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Arte ed esoterismo a Venezia: il magico Vittore Carpaccio

quadro di Carpaccio.jpgDi Carpaccio si notano i primi quadri verso il 1490, e i veneziani lo seguono, appassionati, fino al 1525, data della sua morte: sono 35 anni di espressione trasognata, incanto contemplativo, umanesimo del pensiero, ansia di conoscenza ed illuminazione della fantasia del Quattrocento (benchè sia vissuto così a lungo nel nuovo secolo) al potere di astrazione rispetto alle  crisi e di rinnovamento, che ebbe invece il primo cinquecento, ai tempi del Tiziano ( e successivamente del Giorgione).

L’opera di questo pittore apriva alla cultura dell’epoca un’ansia di conoscenza che offre imprevedibili implicazioni Storia di S. Orsola 1.jpgStorie dei S. Orsola.jpgrispetto ai simbolismi da lui usati.

Già dai primi teleri di Sant’Orsola, eseguiti dal 1490 al 1495 si avverte un taglio compositivo, una inquadratura spaziale e prospettica, un gusto inventivo, una verve figurativa aristocratica e popolare allo stesso tempo, per cui si è portati a far spaziare anche al dilà di Venezia la cultura formativa dell’artista.

In questo senso le ipotesi non sono mancate, e tutti i dati che ne conseguono coinfermano che l’artista aveva un’avidità culturare eccezionale, in una Venezia che alla fine del quattrocento si apriva alla cultura, alle scienze, alle arti ed all’universo esoterico che non ha alcun confronto con nessun’altra epoca della sua storia.

Storie di S. Orsola 4.jpgStorie di S. Orsaola 3.jpgEcco allora la predilezione per le leggende medievali e le vite dei santi, racconti aperti ai ricorsi più importanti della fantasia, in cui si avverte una ricerca esoterico spirituale.

Carpaccio sicuramente era a conoscenza della “leggenda aurea” scritta dall’Arcivescovo di Genova  Jacopo da Varagine nel tredicesimo secolo, nella traduzione italiana di Nicolò Manerbi,molto interessante seguire lo svolgersi del racconto letterario: il primo episodio del Leggenda aurea.jpgJaciopo da Varagine.jpgJacopo da Varagine 1.jpgleone , che ferito ad una zampa da una spina si reca al Convento, ove S. Gerolamo Jacopo da Varaginre 2.jpgviveva ritirato, per farsi togliere la spina. Il tema presenta due motivi semplici: la serena tranquillità del Santo , portato a fare il bene degli animali, ed i timore dei frati che fuggono spaventati( S. Giorgio degli Schiavoni a Venezia).

Tra gli altri animali si riconosco la faraona, il pappagallo, il pavone ( tipico del bestiario rosacrociano) il cervo, la lepre, il capriolo, il castoro e l’antilope: sembrano studiati dal vero, e probabilmente è così: ed anche le piante raffigurate fanno parte di un mondo e di una simbologia tipicamente esoterica, legata alla natura, all’uomo, alla vicinanza, nella santità, dell’uomo a Dio.

S. Agtostino.jpgSan Gerolamo e il Leron.jpgAltro documento importante è il quadro “le visioni di S. Agostino”( telero nella Sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale a Venezia) e S. Agostino nello Studio (S. Giorgio degli Schiavoni) in cui sembra che il Carpaccio abbia raffigurato con l’immagine del Santo il Cardinale Bessarione, il quale aveva donato alla Scuola del Carpaccio una ambito privilegio riguardante una bolla episcopale, che appare quindi in evidenza dipinta in primo piano. Ma il quadro pù importante del Carpaccio, una lunghezza di tre metri e sessanta, che richiama, proporzionalmente, i cassoni di Paolo Uccello di cinquant’anni prima, come ci suggerisce il Longhi, è ” S. Giorgio colpisce il Drago” a  S. Giorgio degli Schiavoni.

Cardinale Bessarione.jpgSimbolicamente il terreno dove avviene lo scontro  è studiato dal vero con indagine minuziosa, e si tratta di frammenti d’uomo, la giovinetta sembra che respiri ancora, e le  carcasse del cavallo, della pecora, ognuno con i suoi peculiari caratteri, in un orrido che si accresce per la visione dei ramarri, dei rospi, dei corvi, dergli avvoltoi e perfino della biscia d’acqua che ingoia una rana. Anche l’albero è ammorbato dal fiato del drago e proprio dalla sua parte presenta rami secchi, perchè la presenza del drago, dice il racconto, è pestifera.

E questo ed altri quadri che richiamano la natura, la bassezza della bestia, la debolezza dell’uomo nel poter affrontare le cattiverie, ed arrivare al sublime, al massimo, a ciò che tutti i santi che si sono battuti contro i draghi, e che li hanno distrutti, sono riusciti a fare con la forza della fede.

San Giorgio colpisce il Drago.jpgStorie di S. Orsaola 3.jpgStorie di S. Orsola 4.jpgOvunque l’artista, l’arte, e specialmente a Venezia, erano legati all’esoterismo, alla volonta ed alla capacità di andare oltre all’uomo, a trasfigurarsi e a trasfigurare per arrivare al divino, e raggiungendolo, perpetrare il “grande cambiamento” il cammino perfetto per la pietra filosofale.

 

Massoni e la Basilica di S. Marco a Venezia

imagesCAL51VDN.jpgAvevamo parlato dei taiapiera veneziani, della loro corporazione legata prima ai templari e poi alla Massoneria.

E proprio i muratori, i costruttori (come i tagliapietra) lasciarono una loro evidente traccia sulla facciata della Basilica di S. Marco.

