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Venezia a volo d’uccello

carta di Venezia.jpgLa Serenissima è nata e vissuta in simbiosi con l’acqua, mantenendo  sempre un’attenzione rigorosa ed efficiente alla salvaguardia dell’equilibrio città – laguna, e punendo severamente ogni abuso,

Nel Magistrato delle Acque, murata dietro gli stalli dell’antica sede era stata murata una targa che diceva:
La città del Veneti per volere della Divina Provvidenza fondata sulle acque, circondata dalle acque e protetta dalle acque in luogo di mura, chiunque pertanto oserà arrecare danno in qualsiasi modo alle acque pubbliche sarà condannato come nemico della Patria e sia punito  non meno gravemente di colui che abbia violato le sante mura della Patria di questo Editto sia immutabile e perpetuo”.

editto di Egnazio.jpgQuesto monito solenne dell’umanista veneziano Giovanni di Cipelli Battista Egnazio (1478 -1553) è noto come Editto di Egnazio, ed è collocato ora tra due finestre della sala riguardante le cartografie al Museo Correr,( ed è di questa sala e di cosa vi è contenuto che volevo raccontare).

Questa era l’autorità veneziana a cui era affidato il compito di sorvegliare e proteggere il delicato equilibrio dell’ambiente lagunare.

Sotto l’ala del Leone di S. Marco, è qui esposto l’imponente leone marciano in legno (secolo XVII) proveniente da una delle canterie della Basilica di S. Marco, la Città si è espansa con uno sviluppo ininterrotto dai primi nuclei urbani di Rialto verso le aree perimetrali ai limiti della laguna. Sempre conservando l’attenzione ed il controllo per l’equilibrio città – laguna.

volo.jpgvolo d'uccello 7.jpga volo d'uccello 6.jpgEd è appunto lo sviluppo urbanistico di Venezia che è qui documentato attraverso vedute  e piante. Poche città dispongono infatti di un repertorio cartografico come quello veneziano, che si sviluppa con ricchezza e coerenza nell’arco di cinque secoli.

Capolavoro assoluto della cartografia Veneziana è la celebre ” Veduta di Venezia a volo d’uccello”di Jacopo de Barbari (1470 – 1516 ) di cui parlerò in seguito, datata MD. Sulla parete di destra c’è l’esemplare appartenuto a Teodoro Correr.

xilografia.jpgDi questa straordinaria opera, realizzata su sei fogli, sono esposte al secondo piano le matrici originali in legno e un’ulteriore stampa.

volo d'.jpgLa xilografia qui affianco è il primo stato della veduta, in cui il campanile di S. Marco , danneggiato nel 1489 da un fulmine, ha la copertura provvisoria in tegole. Ritratta da un punto di osservazione molto alto , a volo d’uccello appunto, è ripresa da sud  con in primo piano una parte della Giudecca e l’isola di San Giorgio.

Sullo sfondo, oltre alle isole della laguna settentrionale il profilo dell prealpi con SERAVAL ( l’odierna Vittorio Veneto) ad indicare il passo che conduceva a nord.

Del tessuto urbano rimangono le architetture più fortemente rappresentative . l’area marciana al centro del potere politico della città, le basiliche dei Frari e di SS: Giovanni e Paolo, le facciate dei Palazzi sul Canal Grande, l’Arsenale, ma insieme appaiono riprodotti meticolosamente in tutta la città, numerosissimi dettagli che ne fanno un documento di estrema rilevanza per la parte di Venezia a volo d'ucello.jpgvolo d'uccello 2.jpgvolo d'uccello 3.jpgconoscenza dell’impianto urbano, l’unica testimonianza visiva della Venezia cinquecentesca nella sua interezza.

La presenza inoltre di Mercurio e di Nettuno, la grande quantità di navi in bacino, ed il brulicare di gondole in Canal Grande sottolineano un intento celebrativo dell’opera.

carta di Arzenti.jpgpianta prospettiva di Venezia.jpgNella parete di fronte la veduta di Gian Battista Arzenti (attivo dal 1600 al 1625)e la pianta prospettica di Joseph Heintz il giovane, post 1678).

A fianco del De Barbari è invece il curioso dipinto Natali di Venezia.jpgsettecentesco con i Natali di Venezia, in una ricostruzione fantastica, l’articolata rappresentazione della città in pianta, in cui ciascun punto notevole è contrassegnato da un numero, è accompagnata nella fascia inferiore da tre ordini di personaggi, anch’essi contrassegnati, e da una legenda descrittiva.

Sia questi dipinti che la pianta a stampa consentono di valutare le trasformazioni avvenute nella città per forma ed estensione nei diversi secoli.

Al centro della sala due globi, celeste e terrestre, pezzi rari della vasta produzione del cartografo veneziano Vincenzo Coronelli.jpgglobi coronelli.jpgclobo terrestre.jpgglobo terrestre particolare.jpgglobo celestrìe particolare.jpgCoronelli (1650-1718) frate francescano, cosmogrofo ufficiale della Repubblica di Venezia, che visse ed operò nel convento dei Frari.

 

Lido di Venezia, dai Crociati alla Mostra del Cinema

s_nicolo_ponte_romano.jpgIsola del Lido.jpgAnticamente litus era il nome del Lido, cioè litorale, una lingua di terra lunga dodici chilometri che separa la Republica di Venezia dal Mare Adriatico.

Isola del Lido di Venezia.jpgLa sua formazione avvenne dal trosporto dei fondali naturali, a causa dei detriti dei fiumi dalla parte della laguna nel regolare e priodico movimento delle correnti marine-fluviali.

