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La musica a San Marco e le armonie di Venezia

Processione in Piazza San Marco.jpgBasilica 1.jpgBasilica.jpgBasilica di San MaRCO.jpgDal 1500 al 1700 Venezia divenne il centro della musica per tutta Europa.La Basilica di San Marco, come descritto nella ” Guida ” del Sansovino, nell’edizione che fece il suo canonico, Giovanni Stringa, nel 1604 dà un’immagine ben configurata del significato religioso e politico della Chiesa nello Stato Veneziano.

Il Doge aveva piena giurisdizione, come “patronus et gubernator ecclesiae” ed era sua facoltà nominare il “primicerio” (primo sacerdote della Chiesa) con autorità simile a quella di un vescovo, e che per legge doveva appartenere alla nobiltà veneziana, di età superiore ai 25 anni, provveduto da Governo di un buon reddito adeguato alla sua posizione giuridica.

Primicerio e Chiostro di S. Apollonia a Venezia.jpgIl Primicerio aveva il diritto, per concessione dei vari papi, di celebrare già dal 1200 con la mitra, il pastorale, l’anello e il rocchetto vescovile, dare indulgenze e consacrare sacerdoti.

Al Primicerio seguiva il Vicario, poi venivano 24 Canonici e tutta una serie di addetti ai vari servizi, come se si trattasse di una vera e propria corte.

Il Maestro di Cappella era invece il primo musicista della Città, il Proto l’architetto “principe” che soprintendeva la Chiesa e il Palazzo Ducale, edifici considerati insieme come sede del Governo. Nel 1580 l’abitazione del Primicerio venne stabilita nel Convento di Sant’Apollonia, al dilà del Ponte della Canonica.

E la musica era quindi un elemento importante e primario nei compiti di questo Governo della Chiesa: L’ordine de officiar nella Basilica di San Marco, dice il Sansovino, è secondo l’uso della chiesa costantinopoliana, ma non molto differente dalla romana, ma tanto assiduamente che nulla più. E quanto alle cose necessarie per questo negotio, la spesa di ogni anno passa di dodicimila ducati, cun ciò che sia che vi sono provisionati due organisti dè primi d’Italia, con grosso stipendio. Il Maestro di Cappella con gran numero di cantori, i canonici e i sottocanonici ecc.

spartito di Giovanni Gabrieli.jpgorgano di San Marco.jpgGiovanni Gabrieli 1.jpgGiovanni Gabrieli.jpgAndrea Gabrieli.jpgMentre lo Stringa scriveva questa parole era organista a San Marco Giovanni Gabrieli, succeduto nel 1585 allo zio Andrea Gabrieli, e l’antico storico rivolge a Giovanni Gabrieli un giudizio che resterà memorabile: ” Il suono di quest’organo soavissimo è tanto più soave quanto che viene dal più eccellente organista ch’abbia oggidì la nostra Italia sonato; e questo è Giovanni Gabrieli, degno di lode per la rara et singolare virtù che regna in lui in simile professione”.

Alla morte di Gabrieli, nel 1613 venne chiamato a sostituirlo nel ruolo Claudio Monteverdi, che rimase per trant’anni in carica, fino alla sua morte.

Si ha notizia di una singolare gara tra due organisti di San Marco, Francesco Landino e Francesco di Pesaro, svoltasi nel 1300 dinanzi al Re di Cipro, e vinse il Landino.

Spartito del Legrenzi.jpgTomaso Albinoni.jpgGiovanni Legrenzi.jpgInterno Basilica.jpgNel frattempo a Venezia si esibivano e componevano artisti quali Giovanni Legrenzi (agosto 1626 – Venezia 27 Maggio 1690) e che divenne maestro di Cappella a San Marco nel 1681. Egli fu il maestro di Tomaso Albinoni (Venezia 1671-1751).

 

E in questo periodo condivisero la loro sapienza e la loro arte, Baldassarre Galuppi (Burano 17 ottobre 1706, 3-1-1785) allievo di Benedetto Marcello (Venezia, 31 luglio 1686, Brescia 24 luglio 1739) a cui è dedicato il Conservatorio di Musica di Venezia, nel Palazzo Pisani in Campo Santo Stefano, ed il grande Antonio Vivaldi,200px-Baldassare_Galuppi_Memorial.jpg200px-Benedetto_Marcello.pngConservatorio.jpg(Venezia 4 marzo 1678-Vienna 28 luglio 1741) il famoso Antonio Vivaldi.jpgspartito di Antonio Vivaldi.jpgprete rosso, che con i suoi insegnamenti fece diventare famose le musiciste, le sue “putte” ospiti della Pietà di Venezia, l’orfanotrofio di questa città, a cui si aggiunsero un pò alla volta alte pie istituzioni, come la Misericordia, gli Incurabili, le Zitelle ed altri “hospitali” a cui i nobili di tutta europa facevano a gara per iscrivere in educandato le proprie figlie.

le putte di Vivaldi.jpgLe putte.jpgE in tutta Europa erano famosi i concerti a cui accorrevano ed assistevano nobili, ricchi mercanti e tutti i musicofili.

L’ultimo grande compositore veneziano fu Luigi Nono (Venezia, 1924 -1990).

Venezia, con la sua armonia d’acqua, con lo sciabordio incantato ed incantante della laguna faceva ancora una volta da sottofondo all’arte che qui è profusa in tutte le sue forme ed espressioni.

 

Vivaldi e la sua Venezia

17 1.jpgSplendore, decadenza, erotismo e santità, ecco il fascino che produce una società quando ha ormai alle proprie spalle il proprio apice è indiscutibile.

L’Europa aveva giù concluso i suoi giochi, ed il Leone di S. Marco era uscito ridimensionato.Ma quanto orgoglio, quanta astuzia politica e quanta voglia di vivere per le calli della Serenissima!

La raffinata costituzione politica, le ferme prese di posizione contro le brame del Papa, le battagle eroiche vinte contro l’impero Ottomano ed un fiorire splendido delle arti, svaghi e passioni  rendono la Venezia di quegli anni unica, irrinunciabile.

imagesCAERLR6J.jpg17.jpgI fremiti che scorrevano tra calli e campielli donavano un’atmosfera  dove il vizio si mescolava alla fede, dove il gioco era praticato con passione, così come l’amore per le cortigiane, e le composizioni musicali assecondavano il gusto di ogni ceto sociale.

