ideale, molto superiore a qualunque cerchia di mura cittadine, o di altri sistemi di difesa).

L’aggregato cellulare interno, così ricco di piccoli nuclei di spazi, tra campielli, canali, i campi, era facilmente sorvegliabile in mezzo ad una comunità che si controllava reciprocamente , nella stessa trama urbana in cui era raccolta.

La città, formatasi strutturalmente romanico-bizantina, e poi gotica, restò sempre tale, cioè come si presentava nel 1400, anche se in seguito vi furono modifiche rivoluzionare, barocche etc.

La dottrina del Consiglio dei Dieci garantì per secoli una linea di condotta allo Stato: questa linea di condotta ebbe un influsso anche in ciò che fu costruito e nel modo in cui ciò fu costruito!

calle_in_Venezia.jpgFu la volontà popolare che formò le cellule così preziose della città: casa, chiesa, palazzo, ponte, fondamenta, campiello sarebbero stati impensabili se fossero stati imposti dall’alto.

Non c’è città al mondo così artigiana come Venezia, fatta con il gusto artigiano, cioè anche nelle parti più minute ed inafferrabili, comprese quelle che sfuggivano ad ogni classificazione urbanistica.

Fu l’artigiano, assieme ai suoi vicini di casa che primo di tutti godette l’opera d’arte da lui compiuta, nei più diversi modi: capitello, cornice, vera da pozzo, pavimento, intarsio di marmo, portale, stemma, fregio, edicola, colonna, statua o chiave di volta decorata con un volto umano, inferriate eleganti come merletti, simboli di santi, immagini di leggende mescolate con racconti e con insegne di mestieri popolari, animali grotteschi e fantasiosi.

Campo a Venezia.jpgCampo dei Mori.jpgVera da Pozzo a Cannaregio.jpgLa regola che negava l’arbitrio del singolo, tipica del Consiglio dei Dieci, nell’artigianato e nell’arte agì in profondità: Essa fu illuminante nell’arte veneziana attraverso la continuità di pensiero che si imponeva anche nei momenti difficili nella Serenissima, quando il denaro avrebbe potuto imporre un’altra e più impellente ragione di Stato, anche nell’urbanistica stessa, fortunatamente difesa non solo dalle leggi ma anche dalla saggezza popolare.

Mai come a Venezia il popolo indirizzò i propri amministratori verso un modo di concepire lo Stato in totale simbiosi, accettando di venire governati ed amministrati ma imponendo con la propria capacità e volontà un indirizzo preciso che riguardava la sicurezza. la giustizia e la qualità di vita, che, trattandosi di un popolo di mercanti ed artigiani, aveva come primo scopo quello di produrre o scambiare prodotti di alta qualità, arricchendo anche la propria città -Stato di costruzioni, sculture, architettura e pittura degni di un popolo di così elevato senso civico ed estetico, non disgiunto proprio dall’orgoglio del valore intrinseco che riguardava i prodotti dei vari artigiani, dei vari mestieri e delle varie schole; un’isola di cultura vera, di apertura totale verso le altre culture che hanno arricchito ulteriormente questa popolazione preparata, intelligente, attenta alla natura e valida in tutte le proprie espressioni!

Dic 1, 2010 - Leggende, Luoghi, Società veneziana, Tradizioni    Commenti disabilitati su I Colombi a Venezia: “sti venexiani”!!!

I Colombi a Venezia: “sti venexiani”!!!

colombi.jpgI colombi veneziani,  croce e delizia della città: padroni incontrastati di Piazza San Marco, ma solo li: gli altri campi di Venezia sono terreno di scorribande anche di gabbiani e passeri, in una popolazione volatile ingorda, per niente timida, orgogliosa, e per dirla tutta, prettamente veneziana.

passeri a Venezia.jpgGabbiano reale.jpgCocae.jpgcolombo-zoppo.jpgChiunque si sieda su una panchina, magari spiluccando distrattamente una fetta di pizza o un tramezzino ecco che si trova in compagnia di questi compagni eterogenei, in competizione: a me è capitato di scorgere tra gli altri un piccione con una zampina sola, altri malformati, mentre i gabbiani (non quelli piccoli e autoctoni, chiamati comuni e in veneziano cocai)) ma quelli enormi e voraci,detti “reali” gradassi che squarciano un sacco delle immondizie in pochi secondi e a volte, cannibali, mangiano volando qualche passeretto o colombo che veleggia da quelle parti.

La dignità di residenza principale comunque l’hanno i piccioni: si narra che provenissero dalla terraferma, accompagnando i profughi di Altino (452 d.c), o che dogaressa veneziana.jpguna coppia di questi uccelli che li legano in coppia e vivono la loro vita insieme, sia stata donata ad una dogaressa triste per la lontananza del suo amato Doge.

Si racconta pure che durante le feste indette per la costruzione della Basilica di San Marco una coppia di questi uccelli, lasciata libera dalla gabbia che era stata consegnata in dono al Doge, volassero subito sotto  la volta dorata del Tempio: il Doge allora diede ordine che  tale coppia venisse nutrita e curata da tutti i veneziani; un’altra leggenda racconta che la domenica delle Palme i rappresentanti dei sestieri donassero al doge una coppia di piccioni, per poi cacciarli e mangiarli la domenica di Pasqua.

Enrico Dandolo.jpgNel 1204 il Doge Enrico Dandolo inviò dei piccioni da Costantinopoli per annunciare la vittoria della Serenissima e la conquista della città, e per la gioia e riconoscenza i veneziani nutrirono e curarono i portatori di tale notizia.

Certo è che i colombi furono utilizzati dai mercanti, dalle spie e dagli ambasciatori veneziani all’estero per comunicare molto rapidamente con la madre patria, e per questo motivo vennero sempre tenuti, nutriti, curati ed utilizzati.