Ma come i tagliapietra si sono riuniti in confraternita, divisa poi in gradi, così come i regolamenti massoni (cioè i grandi muratori) sappiamo che i loro santi protettori erano i quattro coronati, cioè liberi muratori che si erano rifiutati di scolpire statue di divinità pagane per l’imperatore Diocleziano. I loro nomi erano Claudio, Nicostrato, Sinfroniano e Simplicio. e per il rifiuto vennero martirizzati.

Essi vennero rappresentati nell’arca di S. Agostino da Pavia, eretta intorno al 1370 da fratelli Comacini (Bonino, Matteo e Zeno).

imagesCA2RZ64L.jpgNell’introduzione del regolamento dell’ordine dei tagliapietra tedeschi si legge: IN nome del Padre, del figliolo, dello Spirito Santo, della Gloriosa Vergine Maria ed anche dei quattro tagliatori giustiziati sotto Diocleziano.

Vi è comunque un’altra versione, la più accreditata dai Massoni, che riguarda i quatuor coronati, e che comunque è una sovrapposizione di due leggende:

Quattro fratelli Severus, Severinus, Cerfophorus e Victorius era soldati agli ordini di Diocleziano, ma all’ordine dell’Imperatore di adorare gli idoli pagani si rifiutarono per cui vennero uccisi e i loro corpi dati in pasto ai cani.

Ma le spoglie rimasero intatte, per cui la gente pietosa li raccolse e li seppellì nelle tombe di Claudius, Nicostratus, 4.jpgimagesCAL6F9FY.jpgSinphronius, Castorius e Simplicius, scalpellini messi a morte dall’imperatore qualche tempo prima per essersi rifiutati di scolpire statue pagane.

Da questa sovrapposizione ecco l’immagine dei quatuor coronati con gli attrezzi tipici dei muratori. Nel “Poema Regius dell’Ars Massonica” (1390) vi è l’aggancio con l’arte massonica classica : ” affinchè possiamo apprendere bene questi articoli e questi punti tutti insieme, come fecero questi quattro Santi martiri che diedero grande onore a questa arte, che furono così buoni massoni come non ce ne saranno nella terra.

imagesCAXEI8UT.jpgimagesCAHCODRC.jpgimagesCALQEUOI.jpgIl più antico documento massonico è chiamato regio perchè si trovava alla Royal Librery, poi venne trasferito al British imagesCA5U6B5V.jpgMuseum.

Il regolamento comacino formò quindi il quadro di ciò che fu poi la corporazione.

I comacini, maestri ed allievi, avevano necessità per l’autodifesa in un ambiente estraneo e parzialmente avverso, di una unione che sopravvivesse, ad un ordinamento prettamente artigianale, con un legame personale e partecipativo.

Benedetto Antelami, uno degli allievi dei maestri comacini venne a Venezia, contattando così i tagliapietra veneziani i quali si riunirono appunto in confraternita, recependo ed accettando le regole massoniche, sotto l’egida  dei quattro coronati. Rimangono inoltre tracce documentate della presenza a Venezia, verso la metà del 14° secolo, degli architetti Pietro Baseggio e Enrico Tajapiera che sembra abbiano collaborato alla costruzione di palazzo Ducale.

imagesCATCHTWG.jpgUno dei simboli più importanti di questa appartenenza alla Massoneria era rappresentata, oltre che da altri simboli, anche da dei nodi di Salomone raffigurati, disegnati, incisi, su mosaici, o su colonne: il significato di questi nodi è sia il legame di fratellanza e di unione, tipico dell’iconografia massonica che il concetto della Santissima Trinità, e sulle colonne rappresentano un legame che va dalla terra al cielo.

Colonne_annodate_2_small.jpgColonne_annodate5.jpgColonne_annodate3.jpgColonne_annodate_Venezia.jpgSulla facciata della Basilica di S. Marco vi sono quattro colonne legate da nodi, inframmezzate da finestrelle graziosasmente ornate, e sopra ogni nodo appare il simbolo degli evangelisti, da sinistra a destra il Bue, simbolo di Luca, il Leone, Marco, l’Aquila, Giovanni (il santo più venerato dai Massoni) e l’uomo Alato per Matteo.

Non solo, ma anche una parte della balaustra, sempre al piano superiore, è ornata da colonne “annodate”.

imagesCA624KVK.jpgcolonna_annodata_Verona.jpgDiverse colonne col nodo si trovano in altre città italiane, come a S. Zeno, a Verona, costruite in marmo rosso, a MIlano ecc.

 

 

 

Feb 23, 2012 - Mestieri, Società veneziana    2 Comments

La famosa Theriaca di Venezia

imagesCADEY40V.jpgLa Triaca o Theriaca è stata considerata l’antidoto per eccellenza per combattere i veleni, soprattutto quelli di vipera.

Il nome deriva dal greco Therion usato per chiamare così gli animali velenosi.

Mitridate.jpgLa composizione di questo antidoto si rifà al contravveleno usato da Mitridate, il re del Ponto, il quale usava assumere giornalmente un pò di antidoto per diventare in seguito resistente a qualsiasi veleno. E fu proprio alla composizione di tale antidoto che si rifece Andromaco, il medico di Nerone, che aggiunse a questa ricetta la carne della vipera: nacque così la Theriaca Magna o  ” Theriaca Andromachi.

insegna per la triaca.jpgimagesCALZ19VN.jpgtriaca 2.jpg3 Triaca.jpgNel tempo la theriaca veneziana divenne famosa in tutto il mondo conosciuto (anche il Gran Kan della Cina volle ampolle di questo antiveleno), e famose furono le botteghe degli speziali che li componevano: Tre Torri, Allo Struzzo e Alla Testa d’oro. Testimonianza del valore di questa preparazione si può ricavare dalle memorie di Giacomo Casanova che, trovandosi ad Augusta in Baviera incontra e ospita più volte alla sua tavola una compagnia teatrale, la compagnia Bassi, e qui il capocomico, in segno di ringraziamento dona al celebre avventuriero , presentatosi come medico: ” un dono di prestigio, la famosa theriaca veneziana, che potrete vendere a due fiorini la libbra”.