17 3.jpgNel 1740 sommando locande, botteghe del caffè ed osterie arrivavano a seimila circa, per cui gioia di vivere, voglia di godere dei piaceri della vita, della socializzazione e degli incontri.

Cà Rezzonico.jpgCà Pesaro.jpgSan Stae.jpgAnche dal punto di vista architettonico la città si arricchì di altre imponenti opere: S. Rocco, S. Vidal, S. Tomà, le facciate dei Gesuiti di S. Stae, Cà Pesaro, Cà Rezzonico, la nuova pavimentazione di San Rocco.jpgPiazza S. Marco.

imagesCAN3NK4N.jpgimages.jpgQuesta era la città ai tempi di Antonio Vivaldi, colonna sonora di queste penombre, di questo bisbigliare tra le calli, dell’amoreggiare nelle gondole coperte, delle feste con le dame ingioiellate e imagesCABS684P.jpgabbondantemente scollate.

Nato a Venezia il 4 marzo del 1679, avviato allo studio del violino dal padre (morì a Vienna il 28 luglio 1741), gracile e sofferente d’asma, i capelli rossi, era un prete anomalo, con una smisurata foga compositiva e non propriamente in odore di castità.

Ma Venezia concedeva questo ed altro, per un certo periodo anche Casanova divenne parte del Clero, per cui esisteva la massima libertà, anche se una parte degli esponenti della chiesa si lamentavano per la troppa improntitudine dei più libertini.

1700 1.jpgAnche il rapporto con l’altro sesso era molto particolare per i veneziani, in città si amoreggiava praticamente ovunque, e durante il carnevale che iniziava il 26 dicembre e finiva il martedì grasso, con l’aiuto della Bauta andavano bene anche calli e campielli.

Come stupirsi quindi se Vivaldi, che celebrò soltanto una messa, si accompagnava ad un’amante, forse a due.

Era nei teatri che la vita artistica e musicale toccava i vertici per qualità, livello del pubblico, assoluta notorietà. Disse Rousseau che era impossibile sentir cantare come a Venezia.

San Moisè.jpgTeatro Malibran.jpg1700 2.jpgSan Samuele, San Giovanni Crisostomo (l’attuale Malibran), San Cassiano, S. Angelo, San Moisè erano i nomi dei Teratri più famosi di Venezia. Quando iniziava la Stagione operistica di Venezia, che coincideva con il Carnevale, se ne avevano echi in tutta Europa.

Teatro S. Angelo.jpgE fu al Teatro S. Angelo che Vivaldi debuttò comer autore dell'”Orlando finto pazzo” nel 1714, la sua prima opera veneziana, e collaborò molto sporadicamente con il San Samuele e il San Moisè.

Ogni sera si eseguivano concerti, nei palazzi e nelle chiese, anche nella Basilica di San Marco, che ospitava nella cappella Monteverdi.jpgdel Doge la Schola Cantorum, massima istituzione musicale che vantava tra i suoi componenti  i due Gabrieli e Claudio Monteverdi.
A questo proposito è bene ricordare che il governo era rigorosamente laico, e che la Basilica di S. Marco divenne cattedrale di Venezia solo alla caduta di questo sistema politico. Una situazione che incentivò il mecenatismo di stato che era attivo a Venezia fin dal Medio evo.

Delle famose, straordinarie artiste ” le Putte ” di Vivaldi parleremo la prossima volta.

 

 

 

 

 

Le Compagnie della Commedia dell’Arte a Venezia

400px-Commedia_dell%27arte_-_troupe_Gelosi.jpgNel 1400 le rappresentazioni all’aperto divennero spettacoli riservati nelle feste date nei palazzi ed all’interno delle corti.Si formarono così le Compagnie della Commedia dell’Arte, che si spostavano di paese in paese.

Con la Commedia dell’arte nascono le prime maschere. Una delle prime compagnie nacque a Padova verso la metà del 500, e si esprimeva in padovano con il rozzo linguaggio del Ruzzante, ed i protagonisti non erano caratterizzati più di tanto, cambiavano di Commedia in °Commedia.

Colombina.jpgBrighella.jpgBalanzone.jpgArlecchino.jpgAntoine Watteau Commedianti italiani.jpgPiù avanti ecco che nacquero le prime maschere tutt’ora conosciute: Arlecchino, Brighella, Pantalone, Colombina, Zanni.jpgil dottor Balanzone etc. ognuna con proprie caratteristiche che trassero la loro origine dalla stilizzazione delle maschere del volto del demonio,ed erano le  maschere degli Zanni. Poi, naturalmente, ogni maschera acquisì le proprie caratteristiche ed i propri ruoli specifici.

marlecchino.gifArlecchino era il secondo Zanni, e rappresentava il servo furbo, sciocco, ladro, bugiardo ed imbroglione in eterno conflitto con il proprio padrone, che cercava di calmare le sofferenze di una fame insaziable. In seguito Goldoni gli dette delle caratteristiche lievemente diverse, e lo fece diventare anche servo fedele ed attendibile. Nel 1630 divenne famosissimo l’Arlecchino di Fernando Martinelli. Noi possiamo ricordare Marcello Moretti e Ferruccio Soleri.

Colombina, compagna naturale di Arlecchino, nella Compagnia degli Intronati nel 1530 era una servetta arguta e maliziosa, dalla parola facile, ma tendenzialmente onesta ( nel 1600 furono famose le Colombine di Isabella Biancolelli Franchina e di Caterina Biancolelli).

Brighella, maschera bergamasca era primo Zanni, e la sua maschera venne resa famosa dall’attore Carlo Cantù (1609-1676), egli era il servo intrigante e furbo, ed autore di inganni a Pantalone per favorire la coppia di innamorati rappresetnati sempre in quel tipo di commedie.  Poi, con Goldoni, divenne servo fedele e saggio.

Pantalone250.jpgPantalone.jpgPantalone, la vera maschera veneziana, chiamata così o da ” Pianta Leoni” come erano definiti i mercanti veneziani (per il vessillo delle loro navi) o dai pantaloni che portava, lunghi, sopra una zimarra rossa, maschera a becco e pantofole, la “scarsela” (la borsa dei denari) e un corto spadino. Era il mercante vero e proprio di Venezia. Nella seconda metà del 500 famoso fu il Pantalone dell’attore Giulio Pasquati.