La provenienza quindi non è certa: si dice che siano stati importati da Costantinopoli, Cipro o mercanti veneziani.jpgpiccioni viaggiatori.jpgCandia da mercanti che donando ai Veneziani questi “viaggiatori” speciali li utilizzassero per trasmettersi informazioni circa la percorribilità dei mari e la richiesta di merci particolari.

colombi-venezia.JPGcolombi a Venezia 1.jpgIn pace e in guerra questi particolari “postini” diedero il loro contributo per la crescità, lo sviluppo e la prosperità della Serenissima, e ne ebbero in cambio protezione e cibo. Ora si sono moltiplicati in modo esponenziale, tanto da creare dei problemi ai cittadini e alla città: ma esprimo una preghiera: che si trovi il sistema giusto ed indolore per frenare la loro prolificità e che permanga la loro, a volte anche rumorosa compagnia, in PIazza San Marco, per  colombi a Venezia.jpgcondividere con  questi dolcissimi e fantastici uccelli  una storia importante e bella della nostra straordinaria Venezia.

 

Nov 5, 2010 - Società veneziana    1 Comment

Venezia ed i Greci

Tomas di Roberto il Guiscardo.jpgRoberto il Guiscardo, 4.jpgìRoberto il Guiscardo.jpgVenezia, per motivi politici, si impegnò dal 1081 ad aiutare i Greci contro i Normanni: l’imperatore Alessandro Comneno promise, e concesse nel 1082, ai mercanti veneziani la preminenza su tutti gli altri, per cui, grazie a questo patto Roberto il Guiscardo  venne sconfitto dal Doge simbolo del doge Domenico Salvo.jpgMatrimonio di Domenico Salvo.jpgDomenico Selvo.

Quel patto rivestì un ‘importanza fondamentale nella storia della Repubblica di Venezia, poichè segnava l’inizio della sua potenza politica, militare e commerciale  nel levante.

Mentre in precedenza le imprese navali e commerciali veneziane erano limitate quasi esclusivamente all’Adriatico, dopo il 1082 la Serenissima si espanse verso oriente, e dinastia Comneno.jpgAlessandro di Grecia.jpgspecialmente verso Costantinopoli.

Molti mercanti greci cominciarono a recarsi a Venezia. Dopo la quarta crociata (1204) quando i veneziani si impadronirono di gran parte del territtorio bizantino, lo stabilirsi dei Greci a Creta, monomenlvasia, ( o Malvasia) Corfù ed altrove, fu facilitato.

Poi, sotto la pressione della minaccia turca, che divenne più pressante dopo il 1300, buona parte dei Greci fu costretta a trovare rifugio a Venezia.

ic9one 1.jpgLa caduta dell’Impero bizantino nel 1453 causò la diaspora greca nella Serenissima Repubblica di Venezia.

Nel 1498 il Consiglio dei Dieci diede loro l’opportunità di costituire una scuola o confraternita. L’avvenimento ebbe un’importanza enorme non solo per la comunità, ma anche per l’Ellenismo moderno.

La Confraternita greca a Venezia fu il più antico ed importante centro della diaspora ellenica. Nel corso degli anni successivi essa mantenne legami sociali, economico e culturali  con le terre greche di Oriente.

icona 3.jpgGastaldo fu l’amministratore di questa comunità che vide nel XVI secolo aumentare costantemente la sua influenza e potenza.Il numero dei suoi membri si accrebbe e questi provenivano da tutte le regioni ed esercitavano i mestieri più vari: mercanti, artigiani, operai, artisti, intellettuali soldati .

doge Leonardo Loredan.jpgLa confraternita ebbe inizio alla Scuola di S.Biagio. Nel 1515  il Consiglio dei Dieci approvò la Roberto il Gyiscardo 2.jpgchiesa di San Giorgio dei Greci a Venezia.jpgchiesa di San Giorgio dei Greci a Venezia 2.jpgìinterno 2.jpgcostruzione della Chiesa di S. Giorgio, oggi sede della metropolia in Italia, la più antica e la più gloriosa chiesa greca dell’occidente.
Il Doge Leonardo Loredan accordò la celebrazione della liturgia ortodossa in questa chiesa.

Interno chiesa.jpgCristo Pantacroto.jpgL’interno è magnifico: l’icona di Cristo Pantacrator, (1500 circa) che Andrè Malraux ha definito “Les voix du silence”, una delle più belle creazioni bizantine che egli avesse mai visto, ed il singolare campanile pendente.

Le botteghe degli artisti greci che svolsero la loro attività dal 1500 al 1700, a rialto erano rinomate e ricercate per l’alta qualità delle opere artistiche.

Museo icone biizantine.jpgmuseo.jpgmuseo ellenistico a Venezia.jpgOra Venezia accoglie il più grande museo di icone bizantine che esita al mondo: è l’unico in Europa, e si trova nella Scuola di S. Nicolò dei Greci, opera del LOnghena.

icone 2.jpgicone bizantine a Venezia.jpgPer chi ama la Grecia, per chi ama Venezia, ecco l’unione tra due culture e tradizioni che si sono giorgio_greci.jpgassimilate nei secoli e che conservano il mistero, la bellezza, e le tradizioni fantastiche che danno a Venezia ed al popolo greco la capacità di essersi integrate, capite, ed aver conservato questa tradizione e cultura che ne fanno casi particolari ed unici nelle tradizioni dei popoli.

