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Venezia: Musica dell’armonia cosmica ed i maestri di Cappella del 500 a San Marco

musica.jpgLa musica a Venezia, nel 500 fu l’arte più sentita e congeniale alla città, accanto alla pittura ed al teatro, arti che si intersecavano, si intrecciavano, per cui l’immagine di Giorgione suonatore nei concerti campestri e delle Veneri, del Tiziano, accanto alle melodie degli organi rimangono emblemi della civiltà del Rinascimento a Venezia: il legame del teatro con la musica, nella composizione unitaria del melodramma, costituisce la sintesi di due aspetti determinanti di tutto il Rinascimento a Venezia.

200px-Albinoni.jpgLa musica a Venezia aveva trovato il suo prezioso centro spiriturale tra le volte dorate della Basilica di San marco: il servizio più curato e costoso per la Basilica era quello della cappella ducale, ritenuta una delle pupille della vita artistica della Repubblica.
per i Maestri di Cappella, per i cantori, per i suonatori e per gli strumenti. Gli artisti che ne facevano parte erano alle dirette dipendenze dei tre più importanti procuratori di San Marco, che avevano la responsablità della Piazza e della Basilica, tanto più che il doge era la suprema autorità di questi luoghi i quali gli appartenevano di diritto.

Giovanni Croce, maestro di Cappella di San Marco.jpgLa storia della musica anche nello stesso contesto dela stessa storia Platone.jpgLuca Pacioli.jpgLeonardo.jpgL'uomo di Vitruvio.jpgdella civiltà di Venezia è di così alto interesse che possiamo riferirci addirittura a Platone, ed il suo modello cosmico che nei suoi dialoghi tramandò gli aspetti esoterici dove l’armonia dei numeri stabiliva che ogni cittadino della sua Repubblica ideale doveva imparare l’aritmetica e la musica come forma di istruzione morale, per conoscere e capire il suono delle sfere cosmiche (i pianeti) in un’armonia perfetta di interscambio tra corpi celesti e logiche matematiche…lucido, perfetto, antesignano dell’armonia cosmica che tutti ora possiamo ascoltare fisicamente attraverso moderni strumenti.

Pianta della Chiesa di San Fran cesco della Vigna.jpgNon a caso la Chiesa di San Francesco della Vigna è stata costruita con una pianta perfetta e venne realizzata dal Sansovino in basi ai principi platonici che regolano i rapporti tra i numeri.

La ricerca delle regole classiche della musica costituiva quindi un ideale supremo: in questo indirizzo costante, in base a trattati di architettura, di matematica. di musica e di filosofia in una parola, sul principio dell’ordine e dell’armonia del mondo, si accorda tutto il principio del Rinascimento e alla perfezione dell’armonia umana sostenuta da Luca Pacioli, a cui si rifece Leonardo da Vinci, per il suo ” Uomo di Vitruvio”, quindi legata all’armonia naturale, logica e perfetta!

Giovanni Gabrieli.jpgE proprio nella cappella di San Marco si posero le basi di una musica libera, quando i dogi permisero Andrea Gabfrieli.jpgl’intervento di altri strumenti, oltre all’organo, e poterono favorire la creatività di Andrea e Giovanni Gabrieli, zio e nipote.

Nella basilica gli organi vennero sistemati uno a destra ed uno a sinistra tra le volte del presbiterio, e ciò contribuì a formare un nuovo stile musicale formato da voci umane intrecciate con il suono degli organi, e la parte corale dotata di strumenti di nuovi timbri che prospettò le trame della sinfonia moderna, e di nuovi rapporti tra le voci e gli strumenti.

Andrea Gabrieli fu uno dei musicisti più rappresentativi del suo tempo per la versatilità della sua opera, dai madrigali su testi del Petrarca, del Tasso, del Guarini, alle composizioni F.Franco gentildonna che suona il liuto.jpgIl flautista del Savoldo.jpgpopolari, Andrea e Giovanni Gabrieli, organisti della Serenissima Signoria di Venezia, contenenti musica di chiesa, madrigali et altri per voci e strumenti musicali, pubblicato presso Angelo Gardano nel 1587.

Feb 27, 2013 - Arte, Mestieri    1 Comment

Orefici e il Gran Mogol a Venezia

gioielli.jpgbottega dell'orefice.jpgoro a venezia.jpgUna delle arti più raffinate, conosciute ed apprezzate in tutta Europa era quella degli Oresi (orefici), Zogielieri (gioiellieri) e diamanteri, e riuniva artigiani orefici, gioiellieri e tagliatori di diamanti.

Il 27 settembre 1382 venne istituita la Mariegola,di cui la copia più antica si trova ora presso il Museo Correr a Venezia ed il Capitolo stabilì che la festa patronale, dedicata a S. Antonio Abate si tenesse nella Cappella della Misericordia nella chiesa di San Salvador dove venne ricoverata l’arca della Schola che era stata donata dal Prior e sulla quale vennero scolpite le insegne dell’arte.

SANTONIO.jpgoresi e zogielieri.jpgGli oresi veneziani erano noti soprattutto per la tecnica della filigrana, detta “opus veneciarum” od “opus venetum ad filum”, con la quale fabbricavano manini e entrecosei, intrigasi, cioè collane, braccialetti composti da minute bottega_6_p.jpgmaglie d’oro.