La preparazione dell’antidoto a Venezia veniva fatta in pubblico assumendo quasi toni di festa. Tutt’ora, davanti all’antichissima Farmacia in Campo S. Stefano vi sono i segni degli incavi circolari dove venivano posti i mortai in bronzo, se vi capita andate e vedrete i solchi nei masegni.

Spezieri.jpgLe spezie che venivano usate erano il pepe lungo, il Phu (valeriana) l’oppio, il cinnamomo, lo zafferano, la mirra, il balsamo orientale e la malvasia (il vino) alcuni aggiungevano anche polvere di mummia.

lo speziale.jpgimagesCA8G8RMD.jpgLa possibilità da parte dello Spezier veneziano di ottenere facilmente gli ingredienti, visti i rapporti commerciali con l’oriente, rese questa scienza particolarmente famosa specialmente in europa.

Della triaca faceva parte  la carne di vipera raccolta sui colli Euganei, in un particolare periodo dell’anno, e veniva usata la vipera femmina ma non gravida.

Come ho detto, a Venezia la preparazione veniva fatta pubblicamente, alla presenza comunque dei “Ministri di Giustizia Triaca 3.jpge dei Signori Dottori del Collegio dei Periti dell’arte dello Spezier e dei molto nobili apparati”.

imagesCABIWF80.jpgimagesCA2LW3XI.jpgimagesCABS3LOI.jpgDiversi Spitali di altre  città, come Camaldoli e MIlano mandarono qui i loro speziali per imparare, specialmente da quello che era considerato il più competente di tutti: Giorgio Melichio, proprietario della Teriaca Lo Struzzo, il quale nel 1591 scrisse: Avvertimento di compostazione de’ medicamenti per uso dello Spezier.

A Venezia comunque le farmacie erano considerate veri e propri luoghi di culto.

Inizialmente l’arte venne considerata una vera e propria confraternita con uno statuto unico; fu solo nel XIV secolo che si divisero di due rami: gli spezieri da medicine e gli spezieri da grosso o venditori di spezie.

Simbolo della Triaca 1.jpgimagesCAKFK8OW.jpgteriaca.gifLo speziale si impegnava con un giuramento solenne a “non dare  nè a far dare  ne insegnare a fare medicine velenose.

La vendita dei veleni fu limitata alle due spezierie principali di S. Marco e di Rialto, e solo dietro la presentazione della bolletta rialsciata dai Giustizieri Vecchi, che ne dettava la qualità, la quantità e le varie caratteristiche.

Le farmacie, più che un luogo di vendita di medicinali erano un vero e proprio ritrovo, ove i nobili discutevano e si confrontavano.

La storia dele spezierie veneziane è importante per comprendere come questa civiltà si rapportò alle Farmacia_san%20servolo.jpgFarmacia_san%20marco.jpgaltre culture completamente diverse, con l’intento di trarne il meglio  e di acquisire le spezie Farmacia_insegne.jpge le merci più originali  e rare per il proprio mercato Farrmacia.jpgfarmaceutico.
Di come con esse abbiano affinato le proprie conoscenze scientifiche  e terapeutiche per servire la Serenissima e renderle il meritato onore.

 

Colori a Venezia

imagesCAD5I2S4.jpgTiontoretto.jpgTiziano.jpgGiorgione.jpgVenezia, nel 500 e nel 600 era una città tutta colorata ed affrescata esternamente. I pittori più famosi come Giorgione, Tiziano, Tintoretto e Paolo Caliari detto il Veronese avevano decorato e dipinto le facciate dei palazzi, le pareti, i portali delle chiese.

Fondaco 2.jpgInterno fondaco dei Tedeschi.jpgFondaco dei Tedeschi.jpgPurtroppo ora non è rimasto nulla di tutto questo, salvo alcune decorazioni nel fondaco dei Cà d'oro 1.jpgTedeschi (animali, angeli, colonne, teste, corpi e trofei) e del chiostro di S. Stefano, che sono ora ricoverate presso la Cà d’Oro.

Campo S. Stefano.jpgIl Campo S. Stefano era tutta una scenografia ripresa sulle facciate, tre dipinte dal Giorgione, Palazzo Loredan.jpgPPalazzo Barbaro.jpgbellavite .basso S. Maurizio.jpguna con gli affreschi del Tintoretto, il Palazzo Loredan dipinto  dal Salviati e Palazzo Barbaro Baffo decorato da Sante Zago e Palazzo Morosini dall’Allense..

Quei due secoli sono stati un brulicare di dipinti, di decorazioni, una Venezia appunto tutta colorata e scenografica.

casa del Giorgione.jpgIl primo a dipingere la propria casa a S. Silvestro fu il Giorgione, che poi decorò il Fondaco dei Tedeschi, nani-barbaro.jpglasciando una facciata al Tiziano che vi raffigurò la Giuditta e un compagno di Calza.

imagesCAZZ39IB.jpgPalazzo Soranzo.jpgPisani Gritti.jpgGiorgione si prodigò anche per il Pisani-Gritti ed il Soranzo, ma il primato di pittore più prolifico spetta al Tintoretto, che affrescò una dozzina tra case e palazzi: il più noto è il Palazzo Soranzo dell’Angelo, dove raffigurò una battaglia tra cavalieri.