 

 

La Chiesa di S. Barnaba a Venezia e il custode del Sacro Graal

Barnaba.jpg225px-San_Barnaba.jpgNell’anno 936 venne avviata la costruzione della Chiesa di S. Barnaba apostolo , su commissione della famiglia Adorni, reduce da Aquileia. probabilmente impiantata su un precedente edificio dedicato a San Lorenzo Martire  eretto agli inizi dell’800,
Distrutta da un incendio nel 1105 e ricostruita grazie alle elemosine dei fedeli ebbe la sua prima consacrazione nel 1230 per opera di due vescovi, Francesco Mosciense, dell’ordine dei Minoriti, e beato matteo dell'ordine dei predicatori.jpgAgnellino Sudense  dell’ordine dei predicatori, di cui faceva parte anche un beato Veneziano, Giacomo Salomoni.
Maria_Maddalena.jpgSalomoni.jpg250px-SantaMariaMaddalena.jpgQuesto ordine, facente parte  dei Domenicani ha come patrona Maria Maddalena, Santa a cui la Famiglia Balbo, discendente da Ezzelino I° che aveva partecipato come Cavaliere Templare alla II° Crociata al fianco di Corrado II° re della Germania dedicò una chiesa, l’unica a pianta ovale a Venezia, sui cui campeggiano chiari simboli templari.
La Chiesa di S. Barnaba venne riconsacrata il 6 dicembre 1350 dal vescovo della diocesi cretese di Suda, su licenza di Nicolò I° Morosini, vescovo di Castello, e proprio qui, un tempio che contrariamente sanbarnaba.jpgad altri non sfoggia grandi opere d’arte ( le uniche sono il soffitto dipinto, si dice, dal Tiepolo ed una Sacra Famiglia attribuita a Veronese) è sepolto il corpo mummificato di uno dei custodi del Sacro Graal: Nicodemè de Besant-Mesurier e, si dice, venne occultamente trasportato dalla Boemia il corpo di Giacomo Casanova..in una tomba senza nome!
Enrico Dandolo.jpgCon l’avvento della quarta crociata in cui Enrico Dandolo aveva dato il suo attivo sostegno ai Cavalieri Templari, questi fecero base nella Serenissima, istituendo ospedali retti dagli ” Ospitalieri” facenti sempre parte dei Templari, ma non come confratelli armati e guerrieri, dedicati invece alla cura dei cavalieri feriti e dei pellegrini che partivano o ritornavano dalla Terra Santa.
Questa presenza templare ricorre spesso e appare in diverse tracce che si possono riscontrare tutt’ora a Venezia: Nella Basilica di S. Pietro di Castello, sede del patriarcato fino al 1800 circa, si può ammirare la Venezia_-_Chiesa_di_San_Pietro_di_Castello_-_Cattedra_di_San_Pietro.jpgcavalieri_partono_alla_ricerca_del_santo_graal.gifTC_Venezia_SRocco.jpgPalazzo Vendramin Calergi.gifCattedra di S. Pietro, dove, si dice, venne nascosto e trasportato nella Serenissima il Sacro Graal (da cui venne poi trasferito in altre città) le triplici cinte incise in una panca della facciata della Scuola Grande di San Rocco, una seconda in un’altra panca in marmo all’interno della Basilica di San Marco, la terza al Fondaco dei Tedeschi, e la scritta sulla facciata prospicente il Canal Grande di Palazzo Vendramin Calergi (l’odierno Casinò di Venezia) ” non nobis domine, sed nomini tuo da gloria”.
Sempre cercato e mai trovato il tesoro che i Templari avrebbero nascosto nell’Isola di San Giorgio in Alga, luogo Fortificazione di San Giorgio in Alga.jpgfortificato ed estremamente interessante, una delle isole della laguna sud.
E la Chiesa di san Barnaba divenne il set di alcune improbabili scene relative alla ricerca delle tombe di due custodi del Sacro Graal nel film ” Indiana Jones e l’ultima Crociata”.
Nel 1800 circa il tempio venne sconsacrato ed adibito ad abitazione di patrizi veneziani decaduti, chiamati “barnabotti” i quali sopravvivevano con sovvenzioni o lavorando presso il Casinò di Venezia.
Tante tracce, tante coincidenze…misteri che portano lontano..sia nel tempo che nei luoghi ma che affascinano ..in attesa di nuove tracce e nuove possibili scoperte!

I Santi che dall’alto delle colonne vegliano su Venezia

Colonne di Marco e Todaro verso il bacino di San Marco.jpgChi giunge a Venezia dal bacino di San Marco vede svettare due colonne: l’una sorregge la statua di un guerriero che uccide il drago, l’altra un mostruoso leone. Sia il guerriero che il leone si ergono come simboli e custodi di questa città, prima Stato e Repubblica, che ha dominato i mari europei.

Gli affusti di granito in origine erano tre, e vennero caricate a Costantinopoli, dopo essere state razziate in Oriente, su tre navi diverse: due raggiunsero il porto, la terza invece affondò. Vennero poste in piazzetta ed innalzate soltanto un anno dopo, con l’aiuto di Nicolò Barattieri nel 1172, lo stesso costruttore che un anno dopo realizzò a Rialto il primo ponte fisso in legno.

S. Todaro su colonna.jpgSu queste due colonne vennero poste, in quella più vicina alla biblioteca Marciana la statua marmorea di San Todaro, santo guerriero, conosciuto come Teodoro D’Amasea (Anatolia), originario dell’Oriente ma legionario di Galerio Massimiano proprio in quella città. Egli fu martirizzato per essersi rifiutato di fare sacrifici agli dei, ed aver dato fuoco al tempio di Cibèle.

250px-Venezia_-_Chiesa_di_San_Salvador.jpgSan Todaro 3.jpgSan Todaro 1.jpgSan Teodoro.jpgVenne arso vivo, e i suoi resti tumulati a Euchaite, vicino ad Amasea (odierna Aukhat in Turchia) che nel decimo secolo venne chiamata Teodoropoli. E da qui nacque il suo culto, che si propagò per tutto l’Oriente e successivamente all’Impero Bizantino.Si racconta che i suoi resti vennero asportati e portati a Venezia, dove divenne il primo patrono della Città: ora la teca è collocata nella chiesa di San Salvador.

 

Come ogni santo guerriero viene ritratto nella statua San todaro.jpgnell’atto di uccidere un drago, metafora del bene che vince il demonio in quanto questo rettile, che emette San Todaro 5.jpgdrago.jpgSan Todaro 2.jpgfuoco, e con il suo alito distrugge qualsiasi forma di vita è l’immagine stessa del maligno.