Oltre ai monili gli oresi erano specializzati nella produzione di arredi sacri per le chiese, e vasellame, posate, ecc,, oltre che a pugnali e scudi.

taglio a rosa del gran mogol.jpggran mogol 1.jpgNell’arte del diamanter era famosa la tecnica raffinata, copiata ed adattata poi dagli olandesi. E fu un diamanter veneziano, Ortensio Borgisi che tagliò ” a rosa ” il famoso Gran Mogol, gemma scoperta alla metà del 1600.

Assai rinomati erano anche gli oggetti lavorati con la tecnica detta ” dell’Agemina” intarsio su metallo con utilizzo di metallo diverso, e poi smaltati,

albergo degli oresi.jpgNel 1516 fu stabilito che 16 compagni, detti “tocadori” dovessero fare una 1.jpgvisita settimanale presso le botteghe per sottoportico degli oresdi.jpgverificare il titolo dell’oro e dell’argento utilizzati per le produzioni.

San Silvestro a Venezia.jpgchiesa di S. Salvador.jpgNel 1548 la schola si trasferì nella chiesa di San Silvestro, Nel 1601 il doge Marino Grimani concesse che nella chiesa di S. Gacometto  i confratelli potessero costruire una statua dedicata a Sant’Antonio Abate, loro Patrono.

bottega_3_p.jpgNel 1696 ebbe inizio la costruzione dell’albergo della schola in un edificio prospiciente il Campo Rialto Novo, con BIBLIOTE.jpgveneziaoro.jpgl’entrata ancor oggi riconoscibile all’anagrafico 554. Sulla  lunetta in ferro battuto sopra la porta sono visibili le iniziali SO ( Schola Oresi).

 

La Zecca della Repubblica prevedeva ruga degli oresi.jpgscuola degli oresi.jpgsigla degli oresi.jpgper gli oggetti preziosi cinque bolli: quello del Maestro, quello della Bottega, i marchi di controllo dei leone alato in moleca.jpgpubblici ufficiali della stessa Zecca (il tastador e il tocador ) e il punzone di garanzia, ovvero il Sigillo di San Marco con il Leone Marciano con le ali spiegate nella caratteristica posizione, “in moleca”.

 

 

 

 

Feb 22, 2013 - Arte, Arte e mistero, Misteri, Tradizioni    Commenti disabilitati su inaspettate tracce della clavicola di re Salomone

inaspettate tracce della clavicola di re Salomone

imagesCAD03B75.jpgCi troviamo  nella calle dei Preti o del Pistor, ed  andiamo a cercare un esempio di una traccia precisa legata ai templari, ai rosacroce, alla clavicola di re Salomone.

200px-The_Martyrdom_and_Apotheosis_of_St_Pantalon_-_Gian_Antonio_Fumiani_-_San_Pantalon_-_Venice.jpgPassiamo il campiello dei preti o del pistor, su cui troneggia una meravigliosa vera da pozzo: sappiamo che nella chiesa di S. Pantalon ci aspetta l’immagine straordinaria dello spettacolare dipinto su tela, di grandissime dimensioni, forse il più grande in Italia e nel mondo,eseguito nell’arco di ventitrè anni (1680-1704) dal pittore veneziano Gian Antonio Fumiani che qui fu sepolto nel 1710.

imagesCA1UIRY9.jpgAll’interno di una prospettiva di notevole efficacia si narrano i momenti più salienti della vita e del martirio di San Pantaleone.

imagesCA54CKRR.jpgimagesCA223F0J.jpgimagesCAZVOZLO.jpgMa ora torniamo indietro ed entriamo in Campiello Cà Angaran e troviamo una delle sculture erratiche più affascinanti della città: L’Imperatore bizantino (arte imagesCATCMMZU.jpgimagesCAEA5JA2.jpgcostantinopolitana del XII° secolo).

Nella collezione Dumbarton a Washington ne esiste uno quasi eguale e, secondo gli studiosi, si tratterebbe di Isacco II° Angelo (1185-1193 e 1203 – 1204) o del fratello Alessio (1195-1203).

Altre la datano addirittura al X° secolo e sostengono trattarsi di Leone VI° detto  il Saggio Filosofo.

Alessio.jpgLasciamo quindi questo campiello, ma non con il cuore e l’emozione, in quanto il mistero rimane tale: come sia finito appeso ad un muro questo tondo magnifico che  in qualche modo rientra,  nelle numerose tracce lasciate dai Rosacroce per chi, seguace ed introdotto è ancora alla ricerca dell’arcano che cela il tesoro legato alla clavicola (piccola chiave) di Re Salomone, che non è una vera chiave, ma appunto una serie di simboli e significati per portare l’affiliato alla pietra filosofale: cioè all’opera finita: un percorso umano ed alchemico insieme in questo mondo, nei suoi elementi, nella ricerca del divino…e dell’essenza stessa della vita.

imagesCAZVOZLO.jpgimagesCAE3TNV0.jpgimagesCA8GJP36.jpgimagesCAZ18IO8.jpgE Venezia è una fonte di risorse e di scoperte.

 

Gen 30, 2013 - Arte, Mestieri, Musica venexiana, Società veneziana    Commenti disabilitati su Le Compagnie della calza: Teatro, arte e Carnevale a Venezia.