Le Compagnie della Commedia dell’arte nacquero quindi a Venezia, e si espansero per l’Europa, creando accoliti ed estimatori.

Nel 1581 Le famiglie Tron e Michieli aprirono due teatri a S. Cassiano (demoliti poi nel 1812): dalle testimonianze di Francesco Sansovino, figlio di Jacopo, i teatri aprirono le porte anche al pubblico popolare.

Ferruccio Soleri Arlecchino.jpgMarcello Moretti Arlecchino.jpgCorte del Teatro S. Luca.jpgcompagnia teatrale.jpgA loro fecero seguito le famiglie Vendramin e Grimani che dall’inizio del 700 avevano quasi il monopolio degli spazi teatrali italiani e che fecero costruire il Teatro S. Giovanni e Paolo (ora non più esistente) ed il Teatro S. Luca.

Qui si ebbe il massimo fiorire della Commedia dell’arte, e una tradizione: gli inservienti portavano una maschera ed un tricorno, da qui il nome di “maschera” agli addetti nei cinema e nei Teatri ad accompagnare il pubblico al proprio posto.

Teatro S. Cassiano.jpgPantalone1.jpgPietro Longhi il Ciarlatano.jpgCarlo Goldoni.jpgL’apoteosi delle maschere della Commedia dell’Arte si ebbe con Carlo Goldoni che seppe dare un ruolo preciso a questi personaggi, creando gustosi e divertentissimi episodi di commedie, tutt’ora vive e vitali in tutti i Teatri del mondo.

La Corporazione dei Fritoleri a Venezia

a venezia.jpgL’indiscussa regina dei dolci veneziani è “la fritola”, ovvero la frittella.

Da sempre è stata considerata il dolce nazionale della Repubblica Serenissima, gustata non solo a Venezia ma in tutto il territtorio veneto – friulano, seppur con ricette diverse, fino ad arrivare in Lombardia.

La frittella veniva prodotta esclusivamente dai “fritoleri” che quasi a sottolineare questa loro ufficialità, nel 600 si costituirono in associazione.

imagesCARMW3E7.jpgLa Corporazione era formata da settanta fritoleri, ognuno con una propria area dove poteva esercitare in esclusiva l’attività commerciale e con la garanzia che a loro sarebbe potuti succedere solo i figli, tramandando quindi l’arte e l’attività in famiglia, di padre in figlio.

Questa attività ebbe fine solo negli ultimi anni dell’800.

La ricetta di questo dolce risale alla seconda metà del 300 e si tratta del più vecchio documento di gastronomia veneziana custodito presso la Biblioteca Nazionale Canatense a Roma, esiste poi una ricetta rinascimentale che si presenta come una sorta di appunto di cucina che è contenuta in una miscellanea di documenti del Fondo Correr (Museo Correr a Venezia).

imagesCAWQJ6Y3.jpgIn ogni caso l’invenzione viene attribuita a Bartolomeo Scappi, cuoco di Papa Pio VI, autore di trattati di gastronomia che hanno fatto la storia della cucina italiana.

imagesCAU3NRU3.jpgFrittelle.jpgLa corporazione dei “Fritoleri” riuscì ad ottenere dalla Serenissima il permesso di “frizer” nei campi “boccon da poareti e da siori”(così dicevano).

C’erano fritoleri che preparavano e friggevano i dolci all’aperto o chi si riparava sotto una baracchetta di legno.

imagesCAUWXH3M.jpgimagesCAC4YVDQ.jpgIl nobiluomo veneziano Pietro Gasparo Moro descrive così i fritoleri:
Hanno sempre sul davanti un pannolino che s’assomiglia al grembial delle donne, che sembra venuto allora fuor dal bucato. Tengono in mano un vasetto bucherellato con cui gettano del continuo zucchero sulla mercie, ma con tal atteggiamento che par vogliano dire: e chi sente l’odore e il sapore di questa cosa che noi inzuccheriamo?.

Mentre lo storico Giovanni Marangoni scriveva: Cuocitori e venditori a un tempo, impastavano la farina sopra ampi tavolati per poi friggerle con olio, grasso di maiale o burro, entro grandi padelle sostenute da tripodi.

A cottura ultimata le frittelle venivano esposte su piatti variamente e riccamente decorati, di stagno o di peltro. Su altri piatti, a dimostrazione della bontà del prodotto venivano esibiti gli ingredienti usati: pinoli, uvette, cedrini.

imagesCALWP2Y0.jpgfoto1251_1.jpgimagesCA1NCPXB.jpgDella frittella parla anche Goldoni nella sua Commedia il Campiello scritta nel 1756, e la conseguente opera musicale di Wolf Ferrari ispirata proprio a quella commedia.

Moro Lin in una sua memoria ne descrive a suo modo la ricetta: Composte da fior di farina di formento, rimpastate a lievito unito i pignoli e a zucchero, con uva che pendeva dai tralci delle viti calabre, vengono collocate nell’olio bollente.

E l’economista veneziano e noto buongustaio Ugo Trevisanato così descriveva le regole in versi rimasti famosi: ” La dev’esser gustosissima, cotta bene e ben levada, un pocheto inzucherada. Calda…o freda se volè”.

una fritola ebraica.jpgLa fritola contagiò anche la cucina ebraica che ne fece una propria versione ed ancor oggi viene preparata per la festa del Purim.

Azzardo la ricetta:

Mescolare in una terrina la farina 00 con latte, uova e zucchero, facendone un impasto abbastanza tenero, aggiungere un pizzico di sale, un pò di lievito di birra, uva sultanina bagnata ed infarinata, e si rimesta molto bene cercando che tutto si amalgami; lasciare il composto coperto a lievitare in un luogo tiepido per alcune ore.
Lavorare di nuovo il composto, aggiungendo se ce ne fosse bisogno un pò di acqua per rendere più fluido l’impasto e versare a cucchiaiate in olio bollente, e quando si rapprende voltarlo con una schiumarola fino a che prenda un colore marrone chiaro. Quando sono pronte levarle con la schiumarola e posarlas su canovaccio o carta assorbente, mettendoole a cupola su di un piatto, coperte da un velo di zucchero vanigliato.