Leone sulla colonna.jpgSull’altra colonna è posta l’immagine in bronzo di uno strano leone: statua molto antica che raffigurava una chimera, a cui vennero aggiunte le ali per completare la figura di un leone alato, e raffigura San Marco, il secondo e attuale patrono di Venezia.

0425San%20Marco%20Evangelista%203.jpgMarco, il cui nome ebraico era Giovanni, fu uno dei primi battezzati da Pietro, il quale lo chiamava “figlio mio ” in senso spirituale. Figlio di una donna benestante, Maria, che metteva la sua casa a disposizione di Gesù e degli Apostoli, e nella quale sembra sia stata consumata l’ultima cena, ascoltò con cura tutti i racconti dei loro viaggi, e scrisse il suo vangelo tra il 50 e 60 a Roma.

evangelista%20san%20Marco.jpgPietro in seguito lo inviò ad evangelizzare l’Italia settentrionale, e durante il viaggio, sorpreso da una tempesta, approdò alle isole realtine, il primo nucleo di Venezia, e qui si addormentò e fece un sogno: un Angelo che lo salutava dicendogli: ” Pax tibi marce evangelista meus”, e gli promise che in quelle isole avrebbe dormito in attesa dell’ultimo giorno.

Venne martirizzato mentre cercava di evangelizzare Alessandria: trascinato per la strada per tutto un giorno, quindi rimesso in carcere e qui, durante la notte, venne confortato da un angelo: l’indomani, il 25 Aprile dell’anno 72 circa, venne di nuovo trascinato per strada e morì.

Le spoglie vennero dapprima tumulate presso la chiesa di Canopo di Alessandria, che venne in seguito incendiata dagli Arabi nel 644, ma venne ricostruita dai Patriarchi di Alessandria, Agatone (662-680) e Giovanni di Samanhud(680-689).

Marco_mosaico.jpgQui giunsero i due mercanti veneziani Buono da Malamocco e Rustico da Torcello che si impadronirono della reliquia, la nascosero nella carne di maiale, considerata impura dagli arabi, e la portarono a Venezia, e accolte con grandi onori dal Doge Giustiniano Partecipazio, e poste provvisoriamente in una cappella dove si trova ora presumibilmente il tesoro di San Marco.

basilica_san_marco_venezia_italia1.jpgIl doge iniziò subito i lavori di costruzione della Basilica, che fu portata a termine nell’832 da fratello Giovanni, suo successore; Dante  nella sua Commedia scrive: Cielo e mare vi posero mano” parlando della bellezza dei marmi policromi, degli intarsi, dei mosaici.

La Basilica fu consacrata sotto il dogado di Vitale Falier il 25 aprile 1094, e durante la cerimonia, preceduta da tributi di preghiere, digiuni e penitenze in quanto la reliquia non si trovava più, il vescovo spezzò inavvertitamente il rivestimento in marmo di un pilastro, e qui apparve la teca, che emanava un profumo dolcissimo. Da quell’istante la Serenissima e San bassorilievo.jpgIl_leone_di_San_Marco_02.jpgleone_di_san_marco.pngMarco divennero un tutt’uno, e il suo simbolo, il leone alato che posa la zampa sul libro in cui è scritto: ” Pax tibi marce evangelista meus” , è diventato il simbolo e l’emblema di Venezia.

Ecco quindi che i due patroni e custodi della Serenissima, il Santo Guerriero ed il Santo evangelista che dall’alto delle loro colonne sembrano affrontare tutto il mondo, dal bacino di San Marco; più prosaicamente sotto alle colonne furono costruite in epoca medievale delle botteghette in legno per poi dedicare quello spazio per il patibolo, Colonne e Piazzetta.jpgTorre%20orologio.jpgdove vennero portate a termine esecuzioni importanti e storiche, e sembra che i condannati fossero posti con la faccia rivolta alla torre dell’orologio, per fare vedere loro l’ora della loro morte, e gli veniva detto ” te fasso vedar mi che ora che xe” ( ti faccio vedere io che ora è). Da allora il passare tra le due colonne divenne di cattivo auspicio per i veneziani.

Ma questa è un’altra storia!

 

 

 

 

 

Doge Pietro II Orseolo e l’inizio dello “Stato de Mar” – Venezia, Regina dell’Adriatico

150px-Doge_Pietro_OrseoloII.pngAlla fine del decimo secolo Venezia cominciò a perseguire una via espansionistica legata all’Adriatico. Questa strada non venne più abbandonata, accompagnata in seguito da una politica espansionistica anche continentale.

Basilio II di Bisanzio.jpgOttone_3.jpgBasilio e Costantino -Crisobolo.jpgIl Doge Pietro II Orseolo , giovane ed intelligente dette il via ad un suo progetto, dopo aver composto i dissidi interni e pacificate le diverse famiglie nobili in nome della dignità nazionale. Egli comprese che soltanto la potenza economica, sussidiata dall’azione militare nei limiti imposti dalle necessità, poteva dare sicurezza, prosperità e grandezza allo Stato.

Con gli Imperi di Occidente e di Oriente stabilì rapporti amichevoli, normalizzandoli con Ottone III (diploma del 992) e regolarizzandoli con Bisanzio mercè il “crisobolo”( sigillo d’oro) di Basilio e Costantino, che stabiliva condizioni di favore nel commercio marittimo.

Pietro II Orseolo.jpgUna volta assicurata la pace interna, con una legge promulgata nel 997 che condannava ogni sedizione, e regolati i rapporti internazionali per il libero sviluppo dell’espensaione veneziana nel continente e in Adriatico, Pietro II Orseolo si prese cura della sicurezza della navigazione, per agevolare gli scambi mercantili.