La sua forma naturale proteggeva e protegge Venezia dalle furie del mare, dalla minaccia degli assalti dei corsari e dei pirati dalmati.

Da quest’isola partirono tutte le grandi imprese di Venezia del Dogado, e poi della più estesa Repubblica Serenissima di Venezia.Da qui partirono  e qui fecero ritorno le flotte del doge Pietro Orseolo (anno 998), dopo Lido di Venezxia.jpgaver liberato il mare dai corsari Dalmati. L’Adriatico venne denominato Mare Nostrum, e la grandezza di Venezia si espanse per tutto il Mediterraneo, diventando la Regina dei Mari.

Nello Stato della Repubblica di Venezia venne istituita una “Magistratura”che avrebbe tutelato queste zone, e furono nominati i Povveditori sui Lidi incaricati di salvaguardare questa località.

ossa di SW. Nicolò al Lido.jpgDoge Domenico Selvo.jpgChiesa di S. Nicolò o Nicoleto a Lido.jpgNel 1071, per acclamazione del Popolo, nella chiesa di S. Nicolò ( S. Nicoleto) fu nominato doge Domenico Selvo.

Nel 1099 nell’isola arrivò parte delle ossa del corpo di S. Nicolò che a causa del trafugamento si erano spezzate, le altre parti vennero inumate nella Chiesa di San Nicolò di Bari, e quello che rimase a Venezia venne conservato e adorato nella chiesa di San Nicolò o San Nicoleto, come dicono i Veneziani.

pavimento della chiesa.jpgla IV crociata.jpgcrociati.jpgEnrico Dandolo.jpgconvento e chiostro di S, Nicolò.jpgNel 1202 la zone diventò la base dei Cavalieri Crociati francesi in attesa di partire per la IV crociata agli ordini del Doge Enrico Dandolo.All’epoca vennero costruire grandi capanne di tavole per soldati, e scuderie per i cavalli.

In seguito nel 1500 in questa zona venne eretto un Torrione, chiamato Castel Vecchio, e venne completata una fortificazione  formata da un corpo centrale merlato con una terrazza ai lati. Il torrione di destra, innalzando al centro un alto torrione con una lanterna , aveva funzione di faro.

caserma_pepe_veduta_aerea.gifQuest’opera, che isolava una gran parte del territtorio  del Lido, possedeva all’interno i quartieri per i soldati ( i fanti de mar) e un edificio adibito alla costruizione della polvere da sparo ( tezon per i salnitri), le stalle, il convento e la chiesa di S. Nicoleto.

caserma_pepe_leone_ingresso_monum.gifcaserma_pepe_ingresso_monumentale.gifFanti de Mar.jpgTale edificio racchiudeva in sè potenzialmente le caratteristiche delle Caserme moderne, e Caserma divenne. Nel 1600 divenne Caserma dei Fanti de Mar, diventati in seguito Compagnia dei Lagunari, e la Caserma, vero monumento all’arte della fortificazione, venne chiamata poi Caserma Pepe. Purtroppo tale caserma è ora abbandonata, senza alcuna funzione. Da ammirare il bellissimo cortile, reso suggestivo dall’uso dei mattoni che creano un’atmosfera di intonazioni cangianti che variano a seconda dell’ora, dal rosa, all’arancione e al rosso infuocato.

cimitero portale.jpgcimitero erbaioco.jpgCimitero ebraioco 3.jpgcimitero ebraico 4.jpgNel 1389 venne istituito qui il Cimiteo Ebraico, uno dei più belli e suggestivi che si conoscano, e successivamente, poco distante, il Cimitero dei Protestanti Anglicani.

Ora al Lido si può andare in automobile, l’isola è impreziosita dall’annuale Mostra del Cinema di Venezia, ma per chi ha voglia di guardare oltre, c’è ancora da vedere un passato glorioso ed importante.

Massoni e la Basilica di S. Marco a Venezia

imagesCAL51VDN.jpgAvevamo parlato dei taiapiera veneziani, della loro corporazione legata prima ai templari e poi alla Massoneria.

E proprio i muratori, i costruttori (come i tagliapietra) lasciarono una loro evidente traccia sulla facciata della Basilica di S. Marco.

Ma come i tagliapietra si sono riuniti in confraternita, divisa poi in gradi, così come i regolamenti massoni (cioè i grandi muratori) sappiamo che i loro santi protettori erano i quattro coronati, cioè liberi muratori che si erano rifiutati di scolpire statue di divinità pagane per l’imperatore Diocleziano. I loro nomi erano Claudio, Nicostrato, Sinfroniano e Simplicio. e per il rifiuto vennero martirizzati.

Essi vennero rappresentati nell’arca di S. Agostino da Pavia, eretta intorno al 1370 da fratelli Comacini (Bonino, Matteo e Zeno).

imagesCA2RZ64L.jpgNell’introduzione del regolamento dell’ordine dei tagliapietra tedeschi si legge: IN nome del Padre, del figliolo, dello Spirito Santo, della Gloriosa Vergine Maria ed anche dei quattro tagliatori giustiziati sotto Diocleziano.

Vi è comunque un’altra versione, la più accreditata dai Massoni, che riguarda i quatuor coronati, e che comunque è una sovrapposizione di due leggende:

Quattro fratelli Severus, Severinus, Cerfophorus e Victorius era soldati agli ordini di Diocleziano, ma all’ordine dell’Imperatore di adorare gli idoli pagani si rifiutarono per cui vennero uccisi e i loro corpi dati in pasto ai cani.