Vigliaccamente non garantisco il risultato!

 

 

Quando il Sacro Graal era nascosto a Castello

La Basilica di S. Pietro di Castello si dice (vox populi) che sia stata custode del Sacro Graal. Per certo fu sede Patriarcale di Venezia fino al 1800, quanfo tale sede fu spostata alla Basilica di S. Marco.

37-Ciesa di S. Pietro di Castello.jpgFondata nel VII secolo sull’isola di Olivolo dove sorgeva un antico abitato inglobato nella nascente città di Venezia, secondo la tradizione, fu consacrata dal vescovo di Eraclea San Magno, come chiesa consacrata ai santi bizantini Sergio e Bacco.

Nell’841 la cattedrale fu rifondata dal potente vescovo Orso Partecipazio, figlio e nipote di Dogi, e ridedicata a San Pietro Apostolo. E’ qui che si trova il Trono di S.Pietro, che fu portato da alcuni mercanti da Antiochia, dove l’apostolo aveva predicato appunto seduto su questo sedile che è costituito da un’antica stele funeraria islamica, recante motivi decorativi arabi e incisioni cubiche di versetti del Corano.

Da ammirare le due cappelle una con l’opera del Veronese del 1585 i Santi Giovanni Evangelista, Pietro e Paolo, l’Immacolata di Giovanni Maria Morlaiter XVIII secolo, ed il Martirio di S. Giovanni Evangelista del Padovanino. 

Fu qui che vennero rapite le dodici spose che sono ricordate nella Festa delle Marie  ricordata ogni anno nella Chiesa di S. Maria Formosa.

Questa era un festa delle più amate dal popolo veneziano, una celebrazione gioiosa, caduta in disuso già dal 1379 e poi ripresa alcuni secoli dopo, ma in forma molto ridotta. La leggenda vuole che nel 943, sotto il doge Pietro Canduiano, fosse ancora in uso a Venezia celebrare tutti i matrimoni in un giorno solo dell’anno. Le spose partivano in corteo acqueo dall’Arsenale  lungo il rio detto appunto delle Vergini per raggiungere i promessi mariti che le attendevano con gli invitati alla chiesa di S.Nicolò al Lido. Quell’anno i pirati triestini e narentani.

Con una temeraria scorreria assalirono il corteo in laguna e rapirono tutte le spose con tutti i corredi e le doti. Ma ebbero la malaugurata “per loro”idea  di spartirsi il bottino nella laguna di Caorle, vennero così raggiunti dalla spedizione dei veneziani inferociti che si erano mobilitati subito dopo il ratto: i pirati furono trucidati e le spose riportate alla cerimonia.38-Trono di S. Pietro.jpg

Nello spirito di interclassismo che animava la pur oligarchica serenissima, per ricordo della fulminea vittoria fu imposto tributo a dodici famiglie patrizie  di provvedere ogni anno alla dote di dodici fanciulle veneziane povere scelte tra le più belle, nel senso specifico di virtuose, che vennero battezzate come “Le Marie”.

La festa si svolgeva nel mese di Gennaio e prevedeva che nel giorno detto della purificazione  le donzelle andassero a S. Pietro di Castello, dove il vescovo usciva dalla messa a benedirle per poi scortarle fino a S. Marco per incontrare il Doge in Basilica. Da il il doge saliva sul Bucintoro e con le Marie si avviava a Rialto attraverso il Canal Grande. Il corteo si concludeva a S Maria Formosa , unica chiesa a quell’epoca dedicata alla Madre di Gesù, sotto i cui auspici si era riportata la vittoria contro i pirati anche perché così richiese la corporazione dei “cassoleri” (costruttori di casse) i cui uomini avevano dimostrato gran valore nel salvataggio delle spose.

Per capire l’importanza di tale festa in certe epoche della Serenissima basta ricordare che il Doge Pietro Orseolo alla sua morte lasciò terza parte dei suoi averi per la festa delle Marie, e che durante la ricorrenza era tale l’affluenza di veneziani ma anche di foresti  che la Repubblica fu costretta a prendere eccezionali misure di sicurezza.

L’antica festa è stata reintrodotta in tempi recenti e si celebra in due distinte occasioni: una durante il Carnevale con la parata di dodici fanciulle veneziane, tra cui è eletta la più bella; l’altra in giugno, quando durante la festa di S. Pietro di Castello si organizza la regata femminile su mascarete detta appunto delle Marie, cui partecipano giovani regalanti alle prime esperienze ai remi.

Seduzioni, intrighi e veleni: Bianca Cappello, da cortigiana veneziana a Granduchessa di Toscana

prima parte..

200px-Palazzo_di_bianca_cappello%2C_graffiti_03.jpgCorreva l’anno 1827 ed il tipografo Vincenzo Betelli stava facendo ristrutturare il palazzo di Bianca Cappello,in via Maggio n° 26 nel quartiere di Oltrarno a Firenze, di cui era venuto in possesso. Con l’abbattimento di un muro emersero documenti, che vagliò accuratamente e che tenne per sè perchè politicamente intriganti, ed  un quaderno di ventidue pagine, scritte di proprio pugno dalla Granduchessa Bianca Cappello, moglie e vedova del Granduca Francesco de Medici, un diario..

Immediadamente il tipografo si appassionò alla storia di questa donna:

Bianca Cappello nacque a Venezia nel 1543 da Bartolomeo Cappello, nobiluomo di un ramo cadetto dei Cappello, Bianca Cappello 5.jpgil doge Andrea Gritti.jpge da Pellegrina Morosini. Il padre la detestava, legatissimo com’era al figlio Vittorio,  mentre la madre, resasi conto  dell’ingiustizia del marito, aveva cercato di mettere da parte una dote per la figlia.