L’egemonia economica sull’Istria, stabilita dagli accordi del 933 era fino ad allora molto precaria e ridotta a ben poca cosa, mentre la pressione della Croazia sulla Dalmazia rendeva difficile la vita ai Veneziani che vi risiedevano.

fiume Narenta.jpgIl disimpegno di Bisanzio per quest’ultima regione significava libertà d’azione per Venezia che, tra l’altro, era in continua lotta con i Pirati Narentani che infestavano le coste, per cui solo con la forza si poteva raggiungere il necessario equilibrio adriatico, raggiungendo una fattiva e concreta fedeltà delle genti rivierasche.

dalmazia1.jpgAgli inizi del 1000 l’Orseolo allestì una flotta che partì da Equilio, diretta a Pola. Era la risposta veneziana alle popolazione Dalmate che volevano liberarsi della servitù slava.

Dopo aver sostato a Grado e a Parenzo il doge Orseolo raggiunse Pola, e proseguì verso sud-est, toccando Ossero, Veglia, Arbe, Zara, Traù, Spalato, Curzola, Lagosta e Ragusa.

anfiteatro romano a Pola.jpgLe città istriane resero omaggio a Pietro II e giurarono fedeltà a Venezia. La spedizione non si svolse, tuttavia, del tutto incontrastata: vi furono resistenze armate da parte degli abitanti di Curzola e Lagosta, dove si annidavano i pirati narentani.

Con questa fortunata spedizione, approvata da Bisanzio, Pietro II Orseolo prese il titolo di ” Duca di Dalmazia” che integrava quello di “Doge di Venezia”.

Istria e Dalmazia.jpgMa non si era trattato di una vera e propria conquista territoriale, perchè i veneziani miravano solamente a raggiungere il dominio del mare. Sotto il profilo giuridico gli ordinamenti rimasero quelli locali, e si raggiunse così l’unità della costa dalmato-bizantina, con l’estromissione dell’influenza slava, per cui una modifica era avvenuta soltanto dal punto di vista politico-militare.

La supremazia di Venezia dell’Adriatico era così assicurata, con l’acquiescenza dell’Impero greco per il quale il dogado dell’Orseolo era diventato un potente alleato.

Per riconoscenza verso Bisanzio il doge inviò nel 1002 una spedizione in soccorso di Bari, assediata dai Saraceni, ristabilendo l’equilibrio nel basso Adriatico. A sancire l’alleanza tra Venezia e Bisanzio il figlio del Doge, Giovanni, sposò Maria, la nipote dell’Imperatore Basilio II.

il doge Pietro II Orseolo.jpgLe imprese dalmata e Pugliese contribuirono a portare alla città uno sviluppo demografico e urbanistico e alla prosperità e splendore.

Ottone Orseolo.jpgGiovanni e Maria Orseolo.jpgAlla morte di Pietro, nel 1008, gli succedettero i figli Giovanni ed Ottone.

Con Pietro Orseolo scompariva una singolare figura di capo a cui, tra l’altro, va attribuita l’istituzione della cerimonia detta “benedizione  del mare”, nel giorno dell’Ascensione: una festa nazionale durante la quale il Vescovo di Olivolo tracciava, davanti ai dignitari , al clero e al popolo, il segno della Croce sulle acque della Laguna, a testimonianza della potenza e della grandezza di Venezia.

Questa festa diverrà in seguito quella più completa e significativa dello “sposalizio del Sposalizio del Mare del Guardi.jpgmare” quando il Doge dal Bucintoro getterà in acqua l’anello d’oro pronunciando la formula rituale: ” desponsemus te, mare, in signum veri perpetuique dominii”.

Da allora Venezia diverrà una forte e temuta potenza, attribuendosi il titolo di Serenissima, Repubblica forte ed illuminata.

Ago 29, 2010 - Angeli e demoni a Venezia, Arte e mistero, Chiese, Leggende    Commenti disabilitati su Il miracoloso viaggio della Beata Maria Vergine delle Grazie

Il miracoloso viaggio della Beata Maria Vergine delle Grazie

250px-Chiesa_di_S_Marziale_Facciata.jpgUna chiesa squadrata, semplice e senza decorazioni, contrariamente alla maggior parte delle innumerevoli altre di Venezia conserva al suo interno una statua miracolosa: La chiesa è quella di San Marziale ( San Marcilian per i Veneziani) e la statua ha una sua straordinaria storia:

Nel 1286, sotto il Pontificato di Nicolò IV viveva a Rimini(Stato pontificio) un pastorello, chiamato Rustico, ragazzo molto devoto alla Madonna, semplice e gentile. Un giorno d’estare Rustico, mentre riposava al fresco sotto i faggi trovò ” uno sterpo, ovvero un tronco d’albero che in gran parte aveva l’apparenza di figura femminile, per uno scherzo prodotto dalla natura. Quantunque  però di scultura altri principi non avesse, che per fare zampogne pastorali e rustiche tazze, con tutto ciò si sentì dalla propria devozione di formar di quel tronco una statua niccoloIV.gifRimini.jpgrappresentante Nostra Signora.”

Il pastorello quindi iniziò la sua opera che procedette spedita, per quanto riguardava il corpo, ma quando si trattò di scolpire i tratti del volto il giovane si accorse che, durante la notte, il demonio sfigurava i lineamenti.

Il giovane era disperato, quando un giorno avanzarono sul sentiero due giovani che gli chiesero di aiutarli nel ritrovare la strada, e notarono la statua ed il suo viso, non ancora definito, per cui si offrirono di finire loro il lavoro. Ma Rustico rifiutò e li invitò a proseguire.

I giorni passavano ma il viso scolpito di giorno, al mattino risultava sfigurato, ed ecco allora che riapparvero i due giovani che convinsero Rustico a lasciar fare a loro: in pochi minuti ed utilizzando i rozzi attrezzi del pastorello ecco che il volto venne ultimato.

barca.jpgFu allora che i giovani si rivelarono a lui come angeli che erano stati inviati direttamente dalla Madonna, grata al ragazzo per la sua opera, ma gli diedero anche alcune disposizioni: doveva andare dal Vescovo di Rimini  ed al suo Governo, e imporre loro che la Statua fosse imbarcata in una piccola imbarcazione, senza alcuno al suo governo, ma lasciata alla provvidenza.