Le Compagnie della calza: Teatro, arte e Carnevale a Venezia.

campiello.jpgLa cultura teatrale del cinquecento e del seicento non poteva prescindere dall’ambiente naturale ed urbanistico della città, fatto di “interni” e di “esterni” che sembrano sorti per il Teatro. Per cui tutto ciò è naturalmente collegato alle arti figurative.

Gli interni ed esterni non obbediscono necessariamente al significato letterale dei termini: si possono considerare “interni” alcuni campielli che raccolgono verso il centro vari punti di vista, dalle angolature delle finestre, dalle case poste tutto intorno, mentre esterni si possono considerare i loggiati di Palazzo Ducale, come se fossero una strada sospesa.

Piazza San Marco.jpgUn interno-esterno ambivalente è Piazza San Marco, definita un “salotto” per i suoi caratteri di intimità ed aperta nello stesso tempo verso il Bacino in uno spazio infinito.
Su questo spazio naturale la scena si compone e si caratterizza immediatamente con l’apparire di un personaggio sul balcone, di un rematore sulla gondola, lo sciamare dei passanti lungo la fondamenta o l’alternarsi sui ponti di una folla varia, colorata, pronta al “gioco delle parti”, spesso partecipe compiaciuta della scena e consapevole di far spettacolo di se stessa.

Ed ecco che i veneziani, consapevoli di questo continuo entrare ed uscire dalla scenografia fantastica di calli, dalle Storie di S. Orsola delle Gallerie dell'Accademia due gentiluomini della Compagnia della Calza.jpgfondamente, campielli e palazzi si riunirono in “Fraglie” (fratellanze, confraternite, termine prettamente massone!), per cui istituirono le ” Compagnie della Calza “, gruppi di giovani bene della Venezia cinquecentesca che si riunivano per recitare e per organizzare feste mascherate ed altro.

Di questo era convinto Carpaccio che aveva dipinto, qualche decennio prima le  scuole minori, perchè le sue storie romanzate sulle vite dei Santi si adattavano più all’ambiente teatrale che a quello delle chiese.

Le sue immagini infatti erano più accostabili a quelle contemporanee  degli amici che recitavano nelle compagnie della calza, che a quelle della chiesa legate all’iconografia liturgica.

Compagnia della Calza 1.jpgLo storico del 700 Anton Maria Zanetti fa un’annotazione sulla Scuola di S. Orsola ( a SS. Giovanni e Paolo) tutta rivestita all’interno di dipinti del Carpaccio che è molto indicativa: Io mi sto in questa cappella ( Sant’Orsola) – egli dice – inosservato alcuna volta, e veggo entrare certe buone persone, che dopo una breve orazione rivolgono gli occhi a queste pitture, restano sospese, il volto e la mente…Mostrano d’intendere ogni rappresentazione, ragionando in suo cuore e non possono nascondere l’interno movimento che provano. Gran forza ha la verità imitata e dipinta con la sola ragione anche senza gli aiuti dell’arte, sul senso d’ogni spettatore.La verità imitata, ed i “teleri” di Carpaccio sono da vedere ( ora sono stati trasferiti alle Gallerie dell’Accademia a Venezia), oltre a tutto in uno stretto parallelo tra costume, azione teatrale e documentazione del tempo.

All’epoca quindi alcuni giovani, per lo più gentiluomini veneziani incominciarono, come detto, ad unirsi allo scopo di creare mmbro di una compagnia dela calza.jpgeventi, feste, rappresentazioni, dando così allegria e vivacità alla città.
Ed a questo scopo, per dare un significato di appartenenza ad ogni “fraglia” si distinsero per l’uso di “pantaloni” di colore diverso il destro dal sinistro, chiamati calze, e coll’insegna della “Compagnia” ricamata in oro, perle e pietre preziose.

Usavano inoltre un mantello di panno d’oro o damasco, con un lungo cappuccio, ed un berretto di stoffa preziosa con la punta ornata da un gioiello, che ricopriva in genere una chioma lunga e folta, a volte legata da un nastro di seta.

A questi si aggiungevano anche le mogli o altre gentildonne, le quali portavano i simboli della Compagnia sopra una delle maniche.

img140.jpgPer formare una Compagnia della Calza  occorreva una licenza del Consiglio dei dieci, quindi i soci compilavano uno statuto, dove, oltre alle altre regole si determinava la durata della compagnia, e venivano eletti un priore, un camerlengo, un segretario, due consiglieri, un cappellano, un nunzio ; a questi si aggiungevano un poeta, un architetto  ed un pittore.

I membri della Compagnia che si sposavano dovevano organizzare due banchetti: uno in casa con musica e momarie (mascherate) , l’altro in casa della sposa dove doveva pagare il notaio, il cappellano ed il messaggio.