Palazzo Erizzo.jpgPalazzo Cappello.jpgIL Pordenone affrescò invece il Chiostro di S, Stefano, con scene tratte dai due Testamenti, mentre il Veronese decorò Palazzo Erizzo, Bellavite, Cappello e Nani-Barbaro. Dei grandi murales antelitteram di cui ora, a quattrocento anni di distanza, si cerca di recuperare quel poco, anzi pochissimo che è rimasto.

Solo immaginare lo scintillio dei vari colori riflessi sul Canal Grande, le figure dipinte con maestria, tutto, in questa nostra città era motivo e forma d’arte: uno scenario straordinario di cui tutti i veneziani facevano parte, come i personaggi di un quadro di Canaletto, con la loro gioia di vivere, il loro entusiasmo e la loro capacità di creare un’unico, meraviglioso dipinto: qualcosa di questi colori è comunque rimasto, anche se i bagliori dell’acqua riflessa sui vetri molati, sulle decorazioni d’oro già da sole possono cambiare e rendere unica la luce che inonda questa straordinaria città – Repubblica.

 

 

 

 

 

 

 

 

Gen 23, 2012 - Carnevale, Esoterismo, Luoghi, Misteri, Personaggi, Società veneziana    Commenti disabilitati su Arlecchino, dalle origini ai mille colori del Carnevale a Venezia

Arlecchino, dalle origini ai mille colori del Carnevale a Venezia

Delle maschere più famose, proposte dal grande autore veneziano Carlo Godoni, figura Arlecchino: nato nel bergamasco e dipinto come un servitore sciocco, ma rivalutato proprio dal grandissimo commediografo veneziano che lo ripropose come figura sveglia, fuba, maliziosa e vincente: quasi diabilica ..legata quindi alla sua origine.

Arlecchino nasce dalla “contaminazione” dello Zanni maschera di origine bergamasca con l’antico demone ctonio (cioè demone riguardante la terra), poichè questo era il nome di questo demone. Nel XII secolo Orderico Vitale nella sua ” Historia Ecclesiastica” racconta dell’apparizione di una “familia Harlechini” cioè una processione di anime maschera di Zanni.jpgZanni (Harlequin).jpgzanni personaggio.jpgInferno%2022_139-140%20Alichino%20e%20Calcabrina.jpgmorte guidate da un demone gigantesco.

Dante Alighieri evoca l’Alichino nell’inferno della sua divina Commedia, il quale appare come capo di una schiatta diabolica.

La nera maschera stessa che Arlecchino porta sul volto conserva un ghigno demoniaco.Il nome stesso deriverebbe dal germanico Holie Honig (re dell’inferno), trasformato poi in Hellekin, quindi in Harlequin. In tutta l’Europa centro settentrionale c’era la credenza pagana che nel periodo invernale, in occasione di ricorrenze maschera di Arlecchino.jpgparticolari come la notte di Valpurga si svolgesse una caccia selvaggia composta di spiriti dannati.

Tristano Martinelli.jpgArlecchino 1.jpgArlecchino.jpgCol tempo l’aspetto e il significato demoniaco diventano sempre meno importanti, e Arlecchino diventa lo Zanni un pò imbranato, quasi suonato: Son Arlechin batòcio, orbo de na recia e sordo de un’ocio ” (batocio inteso come batacchio della campana), a volte furbo, a volte sciocco, come potevano essere i servi nelle commedie di Plauto.

Arlecchino approda quindi alla commedia dell’arte: il primo conosciuto fu Alberto Naselli, conosciuto come Zan Ganassa, nella seconda metà del 1500, seguì poi Tristano Martinelli, nel 1600, il cui ritratto nelle gallerie dell’Accademia di Venezia assomiglia in modo inquietante al grande commediografo ed attore Eduardo del Filippo.

Marcello Moretti arlecchino 1.jpgMarcello Moretti.jpgAltri Arlecchini importanti furono Dominique Biancolelli,Evaristo Gherardi, Carlo Bertinazzi, Tommaso Visentini, ed in seguito Antonio Sacco, che per primo recitò nelle commedie del Goldoni e poi in quelle di  Carlo Gozzi Gli ultimi grandi e famosi Arlecchini: Marcello Moretti e il grande Ferruccio Soleri.

Furbo, sempre affamato, un pò imbroglione, tuttofare, questa maschera carica di brio è uscito ormai dalla Commedia dell’Arte e sembra aver preso una vita tutta propria,  la capacità di esprimere l’arguzia, l’allegria, la trasgressione e, con il suo costume fatto di pezze colorate come le mille sfaccettature Arlecchino di Ferruccio Soleri.jpgFerruccio Soleri.jpgFerruccio Soleri Arlecchino.jpgSoleri.jpgdell’animo umano l’immagine stessa del Carnevale.

Gen 21, 2012 - Arte, Arte e mistero, Luoghi, Misteri, Società veneziana, tecnologia, Tradizioni    Commenti disabilitati su Scoperte di tesori d’arte sotto i capolavori a Palazzo Ducale a Venezia

Scoperte di tesori d’arte sotto i capolavori a Palazzo Ducale a Venezia

Guariento-ncoVerginegrande.jpgSala del Maggior Consiglio.jpgNel 1903 gli addetti alla conservazione delle opere artistiche di Palazzo Ducale a Venezia, consapevoli dell’usura a cui era sottoposto l’enorme quadro del “Paradiso”  del Tintoretto, decisero di rimuoverlo per poterlo restaurare; una volta rimossa l’enorme tela ai loro occhi apparve un affresco: un assoluto capolavoro della pittura gotica di Venezia: l’incoronazione della Vergine del Guariento.