Ben presto però Pellegrina s’ammalò e morì. Bartolomeo si risposò con Elena Grimani, sorella del Patriarca di Aquileia, e con il suo sostegno cercò di rinchiudere la dodicenne e bellissima Bianca in convento. Di lei si prese cura la zia, sorella del doge Andrea Gritti, che, rimasta vedova, era tornata a vivere nel palazzo di famiglia. -“Ella rimase incantata dal mio brio, dai miei fanciulleschi e dolci gesti” così raccontò la Cappello nel suo diario.
 E allo scopo di avviarla ad una vita più brillante l’anziana donna riceveva ogni sera la nipote ( di nascosto dal padre), facendola prelevare da una gondola, per poi farla ritornare al mattino presto, e cercò di darle un’istruzione perfetta per una gentildonna dell’epoca.

Palazzo Gritti a Venezia.jpgPalazzo Cappello.jpgAllo scopo riceveva ogni sera quattro giovani fiorentini, che avevano abbandonato la loro città perchè nemici di Cosimo dè Medici, rifugiandosi a Venezia, città nemica e rivale.Essi furono caldamente raccomandati alla sorella dell’ex Doge Gritti dal Vasari: erano Pietro Giordano Balzoni, Cesare Vecellio ( allievo di Tiziano) Verdizzotti (amico di Tiziano) e il più “segnalato” Pietro Bonaventura, rampollo di una famiglia di Banchieri fiorentini.

La ragazza, bellissima, elegante, d’animo gentile e dotata di naturali doti, frequentò ogni sera Bianca Cappello 0.jpged ogni notte il salotto della vegliarda, legata al dogado, sensibile ed astuta donna di stato. Tra gli amici e frequentatori della giovane, divenuta ormai “cortigiana onesta”c’era lo stimato nobiluomo Alvise Zorzi.

La fanciulla, ormai quattordicenne, bella, avvezza alle vicende di mondo, convinta di poter coltivare velleità letterarie e poetiche, venne irretita dalla bellezza e dalla corte intensa di Pietro Bonaventura.

Purtroppo la morte della zia Gritti costrinse la giovane a rinchiudersi in casa, ricevendo, con la complicità della sua governante, chiamata “Cattina” il suo amante..e fu a questo punto che il nobiluomo Alvise Zorzi convinse lei ed il suo Pietro a fuggire da Venezia, per andare a Firenze.

Bianca Cappello 2.jpgNel frattempo il Bartolomeo, dopo aver parlato con lo Zorzi, si era in qualche modo ammorbidito con la figlia, e non la minacciò più di rinchiuderla in convento, per cui la giovane poteva sognare un futuro diverso tra le braccia del suo amante. Ed una giorno il Cappello si dovette assentare da Venezia, per particolari impegni, e la sera stessa della partenza, con l’aiuto e la collaborazione del nobiluomo  i due giovani si accordarono per la fuga. Ignara di essere uno strumeno della Repubblica, incantata dall’amore la giovane Bianca così racconta la sua fuga:

“Lascio una lettera a Cattina che dormiva nel suo letto, ed accompagnata dal servo mi avvio all’approdo: qui trovo  Pietro che mi conduce alla porta del Canal,  e mi fa entrare in gondola, che parte all’istante. Giungevamo presso S. Giorgio Maggiore quando l’orologio della Piazza suona le nove ore.

gondola coperta.jpggondola coperta 1.jpgNon potei contenermi nel notare lo strato della felce ( il tessuto del felze, la copertura della gondola) il Palazzo Ducale e le risplendenti cupole di S. Marco.

A tal vista sentii istintivamente stringermi il cuore, i miei occhi si appannarono e caddi tramortita tra le braccia dello sposo.

Quando rinvenni chiesi dove eravamo: tra San Clemente e Santo Spirito, rispose il servitore di Pietro, che stava all’ingresso della felce (felze). Ed insieme giungemmo a Piovega (piccola isola della laguna).

Basilica di sera a Venezia.jpgPalazzo ducale di sera a Venezia.jpg.san -giorgio Maggiore.jpgorologio di Piazza San Marco di sera a Venezia.jpg” MIo Dio, esclamai, che sarà di me! O mia patria ti avrò comunque perduta! Avrò per ultima volta veduto le mura di augusto Palazzo che tante volte accolse i miei valorosi antenati, colmi di gloria e di onori! Si, io nata da famiglia patrizia, nata libera cittadina nella principale sede dell’Italiana libertà sarò in breve suddita in straniera Contrada.

Invano cercava Pietro di consolarmi, che queste tristi considerazioni mi accompagnarono fino al dilà di Malamocco, quando i primi raggi del sole nascente, Iso9la di S. Clemente.jpgIsola di S. Spirito.jpgChioggia.jpgmostrandomi lo sposo pallido ed inquieto per cagion mia, mi richiamarono a pensieri più convenienti alla presente circostanza”.”Pietro volle prendere terra a Chiozzia,(Chioggia) per cercarvi sicuro imbarco e proseguire verso Goro.”

La tenera Bianca venne accolta in una locanda, e da qui, con il cuore in tumulto, attese le informazioni che Pietro Bonaventura andava a raccogliere per conoscere le reazioni della loro fuga da Venezia: dopo qualche ora ecco che tornò l’amato che la rassicurò: nella Serenissima alcun provvedimento era stato preso.

Alfonso d'Este.jpgBianca Cappello 3.jpgIngenua e convinta dell’amore del suo amante, Bianca seguì il futuro sposo presso la casa di Giovani Battista Pigna di Ferrara, consigliere di Alfonso II°, e nemico dichiarato di Firenze. Il nobiluomo li accolse con tenerezza e preoccupazione, occupandosi pure del matrimonio tra i due giovani che venne celebrato quattro giorni dopo.

Il Pigna si occupò anche di dotare i due giovani sposi di una scorta per poter entrare in Garfagnana, e da li, ( disegno ben ordito ) a Firenze.

Bianca Cappello 7.jpgL’avventura di Bianca aveva ora inizio…donna, bella,docile, gentile, seducente e del tutto ignara delle attese politiche che Venezia e Ferrara avevano posto su di lei…

 segue….

Le ” Putte ” di Vivaldi

250px-Gabr_bella.jpgLe “putte” dette altrimenti figlie del Coro, erano giovani ragazze degli ospedali – conservatori, specialmente trovatelle, a cui veniva insegnata l’arte della musica e del Canto, esibendosi all’interno di un coro durante la messa regolare.