Diverse furono le compagnie della Calza dal 1400 al 1562 ( arrivarono ad essere 43). I Pavoni, gli Accesi, i Fedeli, i Concordi, i Floridi, i Reali e i Sempiterni. A questa compagnia furono legati il Ruzante, Pietro Aretino che per loro scrisse la Commedia ” La Talanta”, il Vasari come scenografo, Tiziano ed il Palladio  che per loro costruì un teatro in legno.

immagine di un membro delle compagie della calza.jpgE alla Compagnia della Calza si possono attribuire spettacoli all’aperto, rappresentazioni, caze de toro, e  le momarie, dove ci si vestiva in cazza-ai-tori.jpgmaschera e si svolgevano processioni lungo i canali dove venivano presentati i vizi e le virtù.

un compagno di una compagnia della Calza.jpgmascherate delle compegnie della Calza.jpgteatro delle compagnie della calza.jpgTutto ciò, legato alla musica, all’architettura, alla pittura ed all’arte in genere rese questa città un grande teatro, una grande scenografia che si avvale tutt’ora, per opera di sette famiglie veneziane, di una Compagnia della Calza ( dal 1972) che presta il suo fantastico impegno nell’occasione del Carnevale, e per continuare in una tradizione dell’arte a tutto tondo che è la culla della cultura vera e profonda.

 

Il pranzo di Leccardo

confetti.jpgbanchetto speciale.jpgGiovanni Garzoni.jpgCà GTarzoni.jpgEnrico III.jpgEnrico III di Francia.jpgSiamo a fine anno, e per stasera si preparano cenoni, come da tradizione, e per questo motivo mi piace illustrare un banchetto in onore di Enrico III,  organizzato dal doge Alvise I Mocenigo, la cui descrizione ci viene lasciata dal Garzoni  ci è necessaria per comprendere appieno  lo sfarzo e la ricchezza dei banchetti ufficiali veneziani, che dettarono legge per tutte le altre corti d’Europa.medievali banchetti.jpgcredenzierei a Venezia.jpgcoppieri.jpgpentole.jpgPer poter realizzare i conviti  erano necessarie figure specializzate come cuochi, scalchi, trincianti, credenzieri, bottiglieri inservienti vari, che dovevano possedere una grande cultura professionale  con tanti modi per cuochi attenti al loro lavoro.jpginsegnamento ai coppieri.jpgpoter trasformare la materia prima  in cibi  eccellenti, avendo a disposizione una vasta gamma di attrezzature, come pentole, casseruole, mestoli e coltelli.piatto.jpgpiatto 2.jpgscalchi del 1400.jpgSala del Maggior Consiglio.jpgSala del Maggio °Consiglio 2.jpgAlvise I Mocenigo.jpgSi spiega così la stupefacente ricchezza dei banchetti veneziani  del cinquecento  dei quali ho già fatto cenno, o come banchetto 4.jpgquello descritto nel 1574 da Marsilio della Croce nella sua Historia della pubblica et famosa entrata in Venezia del Serenissimo Enrico III, e precisamente quella parte che riguarda il banchetto offerto in onore del re di Francia  nella Sala del Maggior Consiglio  in Palazzo Ducale.piatto decorato.jpgbanchetto in sala.jpgargenetira.jpg” Nella sala del gran Consiglio addobbata di cuoi d’oro dalle pitture a basso, che faceva maggior ornamento, al capo della quale dalla banda del tribunale dove c’è la sede del principe, vi era apparata una credenza d’argento di meravigliosa grandezza e bellezza, e d’inestimable prezzo,  per li molti vasi, coppe d’orto e piatto d’oro e d’ argento, che vì erano, quali non furono adoperati , ancor che si mangiasse in argento.Dall’altro lato della sala si stava posto un tavolato alto circa due braccia con alquanti gradi ai piedi, , e nel messo di esso vi era un quadro come sogliono usare tutti i gran principi, sopra il quale vi era posta la tavole per Sua Maestà, coperta da un baldacchino di broccato d’oro molto ricco.

posateria preziosa.jpg” Data l’acqua per le mani fu tenuta la salvietta dal Signor duca di Savoia, la Sua
Maestà sedette quasi a mezo della tavola in faccia della sala, lasciando luogo a destra ai Coppieri et alli gentil’huomini della bocca, che la servivano: alla sinistra nella medesima faccia sedeva il cardinale et il Principe,  dal canto poi della detta tavolasedevano li signori Duchi di Savoia e di Ferrara, e si fece la credenza a S. Maestà solamente.

Alla destra del re sopra il tavolato più spatioso vi erano due altre tavole, l’una alla destra, l’altra all sinistra, alla prima sedevano il Nunzio Apostolico, li ambasciatori, li sei consiglieri del Principe con i tre Capi XL, et alla seconda il Signor Duca di Nivers, il Signor Don Alfonso d’Este, et un signor di qualità francese, a due altre tavole poi molto più lunghe e poste più in basso del piano ordinario sedevano li carissimi Senatori della Repubblica.

zuccherini 3.jpgstoviglie preziose 3.jpgIl banchetto fu cautissimo e famosissimo per la molta copia et la varietà di preziosissime vivande, e tra queste confettini e zuccari diversi in gran numero, che ascendevano a mille et dui vento piatti, che dell’uno e dell’altra ve n’era abbondante quantità, sendo stato fatto il preparamento per il mangiare di tre millia persone, che non si poteva desiderare  ne immaginare apparato maggiore.