Egli era il più noto artista di Padova, pittore di corte dei Carraresi. Nato verso il 1310, già nel 1338 era riconosciuto “maestro”, in un’epoca in cui era ancora vivissimo il ricordo di Giotto, che aveva ultimato in quella città la Cappella degli Scrovegni nel 1306. 

Palazzo_ducale,_affreschi_di_guariento_01.jpgNel 1351 aveva già dipinto un affresco di “Incoronazione della Vergine” nella chiesa di S. Agostino  a Padova e poco dopo avrebbe decorato la Cappella dei Carraresi, di cui resta una bellissima schiera di Angeli sulla tavola, nella quale, distaccandosi da Giotto, l’artista è ancora più sensibile alla pittura veneziana di antica tradizione bizantina.

L’affresco di Palazzo Ducale è di circa venti metri di larghezza, doveva avere un’incantevole profusione di ornamenti d’oro e d’argento, che culminavano in un’immensa costruzione di figure di Santi, di aureole, di schiere angeliche, di vari colori secondo il grado gerarchico, legate assieme oltre che dagli stalli anche dai grandi cartigli nei quali i profeti, i santi e gli angeli indicavano i motivi di gloria della Vergine, secondo la cultura del tempo, con profusione di lussuosa eleganza nelle vesti, in un’atmosfera di liricità composta e pensosa.

L’affresco era stato nominato anche dal Sansovino ” Il cielo compartito a quadretti d’oro ripieni di stelle”; il Pallucchini commentava: dopo la Palazzo_ducale,_affreschi_di_guariento_03.jpgdecorazione musiva di San Marco , è questo il primo gaudioso tentativo di decorare a Venezia una grande superficie, e non più a mosaico, ma ad affresco”.

tintoretto_paradiso1.jpgL’opera venne compiuta dal 1365 al 1368, e ricopriva la parete di fondo della Sala, nella medesima posizione dove fu appunto posto(dopo l’incendio del 1577 che in parte lo danneggiò) il Paradiso del Tintoretto, nel 1590.

Il soggetto del Guariento è lo stesso preso due secoli più tardi dal Tintoretto e rappresenta ” L’incoronazione della Vergine e la corona celeste”. Sotto  il Trono della Vergine vi erano dei versi, ora quasi illeggibili, che Dante Alighieri avrebbe dettato per questo tipo di composizione tanto diffuso nel trecento:

“L’Amor che mosse già l’eterno Padre
Per figlia haver de sua deità trina
Chostei che fu del Suo Figliol poi madre
De l’universo qui fa la Regina”

stampa del Guarienti.jpgI versi richiamano l’inizio del Canto XXXIII del Paradiso del Sommo Poeta, e sono a commento dell’incoronazione della Vergine da parte di Cristo in un alto trono, attorno al quale si trovano gli evangelisti con angeli, musicanti, serafini, cherubini, profeti, apostoli, martiri e santi in una speciale distribuzione di scanni a schiera, secondo gli ordini delle varie gerarchie.

Palazzo_ducale,_affreschi_di_guariento_07.jpgCiò che si è potuto salvare di tale capolavoro si trova in una stanza adiacente alla Stanza del Maggior Consiglio, e si può ammirare in tutto il suo splendore, enigma ed arte unica a Palazzo Ducale..piccola parte di tutti i tesori artistici che rendono unico questo Palazzo e la città di cui è emblema.

Femminilità, cultura e potere delle donne veneziane: storie nella storia.

Importante e determinante nella cultura veneziana è stato il ruolo delle donne: donne intellettualmente curiose, aperte, assertive che si ponevano come persone attive di quella società, lavorando, mantenendo i contatti sociali, avendo anche, nei casi delle donne più abbienti ,l.a propria indipendenza economica

Partiamo quindi dai vanti che possiamo proporre al mondo, come veneziani, come persone aperte e lungimiranti.

Caterina Cornaro.jpgIl primo esempio di donna veneziana colta, aperta al mondo e dedita al conseguimento della Serenissima del suo predominio nel Mediterraneo ed in Europa fu Caterina Cornaro, Regina di Cipro nata il 7 novembnre del 1454 del Marco Corner e Floriana Crispo. Cresciuta ed educata in un monastero a Padova, venne data in sposa il 30 luglio del 1468 a  Giacomo Secondo di Lusignano, re di Cipro.

Era incinta del loro figlio quando il marito e tutti i suoi parenti vennero trucidati nella notte del 13 novembre 1475 da nobili Catalani, istigati dal Re di Napoli e dal Duca di Savoia, e, a malincuore lasciò a questo punto la guida del Regno di Cipro alla Serenissima, avendone in cambio il titolo didiletta figlia della Repubblica”, ed una corte, piccola ma nutrita di artisti ed intellettuali ad Asolo (Giorgione, Lorenzo Lotto, Pietro Bembo ecc..) ora le sue spoglie sono accolte dalla chiesa dei SS. Apostoli a Venezia.

Se andate in Calle Carboni a Rialto, ecco che, incassata nel muro di quello che è il Municipio di Venezia c’è una lapide, dedicata ad Elena Cornaro, la prima donna che si è laureata al mondo, in filosofia e Teologia al Bò di Padova il imagesCAAOWU0J.jpguniversità.jpg25.06.1608.

Oltre a ritratti che la immortalano, c’è una statua all’università di Padova che la ricorda, e pure una vetrata, al Wasser College.