Ma le spoglie rimasero intatte, per cui la gente pietosa li raccolse e li seppellì nelle tombe di Claudius, Nicostratus, 4.jpgimagesCAL6F9FY.jpgSinphronius, Castorius e Simplicius, scalpellini messi a morte dall’imperatore qualche tempo prima per essersi rifiutati di scolpire statue pagane.

Da questa sovrapposizione ecco l’immagine dei quatuor coronati con gli attrezzi tipici dei muratori. Nel “Poema Regius dell’Ars Massonica” (1390) vi è l’aggancio con l’arte massonica classica : ” affinchè possiamo apprendere bene questi articoli e questi punti tutti insieme, come fecero questi quattro Santi martiri che diedero grande onore a questa arte, che furono così buoni massoni come non ce ne saranno nella terra.

imagesCAXEI8UT.jpgimagesCAHCODRC.jpgimagesCALQEUOI.jpgIl più antico documento massonico è chiamato regio perchè si trovava alla Royal Librery, poi venne trasferito al British imagesCA5U6B5V.jpgMuseum.

Il regolamento comacino formò quindi il quadro di ciò che fu poi la corporazione.

I comacini, maestri ed allievi, avevano necessità per l’autodifesa in un ambiente estraneo e parzialmente avverso, di una unione che sopravvivesse, ad un ordinamento prettamente artigianale, con un legame personale e partecipativo.

Benedetto Antelami, uno degli allievi dei maestri comacini venne a Venezia, contattando così i tagliapietra veneziani i quali si riunirono appunto in confraternita, recependo ed accettando le regole massoniche, sotto l’egida  dei quattro coronati. Rimangono inoltre tracce documentate della presenza a Venezia, verso la metà del 14° secolo, degli architetti Pietro Baseggio e Enrico Tajapiera che sembra abbiano collaborato alla costruzione di palazzo Ducale.

imagesCATCHTWG.jpgUno dei simboli più importanti di questa appartenenza alla Massoneria era rappresentata, oltre che da altri simboli, anche da dei nodi di Salomone raffigurati, disegnati, incisi, su mosaici, o su colonne: il significato di questi nodi è sia il legame di fratellanza e di unione, tipico dell’iconografia massonica che il concetto della Santissima Trinità, e sulle colonne rappresentano un legame che va dalla terra al cielo.

Colonne_annodate_2_small.jpgColonne_annodate5.jpgColonne_annodate3.jpgColonne_annodate_Venezia.jpgSulla facciata della Basilica di S. Marco vi sono quattro colonne legate da nodi, inframmezzate da finestrelle graziosasmente ornate, e sopra ogni nodo appare il simbolo degli evangelisti, da sinistra a destra il Bue, simbolo di Luca, il Leone, Marco, l’Aquila, Giovanni (il santo più venerato dai Massoni) e l’uomo Alato per Matteo.

Non solo, ma anche una parte della balaustra, sempre al piano superiore, è ornata da colonne “annodate”.

imagesCA624KVK.jpgcolonna_annodata_Verona.jpgDiverse colonne col nodo si trovano in altre città italiane, come a S. Zeno, a Verona, costruite in marmo rosso, a MIlano ecc.

 

 

 

Apr 10, 2012 - Alchimia, Esoterismo, Personaggi    Commenti disabilitati su Gli incontri tra Casanova e Cagliostro

Gli incontri tra Casanova e Cagliostro

Giacomo Casanova, la Marchesa d’Ufrè ed il Conte di Saint Germain si incontrarono alcune volte a Parigi, e più approfonditamente  ad un pranzo, pochi giorni . La marchesa asseriva di avere al collo una calamita, e che il Saint Germain avrebbe notevolmente aumentato la potenza di attrazione dell’oggetto.

Casanova , scherzando, disse che voleva scommettere contro questa ipotesi, al che la Marchesa, assai turbata gli raccomandò di non fare più discorsi di quel tipo perchè effettivamente il Conte era un mago, vero.

314746701_a859963899_m.jpgCasanova ritornò a Venezia, ma la sua fama lo precedette. Era mal visto dalla chiesa, lo si accusava sotto, sotto,  di eresia, e la sua appartenenza alla massoneria egizia, i libri che scriveva, il suo atteggiamento sempre libertino nei confronti delle donne lo portarono purtroppo all’arresto, e alla sua prigionia ai Piombi.

Dopo nemmeno un anno ecco che riuscì a fuggire, non spiega come, ma riuscì a fuggire da una prigione praticamente ermetica.

Ed ecco che, durante il suo peregrinare all’estero,dopo una visita alla Sacra Sindone, fece un incontro altrettanto importante: nel 1769 in una locanda di Aix en Provence conobbe una coppia.il marito Giuseppe Balsamo, la moglie, una bellissima giovane di nome Lorenza Serafini Feliciani, che provenivano da un pellegrinaggio dal Santuario di Campostela.

imagesCA2CSSO0.jpgGiuseppe Balsamo, rinominatosi Alessandro Conte di Cagliostro nacque a Palermo il 2 giugno 1743. Rimase quasi subito orfano, per venne rinchiuso in un Istituto per orfani, retto dagli Scolopi dove studiò e poi fuggì. I parenti pensando bene di fargli imparare un mestiere, nel 1756 lo affidarono al Convento dei Fatebenefratelli di Caltagirone.

Nel monastero a cui era annesso un ospedale si interessò alle erbe medicamentose, alle tisane, a tutto ciò che poteva aiutare la gente a guarire.

Dal convento fuggì a Messina dove conobbe un certo Albatas,di cui  non si conosce la nazionalità, il quale, avendo avuto a che fare con la Massoneria Egizia, lo introdusse, nel 1766, nell’Ordine di Malta.