Qualche anno prima Andrea Calmo dava alle stampe una commedia intitolata ” El Saltuzza”nella quale Leccardo, un simpatico sbafatore, vagheggiava in questo modo un suo pranzo…

tavoli.jpgil Saltuzza di Andrea Calmo.jpgcibi per il banchetto.jpg” Oh lodato sia Bacco con tutti gli dei, che han triomphato al mondo e che mi hanno fato gracia  che niun mi ci oppone’, a questo mio convito, qual è più gloriosa vita de la mia, è pasciuto questo mio corpiciuolo, tutti li secoli sono pasciuti per me, io sono patrone, madonna, servitore, fantesca, scalco, cuoco, e infine sono io stesso de gli invitati, o come saprei ben governare una mensa, se mi ci venisse dato il carico, ponerei le vivande ordinariamente, come fa un valoroso e prode capitato di un esercito a prima giunta io ci farei venire in loco de la fanteria l’insalata, il rafano, il cresciuto lesso, lengue et salsicce, con diversi bocaloni de preciosi vini invece de tamburi, le canaglierie la carne de vitello, le supe pesce.jpgpiatti antichi.jpggrasse, gli polastri e li capretti allessi, gl’uomini darme lomboli, caponi, pernice, galli d’India, fasani e pavoni arrostiti, gli ragazzi saccomani, venturieri la salsa, la mostarda, gli cedro, le melarancie, il sapor d’uva, il codognato, le torte, viene poi il gubernatore, coletrale, collonelli, intendono la malvaggia, le ostriche, il marzapano e il confetto, di le artiglieria e arcobusi non parliamo, che per elle dopo il pranzo si scroccano di sotto e di sopra senza remissione, e godi finchè Iddio ci lascia vita, e appetito, io vo pigliarmi un schiantellino de tribiano, con due bocconi de sopresciata fin che gli caponi finiscono di cucinarsi, o che dolce, e beato vivere a l’altrui spese! “

E alla soddisfazione di Leccardo e a suoi sogni desidero augurare a tutti voi un anno riucco di sorprese felici, di propserità e di serenità! Auguriu di cuore, Piera-

 
 

 

Dic 27, 2012 - Cucina venexiana    Commenti disabilitati su La Grande cucina Veneziana – 1° parte

La Grande cucina Veneziana – 1° parte

monumento sepolcrale di Cassiodoro nato a Squillace.jpgCassiodoro 1.jpgCassiodoro.jpgCassiodoro, il grande retore giunto da Ravenna, prefetto del Pretorio con Teodorico, quindi ministro durante il regno di Vitigine, nella celebre lettera inviata attorno al 537 ai tribuni marittimi di Venezia, ci da un’informazione sul cibo degli abitanti delle isole della Laguna.

Scrive infatti che che essi hanno un solo cibo che li nutre tutti, ricchi e poveri essi hanno abbondanza soltanto di pesce.

saline asVenezia laguna nord.jpgsaline a Venezia.jpgE aggiunge che se emulazione c’è  tra quegli antichi veneziani  essa sta nel lavoro delle saline. Infatti, invece di aratri e falci essi fanno girare cilindri che sono la fonte vera della ricchezza, perchè non tutti desiderano l’oro, scrive sempre Cassiodoro, ma non c’è alcuno che non desideri il sale, al quale si deve ogni cibo più gradito.

anguilla alla pietra.jpganguilla.jpgsepie in tecia col nero e polenta bianca.jpgsepe in tecia col nero.jpgI Veneti sfuggirono alle invasioni barbariche, e dover assestarsi nel territtorio, creare basi città e civilità non dava troppo  tempo per dedicarsi alla cucina, salvo essere i progenitori nella cottura delle seppie, in tecia con il loro nero, l’anguilla arrostita alla pietra ( bisato su l’ara) e le zuppe di molluschi, delle cape sante ( coquilles  Saint Jaques per la gran cuisine) e le cape longhe o da deo.

Quanto agli ortaggi, elemento base della cucina discendente da quella dell’impero romano, si parla della lattuga romana.

Bisogna tuttavia arrivare al 1173 con la legge annonaria del Doge Sebastiano Ziani ( de edulis  vendendis, et de ponderibus, et mensuris) che fissa il prezzo massimo delle vettovaglie , per trovare più precise notizie sul vino dei Veneziani ( 20 soldi al Barile) ed  in particolare sula varietà degli alimenti ed il loro costo.

lattuga romana 1.jpglattuga romana.jpgcastradina veneziana.jpgcapelonghe.jpgcapesante.jpgNella legge Ziani viene menzionata, dopo secoli di pesce, anche la castradina, carne di castrato che serviva da cibo nelle navi veneziane., ed è il piatto tipico tradizionale per la festa della Madonna della Salute.

Pompeo Molmenti.jpggermano reale.jpgfolaga.jpgChiurli.jpgIl cibo dei Veneziani, scrive Pompeo Molmenti in “la Storia di Venezia nella vita privata”, pensando all’anno mille, oltre che carne di bove, di capretto, di maiale, era composto anche dalla cacciagione, come le anatra selvatiche ( osele)  i masorini o germani reali, le folaghe, i chiurli, le cercedule, le arzagole: Erbaggi e frutta venivano coltivati e ricavati dagli orti delle isole dell’estuario, Sant’Erasmo ecc.