Certo la libertà di pensiero e l’orgoglio dei genitori l’hanno aiutata a realizzarsi in questo suo sogno ,in cui  ha dimostrato che le capacità maschili e femminili sono simili. Orgoglio per lei, ed orgoglio per l’apertura mentale delle classi dirigenti e degli insegnanti a Venezia ( ed anche Padova, all’epoca prima Università al mondo).

imagesCAAX53AP.jpgimagesCA3EJ5LG.jpgimagesCA2UC061.jpgimages.jpgìCarriera 3.jpgChe dire poi di Rosalba Carriera,(1675-1757) ritrattista e grande musicista, richiesta da tutte le casi regnanti dell’epoca per ritrarre le famiglie reali; Fu lei ad eseguire il primo ritratto di Luigi XV bambino. Una buona parte dei suoi dipinti è conservata alle Gallerie dell’Accademia a Venezia.

Non ultima per meriti, ma prima per la capacità di dare vorrei ricordare Veronica Franco (1546-1591).

La società rinascimentale di Venezia riconosceva due diversi tipi di cortigiane: la cortigiana onesta, ossia l’intellettuale, tipo geisha, e la cortigiana di lume, quella che si offriva sul ponte delle Tette alle Carampane.

franco 2.jpgVeronica Franco fu probabilmente il più celebre esempio di cortigiana onesta, anche se non fu l’unica intellettuale in una Venezia rinascimentale che vantava una cultura raffinata e annoverava numerosi talenti in ambito letterario e artistico.

Già lei figlia di una cortigiana onesta venne introdotta nell'”arte”dalla madre, e, aiutata dalle proprie doti naturali, contrasse giovanissima matrimonio con un ricco medico, ma il matrimonio finì male.

Per mantenersi diventò una cortigiana d’alto rango.. Secondo le cronache un suo bacio  costava 5 o 6 scudi, il servizio completo 50 scudi.

imagesCAIX4I67.jpgGrazie alle sue amicizie con uomini facoltosi ed esponenti di spicco dell’epoca divenne molto famosa. Ebbe perfino una liason con il re Enrico III di Francia. Quindi fu inserita nel Catalogo di tutte le principale et più honorate cortigiane di Venerzia.

imagesCAQGQT7D.jpgimagesCAMEHJXH.jpgLa Franco scrisse due volumi di Poesia: Terze Rime nel 1575 e Lettere familiari a diversi nel 1580.

imagesCATNO4MT.jpgPubblicò  raccolte di lettere e raccolse in un’antologia le opere di scrittori famosi, Dopo il successo di questi lavori fondò un’istituzione caritatevole a favore delle cortigiane e dei loro figli.

imagesCAUG3NV9.jpgNel 1575 scoppiò la peste a Venezia, e lei fu costretta ad allontanarsi , subendo così il saccheggio della sua casa, ed al suo ritorno dovette subire un processo  dell’Inquisizione in cui fu accusata, ma poi assolta, di stregoneria( cosa assai comune per le cortigiane). Morì, si dice, in povertà nel 1591.

 

libro di isabellacortesi.jpgAltra donna famosa, intellettuale e studiosa fu Isabella Cortese, nobildonna del 1500, alchimista e studiosa che si occupò dell’aspetto fisico delle donne, e pubblicò. assieme ad un’altra studiosa, Floriana Canali, “Secreti”, un libro dedicato alle arti ella cosmesi, appunto.

Cecilia Venier Baffo.jpgAltre due donne, famose, intelligenti e volitive, dettero lustro con la loro cultura, con le lor capacità, all’espansione della Serenissima: Nipote del Doge Sebastiano Venier, Cecilia Venier Baffo, con il nome arabo di Noor Banu  (Pincipessa della luce)divenne la sposa di Solimano il Magnifico nell’anno 1537, e dette alla luce l’erede al trono, oltre ad altri quattordici figli. Fu comunque donna di cultura che trattenne profondi ed interessanti rapporti epistolari con Elisabetta I di Inghilterra e Caterina de Medici, divenuta  Regina di Francia.

 

Bianca Cappello.jpgNel frattempo, pedina già costruita e preparata dalla Repubblica, ma donna forte, capace ed assertiva, si dimostrò Bianca Cappello, nata da famiglia nobile, ed avviata dalla zia, sorella del Doge Andrea Gritti, all’arte della Cortigiana Onesta, ed accompagnata passo, passo, alla conquista del cuore del Granduca Francesco I di Toscana, di cui divenne, dopo diverse vicissitudini, moglie, ed anch’essa nominata, con gran pompa “diletta figlia della Serenissima”.

 

imagesCAMQ9S75.jpgDonne diverse, donne ricche, donne che si sono conquistate la possibilità di perseguire i propri sogni e le proprie capacità intellettuali in uno stato che ha dato loro l’opportunità di farlo, rispettando anche le povere, piccole cortigiane affacciate sul ponte delle Tette che comunque, al difuori del loro “lavoro” venivano considerate cittadine a tutti gli effetti, e rispettate.

Concludo con le parole di Veronica Franco: Se siamo armate ed addestrate siamo in grado di convincere gli uomini che anche noi abbiamo mani, piedi ed un cuore come loro. e anche se siamo deboli e tenere , ci sono uomini delicati che possono essere anche forti e uomini volgari e violenti che sono dei codardi. Le donne non hanno ancora capito che dovrebbero comportarsi così, in questo modo riuscirebbero a combattere  fino alla morte e per dimostrare che ciò è vero, sarò la prima ad agire, ergendomi a modello.