Nel 1768 conobbe a Roma Lorenza Serafini Feliciani, che sposò il 21 Aprile 1768.

imagesCALZZO8R.jpgimagesCA8I8CEW.jpgimagesCAH5AFXS.jpgCasanova e la coppia, pomposamente annunciata come Conte di Cagliostro e moglie si ritrovarono a Venezia nel giugno del 1778, il primo ancora in odore di eresia, il secondo già considerato in qualche modo uno stregone, un mago.

Giacomo Casanova fece per loro da guida alla città, si riunirono per esperimenti magici, esoterici, facevano parte, almeno i due alchimisti, di un mondo che era il loro, era parte comune, l’appartenenza ai Rosacroce, quella alla Massoneria Egizia, e quella ai Cavalieri dell’Ordine di Malta.

E a Venezia continuano ad esistere le sedi di tutti questi Ordini, senza problemi, con targhe davanti alla porta, con siti, che tutti voi potete conoscere, con realtà che
continuano a sussistere.imagesCA7CLPO1.jpg Comunque, il povero  Balsamo o conte di Cagliostro, come si vuole, per effetto della sua fama, ma anche a causa della denuncia della moglie, venne imprigionato nella Rocca di S. Leo, dove morì, disperato, il 26 Agosto 1795.

 

 

Feb 23, 2012 - Mestieri, Società veneziana    2 Comments

La famosa Theriaca di Venezia

imagesCADEY40V.jpgLa Triaca o Theriaca è stata considerata l’antidoto per eccellenza per combattere i veleni, soprattutto quelli di vipera.

Il nome deriva dal greco Therion usato per chiamare così gli animali velenosi.

Mitridate.jpgLa composizione di questo antidoto si rifà al contravveleno usato da Mitridate, il re del Ponto, il quale usava assumere giornalmente un pò di antidoto per diventare in seguito resistente a qualsiasi veleno. E fu proprio alla composizione di tale antidoto che si rifece Andromaco, il medico di Nerone, che aggiunse a questa ricetta la carne della vipera: nacque così la Theriaca Magna o  ” Theriaca Andromachi.

insegna per la triaca.jpgimagesCALZ19VN.jpgtriaca 2.jpg3 Triaca.jpgNel tempo la theriaca veneziana divenne famosa in tutto il mondo conosciuto (anche il Gran Kan della Cina volle ampolle di questo antiveleno), e famose furono le botteghe degli speziali che li componevano: Tre Torri, Allo Struzzo e Alla Testa d’oro. Testimonianza del valore di questa preparazione si può ricavare dalle memorie di Giacomo Casanova che, trovandosi ad Augusta in Baviera incontra e ospita più volte alla sua tavola una compagnia teatrale, la compagnia Bassi, e qui il capocomico, in segno di ringraziamento dona al celebre avventuriero , presentatosi come medico: ” un dono di prestigio, la famosa theriaca veneziana, che potrete vendere a due fiorini la libbra”.

La preparazione dell’antidoto a Venezia veniva fatta in pubblico assumendo quasi toni di festa. Tutt’ora, davanti all’antichissima Farmacia in Campo S. Stefano vi sono i segni degli incavi circolari dove venivano posti i mortai in bronzo, se vi capita andate e vedrete i solchi nei masegni.

Spezieri.jpgLe spezie che venivano usate erano il pepe lungo, il Phu (valeriana) l’oppio, il cinnamomo, lo zafferano, la mirra, il balsamo orientale e la malvasia (il vino) alcuni aggiungevano anche polvere di mummia.

lo speziale.jpgimagesCA8G8RMD.jpgLa possibilità da parte dello Spezier veneziano di ottenere facilmente gli ingredienti, visti i rapporti commerciali con l’oriente, rese questa scienza particolarmente famosa specialmente in europa.

Della triaca faceva parte  la carne di vipera raccolta sui colli Euganei, in un particolare periodo dell’anno, e veniva usata la vipera femmina ma non gravida.

Come ho detto, a Venezia la preparazione veniva fatta pubblicamente, alla presenza comunque dei “Ministri di Giustizia Triaca 3.jpge dei Signori Dottori del Collegio dei Periti dell’arte dello Spezier e dei molto nobili apparati”.

imagesCABIWF80.jpgimagesCA2LW3XI.jpgimagesCABS3LOI.jpgDiversi Spitali di altre  città, come Camaldoli e MIlano mandarono qui i loro speziali per imparare, specialmente da quello che era considerato il più competente di tutti: Giorgio Melichio, proprietario della Teriaca Lo Struzzo, il quale nel 1591 scrisse: Avvertimento di compostazione de’ medicamenti per uso dello Spezier.

A Venezia comunque le farmacie erano considerate veri e propri luoghi di culto.

Inizialmente l’arte venne considerata una vera e propria confraternita con uno statuto unico; fu solo nel XIV secolo che si divisero di due rami: gli spezieri da medicine e gli spezieri da grosso o venditori di spezie.

Simbolo della Triaca 1.jpgimagesCAKFK8OW.jpgteriaca.gifLo speziale si impegnava con un giuramento solenne a “non dare  nè a far dare  ne insegnare a fare medicine velenose.

La vendita dei veleni fu limitata alle due spezierie principali di S. Marco e di Rialto, e solo dietro la presentazione della bolletta rialsciata dai Giustizieri Vecchi, che ne dettava la qualità, la quantità e le varie caratteristiche.

Le farmacie, più che un luogo di vendita di medicinali erano un vero e proprio ritrovo, ove i nobili discutevano e si confrontavano.