Ma il valore aggiuntio della cucina veneziana viene dalle spezie: dalla Siria e dall’Egitto fu importato, nel  966 lo zucchero, che divenne quasi un monopolio per i veneziani i quali raggiunsero sulla raffinatura un livello nettamente superiore a tutti gli altri importatori.

marzapane.jpgNon tardò quindi il perfezionamento della pasticceria, e le carte antiche parlano spesso di marzapane, zeli (zaletti) pignocade, codognade, storti, occhietti, spongade e specialmente di scalette, da cui deriva il nome di scaletteri (pasticceri).

spongade 1.jpgzaleti.jpgspongade.jpglo zucchero.jpgA poco a poco, come dice Elio Zorzi in Osterie Veneziane,  con l’accrescersi delle ricchezze , crebbero il lusso delle mense e la raffinatezza dei cibi.

zaleti 1.jpgDomenico Selvo e Teodora Ducas.jpgNel secolo XI la Principessa Teodora Ducas, figlia di Alessio, imperatore bizantino, sposa del doge Domenico Selvo ( o Silvio) aveva portato per prima l’uso della forchetta a Venezia. Essa non toccava cibo  con le dita, ma lo faceva tagliare dagli Eununchi , e lo portava alla bocca con forchette d’oro.

E dal termine peirein, neogreco  peironnion  (infilzare) ecco che il nome della forchetta fu ” piron”.

Con i suoi mercati Venezia importò spezie che modificarono la cucina di tutta europa: nel 1000 erano famosi i sacchetti veneti, ripiendi di spezie aromatiche, come pepe, cannella, coriandolo, comino, chodi di garofano, noce moscata e macis.

Teodorico.jpgTeodorico 1.jpgCon calma potremo fare un exursus tra le varie ricette che si crearono nei secoli, a  partire codognata.jpgFamiglia Ducas.jpgforchetta.jpgdal 1300, ricette ancora attuali e golose, che, chiunque voglia assaggiare in questa particolare e sublime città può farlo con calma, visitando le varie osterie, bacari e trattorie.

 

 

Banchetti nella Venezia del 500

Con la scoperta dell’America, con le nuove rotte  il declino della Serenissima era già iniziato, ma forse per questo motivo ,l’apice della cultura, a  Venezia , simbolo e modello  in Europa , è al massino. Siamo nel 1500.

E questa città, questo modo di vivere e di pensare fa legge in Europa, dal mondo dell’arte, della cultura, del gusto e del saper vivere.

banchetto.jpgattreezzi del rinascimento in cucina.jpgConvito in casa Levi.jpgLe nozze di Cana.jpgI suoi artisti riprendono nelle tele la magnificenza ed il lusso, quasi sfrenato, della vita veneziana: Paolo Veronese, nelle due tele oggi al Louvre di Parigi, rappresentanti le ” Nozze di Cana, ed il ” Convito in Casa Levi” nelle Gallerie all’Accademia di Venezia, mostra non solo lo sfarzo dei costumi dell’epoca ma anche la grande eleganza della tavola  imbandita.

Doge Andrea Gritti.jpgmARIN SANUDO.jpgMarin Sanudo, nominato storiografo ufficiale della Repubblica ad honorem,.non esita ad elevare alla dignità della storia alcune liste conviviali. Ecco come riferisce la lista vivande servita per un banchetto  offerto dal Doge Andrea Gritti (doge dal 1523 al 1538):

” data l’acqua delle mani …vennero li servi con lo scalzo et comenzò il pranzo: Colombini et figadelli con con il suo saor in taze; polastri a guazeto in scudele; rosto de polastri; cavreti et nomboli in piati et limoni in acqua in scudelini: fasani rosti con fava et bisi; do man de torte, una nera e l’altra bianca taiate su li taieri d’arzento; caponi lessi con apparecchiar tavole a Venezias.jpgbanchetti a Venezia.jpglingue salade; vedelo et cavreto leso, con salami et herbe oliose; un’altra man de rosto de vedelo et caponi; ovi batui con late, scalete et marzapani<, formazo parmesan, naranze, ceriese, mandole, pignocade….”

pentole a Venezia nel 1500.jpgmenu del 500 asVenezia.jpgfagiani.jpgPompeo Molmenti.jpgAnche il Molmenti sottolinea queste caratteristiche dei banchetti cinquecenteschi: ” E pari allo sforzo delle feste, scrive, erano quelle dei banchetti.

medievali banchetti.jpgPaolo Paruta.jpgElena Lucreza Cornario Piscopia.jpgsalumi.jpgcucina nel rinascimento a Venezia.jpgInsegnava Paolo Paruta, che la magnificenza che è nobile virtù, non fa di sè degna qualunque operazione, onde ella non ha occasione di spesso dimostrarsi,  ma in quelle cose solamente si adopera, le quali raramente si fanno. E tra le cose ove convienensi spendere, senza avere considerazione della spesa, Paruta annovera  i conviti, ” che a pranzo.jpgPernici.jpgquesto tempo possono reputarsi feste magnifiche, giacchè l’arte raffinata della cucina si univa al lusso della tavola, in modo che non soltanto si riusciva a di Paolo Paruta.jpgHistoria Veneziana di Paolo Paruta.jpglibro di Paoo Paruta.jpgsolleticare il palato, ma altresì si appagava l’occhio dei commensali.

 

 

Nov 26, 2012 - Chiese, Misteri    Commenti disabilitati su La chiesa dei Miracoli a Venezia

La chiesa dei Miracoli a Venezia

imagesCAODXSM5.jpgA metà del 1440 un tale Francesco Amadi, abitante nel circondario di S. Marina aveva fatto appendere nei pressi della sua abitazione, in una località chiamata La Corte Nova un’immagine della Beata Vergine che aveva fama di di virtù prodigiose, tanto che nel 1400 il nipote Angelo la trasportò in Corte Amadi, e costruì una cappella lignea per conservare un quadro così miracoloso, che venne così esposto alla pubblica venerazione.