 

 

Prendersi a pugni sul ponte

7-Ponte dei Pugni.jpg

Desidero accompagnarvi in un ipotetico percorso   lungo il sestiere  di  S.Croce, uno dei sei che formano la città. Gli altri sono Dorsoduro, S. Polo, Cannaregio, S. Marco  e Castello. I sestieri sono rappresentati a prua delle gondole come il pettine formato appunto da sei punte. Da Piazzale Roma proseguiamo verso i Tolentini, e con tranquillità, si arriva in Campo S. Barnaba  (proprio vicino ad una sede dell’università di Cà Foscari).

Siamo a Dorsoduro: eccoci quindi arrivati alla prima curiosità. Un ponte, sembra uno qualsiasi ma qualsiasi non è . Fino a qualche tempo fa era privo di spallette, e la sua sommità sembra un ring ai quattro lati sono impresse delle orme di piedi, dove venivano raffigurate, in un vero incontro di box. le postazioni dei contendenti. Non è l’unico ponte di questo tipo, ma è comunque un esempio della pragmatica lungimiranza del governo della Serenissima.

I membri dei vari sestieri covavano spesso inimicizie, invidie e diatribe con i componenti di altri sestieri: in questo caso erano i Castellani che non riuscivano sicuramente ad accordarsi con i nicolotti-

 Facile quindi prendere fuoco per una frase mal riferita, per una provocazione, ma, visto che l’omicidio era condannato8-Orma del Ponte dei Pugni.jpg con la pena di morte, i Dogi avevano scovato un rimedio giusto per tutti i mali: due contendenti di un Sestiere e due dell’altro si mettevano in postazione, i piedi posti sopra le orme scalfite sulla pietra e poi via, scazzottate a tutto spiano, che un po’ alla volta coinvolgevano anche trecento, quattrocento persone.

Essendo il ponte sprovvisto di spallette, chi veniva colpito in modo netto finiva in acqua, ma senza farsi male, perché il canale veniva costantemente dragato in modo che la nuotata contribuisse a ridare un po’ di lucidità ai contendenti, fino a quando, soddisfatti tutti, la disputa veniva dichiarata conclusa. Era un sistema molto saggio per far sfogare i livori senza violenze vere e proprie, in una città in qualche modo molto piccola, dovecomuque tutti dovevano e si sentivano chiamati a collaborare per la sua vita e per il suo splendore.

9-Stampa del Ponte dei Pugni.jpg

Carlo Goldoni: il narratore dello spirito veneziano

Carlo Goldoni.jpgIl più grande narratore ed interprete della Venezia del 700 nacque nella Serenissima il 25 febbraio  del 1707, e morì a Parigi il 6 Febbraio 1793.
Figlio di Giulio Goldoni e di Margherita Salvioni andò a vivere a Perugia dove il padre faceva il medico e studiò Filosofia a Rimini.

Scelse di laurearsi a Padova in Legge a causa dell’improvvisa morte del padre, quindi tornò a Venezia, intraprendendo la carriera forense.

Nel 1734 incontrò a Verona il Capocomico Giuseppe Imer, e, attratto com’era dal Teatro, ottenne dal ” San Samuele” di Venezia di scrivere i testi per il Teatro della famiglia Grimaldi. Stando a seguito della Compagnia della Commedia dell’Arte incontrò Nicoletta Conio, e la sposò.

Commedia di Carlo Goldoni.jpg225px-Casa_Goldoni.jpgE qui ebbe inizio la sua avventura di narratore di Venezia, della venezianità, del sapido gusto per la battuta pronta, della valorizzazione della donna che nella Repubblica era rispettata e tenuta in considerazione.

La prima commedia che scrisse per il Teatro San Samuele fu il Momolo Cortesan, a cui fece seguito ” La donna di Garbo”.Dopo l’abbandono della città  per via dei debiti che aveva accumulato, potè rientrare nel 1748, ed iniziò a scrivere commedie come; L’uomo prudente, la  Vedova Scaltra, La putta onorata, La buona moglie, La famiglia dell’antiquario ecc.

Ebbe modo di realizzare diverse Commedie per i Teatro Comico come: La Bottega del Caffè, ed altre. Non voglio fare un elenco di titoli, enorme e ricco, ma volevo soffermarmi sulla sua capacità di descrivere la realtà di una Venezia e dei veneziani, scritta con il linguaggio che i La Bottega del Caffè.jpgIl Campiello.jpgLe Baruffe Chiozzotte.jpgveneziani usavano tutti i giorni, e di utilizzare varie situazioni che si potevano riscontrare quotidianamente: meravigliose la sua “Bottega del Caffè”, il ” Campiello” le Baruffe Chiozzotte, scritte nel periodo in cui ha vissuto a Chioggia,” Una delle ultime sere di Carnevale”  ma in assoluto il suo descrivere la donna veneziana, il suo “morbin”, cioè quella vivacità di rispondere battuta a battuta, di sapersi destreggiare con le avances degli uomini, non facendo le bacchettone, ma districandosi con tatto, vivacità ed allegria, dando all’uomo stesso la sensazione di essere comunque conquistato e gradito: ” e lor Signori ancora profittino di quanto hanno veduto in vantaggio e sicurezza del loro cuore, e quando mai si trovassero in occasione di dubitare, di dover cedere, di dover cadere, pensino alle malizie imparate, e si ricordino della “Locandiera”, queste sono La locandiera.jpgle parole di Mirandolina, la protagonista di questo capolavoro.

200px-Baldassare_Galuppi_Memorial.jpg300px-Chioggia-Casa_Goldoni-DSCF0140.jpgNelle sue commedie furono utilizzati i personaggi della Commedia dell’Arte, ma non come improvvisatori (come Antonio Sacchi, che nell’Arlecchino, servitore di due padroni intepreta Truffaldino) ma gli attori iniziarono allora a seguire un testo, una trama ben precisa.