La storia dele spezierie veneziane è importante per comprendere come questa civiltà si rapportò alle Farmacia_san%20servolo.jpgFarmacia_san%20marco.jpgaltre culture completamente diverse, con l’intento di trarne il meglio  e di acquisire le spezie Farmacia_insegne.jpge le merci più originali  e rare per il proprio mercato Farrmacia.jpgfarmaceutico.
Di come con esse abbiano affinato le proprie conoscenze scientifiche  e terapeutiche per servire la Serenissima e renderle il meritato onore.

 

Colori a Venezia

imagesCAD5I2S4.jpgTiontoretto.jpgTiziano.jpgGiorgione.jpgVenezia, nel 500 e nel 600 era una città tutta colorata ed affrescata esternamente. I pittori più famosi come Giorgione, Tiziano, Tintoretto e Paolo Caliari detto il Veronese avevano decorato e dipinto le facciate dei palazzi, le pareti, i portali delle chiese.

Fondaco 2.jpgInterno fondaco dei Tedeschi.jpgFondaco dei Tedeschi.jpgPurtroppo ora non è rimasto nulla di tutto questo, salvo alcune decorazioni nel fondaco dei Cà d'oro 1.jpgTedeschi (animali, angeli, colonne, teste, corpi e trofei) e del chiostro di S. Stefano, che sono ora ricoverate presso la Cà d’Oro.

Campo S. Stefano.jpgIl Campo S. Stefano era tutta una scenografia ripresa sulle facciate, tre dipinte dal Giorgione, Palazzo Loredan.jpgPPalazzo Barbaro.jpgbellavite .basso S. Maurizio.jpguna con gli affreschi del Tintoretto, il Palazzo Loredan dipinto  dal Salviati e Palazzo Barbaro Baffo decorato da Sante Zago e Palazzo Morosini dall’Allense..

Quei due secoli sono stati un brulicare di dipinti, di decorazioni, una Venezia appunto tutta colorata e scenografica.

casa del Giorgione.jpgIl primo a dipingere la propria casa a S. Silvestro fu il Giorgione, che poi decorò il Fondaco dei Tedeschi, nani-barbaro.jpglasciando una facciata al Tiziano che vi raffigurò la Giuditta e un compagno di Calza.

imagesCAZZ39IB.jpgPalazzo Soranzo.jpgPisani Gritti.jpgGiorgione si prodigò anche per il Pisani-Gritti ed il Soranzo, ma il primato di pittore più prolifico spetta al Tintoretto, che affrescò una dozzina tra case e palazzi: il più noto è il Palazzo Soranzo dell’Angelo, dove raffigurò una battaglia tra cavalieri.

Palazzo Erizzo.jpgPalazzo Cappello.jpgIL Pordenone affrescò invece il Chiostro di S, Stefano, con scene tratte dai due Testamenti, mentre il Veronese decorò Palazzo Erizzo, Bellavite, Cappello e Nani-Barbaro. Dei grandi murales antelitteram di cui ora, a quattrocento anni di distanza, si cerca di recuperare quel poco, anzi pochissimo che è rimasto.

Solo immaginare lo scintillio dei vari colori riflessi sul Canal Grande, le figure dipinte con maestria, tutto, in questa nostra città era motivo e forma d’arte: uno scenario straordinario di cui tutti i veneziani facevano parte, come i personaggi di un quadro di Canaletto, con la loro gioia di vivere, il loro entusiasmo e la loro capacità di creare un’unico, meraviglioso dipinto: qualcosa di questi colori è comunque rimasto, anche se i bagliori dell’acqua riflessa sui vetri molati, sulle decorazioni d’oro già da sole possono cambiare e rendere unica la luce che inonda questa straordinaria città – Repubblica.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dic 15, 2011 - Alchimia, Personaggi    6 Comments

Cabala e Armonia Cosmica di Francesco Zorzi a Venezia

memorie degli uomini illustri di Asolo.jpgGiorgio%20Francesco%20Girolamo%20Tiraboschi%20Storia_della_letteratura_italiana%20frontespizio.jpgTiraboschi.jpgFranciscus Georgius Venetus, così come viene definito dall’Abate Girolamo Tiraboschi (1731-1794) nella sua “Storia della letteratura Italiana” (1772 -1782), nacque nel 1460 a Venezia da nobile famiglia, e gli fu dato il nome Dardi, che egli, nel 1480 circa, diventando Frate Minorita cambiò in Francesco, e morì ad Asolo nel 1540 annoverato tra gli uomini più illustri della città nel, saggio di Pierantonio Trieste da Pellegrino.

Ermete.jpgPico dell Mirandola.jpgEstimatore e studioso dei concetti esoterici di Giovanni Pico della Mirandola, egli divenne, con l’aiuto di studiosi ebrei della Serenissima, uno dei più grandi cabalisti.

Scrisse infatti ” Harmonia Mundi totius cantica tria “(Venezia, 1525) dedicato a Papa Clemente VII; questo trattato che concilia le Sacre Scritture alle idee di Platone e la cabala ( proseguendo in questo caso proprio l’opera del Pico), venne ristampato diverse volte e tradotto in varie lingue.

cabalà.jpgNella sua seconda opera ” In scripturam sacram problemata” ( Venezia, 1536) de Armonia mundi.jpgGiorgio%20Francesco%20De%20Harmonia%20mundi%20totius%20Cantica%20tria.jpg195px-Clement_VII__Sebastiano_del_Piombo__c_1531_.jpgalbero della vita.jpgcabala.jpgtratta ancora di Cabala e cabala cristiana.jpgPlatonismo. Entrambi i libri vennero messi all’indice, proprio perchè la cabala venne spiegata da Pico e da Francesco come una fonte di speranza a cui attingere per decifrare i misteri del mondo, e nella quale Dio appare oscuro, in quanto apperentemenre irrangiugibile dalla ragione.