Nello stesso anno il pievano di S. Marina, Marco Tozzo, gettò le prime fondamenta. col concorso degli Amadi ed altre famiglie, di un tempio, che compì nel 1486 , in cui collocò la sacra immagine, e vicino al quale fece costruire un convento di monache francescane.

imagesCAU34O0T.jpgL’incarico del progetto e della costruzione di quella che viene considerata una delle più belle chiese di Venezia, venne affidato a Pietro Lombardo (1435-1515) uno dei più sensibili architetti-scultori alla tradizione bizantina che proviene dalla Basilica di S. Marco.

S. Maria dei Miracoli (così venne denominata la chiesa) divenne il capolavoro dell’artista, dei suoi figli e dei lapicidi che lavorarono con lui.

Costruita nell’arco di otto anni (dal 1481 al 1489) sembra, come S. Marco, essere stata edificata di getto da un pittore che non da un architetto, tale è l’importanza del colore sugli elementi architettonici e la finezza grafica degli ornamenti a imagesCA32X4IB.jpgbassorilievo.

imagesCA4LBUDL.jpg391343269_b368d947d5_s.jpg391341169_1856cbc9cf.jpgArchi, finte colonne, capitelli, cornici, fregi, costituiscono fantasiosi pretesti decorativi  in cui l’ornamentazione della pietra si inserisce con incastonature sapienti ad un preciso effetto cromatico.

Gli archi si restringono o si allargano sull’esigenza di questo ritmo ornamentale che non compenetra il muro, ma lo adorna in superficie e la impreziosisce come uno smalto  sul contrappunto dei lucidi toni  dei porfidi rosso cupo e verde antico, incastonati come pietre dure in un gioiello sulle distese superfici oro – madreperla dei imagesCAAAWULR.jpgmarmi screziati.

imagesCAMSDW90.jpgimagesCAHA3SE2.jpgSi avverte una misura ed un disegno compositivo, rinascimentali, in una fattura che è ancora tutta bizantina, specie nella cupola presso l’abside, modellata come quella di S. Marco.

Anche l’interno risponde a questa suprema eleganza di colore e di decorazione, estremamente semplificata, che prende ispirazione dalla forma stessa ad arco dell’unico quadro della chiesa, una tavola con l’immagine miracolosa della imagesCAJ9X8SS.jpgMadonna dipinta da Nicolò di Pietro.

imagesCAH7AB3J.jpgimagesCABY3S9E.jpgimagesCASNJEU4.jpgLa chiesa è quindi una teca raffinata e preziosa, come un reliquiario, un cofano che ha per centro ideale l’alto presbiterio, meraviglioso gioiello ed esempio di arte veneziana.

 

Il segreto della Basilica della Salute e Baldassarre Longhena

Domani  si celebra a Venezia la festa della ” Madonna della Salute”, in ricordo della peste che uccise cinquantamila abitanti della Serenissima nel biennio 1630 – 31, e per cui il Doge ed il Consiglio dei Dieci ordinarono l’erezione di una chiesa come voto e ringraziamento per la sua cessazione. Oggi, attravero il ponte di barche migliaia di Veneziani andranno nella meravigliosa chiesa barocca per testimoniare la loro fede per quanto riguarda la possibilità di preservarsi dalle malattie, o a chiedere un sostegno, un aiuto concreto per guarire le persone malate.

Della  Basilica dedicata al culto della Madonna della Salute ho parlato madonna-salute.jpgin più occasioni, ma ora è arrivato il momento di raccontare alcune interessantissime cose che riguardano Baldassarre Longhena, l’architetto di cotanta meraviglia e scrigno di segreti che, via, via, vennero svelati, oltre che da un professore tedesco, anche da tanti piccoli particolari che spiegherò un pò per volta.

Baldassarre Longhena (Venezia, 1598-1682) era figlio di Melchisedec (nome chiaramente ebraico) nativo di Morezza (Valtellina), per cui il Longhena apprese dal padre i segreti della Kabbalah. Accanto alla chiesa venne costruito anche un convento, sempre su disegno del Longhena, dove, nel 1742 Casanova studò fisica.

Sembra comunque che l’ispirazione per il progetto della chiesa sia stata tratta dall’immagine del Tempio di Venere Physizoa descritta nell’opera precedentemente presentata, Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, un chiaro riferimento ad un legame tra madre pagana e quella cristiana, un una sorta di protocristianesimo ideale.

220px-Pizzofalconecad.jpgUna straordinaria intuizione spinse il professore tedesco Gherard Geber-Shilling che verificò le misure dell’edificio sulle planimetrie e sul campo, con il piede veneziano ( cm,. 35,09), ed ecco che scoprì che due numeri ricorrono come una costante: l’8 (gli ottagoni stessi che formano la base della chiesa simbolizzano la rinascita) e l’11 con i suoi multipli.