Generalmente la loro vista era protetta da grate, ma il suono dei loro strumenti e le loro voci angeliche venivano ricercate ed apprezzate da nobili e gente comune, e da i visitatori stranieri che si mettevano in lista o si facevano raccomandare per poter mandare  le loro figlie, a pagamento,  in quegli ospizi per poter imparare la musica, il canto e l’educazione in generale.

imagesCAN3NK4N.jpgDal 1703 Vivaldi entrò alla Pietà come insegnante di Violino, e fu proprio per il privilegio di avere come insegnante ed autore delle musiche da loro eseguite un genio così vivo e geniale che pose le “putte” di Vivaldi all’apice del successo nell’ambito di una feroce competizione artistica  fra i vari ospizi.

Racconta De Brosses, colto viaggiatore francese, che gli appassionati si spostavano da un istituto all’altro per non perdersi le “accademia” (i concerti) delle putte più dotate, senza tralasciare i conventi dove, tra le virtuose più brillanti, vi erano delle religiose.

Potevano accedere al Coro solo le più dotate, dopo aver superato un’audizione di prova, ed il numero era limitato: solo otto di 250px-Francesco_Guardi_052.jpgqueste ragazze venivano ricoverate stabilmente all’ospedale.

Imparavo i rudimenti della musica da un maestro di canto, o anche dal maestro di coro, e ricevevano lezioni di musica da ragazze più grandi che sceglievano alcune di più giovani da educare.

Moltre suonavano due o tre strumenti, mentre più di alcune erano attive anche come cantanti oltre che da strumentiste.

I libri musicali che servivano per lo studio erano procurati dalla stessa Pietà, avevano un numero fisso di pagine ed erano rilegati in cartoncino. E’ molto probabile che la copista dei libri fosse un’allieva del coro deputata a questo compito.

estro vivaldi.jpg175px-Ospedale_della_Piet%C3%A0.jpgDopo un periodo di apprendistato le più brave divenivano membri attivi del coro, un gruppo di circa quaranta cantanti e suonatrici che si esibiva nella Cappella della Pietà. All’interno del gruppo vi erano 14 figlie privilegiate ( tra cui due maestre di Coro) che avevano l’esclusivo diritto di agire come guardiane-tutrici per le figlie in educazione da famiglie nobili e borghesi.

La carica di Maestra era il grado più alto che potevano conseguire ed era limitato a venti di loro alla volta. Due di loro potevano diventare anche Maestre di Coro responsabili unitamente di tutte le faccende musicali o disciplinari concernenti il coro.

Le altre diociotto maestre avevano diverse mansioni musicali ed amministrative per le quali venivano periodicamente confermate o sottoposte a rotazione.

csv_puttaannamariaweb.jpgputta.jpgUna delle figlie più famose fu Anna Maria ( 1695/96-1782), maestra di coro, cantante e strumentista, (di cui agli archivi è rimasto un suo scritto) di grande fama per la sua  epoca , alla quale venne dedicata perfino un’anonima satira politica.

S. Francesco della Vigna.jpgAnna Maria, il cui talento emerse già dagli inizi sotto la guida di Vivaldi, fu una delle cinque figlie cui fu dato un permesso speciale, assecondando la richiesta della nobildonna Marietta Corner, di partecipare come concertiste/strumentiste in una disputa sulla dottrina cristiana tenutasi al Convento di S. Francesco della Vigna.

Divenuta principale violinista del coro ebbe una brillante carriera che le permise di arrivare alle massime cariche istituzionali.

donna con tiorba.jpgOltre al violino Anna Maria sapeva suonare anche il clavicembalo, il violoncello, la viola d’amore, il flauto, il mandolino e la tiorba, dimostrando un’abilità musicale multiforme e fuori dal comune.

Presto acquisì fama internazionale risquotendo gli apprezzamenti di alte personalità straniere in visita a Venezia.

tiorba.jpgLe figlie del coro erano comunque delle trovatelle, senza cognome, per cui per loro si erano coniati questi nomi: Caterina della Viola, Lucrezia del Violon, Mariarosa del Violon, Bernardina del Violin, Adriana della Tiorba, Fortunata Cantora.

imagesCARMGPY1.jpgcoro.jpgAvendo raggiunto notorietà, venivano anche pagate per le loro esibizioni, per cui alcune mettevano da parte i soldi per la dote e, in seguito si sposavano o sceglievano la vita monastica.

La loro vita scorreva serena, e per qualche malore sofferto, o stanchezza, venivano inviate con amici in campagna, dove si rigeneravano, per poi tornare più entusiaste di prima, partecipando anche a feste, dove potevano conoscere magari futuri mariti o ammiratori.

images.jpgimagesCALDUW6J.jpgAnche questa era la Venezia di Vivaldi, una città ribalda, colta, disinibita, ma anche devota, dove i sacerdoti componevano e dirigevano, e stuoli di giovinette erano esecutrici di vaglia.

Le Cortigiane a Venezia: Piacere e cultura

imagesCAERLR6J.jpgimagesCA9VXSQH.jpgcortigiana.jpgEssere cortigiane nel XVI secolo a Venezia significava non solo offrire il proprio corpo agli uomini più importanti della società, avendo come fine il vivere in agiatezza, ma anche saper leggere, scrivere ed intrattenere con il proprio savoir fairie: Le cortigiane  dovevano essere affascinanti, colte in molte discipline, dalla musica alle lettere, dalla danza alla politica.

Queste figure femminili tanto desiderate non furono solo muse di uomini di lettere, ma anche di diversi pittori, i quali, per la loro bellezza  le utilizzavano come soggetto per dipingere figure femminili, anche sacre, addirittura la Vergine Maria, ed esse erano felici perchè attraverso  i quadri che le raffiguravano, accrescevano la loro fama.

imagesCATP68H1.jpgsonetto di Stampa.jpgcortigiana onesta.jpg200px-422px-Allori_Portrait.jpgLe cortigiane dette “oneste” venivano definite in tal modo non per la loro rettitudine, ma perchè onorate e rispettate.

imagesCAILCCNR.jpgA Venezia dove la prostituzione era più tollerata e fiorente, le cortigiane, con la loro ostentazione ed il loro sfarzo costituivano anche un richiamo turistico ed una prova palese dei piaceri e della libertà garantiti nella Serenissima.