I Riminesi, venuti a conoscenza della vicenda accorsero ad ammirare la statua che già cominciava a compiere dei miracoli, e per volere del Vescovo cercarono di portarla in processione. Ma arrivati che furono al porto ” con così nobile accompagnamento fermossi con tanta forza la statua della Madre di Dio, che non vi fu sforzo valevole a muoverla, onde conobber esser precisa ordinazione di Dio, che riposta fosse su una navicella senza condotta di uomo, ed abbandonata direttamente alla direzione del cielo”.

misericordia.jpgSacca della Misericordia.jpgE la barca cominciò a navigare raggiungendo e superando il porto di Malamocco, per arrivare quindi alla Sacca della Misericordia (Cannaregio), vicino ad un’Abazia dedicata a Nostra Signora con il nome di S. Maria della Misericordia.

” Ritrovavansi per loro buona sorte allora in vicinanza dell’Abbazia due miserabili, cioè un vecchio cieco con in braccio un suo bambino di sette anni, nato mutolo, per questuare della pietà dè fedeli elemosima a loro sostentamento. Al primo comparire della fortunata barchetta sciolse miracolosamente per la prima volta la lingua il mutolo fanciullo, ed eccitò il padre a riverir genuflesso quella maestosa Patrona, che in seno aveva un vaghissimo bambino, e per di cui beneficio ottenuto aveva la favella. Attonito il vecchio padre al non più inteso parlar del figliolo, sentissi riempir d’allegrezza egualmente che di fiducia, e spargendo dà ciechi lumi devote lacrime, implorò dalla santissima Vergine, che ruiconobbe accennata nella veneranda matrona, la grazia di voler a suo favore raddoppiati i miracoli. Non aveva per anco terminato la sua fervorosa orazione, quando ad un tratto gli si apersero gli occhi, ed ottenne perfettamente la vista”.

Chiesa S. Marziale.jpgEd allora a Venezia si diffuse la notizia di quella statua miracolosa, e tutti accorsero, ed i miracoli si moltiplicarono. Il Vescovo di Castello diede ordine di portarla a quella che era allora la Basilica di Venezia, cioè S. Pietro di Castello, ma come cercarono di spostarla quella non si mosse.

La Statua venne quindi portata, con una solenne processione a cui partecipò il Doge Giovanni Dandolo, nella chiesa di S. Marziale ” con l’accompagnamento della nobiltà e di numerosissimo popolo, lodando ognun il Signore, che avesse in quella miracolosa immagine voluta dar a Venezia una nuova testimonianza della protezione di Maria Santissima principal sua avvocata e Madre”.

A questa statua è legato, tra gli altri anche un altro miracolo: costituita la Confraternita a lei dedicata, i suoi rappresentanti si recarono dal Pontefice per richiedere l’opportunità delle indulgenze plenarie per chi si recasse a pregarla; il Papa, che era molto severo in questo senso, cacciò gli inviati, ma nella notte: “apparve di notte tempo in Papa Niccolò IV.jpgBeata Vergine delle Grazie.jpgDoge Giovanni Dandolo.jpgcandida veste col divin suo figliolo fra le braccia al Pontefice, ed esortollo ad esaudire le fervorose istanze dè buoni Confratelli, comecchè avevano per oggetto al dilei culto, ed il vantaggio spirituale delle anime. A tale celeste avviso il cuore del Papa mutossi, e fatti a sè chiamare quei buoni uomini, manifestò loro la visione e ricercò di veder quel fortunato pastorello, il quale aveva incominciata un’opera perfezionata dagli Angeli. “

Il povero Rustico venne ritracciato presso le carceri di Rimini, nelle quali era stato ingustamente rinchiuso, e la Confraternita ebbe quindi la sua indulgenza.

Ora l’opera è esposta presso l’altare dedicato alla Vergine, racchiusa in una teca. Gli Angeli soprastanti reggono un cartiglio metallico che ricorda il interno chiesa S. Marziale.jpgLa scultura della statua.jpgleggendario autore  ed il suo completamento da parte dei due Angeli, con scritto:” Rustico incepta, a nobis perfecta” ( iniziata da Rustico , da noi compiuta).

Ho voluto riportare alcuni brani tratti direttamente da un opuscolo devozionale della Scuola che rendono nella loro semplicità, entusiasmo e fervore l’importanza di questa semplice e un pò rozza statua di legno, arrivata via mare, l’elemento di Venezia, la città delle Madonne, e che tante speranze e tanti “miracoli” , anche solo di fede, ha compiuto.

 

 

Sfiorando la laguna

gondola.jpgcanal grande.jpgVenezia, proprio per le sue caratteristiche peculiari, ha dovuto usare le via acquee per i trasporti. La gondola, per le sue caratteristiche di manovrabilità e velocità è stata, fino all’avvento dei mezzi motorizzati, il mezzo più adatto per il trasporto delle persone.

E’ l’unica imbarcazione al mondo lunga ben 11 metri e pesante più di 600 Kg. e a poter essere manovrata con leggerezza e apparente facilità da una sola persona e con un solo remo, ed è diventata il simbolo più  divulgato della città di Venezia.

Ed è unica come la città che rappresenta: innanzi tutto è asimmetrica, il suo lato sinistro è di 24 cm. più lungo di quello destro, per cui naviga sempre inclinata su di un fianco. Ha il fondo piatto che le consente di superare anche fondali di pochi centimetri.

imagesCAHELXJD.jpgimagesCA658MJT.jpgPer la sua esecuzione sono adoperati ben otto tipi di legno diversi, e sono ben 280 le parti che la compongono.
I soli elementi di metallo sono “il fero”: sei denti di prora (davanti) la cui forma ad S dovrebbe simulare la sinuosità del Canal Grande, e la lunetta posta sotto uno stilizzato corno dogale il ponte di Rialto, mentre i sei denti rappresentano i sei sestieri in cui è divisa Venezia, quello che volge all’interno della gondola simboleggia la Giudecca, ed il ferro di poppa , chiamato “risso” (cioè riccio).