Ficino.jpgErmete Tr.jpgTrismegisto.jpgIl loro pensiero si riallaccia a quello di Marsilio Ficino, cercando però di riconciliare l’Aristotelismo ed il Platonismo in una sintesi superiore, con elementi culturali e religiosi, come ad esempio la tradizione misterica di Ermete Trismegisto e della cabala.

Nonostante la censura degli inquisitori al frate non venne fatto nulla, anzi il Doge doge Andrea Gritti.jpgSanspvino.jpgAndrea Gritti lo incaricò di affiancare Jacopo Sansovino nell’ampliamento della Chiesa di S. Francesco della Vigna, che divenne in seguito una delle più importanti di Venezia.

L’origine della Chiesa nasce da un ospizio che i Francescani avevano in uso in prossimità di una vigna del Nobile Marco Ziani. Nel 1300 i monaci edificarono anche un convento e poi una chiesa di stile gotico che in seguito venne ampliata progressivamente nei due secoli successivi.

S. Francesco.jpg1.jpgS. Francesco della Vigna.jpgNel 1543 iniziarono i lavori di ampliamento, e ad Andrea Palladio venne affidata la ricostruzione della facciata.

Francesco Zorzi, così poi venne chiamato, si basò sulla cabala per arrivare all’estrema armonia: “Quello che si fa in quella Chiesa si fa con buone ragioni ” così scrisse il cabalista nel Memoriale con cui tutti i protagonisti di questa impresa (Doge compreso) dovettero confrontarsi.

Per la Chiesa vennero quindi rispettate le misure della Divina Sapienza, cioè il 3, il numero  primo e divino, il quadrato del 3, e il 27, il cubo del ternario: Questi numeri vennero scelti Palladio.jpgrispettivamente per la larghezza e la lunghezza della navata, così da ottenere una proporzione tripla col corpo della Chiesa.

Vigna 2.jpgpianta di S. Francesco della Vigna.jpgConcetti architettonici ed esoterici modellano ogni singolo volume ed elemento, fissando le proprozioni dell’edificio in rapporto con quelle del corpo umano, inseguendo le curve delle note musicali, fino a raggiungere un’armonia architettonica che fosse la perfetta riproduzione dell’armonia cosmica.

 

Femminilità, cultura e potere delle donne veneziane: storie nella storia.

Importante e determinante nella cultura veneziana è stato il ruolo delle donne: donne intellettualmente curiose, aperte, assertive che si ponevano come persone attive di quella società, lavorando, mantenendo i contatti sociali, avendo anche, nei casi delle donne più abbienti ,l.a propria indipendenza economica

Partiamo quindi dai vanti che possiamo proporre al mondo, come veneziani, come persone aperte e lungimiranti.

Caterina Cornaro.jpgIl primo esempio di donna veneziana colta, aperta al mondo e dedita al conseguimento della Serenissima del suo predominio nel Mediterraneo ed in Europa fu Caterina Cornaro, Regina di Cipro nata il 7 novembnre del 1454 del Marco Corner e Floriana Crispo. Cresciuta ed educata in un monastero a Padova, venne data in sposa il 30 luglio del 1468 a  Giacomo Secondo di Lusignano, re di Cipro.

Era incinta del loro figlio quando il marito e tutti i suoi parenti vennero trucidati nella notte del 13 novembre 1475 da nobili Catalani, istigati dal Re di Napoli e dal Duca di Savoia, e, a malincuore lasciò a questo punto la guida del Regno di Cipro alla Serenissima, avendone in cambio il titolo didiletta figlia della Repubblica”, ed una corte, piccola ma nutrita di artisti ed intellettuali ad Asolo (Giorgione, Lorenzo Lotto, Pietro Bembo ecc..) ora le sue spoglie sono accolte dalla chiesa dei SS. Apostoli a Venezia.

Se andate in Calle Carboni a Rialto, ecco che, incassata nel muro di quello che è il Municipio di Venezia c’è una lapide, dedicata ad Elena Cornaro, la prima donna che si è laureata al mondo, in filosofia e Teologia al Bò di Padova il imagesCAAOWU0J.jpguniversità.jpg25.06.1608.

Oltre a ritratti che la immortalano, c’è una statua all’università di Padova che la ricorda, e pure una vetrata, al Wasser College.

Certo la libertà di pensiero e l’orgoglio dei genitori l’hanno aiutata a realizzarsi in questo suo sogno ,in cui  ha dimostrato che le capacità maschili e femminili sono simili. Orgoglio per lei, ed orgoglio per l’apertura mentale delle classi dirigenti e degli insegnanti a Venezia ( ed anche Padova, all’epoca prima Università al mondo).

imagesCAAX53AP.jpgimagesCA3EJ5LG.jpgimagesCA2UC061.jpgimages.jpgìCarriera 3.jpgChe dire poi di Rosalba Carriera,(1675-1757) ritrattista e grande musicista, richiesta da tutte le casi regnanti dell’epoca per ritrarre le famiglie reali; Fu lei ad eseguire il primo ritratto di Luigi XV bambino. Una buona parte dei suoi dipinti è conservata alle Gallerie dell’Accademia a Venezia.

Non ultima per meriti, ma prima per la capacità di dare vorrei ricordare Veronica Franco (1546-1591).