La cortigiana onesta.jpgMontesquieu.jpgBasta leggere Montesquieu, che imagesCAKQU8AC.jpgdiceva della Repubblica:  Mai, in nessun luogo si sono visti tanti devoti e tanta poca devozione come a Venezia. Bisogna però ammettere che i veneziani e le veneziane hanno una devozione che riesce a stupire: un uomo ha un bel mantenere una cortigiana ma non mancherà la sua messa per nessuna cosa al mondo.

imagesCABS684P.jpgProprio un proverbio veneziano del settecento riassumeva così la dolce vita suggerita ai nobiluomini: ” La matina una messeta, dopo pranzo una basseta, dopo cena una donneta”, messa, bisca, amante.

Le cortigiane a Venezia erano dette “mamole”: Secondo i diari di Marin Sanudo nella Serenissima all’inizio del 500 le prostitute erano più di dodicimila  su trecentomila abitanti.

Aretino.jpgUn paradiso per l’Aretino che durante il suo soggiorno  a Venezia unì attorno a sè un gruppo di letterati (le cosiddette officine) i cui scritti avevano come soggetto  le storie delle cortigiane.

De Montaigne.jpgUn acuto osservatore della realtà italiana come Michel de Montaigne quando giunse a Venezia si meravigliò della quantità di cortigiane che con i loro proventi avevano conseguito uno stato sociale degno di una nobildonna.

Queste si distinguevano, per categoria e prezzi richiesti, dall’abito; Se erano “oneste” indossavano eleganti soprabiti “zimarre” di velluto con i bottoni d’oro, con pelliccia di scoiattolo “vaio” e con le sopravvesti foderate di “pelliccia guarnaccia”, sottane di raso o ormesino lunghe fino a terra. Le più celebri percorrevano le salizzade e le calli seguite da paggi e servitori, ed indossavano gioielli preziosi.

imagesCAH0RZ0C.jpgDi solito si arricciavano i capelli e li tingevano di biondo, raccogliendoli con cordelline di seta in una rete d’oro. Esse seguivano i consigli di una nota alchimista, la nobildonna Isabella Cortese, che nel 1500 pubblicò il libro “Secreta”, dedicato alla cosmetica femminile , come già ho raccontato in un altro mio post.

Invece quelle di basso rango usavano giubbotti di tela, camicie e braghe da uomo. In capo avevano un mezzo velo bianco di cambrai acconcio con la falda, la quale sporgeva tanto in fuori sopra la testa da coprire tutta la fronte.

come quelle delle psrostitute.jpgimagesCAWBXN1M.jpgAi piedi calzavano scarpe rialzate, simili agli attuali zatteroni. Erano fanciulle “perdute” che si offrivano alla vista ed all’offerta dei passanti quasi del tutto svestite sul famoso “Ponte de le Tette”, incoraggiate in questo dal Doge e dal Vescovo che pensavano in questo modo di ridurre l’omosessualità dilagante in quel periodo.

imagesCARN0K4O.jpgGaspara Stampa profilo.jpgGaspara Stampa.jpgTra le cortigiane oneste e famose, oltre a Veronica Franco, di cui abbiamo già parlato, ci fu Gaspara Stampa, nata a Padova e trasferita a Venezia, la voce femminile più autentica e spontanea della poesia erotica italiana. Si innamorò del conte Collaltino di Collalto, che poi rime di Stampa.jpgl’abbandonò. La Stampa dedicò al suo amore finito “Le Rime”, un canzoniere che raccoglie trecentoundici composizioni, sonate, madrigali, canzoni e sestine.

sonetto di Stampa.jpgsonetti di Gaspara.jpgD’Annunzio citò un suo verso nel “Fuoco” in cui il protagonista è il personaggio più autobiografico di questo autore: ” Vivere ardendo e non sentire il male”.La cortigiana poetessa morì giovane nel 1554.

S. Francesco della Vigna.jpgFamosa e ricchissima fu anche Giulia la Lombarda, che, grazie alle sue relazioni con vescovi e sacerdoti importanti riposa ora accanto all’altar maggiore della chiesa di S. Francesco della Vigna a Castello.

Importante e ricca, ma che soggiornò a Venezia solo per qualche tempo, fu Tullia d’Aragona, famosa per essere l’autrice del “Discorso dell’infinità d’amore “(edito a Venezia nel 1574>) e per imagesCALDUW6J.jpglibro di Tullia d'Aragona.jpgle “Rime”.

La veneziana Bianca Cappello divenne addirittura Granduchessa. Figlia di Pellegrina Morosini e del nobiluomo Bartolomeo Cappelli, si dette alla vita di cortigiana, quindi conobbe un tale Pietro Bonaventura, fuggì con lui, e si sposò a quindici anni. Insieme andarono a firenze dove conobbero il Granduca Francesco I De Medici, che si innamorò di lei, e le fece una corte travolgente.

Il Bonaventura venne trovato morto, ed il Granduca sposè Bianca.

Francesci I de Medici.jpgTullia d'Aragona.jpg200px-Bianca_Capello.jpgMorirono entrambi avvelenati nel 1587.

 

Francesco Zorzi e Palazzo Grimani

antico palazzo grimani.jpgarcheologia palazzo grimani.jpgmistero,misteri,francesco zorzi,palazzo grimani,rosacroce,veneziaIl Palazzo Grimani a S. Maria Formosa è un palazzo di Venezia nel sestiere di Castello. Il Palazzo, dimora del doge Antonio Grimani fu ampliato alla metà del 500 dal Patriarca di Aquileia Giovanni Grimani.

Giovanni Grimani.jpgUomo colto ed appassionato collezionista di arte classica e di stemma palazzo grimani.jpgimagesCABCSYFT.jpgarcheologia pare ne abbia personalmente apportato le modifiche.

imagesCAGZ55T7.jpgimagesCAMTSWI2.jpgimagesCAJEQNDY.jpgInteressante è la sala di Psiche affrescata da Francesco Menzocchi, Camillo Mantovano e Francesco Salviati nel 1540 circa.