Questa barca così particolare è stata il mezzo per ottenere uno sviluppo commerciale, una opportunità di imagesCAUY800D.jpgestendere il tessuto più intimo di Venezia, Infatti la nascita, l’edificazione e la crescita di questa città sono stati possibili solo risolvendo  in maniera ottimale il problema del trasporto acqueo: da sempre con barche si è approvvigionata la città, da sempre il mezzo acqueo ha consentito i commerci, e tutt’ora la viabilità acquea è essenziale per la vita cittadina.

Già nella prima metà dell’XI secolo  il prefetto Cassiodoro, rivolgendosi ai tribuni marittimi della Venezia, le massime autorità civili della laguna, usa queste parole: ..e mentre di solito si legano alle porte di casa gli animali, voi, alle vostre case di vimini e canna, legate le vostre barche…”

imagesCAWD3JIQ.jpgSi può azzardare l’ipotesi che il veneziano dei primordi prima di essere pescatore o commerciante debba essere costruttore e carpentiere navale. Poco a poco questo abitante di laguna, che costruisce e utilizza la sua imbarcazione per pesca e commercio, elabora e perfeziona la tecnica costruttiva.

Ed ecco il mestiere dello Squerarolo, che negli appositi luoghi, chiamati squeri, nome derivato  da un attrezzo utilizzato per la costruzione, la squadra, detta in dialetto “squera”  costruivano  tutti i tipi di imabarcazione, comprese le navi che contribuirono a far di Venezia la Serenissima Repubblica; in seguito queste furono imagesCA8CHGEJ.jpgrealizzate  all’interno dell’Arsenale che divenne il fulcro e la sede della cantieristica veneziana.

imagesCAQW01SN.jpgLa gondola nacque come mezzo privato per gente di un certo rango, e veniva utilizzata per imagesCAJUI7X5.jpgspostarsi da una parte all’altra della città, per prendere il fresco nelle notti estive, sfoggiare la propria eleganza, conversare con i passeggeri delle gondole vicine, oltre a compiere tutta una serie di usi che rendevano questa barca silenziosa e meravigliosa un territtorio privato fungente da casa, ma anche da bisca, ambasciata, nido d’amore e altro ancora. Nei secoli passati veniva usato anche il “felze” una copertura notturna o invernale, o soltanto per starsene in privato, che era dotato di una porta, una finestra scorrevole con veneziana e tendina, di specchi e di uno scaldino.

Ci sono diverse versioni sul motivo del loro colore: il nero; una narra che dopo l’epidemia di peste del 1500 il Senato le facesse dipingere tutte di quel colore in segno di lutto, ma bisogna sapere che allora per la Serenissima il lcolore del lutto era il rosso, un’altra, e la più probabile riguarda una sorta di gara, di escalation tra i nobili per rendere la propria barca più ricca e sfarzosa delle altre: fu il 18 aprile del 1633 che il Magistrato alle Pompe decretò che queste venissero rese molto più essenziali e tutte uguali, di colore nero. 

images.jpgNon tutti potevano permettersi una gondola, per cui esistevano gondole adatte per attraversare il Canal Grande, molto imagesCAGXP4JF.jpgsimili ai gondoloni da parada, che si usano anche oggi per il traghetto. Ancor oggi, con poca spesa, i veneziani si fanno traghettare da queste barche, molto simili alle gondole.

Una barca  fuori dal comune per una città unica che convive e condivide la propria vita con l’acqua, città magica, misteriosa, fatta anche di silenzi, luoghi appartati, calli strette e buie da cui si esce in un campo meravigliosamente assolato, l’orizzonte lontano ad intuire isole, campanili..suoni di voci, odori di cibo che inondano i campielli….

 

 

Lug 19, 2010 - Tradizioni    5 Comments

Il mitico Caffè Florian a Venezia

Procuratie a Venezia.jpgMolti furono (e ne abbiamo già parlato) i caffè famosi nell’antica Venezia, nei quali si incontravano persone nobili e benestanti, professionisti ed intellettuali. Le botteghe del caffè venivano nominate anche “botteghe da acque”. In città, nel 1683 fu aperta la prima bottega sotto le Procuratie in Piazza San Marco e dopo poco ne sorsero a centinaia.

Il primo veneziano a nominare il caffè fu Gian Francesco Morosini, negli anni in cui era Bajlo (console) a Costantinopoli.

Francesco Morosini.jpgporta ottomana.jpgSulla ” Relazione della Porta Ottomana” letta e descritta nel 1585 in Senato si racconta che il popolo Turco raccontava alla Signoria Veneziana che era in uso bere sovente la nera bevanda bollente, nelle botteghe o nelle strade, ricavata da semi macinati.

Pianta del caffè.jpgcaffè.jpgPiantagioni di caffè.jpgI Turchi affermavano che questa bevanda aveva delle qualità energetiche per cui, chi la assumeva, non sentiva necessità di dormire. Il nome deriva dall’arabo “qhahau”pronunciato alla Turca “Kalvè”, per altri il nome deriva dalla località Etiope nominata Caffa, e in Etiopia ci sono le migliori piantagioni di caffè.

Caffè Florian 1.jpgNel 1653 fu introdotto a Venezia ed in tutta Europa, anche perchè i turco.jpgsultano ottomano.jpgveneziani si erano accorti che per i turchi era facile rimanere svegli durante la notte, per cui c’era il detto “noi veneziani semo svegi perchè i turchi no i dorme mai”.

 Caffè Florian 2.jpgA Venezia questo chicco venne chiamato caffè e fu diffuso dagli Arabi, trasportato nel fondaco dei Turchi, sestier de Santa Crose, e servito tramite le prime botteghe.
Nel 1720 il Caffè Florian divenne il più famoso luogo in Venezia e in tutta Italia, ubicato nelle Procuratie, davanti a Palazzo Ducale, in Piazza San Marco.