Le sue maschere preferite furono Pantalon de Bisognosi, Arlecchino e Brighella, che esprimevano proprio le varie sfaccettature dei personaggi che vivevano a Venezia, e che ne formavano il tessuto sociale.

Triologia della Villeggiatura.jpgSior Todero Brontolon.jpgGoldoni si espresse anche come librettista per opere serie, Come “Gustavo I° Re di Svezia, musicata da Galuppi, allievo di Benedetto Marcello e nato a Burano nel 1706, ed altre, mentre molte furono le opere giocose, sempre musicate dal Galuppi, come ” Il mondo alla roversa ossia Le donne che comandano” o il Paese della Cuccanga. Tra Galuppi ed altri musicisti scrisse circa 45 libretti di opere giocose, e quattro di opere drammatiche.

Da non dimenticare la triologia della Villeggiatura, gustosa e sapida “testimonianza” dei personaggi veneziani nelle ville della Riviera del Brenta.

carlo gozzi.jpgIl suo nemico feroce ed estremamente critico fu Carlo Gozzi, che lo accusava di volgarizzare e di distorcere la realtà veneziana, ma i veneziani, in cuor loro, sapevano e sanno benissimo che questo testimone, narratore..ironico, divertente ha colto l’anima di quella città e di quell’epoca, che comunque per alcuni versi rimane tale e quale ancor oggi…ad esempio LE DONNE VENEZIANE.

monumento a Carlo Goldoni 1.jpgmonumento a Carlo Goldoni.jpgDall’alto della sua statua, in Campo San Bartolomio, egli sorride a  coloro che  passano, magari con un colombo sul tricorno, ed ogni veneziano che passa li sotto, in cuor suo, gli sorride complice e gli strizza l’occhio!”

 

 

 

Fantastici canali e rii sinuosi della magica Venezia

Canale di Cannaregio 3.jpgCanale di Cannaregio 1.jpgCanale di Cannaregio.jpgCanale della Giudecca 2.jpgCanale della Giudecca 1.jpgCanale della Giudecca.jpgDelle  vie Canal Grande 2.jpgd’acqua di Venezia i Canali, sono quelli esterni alla città, che solcano la Canale di Cannaregio 4.jpgCanal Grande 1.jpglaguna aperta e all’interno sono quelli più Canal Grande 3.jpgCanal Grande 4.jpgCanal Grande 5.jpglarghi ed importanti, come il Canale della Giudecca, il Canal Grande e il Canale di Cannaregio. Tutte le altre Canal Grande 6.jpgvie d’acqua si chiamano rio; a volte assumono il diminutivo di “riello” o addirittura di “rio menuo” (rio minuto).

Rio 1 a Venezia.jpgI rii sono in genere canali molto stretti e spesso con andamento sinuoso, data la loro derivazione fluviale, ed è per questo motivo che la forma di Venezia è stata condizionata nel suo sviluppo fin dalle origini, e ciò per ragioni costruttive.
Infatti tutti gli edifici di Venezia sono poggiati direttamente o attraverso palificazioni  su uno strato particolarmente resistente formato di argilla e sabbia compresse chiamato “caranto”, che si trova a qualche metro di profondità.

rio 3.jpgrio 2.jpgE’ stato accertato che nell’alveo dei canali lo strato di caranto molto spesso viene eroso, parzialmernte o del tutto, dall’alternarsi delle maree e, un tempo, dalle correnti fluviali; al posto del caranto allora si deposita della melma o altro materiale “incoerente”, non adatto perciò a portare carichi.

rio 4.jpgEcco perchè le costruzioni sul terreno lagunare debbono rispettare l’andamento irregolare dei rii che sono stati talvolta interrati per migliorare la viabilità, ma non certo per costruirvi sopra.

Di conseguenza le facciate di molti palazzi hatto una linea decisamente curva, come ad esempio i palazzi gotici di Campo San Polo (un tempo fiancheggiati da un rio) o come il Palazzo Palazzi in Campo San Polo.jpgPalazzo Soranzo in Campo San Polo.jpgQuerini Stampalia a Santa Maria Formosa, o il fianco di Cà Pesaro.

Per la medesima ragione si sono formate certe labirintiche sistemazioni stradali, soprattutto nelle zone più antiche, come nelle zone di San Marco, S. Polo e Santa Croce: esse sono il risultato di un ingegnoso adattamento per sfruttare al massimo il poco e irregolare terreno disponibile.

Alcuni canali o rii sono fiancheggiati solo da edifici che sorgono direttamente dall’acqua, come il Canal Grande, e numerosi rii interni come Rio Laterano o Rio S. Polo, altre volte Palazzo Querini.jpgPalazzo Pesaro.jpgvista dall'alto di San Marco.jpgda una parte vi sono palazzi e dall’altra una via pedonale chiamata “fondamenta”, come Rio S. Alvise, Rio della Sensa, S. Lorenzo.

rio 6.jpgrio 5.jpgAltri invece sono fiancheggiati su entrambi i lati da fondamente ed edifici, come il Canale di Cannaregio, Rio Marin, Rio S. Trovaso. In questi rio 7.jpgcaso la via d’acqua non è altro che una parte di un complesso di differenti viabilità e di un unico sistema urbano a rio a Venezia.jpgcarattere lineare (edifici, fondamente, rio, ponti) molto razionale e fra i più diffusi in città.

Lo stretto intreccio tra le costruzioni e l’acqua, su cui e di cui vive Venezia è fonte di questi ingegnosi adattamenti, frutto dell’intelligenza e della capacità dei Veneziani di  vivere pienamente il proprio territtorio, in un delicato e meraviglioso equilibrio.

 

 

 

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