L’8 appartiene alla simbologia cristiana (la corona mistica della Vergine, la chiesa del Santo Sepolcro, la resurrezione e la vita eterna) ma l’11 ha valore negativo, infatti rimanda ai 10 comandamenti e precisamente al peccato capitale; diversamente, nella Kabbalah giudaica, questo inizia proprio l’origine dei 10 comandamenti, cioè Dio attorniato dalle sue dieci sefiroth, cioè le proprietà che ha Dio per proiettarsi nel mondo degli uomini, chiamate anche l’albero della vita.L’11 è la metà dell’alfabeto ebraico (kaf) e dei 22 arcani dei Tarocchi, anche lo stesso Dante usò  l’endecasillabo per la sua Commedia.

Da qui si deduce che Longhena volle cifrare con la numerologia insita nella costruzione stessa del Tempio un messaggio preciso: la chiesa sorgeva come ringraziamento per la fine della peste e doveva nascere su fondamenta per così dire ecumeniche, tale era la condizione dell’uomo davanti alle pestilenze.200px-Sefirot.png180px-Tree_of_Life%2C_Medieval.jpgrosacroce.jpg

Ai fianchi della scalinata, dall’acqua, emergono due angeli. Nel pavimento, al centro, sotto la grande cupola c’è una corona di rose ed una seconda, più grande di altre 10 rose ed una piastra in metallo (forse l’unidicesima rosa?) con l’scrizione “unde origo indi salus” che arricchiscono questo capolavoro anche con il mistero iniziatico dei Rosacroce.

Ma non è finita qui, all’esterno, tutto intorno sorge un fregio con delle svastiche (la parola sanscrita “svastica” significa salute), e la rivelazione più grande: la pianta di tutta lo costruzione non è altro che I Grande Pentacolo di Re Salomone, facente parte della Clavicola di Re Salomone.

La clavicola di re Salomone è il più diffuso manuale pratico di magia diffuso in tutta l’area del Mediterraneo. Forse di origine caldea, babilonese o ebrea non ha nulla a che fare con Salomone, ma è stato attribuito prima allo storico ebreo Giuseppe Flavio,  poi ad Alberto Magno.clavicola1.gif

imagesCAXOD19F.jpgQui sono contenute alcune formule attribuite ad un tale Aronne Isacco, mago di corte del primo imperatore Bizantino Manuele I Comneno.

 

 

Alchimisti e Maestri Vetrai a Venezia

 

imagesCAJ0YBL9.jpglibro alc.jpgE’ esistito un intreccio tra l’alchimia dei Rosacroce e la filosofia, fin dal medio evo.

 imagesCAYYPXFT.jpgimagesCAUSKY0D.jpgMolto probabilmente i primi alchimisti che esercitarono a Venezia fecero parte della Corporazione dei Vetrai. Questa si era costituita a Venezia nel 1255, e poi fu trasferita a Murano per evitare incendi che, con i imagesCAEYTK50.jpgtetti in paglia, imagesCA5BDT15.jpgimg_sforzinda.gifsarebbero potuti essere  numerosi.imagesCAEVEI22.jpgimagesCAIQO47M.jpgimagesCAGUCW0M.jpg Amico e frequentatore di uno dei più noti vetrai, Angelo Barovier, era Paolo Godi, un alchimista famoso Specchio.jpgil quale gli insegnò diverse formule per la formazione della pasta di vetro, dei colori, delle luminescenze ed opacità.

Più avanti gli altri componenti della corporazione si cimentarono anche nella costruzione di specchi, legati anch’essi ad una tradizione rosacrociana.

 

John22.jpgNel 1317 venne emanata da Papa Giovanni XXII la bolla “Spondent Pariter” che ammoniva contro l’esercizio e l’uso dell’Alchimia , la quale rimase comunque oggetto di conoscenza anche per il Papa, del  quale venne pubblicato  postumo, nel 1557 il  trattato “Ars Trasmutatoria”.

Nel frattempo, nonostante la legge promulgata dal Consiglio dei 10 il 17.12.1488 che vietava severamente lo studio e la pratica dell’Alchimia, venne creata a Venezia una società segreta alchemica, chiamata Voarchadumia, attiva tra il 1450 e il 1490. Questa aveva ramificazioni internazionali, tra i membri più conosciuti Sir George Ripley.

 Il  sacerdote veneziano Giovanni Agostino Pantheus pubblicò il trattato “Voarchadumia, l’oro dei due rossi e della cementificazione perfetta, dedicandolo al doge Andrea Gritti. Pantheus dedicò inoltre un trattato ad un suo amico polacco Hierosky, grande conoscitore di testi alchemici.

Le opere di Pantheus crearono per la prima volta un sincretismo tra Alchimia e Kabbalah.

Nel 1585 il nobile veneziano Francesco Malipiero venne condannato a morte per magia, stragoneria ed alchimia.

Nello stesso periodo un alchimista al servizio di Enrico I di Buglione ottenne dallo stesso, dopo avergli trasmesso una ricetta per fare l’oro, un finanziamento per andare ad un convegno di alchimisti a Venezia.

lavorazione del vetro di Murano.jpgbotiglie.jpgUomini all’avanguardia, artigiani attenti e chimici sopraffini che conservarono per secoli i loro misteri, gettando nella laguna le prove mal riuscite di colori o lavorazioni: tutt’ora, nonostante lo svilimento di certe “cose che nanche lontanamente si avvicinano agli originali” vengono proposte da qualche bancarella (magari abusiva), opere d’arte di incredibile raffinatezza ed eleganza vengono prodotte ancora a Murano, proseguendo un’arte che è unica e che deve essere protetta ed aiutata.

 

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