La maggior parte delle opere della collezione sono state distribuite in vari musei, ad soffitto psiche a palazzo grimani.jpgeccezione di una parte che è raccolta nel Museo Archeologico all’interno delle Procuratie Nuove a Venezia.

imagesCA4XHS59.jpgdonazione.jpgdella collezione.jpgIl Palazzo di S. Maria Formosa, appartenendo ai Grimaldi, nota famiglia di collezionisti ospitò in due epoche, nel 500 e nel 700 una raccolta di antichità greche e romane, di cui resta notizia in alcuni manoscritti conservati ora in Archivio di Stato di Venezia.

La famiglia Grimaldi, una delle più illustri di Venezia annoverava tra i suoi membri più illustri il Doge Antonio, il Cardinale Domenico, i nipoti Vittore, Procuratore di S. Marco, e Giovanni, Patriarca di Aquileia. Tutti grandi collezionisti.

imagesCASTNFS2.jpgstemma 2.jpgDomenico acquistò la Biblioteca di Pico della MIrandola, e lo splendido breviario canto-bruggese oracanto-bruggwese.jpg conservato alla Biblioteca Marciana. Nel 500, come già detto, Giovanni decise di ampliare il palazzo e creò una sorta di Museo a pianta centrale con una luminosa lanterna.

A poca distanza dal monastero di S. Antonio di Castello dove era conservata la grande biblioteca creata da Domenico Grimani, seconda soltanto a quella bessarionea di S. Marco, venne creato il convento  francescano di S. Francesco della Vigna, grazie alla presenza di un altro patrizio Veneziano, Francesco Zorzi, che era divenuto un punto di riferimento europeo per la filosofia ermetica e cabalistica.

Nelle sue opere stampate a Venezia  c’è Pacem ed Harmonia Mundi (1525) e Problemata (1536) si poteva trovare una sintesi originale dei temi dell’armonia e della concordia universale.

ParadisoBosch.jpgimagesCAV2DC7N.jpgimagesCA0VLOLZ.jpgA Lui ci si rivolse per suggerisse all’architetto Jacopo Sansovino le proporzioni ideali  per la costruzione della chiesa di S. Francesco della Vigna, che di seguito divenne importante nel disegno dell’autocelebrazione familiare di Giovanni Grimani.

La vita culturale di  Venezia del 500 e le sue biblioteche, mete di eruditi e studiosi italiani ed Europei traevano i loro studi dall’Aristotelismo, il neoplatonismo, ermetismo e cabala si fondevano fra loro, e grandi maestri come Ficinio, Poliziano, Pico, Erasmo, Grimani e Zorzi entrarono in contatto o attraverso le loro opere , cosa che portò ad uno straordinario sincretismo, specie nella generale reverenza verso autori antichi ed a testi sacri delle religioni.

museo nuovo.jpgOra il museo è stato riaperto, conserva alcune opere, interessanti, non tutte, ma vale la pena di entrare in quelle sale e godere del maginfico palazzo e dei suoi fantastici reperti.

Furatole ed antiche Osterie Veneziane

TN_bacari17.jpgVino ed osterie fanno parte delle più antiche tradizioni veneziane. Già nel 42 a.c. quando nacque l’attuale Concordia Sagittaria si coltivava la vite, non solo in collina ed in pianura, ma anche in Piazza S. Marco.ma venivano addirittura importati vini provenienti dalla Grecia, come il Cipro, l’Aleatico, lo Scrupolo, Samos, e dall’Epiro la Malvasia.

Vi erano però diverse tipologie di osterie o taverne, come i Magazeni, i Bastioni e le Furatole.

Queest’ultime erano oscuri stambugi, male illuminati da un lumicino ad olio, specie di bottegucce dei luganegheri (i pizzicagnoli)dove la sera i popolani si riunivano in una mensa comune dove veniva servita minestra e pesce fritto, ma non veniva servito vino.

imagesCAZCNIOD.jpgI bastioni erano cantine infime doveva veniva smerciato un vino di pessima qualità.

Nei  magazeni, oltre che ad ospitare, specialmente la sera operai e gondolieri, ognuno col proprio bocaleto davanti, venvano svolti anche altri servizi:I popolani che non volevano rivolgersi al Monte di Pietà, dove ottenere un prestito era molto complicato, trovavano nei proprietari di questi magazeni un aiuto per loro disastroso dando ad essi effetti in pegno, ritraendone due terzi in denaro ed un terzo in pessimo vino, chiamato anche: vino da pegni.

C’erano infine le Osterie vere e proprie (chiamate bacari) frequentate ed apprezzate da uomini di cultura come Goldoni,  Stendhal, Wagner.

imagesCA03GQC4.jpgOggi, di osterie autentiche ne sono rimaste ben poche: i veri bacari in genere sono poco appariscenti, spesso riconoscibili per un’insegna che ricorda un fatto od un oggetto particolare.

All’interno l’arredamento è essenziale: un bancone, alcuni tavoli, le botti da cui spillare il vino al momento. Alle pareti sono appesi pochi quadri o vecchie foto o come nel caso dell”Osteria Enoteca al Volto” le etichette di vini provenienti da tutto il mondo.

Qui si gioca a carte, briscola, scopa, tressette, bevendo appunto un’ombra di vino, chiamata così perchè era consuetudine per gli operai, in estate, consumare il proprio magro pasto all’ombra di qualche albero o di un riparo, bevendo, per ristorarsi, un buon bicchiere di vino.

TN_bacari22.jpgNel cuore di Rialto, all’Osteria ai do Mori, o alla ” Cantina do Spade” si continua a gustare il proprio goto dei vin, come già ai tempi di Casanova, quando le frequentava con le allegre ragazze del ponte delle Tette.

imagesCAWD6C1H.jpgimagesCAZZRI4M.jpgAll’Osteria Antico Dolo si può gustare la famosa tripa rissa, trippa bollita con aromi, servita calda con un pizzico di sale. e poi  un salto al Mascaron, che prende il nome dal mascherone inquietante che si trova alla base del campanile di S. Maria Formosa.

imagesCAO20CGI.jpgimagesCAKE1GJJ.jpgimagesCAEQLXY8.jpgPer cui un assaggio di Sarde in Saor, l’uovo sodo con l’acciughina, la seppia fritta, la polpetta di carne alla veneziana, preparata con carne bollita, patate ed aromi e poi fritta, baccalà servito con la polenta abbrustolita..un godimento di sapori e di assaggi gustati con un’ombra ed una buona compagnia.

 

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