Rimase per molto tempo in gestione allo Stato della Repubblica di Venezia, Il primo gestore fu Valentino Floriano Francesconi, detto il ” caffeter” il quale veniva stipendiato mensilmente dallo stato.

Caffè Florian.jpgcaffè Fllorian 3.jpgcaffè a Venezia.jpgIl gestore denominò il locale “Caffè Venezia Trionfante”.

Dopo la caduta della Repubblica Floriano lo denominò ” Caffè Florian”. Qui si ebbe il centro della intellighentia e della cultura caffè florian 8.jpgCarlo Goldoni.jpgCarlo Gozzi.jpginternazionale: frequentatori dal 1700 in poi furono Giacomo Casanova, Carlo Goldoni, Carlo e Gaspare Gozzi, Lord Byron, Goethe, Moore, Parini e Silvio Pellico.

Goethe.jpgNel 1858 il Caffè Florian venne restaurato e le decorazioni delle Caffè in Etiopia.jpgsalette furono ispirate ai diversi cicli della vita, delle scienze, delle arti, delle stagioni e degli uomini illustri.

Silvio Pellico.jpgStorico caffè Florian.jpgGaspare Gozzi.jpgCaffè Florian 10.jpgcaffè florian 5.jpgcaffè Florian 4.jpgCasanova.jpgAll’interno del Caffè Florian , nella calda atmosfera delle sale lussuose ed affrescate, rimangono i ricordi dei Grandi Personaggi passati tra queste mura per godere dell’atmosfera del salotto – caffè nel salotto più bello del Mondo.

Hypnerotomachia Poliphili, alle basi dell’ Alchimia a Venezia

pagine di Hypnerotomachia 2.jpgAlchimia.gifimagesCAOK6GS1.jpgUno dei più  importanti libri che fanno  parte del ricco tesoro dei beni della Biblioteca Marciana edito  in due volumi da Aldo Manuzio nel 1499 è Hypnerotomachia Poliphili, corredato da 196 xilografie,la maggior parte opera del Mantegna, e decorato con glifi di Francesco Griffo. E’ uno dei libri base dell’alchimia, in cui, attraverso la storia narrata l’autore cerca di guidare l’alchimista attraverso le varie trasformazioni per raggiungere con successo “l’Opera compiuta”: la pietra filosofale.

hyp.jpgL’autore è anonimo, e cercando e desumendo è stato attribuito di volta in volta a Pico della Mirandola, Leon Battista Alberti, Lorenzo de Medici ed infine, grazie ad un acrostico contenuto nel testo, formato dalle iniziali dei 38 capitoli, a Francesco Colonna, una frate della Chiesa di SS. Giovanni e Paolo  (Venezia, 1439 – 1527),

Il racconto descrive il sogno fatto da Polifilo che tratta di un combattimento amoroso. Si tratta della metafora della trasformazione che avviene in Polifilo per tramutare l’amore carnale nella purezza Pagine di Hypnerotomachia Poliphili.jpgdell’amore Illustrazione 2.jpgplatonico.

E’ il percorso che ogni uomo deve fare per avere contatto con se stesso e le proprie capacità di interagire con la spiritualità, con il divino e con il  misterioso.

Il sarcofago di Marte e Venere e Adone.jpgillustrazione.jpgEcco che egli descrive la morte di Adone, amato da Venere, ed una xilografia rappresenta il suo sarcofago, particolarmente emblematico: da una parte è rappresentata Venere che viene punta da una rosa, il combattimento di Adone con Marte, la morte di Adone e lo svenimento di Venere.

Dall’altra parte è rappresentata invece Venere seduta che allatta Cupido, il suo piede viene baciato da Polifilo , indice di adorazione. Due frasi sono iscritte sui due lati del sepolcro: ADONIA in riferimento alle feste annuali che Venere dedicava al giovane morto, e IMPURA SUAVIAS, che potrebbe riferirsi alla lettura morale del morto in riferimento all’exemlpum libidinis, che è Adone, in contrasto con il purissimo sangue versato da Venere per quell’amore.

l'amante.jpgLa lettura in chiave neoplatonica ha orientato parte della critica a fare del sarcofago descritto da Colonna un riferimento alla lettura delle scene analoghe rappresentate nel sarcofago dipinto da Tiziano, quello L'amor Sacro e l'amor Profano di Tiziano.jpgdell’Amor Sacro e dell’Amor Profano.

le trasformazioni in alchimia.jpgMetamorfosi di Ovidio edizione di Venezia.jpgL’attinenza con le Metamorfosi di Apuleio, nel racconto contenuto, della storia di Amore e Psiche, dove l’unione tra Amore (il corpo) e Psiche (la mente) comporta sofferenze e dolori a Psiche, e le  Metamorfosi di Ovidio è quanto mai evidente.

Apuleio, metamorfosi, l'asino.jpgAmore e Psiche dalle metamorfosi di Apuleio.jpgLa aracna dalle Metamorfosi di Ovidio.jpgmetamorfosi quindi prima  dell’uomo e poi degli elementi naturali.

dalle Metamorfosi di Ovidio.jpg06f439b19ff89b185523f36986dd9ee3.jpgDa qui il riferimento dell’Hypnerotomachia Poliphily e la  Tempesta di Giorgione, rosacrociano (Gallerie dell’Accademia a Venezia),Quadro di cui vi avevo appena accennato,alla simbologia così legata, e  la relazione del quadro con il libro risulta quasi stupefacente .

Adorazione di Venere con Cupido.jpgVi sono rappresentati tutti gli elementi della natura, in cielo e in terra, e la donna che allatta può essere Iside, Venere, Demetra, Cerere, la Grande Madre insomma, tanti nomi con cui viene definita la dea MyriaYme, che ricorda da vicino Myriam, il nome Maria, sacro per i Cristiani, vergine e madre.

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