La società rinascimentale di Venezia riconosceva due diversi tipi di cortigiane: la cortigiana onesta, ossia l’intellettuale, tipo geisha, e la cortigiana di lume, quella che si offriva sul ponte delle Tette alle Carampane.

franco 2.jpgVeronica Franco fu probabilmente il più celebre esempio di cortigiana onesta, anche se non fu l’unica intellettuale in una Venezia rinascimentale che vantava una cultura raffinata e annoverava numerosi talenti in ambito letterario e artistico.

Già lei figlia di una cortigiana onesta venne introdotta nell'”arte”dalla madre, e, aiutata dalle proprie doti naturali, contrasse giovanissima matrimonio con un ricco medico, ma il matrimonio finì male.

Per mantenersi diventò una cortigiana d’alto rango.. Secondo le cronache un suo bacio  costava 5 o 6 scudi, il servizio completo 50 scudi.

imagesCAIX4I67.jpgGrazie alle sue amicizie con uomini facoltosi ed esponenti di spicco dell’epoca divenne molto famosa. Ebbe perfino una liason con il re Enrico III di Francia. Quindi fu inserita nel Catalogo di tutte le principale et più honorate cortigiane di Venerzia.

imagesCAQGQT7D.jpgimagesCAMEHJXH.jpgLa Franco scrisse due volumi di Poesia: Terze Rime nel 1575 e Lettere familiari a diversi nel 1580.

imagesCATNO4MT.jpgPubblicò  raccolte di lettere e raccolse in un’antologia le opere di scrittori famosi, Dopo il successo di questi lavori fondò un’istituzione caritatevole a favore delle cortigiane e dei loro figli.

imagesCAUG3NV9.jpgNel 1575 scoppiò la peste a Venezia, e lei fu costretta ad allontanarsi , subendo così il saccheggio della sua casa, ed al suo ritorno dovette subire un processo  dell’Inquisizione in cui fu accusata, ma poi assolta, di stregoneria( cosa assai comune per le cortigiane). Morì, si dice, in povertà nel 1591.

 

libro di isabellacortesi.jpgAltra donna famosa, intellettuale e studiosa fu Isabella Cortese, nobildonna del 1500, alchimista e studiosa che si occupò dell’aspetto fisico delle donne, e pubblicò. assieme ad un’altra studiosa, Floriana Canali, “Secreti”, un libro dedicato alle arti ella cosmesi, appunto.

Cecilia Venier Baffo.jpgAltre due donne, famose, intelligenti e volitive, dettero lustro con la loro cultura, con le lor capacità, all’espansione della Serenissima: Nipote del Doge Sebastiano Venier, Cecilia Venier Baffo, con il nome arabo di Noor Banu  (Pincipessa della luce)divenne la sposa di Solimano il Magnifico nell’anno 1537, e dette alla luce l’erede al trono, oltre ad altri quattordici figli. Fu comunque donna di cultura che trattenne profondi ed interessanti rapporti epistolari con Elisabetta I di Inghilterra e Caterina de Medici, divenuta  Regina di Francia.

 

Bianca Cappello.jpgNel frattempo, pedina già costruita e preparata dalla Repubblica, ma donna forte, capace ed assertiva, si dimostrò Bianca Cappello, nata da famiglia nobile, ed avviata dalla zia, sorella del Doge Andrea Gritti, all’arte della Cortigiana Onesta, ed accompagnata passo, passo, alla conquista del cuore del Granduca Francesco I di Toscana, di cui divenne, dopo diverse vicissitudini, moglie, ed anch’essa nominata, con gran pompa “diletta figlia della Serenissima”.

 

imagesCAMQ9S75.jpgDonne diverse, donne ricche, donne che si sono conquistate la possibilità di perseguire i propri sogni e le proprie capacità intellettuali in uno stato che ha dato loro l’opportunità di farlo, rispettando anche le povere, piccole cortigiane affacciate sul ponte delle Tette che comunque, al difuori del loro “lavoro” venivano considerate cittadine a tutti gli effetti, e rispettate.

Concludo con le parole di Veronica Franco: Se siamo armate ed addestrate siamo in grado di convincere gli uomini che anche noi abbiamo mani, piedi ed un cuore come loro. e anche se siamo deboli e tenere , ci sono uomini delicati che possono essere anche forti e uomini volgari e violenti che sono dei codardi. Le donne non hanno ancora capito che dovrebbero comportarsi così, in questo modo riuscirebbero a combattere  fino alla morte e per dimostrare che ciò è vero, sarò la prima ad agire, ergendomi a modello.

 

 

Prendersi a pugni sul ponte

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Desidero accompagnarvi in un ipotetico percorso   lungo il sestiere  di  S.Croce, uno dei sei che formano la città. Gli altri sono Dorsoduro, S. Polo, Cannaregio, S. Marco  e Castello. I sestieri sono rappresentati a prua delle gondole come il pettine formato appunto da sei punte. Da Piazzale Roma proseguiamo verso i Tolentini, e con tranquillità, si arriva in Campo S. Barnaba  (proprio vicino ad una sede dell’università di Cà Foscari).

Siamo a Dorsoduro: eccoci quindi arrivati alla prima curiosità. Un ponte, sembra uno qualsiasi ma qualsiasi non è . Fino a qualche tempo fa era privo di spallette, e la sua sommità sembra un ring ai quattro lati sono impresse delle orme di piedi, dove venivano raffigurate, in un vero incontro di box. le postazioni dei contendenti. Non è l’unico ponte di questo tipo, ma è comunque un esempio della pragmatica lungimiranza del governo della Serenissima.

I membri dei vari sestieri covavano spesso inimicizie, invidie e diatribe con i componenti di altri sestieri: in questo caso erano i Castellani che non riuscivano sicuramente ad accordarsi con i nicolotti-

 Facile quindi prendere fuoco per una frase mal riferita, per una provocazione, ma, visto che l’omicidio era condannato8-Orma del Ponte dei Pugni.jpg con la pena di morte, i Dogi avevano scovato un rimedio giusto per tutti i mali: due contendenti di un Sestiere e due dell’altro si mettevano in postazione, i piedi posti sopra le orme scalfite sulla pietra e poi via, scazzottate a tutto spiano, che un po’ alla volta coinvolgevano anche trecento, quattrocento persone.

Essendo il ponte sprovvisto di spallette, chi veniva colpito in modo netto finiva in acqua, ma senza farsi male, perché il canale veniva costantemente dragato in modo che la nuotata contribuisse a ridare un po’ di lucidità ai contendenti, fino a quando, soddisfatti tutti, la disputa veniva dichiarata conclusa. Era un sistema molto saggio per far sfogare i livori senza violenze vere e proprie, in una città in qualche modo molto piccola, dovecomuque tutti dovevano e si sentivano chiamati a collaborare per la sua vita e per il suo splendore.

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La colonna esoterica di Palazzo Ducale: il pellicano dei Rosacroce

colonna con pellicano.jpgUna delle colonne di Palazzo Ducale reca, più di altre, i simboli dell’esoterismo a Venezia, per altro ricca di questi riferimenti: il Pellicano.

Parliamo dei Rosacroce,che, nel rito scozzese hanno nominato appunto dei cavalieri a questo simbolo: Cavalieri del Pellicano .  I riferimenti ai Rosacroce non sono unici, nelle chiese veneziane, ma sono inaspettatamente frequenti.

pelican.jpgimagesCAQEO5HG.jpgIl Pellicano , chiamato dagli antichi greci onocrotalo perchè il suo strano verso” Krotos “era simile a quello dell’asino, ha un atteggiamento molto particolare per dar da mangiare ai suoi piccoli, curvando il becco verso il petto, e per questo dando l’errata credenza di squarciarselo per nutrirli con il suo sangue, fino a diventare emblema della carità (O. Wirth).

Nel “Physiologus” si dice che il pellicano ami moltissimo i suoi piccoli: ” quando ha generato i suoi piccoli, non appena sono cresciuti questi pellicano_croce.jpgcolpiscono al volto i loro genitori, che allora li picchiano e li uccidono. In seguito però provano compassione e piangono i figli che hanno ucciso”Il terzo giorno la madre  si percuote il fianco ed il suo sangue, effondendosi sui corpi dei piccoli morti, li resuscita.

Il pellicano si presta così ad una duplice simbologia: è l’immagine di Cristo che dona il suo sangue per redimere l’umanità, e l’immagine di Dio Padre che sacrifica il proprio figlio facendolo resuscitare il terzo giorno.

Nell’immagine simbolica medievale il  pellicano è rappresentato nel nido con i suoi piccoli, sulla sommità della croce e nell’atto di straziarsi il petto con il suo becco. Il sangue che scaturisce  è poi, l’ars Symbolica, la forza spirituale che diventa il lavoro dell’alchimista  che, con grande amore e sacrificio, conduce alla ricerca della perfezione.

images.jpgIl pellicano è un uccello difficile da vedere, e per questo diventa pura immagine dello  spirito, che richiama al pensiero della purezza ” Cristo, il nostro Pellicano, come lo chiama Dante quando si riferisce all’apostolo Giovanni: ” questi è colui che guacque sopra’l petto del nostro pellicano o :Questi fuei su la croce al  grande officio eletto(Divina Commedia Paradiso, canto XXV 112-114).

La purezza celeste è quindi il carattere particolare di questo uccello che, simile ad un angelo dalle ali spiegate simboleggia la Redenzione, la Resurrezione e l’amore di Cristo per le anime.

moderno.jpglaboe.gif Nel bestiario il primo riferimento preciso al pellicano è al MaimagesCADMKG3A.jpgtraccio, dove si otteneva la “circolazione doppia”, per cui questo uccello rappresentava la coabitazione dei liquidi.
O. Wirth spiega il simbolo del pellicano come emblema di generosità assoluta, in mancanza della quale nell’iniziazione tutto resterebbe vano.

Per altri sarebbe l’immagine della pietra fislosofale che si dissolve per far nascere l’oro dal piombo allo stato fluido, cui corrisponde l’aspirazione non egoistica (il pellicano si nutre del pesce strettamente necessario per vivere).

Con ciò sono da ricordare antichi gradi della società, come il Cavaliere del Pellicano e la sua effige nei Rosacroce.

imagesCAY0EZED.jpgNell’antico testamento il pellicano viene nominato solo una volta (salmo 102-107) e non viene mai nominato nei vangeli. Si deve al Phyisiologus( II-IV secolo) il pellicano è al numero 4 del suo inventario, in termini alquanto più complessi, narrando della resurrezione dei piccoli, al terzo giorno, per opera della madre che con il padre li ha uccisi, vi è l’adattamento diretto della simbologia del Cristo.

 

Venezia quindi , esoterica fino nei minimi particolari, come i marmi usati, che danno un fascino ancora maggiore a questa città sospesa tra l’oriente e l’occidente, e magicamente rimasta aderente alla sua essenza che chiunque percorra le sue calli ed i suoi campi percepoisce e respira con l’aria della laguna.

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